LINK

           

READERS

venerdì 29 dicembre 2017

Oceano mare , Alessandro Baricco - colourfulshare


Oceano mare
Alessandro Baricco





Georges Seurat, Donna seduta con il parasole (1884-1885);
 matita nera Conté su carta avorio, 47,7×31,5 cm, The Art Institute, Chicago



L'oceano mare è un "simbolo", Syn-ballein , immagine che ci riconduca, che ci unisca ad una realtà più grande.

Citazioni scelte


Ognuno di noi ha bisogno di sogni per vivere.
Un segno più discreto, sarebbe bastato. Per salvare qualcuno, un sogno.


"Dire il mare. Dire il mare. Dire il mare. Perché non tutto quel che c'era nel gesto di quel vecchio vada perso, perché magari un lembo di quella magia ancora vaga nel tempo, e qualcosa potrebbe trovarlo, e fermarlo prima che sparisca per sempre. Dire il mare. Perché è quello che ci resta. Perché davanti a lui, noi senza croci, senza vecchi, senza magia, dobbiamo pur averla un'arma, qualcosa, per non morire in silenzio, e basta.  Dire il mare?
Ma a chi?
Non importa a chi. L'importante è provare a dirlo. Qualcuno ascolterà.  
E ci vogliono tutti quei fogli per dirlo?
Se uno fosse davvero capace, gli basterebbero poche parole... Magari inizierebbe da tante pagine ma poi, a poco a poco, troverebbe le parole giuste, quelle che dicono in una volta sola tutte le altre, e da mille pagine arriverebbe a cento, e poi a dieci, e poi le lascerebbe lì, ad aspettare, finché le parole di troppo scivolerebbero via dai fogli, e allora ci sarebbero solo da raccogliere quelle che restano, e stringerle in poche parole, dieci, cinque, così poche che a furia di guardarle da vicino, e di ascoltarle, alla fine te ne resta in mano una, una sola. E se la dici, dici il mare.  Una sola?
 Sì.
 E quale?
 Chi lo sa.
 Una parola qualsiasi?
 Sì. Non si può sapere, fino a quando non l'hai trovata.
 Parlava guardandosi intorno nella sabbia, l'uomo della settima stanza. Cercava una pietra.
 Ma scusa... -, disse un bambino.
 Eh.
 Non si può usare mare?
 No, non si può usare mare.
 Si era alzato. L'aveva trovata, la pietra.
E allora è impossibile. È una cosa impossibile.

Chi lo sa, cos'è impossibile.
 Si avvicinò al mare e la tirò lontano, nell'acqua. Era una pietra tonda.
 Ma la pietra iniziò a saltare, sul pelo dell'acqua, una volta, due, tre, non la smetteva più, saltava che era un piacere, sempre più lontana, saltava verso il largo, come se l'avessero liberata. Sembrava non volesse più fermarsi. E non si fermò più."


Molti anni fa, nel mezzo di qualche oceano, una fregata della marina francese fece naufragio. 147 uomini cercarono di salvarsi salendo su un'enorme zattera e affidandosi al mare. Un orrore che durò giorni e giorni. Un formidabile palcoscenico su cui si esibirono la peggior ferocia e la più dolce pietà.  Molti anni fa, sulla riva di un qualche oceano, arrivò un uomo.  L'aveva portato lì una promessa. La locanda in cui si fermò si chiamava Almayer. Sette stanze. Degli strani bambini, un pittore, una donna bellissima, un professore dal nome strano, un uomo misterioso, una ragazza che non voleva morire, un prete buffo. Tutti lì, a cercare qualcosa, in bilico sull'oceano.  Molti anni fa, questi e altri destini incontrarono il mare e ne tornarono segnati. Questo libro li racconta perché, ad ascoltarli, si sente la voce del mare. Lo si può leggere come un racconto a suspense, come un poema in prosa, un conte philosophique, un romanzo d'avventure.

libro primo.
locanda Almayer


Sabbia a perdita d'occhio, tra le ultime colline e il mare, il mare nell'aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord. La spiaggia. E il mare.
 Potrebbe essere la perfezione, immagine per occhi divini, mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità, verità ma ancora una volta è il salvifico granello dell'uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un'inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. A vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore.
Basta il barlume di un uomo a ferire il riposo di ciò che sarebbe a un attimo dal diventare verità e invece immediatamente torna ad essere attesa e domanda, per il semplice e infinito potere di quell'uomo che è feritoia e spiraglio, porta piccola da cui rientrano storie a fiumi e l'immane repertorio di ciò che potrebbe essere, squarcio infinito, ferita meravigliosa, sentiero di passi a migliaia dove nulla più potrà essere vero ma tutto sarà proprio come sono i passi di quella donna che avvolta in un mantello viola, il capo coperto, misura lentamente la spiaggia.
L'uomo non si volta neppure. Continua a fissare il mare. Silenzio. Di tanto in tanto intinge il pennello in una tazza di rame e abbozza sulla tela pochi tratti leggeri. Le setole del pennello lasciano dietro di sé l'ombra di una pallidissima oscurità che il vento immediatamente asciuga riportando a galla il bianco di prima. Acqua. Nella tazza di rame c'è solo acqua. E sulla tela, niente. Niente che si possa vedere.
 Soffia come sempre il vento da nord e la donna si stringe nel suo mantello viola.
 Sono giorni e giorni che lavorate quaggiù. Cosa vi portate in giro a fare tutti quei colori se non avete il coraggio di usarli?  Questo sembra risvegliarlo. Questo l'ha colpito. Si gira a osservare il volto della donna. E quando parla non è per rispondere.
 Vi prego, non muovetevi, dice.
 Poi avvicina il pennello al volto della donna, esita un attimo, lo appoggia sulle sue labbra e lentamente lo fa scorrere da un angolo all'altro della bocca. Le setole si tingono di rosso carminio. Lui le guarda, le immerge appena nell'acqua, e rialza lo sguardo verso il mare. Sulle labbra della donna rimane l'ombra di un sapore che la costringe a pensare;
acqua di mare, quest'uomo dipinge il mare con il mare”;
ed è un pensiero che dà i brividi.  Lei si è già voltata da tempo, e già sta rimisurando l'immensa spiaggia con il matematico rosario dei suoi passi, quando il vento passa sulla tela ad asciugare uno sbuffo di luce rosea, nudo a galleggiare nel bianco. Si potrebbe stare ore a guardare quel mare, e quel cielo, e tutto quanto, ma non si potrebbe trovare nulla di quel colore. Nulla che si possa vedere.  La marea, da quelle parti, sale prima che arrivi il buio. Poco prima. L'acqua circonda l'uomo e il suo cavalletto, se li piglia, adagio ma con precisione, restano lì, l'uno e l'altro, impassibili.

Il buio sospende tutto. Non c'è nulla che possa, nel buio, diventare vero.

Sera. Locanda Almayer. Stanza al primo piano, in fondo al corridoio.  Scrittoio, lampada a petrolio, silenzio. Foglio bianco sullo scrittoio, penna e calamaio. Scrive.
 Mia adorata, sono arrivato al mare. Vi risparmio le fatiche e le miserie del viaggio: ciò che conta è che ora sono qui. La locanda è ospitale: semplice, ma ospitale. E' sul colmo di una piccola collina, proprio davanti alla spiaggia. Vi piacerebbe.
Nella solitudine di questo luogo appartato dal mondo, mi accompagna la certezza che non vorrete, nella lontananza, smarrire il ricordo di colui che vi ama e che sempre rimarrà il Vostro.
Posa la penna, piega il foglio, lo infila in una busta. Si alza, prende dal suo baule una scatola di mogano, solleva il coperchio, ci lascia cadere dentro la lettera, aperta e senza indirizzo. Nella scatola ci sono centinaia di buste uguali. Aperte e senza indirizzo.
Lui pensa che da qualche parte, nel mondo, incontrerà un giorno una donna che, da sempre, è la sua donna. Ogni tanto si rammarica che il destino si ostini a farlo attendere con tanta indelicata tenacia, ma col tempo ha imparato a considerare la cosa con grande serenità. Quasi ogni giorno, ormai da anni, prende la penna in mano e le scrive. Non ha nomi e non ha indirizzi da mettere sulle buste: ma ha una vita da raccontare. E a chi, se non a lei? Lui pensa che quando si incontreranno sarà bello posarle sul grembo una scatola di mogano piena di lettere e dirle Ti aspettavo.  Lei aprirà la scatola e lentamente, quando vorrà, leggerà le lettere una ad una e risalendo un chilometrico filo di inchiostro blu si prenderà gli anni i giorni, gli istanti che quell'uomo, prima ancora di conoscerla, già le aveva regalato. O
 forse, più semplicemente, capovolgerà la scatola e attonita davanti a quella buffa nevicata di lettere sorriderà dicendo a quell'uomo Tu sei matto.
 E per sempre lo amerà.

E' un po' come sentirsi morire. O sparire. Ecco: sparire.
Pensi cosa mi sta succedendo?, e intanto il cuore ti batte dentro da morire, non ti lascia in pace... e da tutte le parti è come se dei pezzi di te se ne andassero, non li senti più... insomma te ne stai per andare, e allora io mi dico devi pensare a qualche cosa, devi tenerti aggrappata a un pensiero, se riesco a farmi piccola in quel pensiero poi tutto passerà, bisogna solo resistere, ma il fatto è che... questo è davvero l'orrore...
 il fatto è che non ci sono più pensieri, da nessuna parte dentro di te, non c'è più un pensiero ma solo sensazioni, capite? sensazioni... e quella più grande è una febbre infernale, è un tanfo insopportabile, un sapore di morte qui nella gola, una febbre, e una morsa, qualcosa che morde, un demonio che ti morde e ti fa a pezzi.
Volevo dire che io la voglio, la vita, farei qualsiasi cosa per poter averla, tutta quella che c'è, tanta da impazzirne, non importa, posso anche impazzire ma la vita quella non voglio perdermela, io la voglio, davvero, dovesse anche fare un male da morire è vivere che voglio. Ce la farò, vero?  Vero che ce la farò?

Nella sua scientifica freddezza il profilo esatto, orlato di schiuma, dell'onda, aspettava.
 Nel cerchio imperfetto del suo universo ottico la perfezione di quel moto oscillatorio formulava promesse che l'irripetibile unicità di ogni singola onda condannava a non esser mantenute. Non c'era verso di fermare quel continuo avvicendarsi di creazione e distruzione.
Bartleboom, veramente, aspettava un'onda. O qualcosa del genere. Alzò lo sguardo e vide una donna, chiusa in un elegante mantello viola.
Vedete lì, dove l'acqua arriva... se uno riuscisse a fermare quell'attimo... proprio quel punto, quella curva... è quello che io studio. Dove l'acqua si ferma.
 E cosa c'è da studiare?
 Be', è un punto importante... a volte non ci si fa caso, ma se ci pensate bene lì succede qualcosa di straordinario, di... straordinario. 
Veramente?
 Bartleboom si sporse leggermente verso la donna. Si sarebbe detto che avesse un segreto da dire quando disse:
 Lì finisce il mare. Il mare immenso, l'oceano mare, che infinito corre oltre ogni sguardo, c'è un luogo dove finisce l'immane mare onnipotente: è un luogo piccolissimo, è un istante da nulla.
La natura ha una sua perfezione sorprendente e questo è il risultato di una somma di limiti. La natura è perfetta perché non è infinita.Se uno capisce i limiti, capisce come funziona il meccanismo. Tutto sta nel capire i limiti.
È importante capire. Descrivere. L'ultima voce che ho scritto è stata Tramonti. Sapete, è geniale questa cosa che i giorni finiscono. E' un sistema geniale. I giorni e poi le notti. E di nuovo i giorni. Sembra scontato, ma c'è del genio. È là dove la natura decide di collocare i propri limiti, esplode lo spettacolo. I tramonti. Li ho studiati per settimane. Non è facile capire un tramonto. Ha i suoi tempi, le sue misure, i suoi colori. E poiché non c'è un tramonto, dico uno, che sia identico a un altro allora lo scienziato deve saper discernere i particolari e isolare l'essenza fino a poter dire questo è un tramonto, il tramonto.

Aveva quella bellezza di cui solo i vinti sono capaci. E la limpidezza delle cose deboli. E la solitudine, perfetta, di ciò che si è perduto.
Dio sa quanto mi manca, in quest'ora malinconica, il conforto della Vostra presenza e il sollievo dei Vostri sorrisi. Il lavoro mi stanca e il mare si ribella ai miei ostinati tentativi di capirlo. Dove inizia la fine del mare?
Cosa diciamo quando diciamo: mare? Diciamo l'immenso mostro capace di divorarsi qualsiasi cosa, o quell'onda che ci schiuma intorno ai piedi? L'acqua che puoi tenere nel cavo della mano o l'abisso che nessuno può vedere? Diciamo tutto in una parola sola o in una sola parola tutto nascondiamo? Sto qui, a un passo dal mare, e neanche riesco a capire, lui, dov'è. Il mare. Il mare. 
Guardò ma d'uno sguardo per cui guardare già è una parola troppo forte sguardo meraviglioso che è vedere senza chiedersi nulla, vedere e basta qualcosa come due cose che si toccano gli occhi e l'immagine uno sguardo che non prende ma riceve, nel silenzio più assoluto della mente, l'unico sguardo che davvero ci potrebbe salvare vergine di qualsiasi domanda, ancora non sfregiato dal vizio del sapere sola innocenza che potrebbe prevenire le ferite delle cose quando da fuori entrano nel cerchio del nostro sentire vedere sentire perché sarebbe nulla di più che un meraviglioso stare davanti, noi e le cose, e negli occhi ricevere il mondo tutto ricevere senza domande, perfino senza meraviglia ricevere solo ricevere negli occhi il mondo. Così, solamente, sanno vedere gli occhi delle madonne, sotto le arcate delle chiese, l'angelo sceso da cieli d'oro, nell'ora dell'Annunciazione.
L'ultima luce, nell'ultima finestra, si spegne. Solo l'inarrestabile macchina del mare continua a svellere il silenzio con la ciclica esplosione di onde notturne, lontane ricordanze di tempeste sonnambule e naufragi di sogno.
Il mare era per lui un'idea. O, più propriamente, un percorso dell'immaginazione. Era qualcosa che nasceva nel Mar Rosso diviso in due dalle mani di Dio si moltiplicava nel pensiero del diluvio universale, lì si perdeva per poi ritrovarsi nel profilo panciuto di un'arca e immediatamente si collegava al pensiero delle balene mai viste ma spesso immaginate e da lì ridefluiva, di nuovo abbastanza chiaro, nelle poche storie, fino a lui arrivate, di pesci mostruosi e draghi e città sottomarine, in un crescendo di splendore fantastico che bruscamente si accartocciava nei tratti aspri del volto di un suo antenato incorniciato e perenne nell'apposita galleria che dicevano essere stato avventuriero al fianco di Vasco da Gama: nei suoi occhi sottilmente malvagi, il pensiero del mare imboccava una strada sinistra, rimbalzava su alcune incerte cronache di iperboli corsare, si impigliava in una citazione di sant'Agostino che voleva l'oceano essere la casa del demonio, tornava indietro a un nome Thessala che forse era una nave naufragata forse una balia che raccontava storie di navi e di guerre, sfiorava l'odore di certe stoffe arrivate fin lì da paesi lontani, e finalmente riaffiorava alla luce negli occhi di una donna d'oltremare, incontrata tanti anni prima e mai più vista, per andarsi a fermare, al termine di un simile periplo della mente, nel profumo di un frutto che, gli avevano detto, cresceva solo in riva al mare, nei paesi del sud: e a mangiarlo si sentiva il gusto del sole. Poiché non l'aveva mai visto, il mare viaggiava, nella sua mente, come un clandestino a bordo di un veliero fermo in porto, a vele ammainate: inoffensivo e superfluo.
Ancora adesso, tutti raccontano quel viaggio. Ognuno a modo suo. Tutti senza averlo mai visto. Ma non importa. Non smetteranno mai di raccontarlo. Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se, per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi. E qualcuno, un amore, qualcuno capace di prenderci per mano e di trovare quel fiume, immaginarlo, inventarlo e sulla sua corrente posarci, con la leggerezza di una sola parola, addio.
Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita. E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente, si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare. Farsi ferire, anche morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente, umano. Basterebbe la fantasia di qualcuno un padre, un amore, qualcuno. Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio, in questa terra che non vuole parlare. Strada clemente, e bella. Una strada da qui al mare.
La sconcertante scoperta di quanto sia silenzioso, il destino, quando, d'un tratto, esplode.
Si sentiva il mare, come una slavina continua, tuono incessante di un temporale figlio di chissà che cielo. Non smetteva un attimo. Non conosceva stanchezza. E clemenza.
 Se lo guardi non te ne accorgi: di quanto rumore faccia. Ma nel buio... Tutto quell'infinito diventa solo fragore, muro di suono, urlo assillante e cieco.  Non lo spegni, il mare, quando brucia nella notte.
Il cavalletto piantato nella sabbia, a pochi metri da lì. Solita tela bianca, sul cavalletto. Solito vento da nord, su tutto.
BARTLEBOOM Ma ne fate uno al giorno, di quei quadri?
PLASSON In un certo senso...
BARTLEBOOM Ne avrete la stanza piena...
PLASSON No. Li butto via
PLASSON Il mare è difficile.
BARTLEBOOM ...
PLASSON E' difficile capire da dove iniziare.Vedete, quando facevo ritratti, ritratti alla gente, io lo sapevo da dove iniziare, quando facevo i ritratti alla gente iniziavo dagli occhi. Dimenticavo tutto il resto e mi concentravo sugli occhi, li studiavo, per minuti e minuti, poi li abbozzavo, con la matita, e quello era il segreto, perché una volta che voi avete disegnato gli occhi… succede che tutto il resto viene da sé, è come se tutti gli altri pezzi scivolassero da soli intorno a quel punto iniziale, non c'é nemmeno bisogno di..
Invecchiava ma non moriva. Se lo consumavano, le malattie, e lui, imperterrito, rimaneva aggrappato alla vita. Alla fine non usciva nemmeno più dalla sua stanza. Dovevano fargli tutto.
Anni, così. Si era asserragliato in una specie di roccaforte, tutta sua, costruita nell'angolo più invisibile di se stesso. Rinunciò a tutto, ma si tenne strette, con ferocia, le uniche due cose di cui davvero gli importava qualcosa: scrivere e odiare. Scriveva faticosamente, con la mano che ancora riusciva a muovere. E odiava con gli occhi. Parlare, non parlò più, fino alla fine. Scriveva e odiava. Quando morì perché morì, finalmente mia madre prese quelle centinaia di fogli scarabocchiati e li lesse, uno ad uno. C'erano i nomi di tutti quelli che aveva conosciuto, uno in fila all'altro.
Ma gli occhi quegli occhi che odiavano, ogni minuto di ogni giorno, fino alla fine li avevo visti. Eccome li avevo visti. Ho sposato mio marito perché aveva gli occhi buoni. Era l'unica cosa che mi importava. Aveva gli occhi buoni. 

Poi non è che la vita vada come tu te la immagini. Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada. Così... Io non è che volevo essere felice, questo no. Volevo... salvarmi, ecco: salvarmi. Ma ho capito tardi da che parte bisognava andare: dalla parte dei desideri. Uno si aspetta che siano altre cose a salvare la gente: il dovere, l'onestà, essere buoni, essere giusti. No.  Sono i desideri che salvano. Sono l'unica cosa vera. Tu stai con loro, e ti salverai. Però troppo tardi l'ho capito.

Se le dai tempo, alla vita, lei si rigira in un modo strano, inesorabile: e tu ti accorgi che a quel punto non puoi desiderare qualcosa senza farti del male. è lì che salta tutto, non c'è verso di scappare, più ti agiti più si ingarbuglia la rete, più ti ribelli più ti ferisci. Non se ne esce. Quando era troppo tardi, io ho iniziato a desiderare. Con tutta la forza che avevo. Mi sono fatta tanto di quel male che tu non te lo puoi nemmeno immaginare.

 Sai cos'è bello, qui? Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate. Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente. Il mare cancella, di notte. La marea nasconde. è come se non fosse mai passato nessuno. È come se noi non fossimo mai esistiti. Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi pensare di essere nulla, quel luogo è qui. Non è più terra, non è ancora mare. Non è vita falsa, non è vita vera. E' tempo. Tempo che passa. E basta. Sarebbe un rifugio perfetto. Invisibili a qualsiasi nemico. Sospesi. Bianchi come i quadri di Plasson. Impercettibili anche a se stessi. Ma c'è qualcosa che incrina questo purgatorio. Ed è qualcosa da cui non puoi scappare. Il mare. Il mare incanta, il mare uccide, commuove, spaventa, fa anche ridere, alle volte, sparisce, ogni tanto, si traveste da lago, oppure costruisce tempeste, divora navi, regala ricchezze, non dà risposte, è saggio, è dolce, è potente, è imprevedibile. Ma soprattutto: il mare chiama.
Lo scoprirai, Elisewin. Non fa altro, in fondo, che questo: chiamare. Non smette mai, ti entra dentro, ce l'hai addosso, è te che vuole. Puoi anche far finta di niente, ma non serve.
Continuerà a chiamarti. Questo mare che vedi e tutti gli altri che non vedrai, ma che ci saranno, sempre, in agguato, pazienti, un passo oltre la tua vita.  Instancabilmente, li sentirai chiamare. Succede in questo purgatorio di sabbia. Succederebbe in qualsiasi paradiso, e in qualsiasi inferno. Senza spiegare nulla, senza dirti dove, ci sarà sempre un mare, che ti chiamerà. 
Sta provando a fare qualcosa di molto difficile. E i suoi quadri non sono più bianchi delle pagine di questo mio libro.
Posati a un passo dal mare, diventano scomparendo, e negli interstizi di un elegante nulla ricevono la consolazione di una provvisoria inesistenza.  Galleggia, su quel trompe-l'oeil dell'anima, l'argentino tintinnare delle loro parole, unica percepibile increspatura nella quiete dell'innominabile incantesimo.
Uno si costruisce grandi storie, questo è il fatto, e può andare avanti anni a crederci, non importa quanto pazze sono, e inverosimili, se le porta addosso, e basta. Si è anche felici, di cose del genere. Felici. E potrebbe non finire mai. Poi, un giorno, succede che si rompe qualcosa, nel cuore del gran marchingegno fantastico, tac, senza nessuna ragione, si rompe d'improvviso e tu rimani lì, senza capire come mai tutta quella favolosa storia non ce l'hai più addosso, ma davanti, come fosse la follia di un altro, e quell'altro sei tu. Tac. Alle volte basta un niente. Anche solo una domanda che affiora. Basta quello.

Madame... io come farò a riconoscerla, quella donna, la mia, quando la incontrerò?
 Anche solo una domanda elementare che affiora dalle tane sotterranee in cui la si era sepolta. Basta quello.
 Come farò a riconoscerla, quando la incontrerò?
 Già.
 Ma in tutti questi anni non ve lo siete mai domandato?  No. Sapevo che l'avrei riconosciuta, tutto qui. Ma adesso ho paura. Ho paura che non sarò capace di capire.
 E lei passerà. E io la perderò.
Insegnatemelo voi, madame, come farò a riconoscerla, quando la vedrò.
Chiudete gli occhi, e datemi le vostre mani. Ubbidisce. E
 subito sente sotto le sue mani il volto di quella donna, e le labbra che giocano con le sue dita, e poi il collo sottile e la camicia che si apre, le mani di lei che guidano le sue lungo quella pelle calda e morbidissima, e se le stringono addosso, a sentire i segreti di quel corpo sconosciuto, a stringere quel calore, per poi risalire sulle spalle, tra i capelli e di nuovo tra le labbra, dove le dita scivolano avanti e indietro fino a quando non arriva una voce a fermarle e a scrivere nel silenzio.
Guardatemi.
 La camicia le è scesa sul grembo. Gli occhi le sorridono senza nessun imbarazzo.
 Un giorno vedrete una donna e sentirete tutto questo senza nemmeno toccarla.
 Datele le vostre lettere. Le avete scritte per lei.


Nella settima stanza, quella che sembra vuota. Be', non è vuota. C'è un uomo là dentro. Ma non esce mai. Nessuno degli altri l'ha mai visto.
Che posto è mai questo, dove la gente c'è ma è invisibile, o va avanti e indietro all'infinito, come se avesse l'eternità davanti per...  Questa è la riva del mare, né terra né mare. E' un luogo che non esiste. È un mondo di angeli.

Ogni tanto mi chiedo cosa mai stiamo aspettando.
Silenzio.
Che sia troppo tardi, madame.

Voi pregate mai?
 Si aggiusta il cappello di lana in testa.  Una volta pregavo. Poi ho fatto un calcolo. In otto anni mi ero permesso di chiedere all'Onnipotente due cose.
 Risultato: mia sorella è morta e la donna che sposerò la devo ancora incontrare.
 Adesso prego molto meno.  Non credo che...
 I numeri parlano chiaro. Il resto è poesia.
 Appunto. Se solo fossimo un po' più...
 Non fate le cose difficili. La questione è semplice. Voi credete davvero che Dio esista?
 Be', adesso esistere mi sembra un termine un po' eccessivo, ma credo che ci sia, ecco, in un modo tutto suo, ci sia.
 E che differenza fa?
Fa differenza, eccome la fa. Prendete per esempio questa storia della settima stanza... sì, la storia di quell'uomo, alla locanda, che non esce mai dalla sua camera, e tutto il resto, no?
 E be'?
 Nessuno l'ha mai visto. Potrebbe non esistere. Ma per noi, comunque, ci sarebbe. La sera si accende la luce, in quella stanza, ogni tanto si sentono rumori, voi stesso, vi ho visto, quando ci passate davanti rallentate, cercate di guardare, di sentire qualcosa... Per noi quell'uomo c'è. 

Non so chi è, non so se esiste, ma so che c'è. Per me c'è. Ed è un uomo che ha paura.
 Paura?
Scuote la testa.
 E di cosa?
 Voi non andate sulla spiaggia?
 Voi non passeggiate, non scrivete, non fate quadri, non parlate, non fate domande.
 Voi aspettate, vero?
Sì.
E perché? Perché non fate quel che dovete fare, e sia finita? 

In mille posti diversi del mondo, ho visto locande come questa. O forse: ho visto questa locanda in mille diversi posti del mondo. La stessa solitudine, gli stessi colori, gli stessi profumi, lo stesso silenzio. La gente ci arriva e il tempo si ferma. Per qualcuno dev'essere una sensazione come di felicità, vero?
 Per qualcuno.
 Se io potessi tornare indietro, allora sceglierei questo: vivere davanti al mare.

libro secondo
il ventre del mare
La zattera fu abbandonata a se stessa. Neanche mezz'ora dopo, trascinata dalle correnti, era già scomparsa all'orizzonte.
Non riuscivano a guardare altrove, ma non c'era niente, dentro quegli sguardi, il niente assoluto, né odio né pietà, rimorso, paura, niente.
Si lasciano solo cadere nel mare, senza muoversi, spariscono è perfino dolce il vederli si abbracciano prima di darsi al mare lacrime sulle facce di uomini inaspettati poi si lasciano cadere nel mare e forte respirano l'acqua salata fin dentro ai polmoni a bruciare tutto, tutto nessuno li ferma, nessuno.
Noi ci salveremo, per l'odio che portiamo contro quelli che ci hanno abbandonato, e torneremo per guardarli negli occhi.
Quel che accade è che gli uomini tacciono e la disperazione diventa mitezza e ordine e calma sfilano uno ad uno davanti a noi, le loro mani, le nostre mani, una razione per uno quasi un assurdo, c'é da pensare, nel cuore del mare, più di cento uomini sconfitti, perduti, sconfitti, si allineano in ordine, un disegno perfetto nel caos senza direzioni del ventre del mare, per sopravvivere, silenziosamente, con disumana pazienza, e disumana ragione.
Si sono impossessati di una botte, e il vino si è impossessato di loro.
Qualcuno parla al mare, a bassa voce, gli parla, seduto sul bordo della zattera, lo corteggia, si direbbe, e sente le sue risposte, il mare che risponde, un dialogo, l'ultimo, alcuni alla fine cedono alle sue risposte astute, e convinti, alla fine, si lasciano scivolare nell'acqua e si consegnano al grande amico che li divora portandoseli lontano.
Tutto sparisce e non rimane che lui, davanti a me, addosso me. Una rivelazione. Sfuma la coltre di dolore e di paura che mi ha preso l'anima, si disfa la rete delle infamie, delle crudeltà, degli orrori che mi hanno rapito gli occhi, si dissolve l'ombra della morte che si è divorata la mia mente, e nella luce improvvisa di una chiarezza imprevedibile io finalmente vedo, e sento, e capisco. Il mare. Sembrava uno spettatore, perfino silenzioso, perfino complice. Sembrava cornice, scenario, fondale. Ora lo guardo e capisco: il mare era tutto. E' stato, fin dal primo momento, tutto. Lo vedo ballare intorno a me, sontuoso in una luce di ghiaccio, meraviglioso mostro infinito. C'era lui nelle mani che uccidevano, nei morti che morivano, c'era lui, nella sete e nella fame, nell'agonia c'era lui, nella viltà e nella pazzia, lui era l'odio e la disperazione, era la pietà e la rinuncia, lui é questo sangue e questa carne, lui é questo orrore e questo splendore. Non c'é zattera, non ci sono uomini, non ci sono parole, sentimenti, gesti, niente. Non ci sono colpevoli e innocenti, condannati e salvati. C'é solo il mare. Ogni cosa é diventata mare. Noi abbandonati dalla terra siamo diventati il ventre del mare, e il ventre del mare é noi, e in noi respira e vive. Io lo guardo ballare nel suo mantello splendente per la gioia dei suoi propri occhi invisibili e finalmente so che questa é la sconfitta di nessun uomo, giacché solamente é trionfo del mare, tutto questo, e sua gloria, e allora, allora sia OSANNA, OSANNA, OSANNA A LUI, oceano mare, potente sopra
 ogni potenza e meraviglioso sopra ogni meraviglia, OSANNA E GLORIA A LUI, padrone e servo, vittima e carnefice, OSANNA, la terra si inchina al suo passaggio e lambisce con labbra profumate l'orlo del suo mantello lui, SANTO, SANTO, SANTO, grembo di ogni nuovo nato e ventre di ogni morte, OSANNA E GLORIA PER LUI, ricovero di qualsiasi destino e cuore che respira, inizio e fine, orizzonte e sorgente, padrone del nulla, maestro del tutto, sia OSANNA E GLORIA A LUI, signore del tempo e padrone delle notti, l'unico e il solo, OSANNA perché suo é l'orizzonte, e vertiginoso il suo grembo, profondo e insondabile, e GLORIA, GLORIA, GLORIA nell'alto dei cieli perché non v'é cielo che in Lui non si specchi e si perda, e non c'é terra che a Lui non si arrenda, Lui invincibile, Lui sposo prediletto della luna e padre premuroso delle maree gentili, a Lui si inchinino gli uomini tutti e innalzino il canto di OSANNA E DI GLORIA giacché Lui é dentro di loro, e in loro cresce, ed essi in Lui vivono e muoiono, e Lui é per loro il segreto e la meta e la verità e la condanna e la salvezza e la strada sola per l'eternità, e così é, e così continuerà ad essere, fino alla fine dei giorni, che sarà la fine del mare, se il mare avrà fine, Lui, il Santo, l'Unico e il Solo, l'Oceano Mare, per cui sia OSANNA E
 GLORIA fino alla fine dei secoli. AMEN.
Chissà quanto tempo é passato. Non c'é più giorno, non c'é più notte, é tutto silenzio immobile. Siamo un cimitero alla deriva. Ho aperto gli occhi e lui era qui. Non so se é un incubo o é vero. Forse é solo follia, finalmente una follia che é venuta a prendermi. Ma se é follia, fa male, e non ha nulla di dolce. Vorrei che facesse qualcosa, quell'uomo. è incredibile che riesca ancora a odiare ma continua a guardarmi e basta.
Potrebbe fare un solo passo in avanti e mi sarebbe addosso. Io non ho più armi. Lui ha un coltello. Io non ho più forze, niente.
Io non sono più niente. Non é più mia la mia anima, non é più mia la mia vita, non rubarmi, con quegli occhi, la morte.
 Il mare danza, ma piano.
 Niente preghiere, niente lamenti, niente.
 Il mare danza, ma piano.
Mi guardò fino a che mi innamorai di lei. Era tutto ciò che avevo, laggiù. La mia vita, per quel che valeva, e lei. Quando mi arruolai nella spedizione per le nuove colonie, riuscii a farla ingaggiare come vivandiera. Così partimmo, tutt'e due imbarcati sull'Alliance. Sembrava un gioco. A ben pensarci, in quei primi giorni, sembrava un gioco. Se so cosa vuol dire essere felici, in quelle notti, noi lo eravamo. Quando io finii tra quelli che dovevano salire sulla zattera, Thérése volle venire con me. Poteva salire su una lancia, lei, ma volle venire con me.
 Io glielo dissi che non facesse pazzie, che ci saremmo ritrovati a terra, che non doveva temere nulla.  Ma lei non volle ascoltarmi. C'erano uomini grandi e forti come rocce che piagnucolavano e imploravano un posto su quelle lance maledette, saltando giù dalla zattera, e rischiando di farsi ammazzare pur di scappare da lì. Lei ci salì, sulla zattera, senza dire una parola, nascondendo tutta la paura che aveva.
Tutto inutile. Tutto perfettamente inutile. Non c’è intelligenza e non c’è coraggio che possa cambiare un destino. Ora so che anche in bilico sulla morte, le facce degli uomini rimangono menzogne.
Quella notte, aprii gli occhi, svegliato da un rumore, e intravidi nella luce incerta della luna, la sagoma di un uomo, in piedi, davanti a me. Istintivamente impugnai il coltello e lo puntai contro di lui. Poi l’uomo si voltò. E io vidi due cose. Il volto e una sciabola che tagliava l’aria e piombava su di me. L’uomo si fermò. Non sapevo se era un sogno, un incubo o cosa. Non sentivo dolore, niente. Non c’era sangue su di me. L’uomo sparì. Io rimasi immobile. Istanti, minuti, non so. Solo dopo mi voltai e vidi: C'era Thérése, distesa accanto a me, con una ferita che le squarciava il petto e gli occhi sbarrati, che mi guardavano, stupefatti. No. Non poteva essere vero. No.  Adesso che era tutto finito. Perché? Sarà un sogno, un incubo, non può averlo fatto davvero. No. Adesso no. Adesso perché?
 Amore mio, addio.
 Oh no, no, no, no.
 Addio.
 Non morirai, te lo giuro.
 Addio.
 Ti prego, non morirai...
 Lasciami.
 Non morirai.
 Lasciami.
 Ci salveremo, devi credermi.
 Amore mio...
 Non morire...
 Amore mio.
 Non morire. Non morire. Non morire.
Fortissimo, si sentiva il rumore del mare. Forte come non l'avevo mai sentito.  La presi fra le mie braccia e mi trascinai fin sull'orlo della zattera. La feci scivolare nell'acqua. Non volevo rimanesse in quell'inferno.

L'unica persona che mi abbia davvero insegnato qualcosa, un vecchio diceva sempre che ci sono tre tipi di uomini: quelli che vivono davanti al mare, quelli che si spingono dentro il mare, e quelli che dal mare riescono a tornare, vivi. E diceva: vedrai la sorpresa quando scoprirai quali sono i più felici. Io ero un ragazzo, allora. D'inverno guardavo le navi tirate in secca, tenute su da enormi stampelle di legno, con lo scafo in aria e la deriva a tagliare la sabbia come una lama inutile. E pensavo: io non mi fermerò qui. E' dentro al mare che voglio arrivare perché se c'è qualcosa che è vero, in questo mondo, è laggiù, nel più profondo del ventre del mare. Ho visto un'infinità di cose che dalla riva del mare sono invisibili. Ho visto cos'è davvero il desiderio, e cos'è la paura. Ho visto uomini disfarsi e tramutarsi in bambini.
Ho visto sognare sogni meravigliosi, e ho ascoltato le storie più belle della mia vita, raccontate da uomini qualunque, un attimo prima di buttarsi in mare e sparire per sempre. Ho letto nel cielo segni che non conoscevo e fissato l'orizzonte con occhi che non credevo di avere. Cos'è l'odio, veramente, l'ho capito su queste assi insanguinate, con l'acqua del mare addosso a imputridire le ferite. E cos'è la pietà, non lo sapevo prima di aver visto le nostre mani di assassini accarezzare per ore i capelli di un compagno che non riusciva a morire. Ho visto la ferocia, nei moribondi spinti a calci giù dalla zattera, ho visto la dolcezza, negli occhi di un uomo che baciava il suo piccolo, ho vistol'intelligenza, nei gesti con cui un uomo ricamava il suo massacro, e ho visto la follia, in quei due uomini che una mattina hanno spalancato le ali e se ne sono volati via, nel cielo.
Destino sarebbe il nome di questo oceano mare, infinito e bello.
Non mi sbagliavo, là sulla riva, in quegli inverni, a pensare che qui era la verità.Ci ho messo anni a scendere fino in fondo al ventre del mare: ma quel che cercavo, l'ho trovato.  Le cose vere. Perfino quella, di tutte, più insopportabilmente e atrocemente vera. E' uno specchio, questo mare. Qui, nel suo ventre, ho visto me stesso.  Ho visto davvero.
Se avessi una vita davanti a me io che sto per morire la passerei a raccontare questa storia, senza smettere mai, mille volte, per capire cosa vuol dire che la verità si concede solo all'orrore, e che per raggiungerla abbiamo dovuto passare da questo inferno.
La verità é sempre disumana. La verità deve stare nel lato oscuro.
C’è un grande silenzio, sulla zattera. Fortissimo, si sente solo il rumore del mare.
La prima cosa è il mio nome, la seconda quegli occhi, la terza un pensiero, la quarta la notte che viene, la quinta quei corpi straziati, la sesta è fame, la settima orrore, l’ottava i fantasmi della follia, la nona è carne e la decima è un uomo che mi guarda e non mi uccide. L’ultima è una vela. Bianca. All’orizzonte.

Là sulla riva, in quegli inverni, io immaginavo una verità che era quiete, era grembo, era sollievo, e clemenza, e dolcezza. Era una verità fatta per noi.
 Che noi aspettava, e su di noi si sarebbe chinata, come una madre ritrovata. Ma qui, nel ventre del mare, ho visto la verità fare il suo nido, meticolosa e perfetta: e quel che ho visto é un uccello rapace, magnifico in volo, e feroce. Io non so. Non era questo che sognavo, d'inverno, quando sognavo questo.
Lui era uno di quelli che erano tornati. Aveva visto il ventre del mare, era stato qui, ma era tornato. Era un uomo caro al cielo, diceva la gente. Era sopravvissuto a due naufragi e, dicevano, la seconda volta aveva fatto più di tremila miglia, su una barca da nulla, per ritrovare terra.  Giorni e giorni nel ventre del mare e poi era tornato. Per questo la gente diceva: è saggio, ha visto, sa. Io passavo i giorni ad ascoltarlo parlare: ma del ventre del mare lui non mi disse mai nulla. Non gli andava di parlarne. Non gli piaceva nemmeno che la gente lo volesse sapiente e saggio.
Soprattutto non sopportava che qualcuno potesse dire di lui che si era salvato. Non poteva sentire quella parola: salvato. Abbassava la testa, e socchiudeva gli occhi, in un modo che era impossibile dimenticare.Lo guardavo, in quei momenti, e non riuscivo a dare un nome a ciò che leggevo sul suo volto, e che, sapevo, era il suo segreto. Mille volte, ho sfiorato quel nome. Qui, su questa zattera, nel ventre del mare, io l'ho trovato. E ora so che era un uomo sapiente e saggio. Un uomo che aveva visto. Ma, prima di ogni altra cosa, e nel profondo di ogni suo istante, lui era un uomo inconsolabile. Questo, mi ha insegnato il ventre del mare. Che chi ha visto la verità rimarrà per sempre inconsolabile. E davvero salvato è solo colui che non è mai stato in pericolo. Potrebbe anche arrivare una nave, adesso, all'orizzonte, e correre fin qui sulle onde, e arrivare un istante prima della morte e portarci via, e farci tornare, vivi, vivi: ma non sarebbe questo che, davvero, ci potrebbe salvare. Anche se ritrovassimo mai una qualche terra, noi non saremo mai più salvi. E quel che abbiamo visto rimarrà nei nostri occhi, quel che abbiamo fatto rimarrà nelle nostre mani, quel che abbiamo sentito rimarrà nella nostra anima. E per sempre, noi che abbiamo conosciuto le cose vere, per sempre, noi figli dell'orrore, per sempre, noi reduci dal ventre del mare, per sempre, noi saggi e sapienti, per sempre saremo inconsolabili.  Inconsolabili.



JEAN LOUIS THÉODORE GÉRICAULT - La Balsa de la Medusa (Museo del Louvre, 1818-19)


libro terzo
i canti del ritorno

I Bambini: Angeli
Ma la cosa più curiosa erano i bambini. Tutti lì, con il naso schiacciato contro i vetri, stranamente muti, a spiare il buio di fuori. E perfino la bambina, bellissima, che dormiva nel letto di Ann e che, in giro per la locanda, nessuno aveva mai visto. Tutti lì, ipnotizzati da chissà cosa, silenziosi e inquieti.
Con impercettibile sorpresa. Quando i bambini rientrarono nella sala portavano in mano delle lanterne.
Non se ne capiva più nulla. Ognuno si trovò con una lanterna accesa in mano. Gridavano, i bambini. Ma non di paura. Gridavano per vincere quel frastuono di mare e di vento. Ma era una specie di gioia, inspiegabile gioia che tintinnava nelle loro voci.

Immobile, con la lanterna spenta in mano, sentiva il proprio nome arrivarle da lontano, mescolato al vento e al fragore del mare. Nel buio, davanti a sé, vedeva incrociarsi le piccole luci di tante lanterne, ognuna sperduta in un suo viaggio sull'orlo della burrasca. Non c'erano, nella sua mente, né inquietudine né paura. Un lago tranquillo le era esploso, tutt'a un tratto, nell'anima. Aveva lo stesso suono di una voce che conosceva.  Si voltò e lentamente tornò sui suoi passi. Non c'era più vento, non c'era più notte, non c'era più mare, per lei. Andava, e sapeva dove andare.
Questo era tutto. Sensazione meravigliosa. Di quando il destino finalmente si schiude, e diventa sentiero distinto, e orma inequivocabile, e direzione certa. Il tempo interminabile dell'avvicinamento. Quell'accostarsi. Si vorrebbe non finisse mai. Il gesto di consegnarsi al destino. Quella è un'emozione. Senza più dilemmi, senza più menzogne. Sapere dove. E raggiungerlo. Qualunque sia, il destino.
Non smetterebbero mai di raccontare questa storia. Se solo la conoscessero. Non smetterebbero mai. Ognuno a modo suo, ma tutti continuerebbero a raccontare di quei due e di un'intera notte passata a restituirsi la vita, l'un l'altra, con le labbra e con le mani, una ragazzina che non ha visto nulla e un uomo che ha visto troppo. Venivano dai più lontani estremi della vita, questo è stupefacente, da pensare che mai si sarebbero sfiorati, se non attraversando da capo a piedi l'universo, e invece nemmeno si erano dovuti cercare, questo è incredibile, e tutto il difficile era stato solo riconoscersi, riconoscersi, una cosa di un attimo, il primo sguardo e già lo sapevano, questo è il meraviglioso questo continuerebbero a raccontare, per sempre, perché nessuno possa dimenticare che non si è mai lontani abbastanza per trovarsi. Nemmeno è amore, questo è stupefacente, ma è mani, e pelle, labbra, stupore, tristezza, forse perfino tristezza, desiderio. Quando lo racconteranno non diranno la parola amore, mille parole diranno, taceranno, amore tace tutto, intorno.

Come si fa? Come glielo dici, a una donna così, quello che devi dirle, come glielo dici a una ragazzina così, quello che lei sa già e che pure bisognerà che ascolti, le parole, una dopo l'altra, che puoi anche sapere ma devi ascoltare, prima o poi, qualcuno deve dirle e tu ascoltarle, lei, ascoltarle, quella ragazzina che dice
 Hai degli occhi che non ti ho visto mai.
 E poi
 Se solo tu lo volessi, potresti salvarti.

Come glielo dici, a una donna così, che tu vorresti salvarti, e ancora di più vorresti salvare lei con te, e non fare altro che salvarla, e salvarti, tutta una vita, ma non si può, ognuno ha il suo viaggio, da fare, e tra le braccia di una donna si finisce facendo strade contorte, che neanche tanto capisci tu, e al momento buono non le puoi raccontare, non hai le parole per farlo, parole che ci stiano bene, lì, tra quei baci e sulla pelle, parole giuste, non ce n'è, hai un bel cercarle in quel che sei e in quel che hai sentito, non le trovi, hanno sempre una musica sbagliata, è la musica che gli manca, lì, tra quei baci e sulla pelle, è una questione di musica. Così poi dici, qualcosa, ma è una miseria.
Come glielo dici, a un uomo così, che adesso sono io che voglio insegnargli una cosa e tra le sue carezze voglio fargli capire che il destino non è una catena ma un volo, e se solo ancora avesse voglia davvero di vivere lo potrebbe fare, e se solo avesse voglia davvero di me potrebbe riavere mille notti come questa invece di quell'unica a cui va incontro, solo perché lei lo aspetta, la notte orrenda, e da anni lo chiama. Come glielo dici, a un uomo così, che diventare un assassino non servirà a nulla e a nulla servirà quel sangue e quel dolore, è solo un modo di correre a perdifiato verso la fine, quando il tempo e il mondo per non far finire nulla sono qui a aspettarci, e a chiamarci, se solo sapessimo ascoltarli, se solo lui potesse, davvero, davvero, ascoltarmi. Come glielo dici, a un uomo così, che ti sta perdendo?

 Io me ne andrò...
 ...
 Io non voglio esserci... io vado via.
 ...
 Io non voglio sentire quell'urlo, voglio essere lontana.
 ...
 Non lo voglio sentire.

E' la musica che è difficile, questa è la verità, è la musica che è difficile da trovare, per dirselo, lì così vicini, la musica e i gesti, per sciogliere la pena, quando proprio non c'è più nulla da fare, la musica giusta perché sia una danza, in qualche modo, e non uno strappo quell'andarsene, quello scivolare via, verso la vita e lontano dalla vita, strano pendolo dell'anima, salvifico e assassino, a saperlo danzare farebbe meno male, e per questo gli amanti, tutti, cercano quella musica, in quel momento, dentro le parole, sulla polvere dei gesti, e sanno che, ad averne il coraggio, solo il silenzio lo sarebbe, musica, esatta musica, un largo silenzio amoroso, radura del commiato e stanco lago che infine cola nel palmo di una piccola melodia, imparata da sempre, da cantare sotto voce.
 Addio.

 Una melodia da nulla.

 Addio.
Il mondo di fuori è sempre là. Puoi fare qualsiasi cosa ma stai certo che te lo ritrovi al suo posto, sempre. C'é da non crederci, ma è così.
Quel che aveva conosciuto come grembo di una debolezza, riscopriva come forma di una forza cristallina. Imparò che tra tutte le vite possibili, a una bisogna ancorarsi per poter contemplare, sereni, tutte le altre.
Tutto il resto era ancora nulla. Inventarlo. Questo sarebbe stato meraviglioso.

Un segno più discreto, sarebbe bastato. Per salvare qualcuno, un sogno.
Preghiera per uno che si è perso, e dunque, a dirla tutta, preghiera per me.

 Signore Buon Dio
 abbiate pazienza
 son di nuovo io.

 Dunque, qui le cose
 vanno bene,
 chi più chi meno,
 ci si arrangia,
 in pratica,
 si trova poi sempre il modo
 il modo di cavarsela,
 voi mi capite,
 insomma, il problema non é questo.
 Il problema sarebbe un altro,
 se avete la pazienza di ascoltare
 di ascoltarmi
 di.
 Il problema é questa strada.
bella strada
 questa strada che corre
 e scorre
 e soccorre
 ma non corre diritta
 come potrebbe
 e nemmeno storta
 come saprebbe
 no.
 Curiosamente,
 si disfa.
 Credetemi
 (per una volta credete voi a me)
 si disfa.
 Dovendo riassumere dovendo,
 se ne va
 un po' di qua
 e un po' di là
 presa da improvvisa
 libertà.

La strada che si ha davanti si disfa, si perde, si sgrana, si eclissa, perdersi. Non si può negarlo, questa strada che corre, scorre, soccorre, sotto le ruote di questa carrozza, effettivamente, volendo attenersi ai fatti, non si disfa affatto. Continua diritta, senza esitazioni, neanche un timido bivio, niente. Dritta come un fuso. Lo vedo da me. Ma il problema, non sta qui. Non è di questa strada, fatta di terra e polvere e sassi, che stiamo parlando. La strada in questione è un'altra. E corre non fuori, ma dentro. Qui dentro. La mia strada. Ne hanno tutti una, lo saprete anche voi, che, tra l'altro, non siete estraneo al progetto di questa macchina che siamo, tutti quanti, ognuno a modo suo. Una strada dentro, ce l'hanno tutti, cosa che facilita, per lo più, l'incombenza di questo viaggio nostro, e solo raramente, la complica.  Adesso è uno di quei momenti che la complica. è quella strada quella dentro, che si disfa, si è disfatta, benedetta, non c'è più. Succede. Credetemi. E non è una cosa piacevole.  No.

Io credo
 sia stato,
 Signore Buon Dio,
sia stato
il mare.
 Il mare
 confonde le onde
 i pensieri
 i velieri
 la mente ti mente improvvisamente
 e le strade
 che c'erano ieri
 non sono più niente.
 Tanto che credo,
 io credo,
 che quella vostra trovata
 del diluvio universale
 sia stata
 in effetti
 una trovata geniale.
 Perché
 a voler
trovare
 un castigo
 mi chiedo
 se qualcosa di meglio
 si poteva inventare
 che lasciare un povero cristo
 da solo
 in mezzo a quel mare.
 Neanche una spiaggia.
 Niente.
 Uno scoglio.
 Un relitto derelitto.
 Neanche quello.
 Non un segno
 per capire
 da che parte
 andare
 per andarci a morire.
 Allora vedete
Signore Buon Dio,
 il mare
 é una specie
 di piccolo
 diluvio universale.
 Da camera.
 State lì,
 passeggiate
 guardate
 respirate
 conversate
 lo spiate,
 da riva, s'intende,
 e quello
 intanto
 vi prende
 i pensieri di pietra
 che erano
 strada
certezza
 destino
 e
 in cambio
 regala
 veli
 che ti ondeggiano in testa
 come la danza
 di una donna
 che ti farà
 impazzire.

Ho tante strade intorno e nessuna dentro.

So perfettamente qual è la domanda. E' la risposta che mi manca. Corre, questa carrozza, e io non so dove. Penso alla risposta, e nella mia mente diventa buio.

Così
 questo buio
 io lo prendo
 e lo metto
 nelle vostre
 mani.
 E vi chiedo
 Signore Buon Dio
 di tenerlo con voi
 un'ora soltanto
 tenervelo in mano
 quel tanto che basta
 per scioglierne il nero.
Per sciogliere il male
 che fa nella testa
 quel buio
 e nel cuore
 quel nero,
 vorreste?
 Potreste
 anche solo
 chinarvi
 guardarlo
 sorriderne
 aprirlo
 rubargli
 una luce
 e lasciarlo cadere
 che tanto
 a trovarlo
 ci penso poi io
 a veder dov'é.
 Una cosa da nulla
 per voi,
 così grande
 per me.
 Mi ascoltate
 Signore Buon Dio?
 Non é chiedervi tanto
 chiedervi se.
 Non é offesa
 sperare che voi.
 Non é sciocco
 illudersi di.
 E' poi solo una preghiera,
 che é un modo di scrivere
 il profumo dell'attesa.
 Scrivete voi,
 dove volete,
 il sentier
che ho perduto.
 Basta un segno,
 qualcosa,
 un graffio
 leggero
 sul vetro
 di questi occhi
 che guardano
 senza vedere,
 io lo vedrò.
 Scrivete
 sul mondo
 una sola parola
 scritta per me,
 la
 leggerò.
 Sfiorate
 un istante
 di questi silenzi.
Un segno più discreto. Per salvare qualcuno, un sogno.
Preghiera per uno che ha ritrovato la sua strada, e dunque, a dirla tutta, preghiera per me.

Ho ricevuto le tue lettere, e non è stato facile leggerle. Si riaprono con dolore le ferite del ricordo. Se io avessi continuato, qui, a desiderarti e ad aspettarti quelle lettere sarebbero state abbagliante felicità. Ma questo è un posto strano. La realtà sfuma e tutto diventa memoria. Perfino tu, a poco a poco, hai cessato di essere un desiderio e sei diventato un ricordo. Mi sono arrivate le tue lettere come messaggi sopravvissuti a un mondo che non esiste più. Io ti ho amato, e non saprei immaginare come si possa amare di più.  Avevo una vita, che mi rendeva felice, e ho lasciato che andasse in pezzi pur di stare con te.
 Non ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio.  Ti ho amato perché il desiderio di te era più forte di qualsiasi felicità. E lo sapevo che poi la vita non è abbastanza grande per tenere insieme tutto quello che riesce a immaginarsi il desiderio. Ma non ho cercato di fermarmi, né di fermarti. Sapevo che lo avrebbe fatto lei. E lo ha fatto. E' scoppiata tutto d'un colpo. C'erano cocci ovunque, e tagliavano come lame.  Poi sono arrivata qui. E questo non è facile da spiegare. Questo è un posto dove prendi commiato da te stesso. Quello che sei ti scivola addosso, a poco a poco. E te lo lasci dietro, passo dopo passo, su questa riva che non conosce tempo e vive un solo giorno, sempre quello. Il presente sparisce e tu diventi memoria. Sgusci via da tutto, paure, sentimenti, desideri: li custodisci, come abiti smessi, nell'armadio di una sconosciuta saggezza, e di un'insperata pace. Riesci a capirmi? Riesci a capire come tutto questo sia bello?
 Credimi, non è un modo, solo più lieve, di morire. Non mi sono mai sentita più viva di adesso. Ma è diverso. Quel che io sono, è ormai successo: e qui, e ora, vive in me come un passo in un'orma, come un suono in un'eco, e come un enigma nella sua risposta. Non muore, questo no. Scivola dall'altra parte della vita. Con una leggerezza che sembra una danza.  E' un modo di perdere tutto, per tutto trovare.
 Se riesci a capire tutto questo, mi crederai quando ti dico che mi è impossibile pensare al futuro. Il futuro è un'idea che si è staccata da me.  Non è importante. Non significa più nulla. Non ho più occhi per vederlo. Ne parli così spesso, nelle tue lettere. Io faccio fatica a ricordarmi cosa vuol dire. Futuro. Il mio, è già tutto qui, e adesso. Il mio sarà la quiete di un tempo immobile, che collezionerà istanti da posare uno sull'altro, come se fossero uno solo. Da qui alla mia morte, ci sarà quell'istante, e basta.  Io non ti seguirò.
 Le capisco, le tue isole lontane, e capisco i tuoi sogni, i tuoi progetti. Ma non esiste più una strada che mi potrebbe portare laggiù. E non potrai inventarla tu, per me, su una terra che non c'è. Perdonami, mio amato amore, ma non sarà mio, il tuo futuro.
 C'è un uomo, in questa locanda, che studia dove finisce il mare.
 In questi giorni, mentre ti aspettavo, gli ho raccontato di noi e di come avessi paura del tuo arrivo e insieme voglia che tu arrivassi. E' un uomo buono e paziente. Mi stava ad ascoltare. E un giorno mi ha detto:
“Scrivetegli”;. Lui dice che scrivere a qualcuno è l'unico modo di aspettarlo senza farsi del male. E io ti ho scritto. Tutto quello che ho dentro di me l'ho messo in questa lettera. Lui dice che tu capirai.  Dice che la leggerai, poi uscirai sulla spiaggia e camminando sulla riva del mare ripenserai a tutto, e capirai.
 Durerà un'ora o un giorno, non importa. Ma alla fine tornerai alla locanda. Lui dice che salirai le scale, aprirai la mia porta e senza dirmi nulla mi prenderai fra le braccia e mi bacerai.  Lo so che sembra sciocco. Ma mi piacerebbe succedesse davvero. E' un bel modo di perdersi, perdersi uno nelle braccia dell'altra.
 Niente potrà rubarmi il ricordo di quando, con tutta me stessa, ero tua.


CATALOGO PROVVISORIO DELLE OPERE PITTORICHE DEL PITTORE
 MICHEL PLASSON
 ORDINATE IN ORDINE CRONOLOGICO A PARTIRE DAL SOGGIORNO DEL
 MEDESIMO ALLA
 LOCANDA ALMAYER (LOCALIT·QUARTEL) FINO A GIUNGERE ALLA
 MORTE DELLO STESSO.Redatto, a beneficio dei posteri, dal professor Ismael Adelante Ismael Bartleboom, sulla scorta della propria esperienza personale e di altre attendibili testimonianze.


 1. Oceano mare, olio su tela, cm 15 x 21,6
 Collezione Bartleboom
 Descrizione.
 Completamente bianco.

 2. Oceano mare, olio su tela, cm 80,4 x 110,5
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Completamente bianco.

Oceano mare, acquarello, cm 35 x 50,5
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Bianco con vaga ombra ocra nella parte superiore.

 4. Oceano mare, olio su tela, cm 44,2 x 100,8
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Completamente bianco. La firma é in rosso.

 5. Oceano mare, disegno, matita su carta, cm 12 x 10 Coll. Bartleboom Descrizione.
 Si riconoscono due punti, al centro del foglio, molto vicini. Il resto é bianco. (Sul bordo destro, macchia: unto?

6.Oceano mare, acquarello, cm 31,2 x 26
 Coll. Bartleboom. Attualmente, e del tutto provvisoriamente, in affido alla Signora Maria Luigia Severina Hohenheith.
 Descrizione.
 Completamente bianco.
 Nel consegnarmelo, l'autore ebbe a dire, testualmente: "E' ciò che di meglio ho fatto finora". Il tono era di profonda soddisfazione.
 7. Oceano mare, olio su tela, cm 120,4 x 80,5
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Si distinguono due macchie di colore: una, ocra, nella parte superiore della tela, e una, nera, nella parte inferiore. Il resto, bianco. (Sul retro, annotazione autografa: Temporale. E sotto: tatatum tatatum tatatum)
 8. Oceano mare, pastello su carta, cm 19 x 31,2
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Nel centro del foglio, leggermente spostata a sinistra, una piccola vela azzurra. Il resto, bianco.
 9. Oceano mare, olio su tela, cm 340,8 x 220,5 Museo distrettuale di Quartel.
 Numero di catalogo: 87 Descrizione.

Sulla destra una scura scogliera emerge dall'acqua. Onde altissime, frangendosi sugli scogli, schiumano in modo spettacolare. Nella tempesta si scorgono due navi che stanno soccombendo al mare. Quattro lance pendono sull'orlo di un vortice. Sulle lance sono stipati i naufraghi. Alcuni di essi, caduti in mare, si stanno inabissando.
 Ma questo mare é alto, molto più alto laggiù verso l'orizzonte che qui vicino e copre alla vista l'orizzonte, contro ogni logica, sembra alzarsi come se tutto il mondo si alzasse e noi sprofondassimo, qui dove siamo, nel ventre della terra mentre un coperchio sempre più maestoso infinitamente sta per coprirci e con orrore la notte cala su questo mostro. (Dubbia attribuzione. Quasi certamente falso)
10. Oceano mare, acquarello, cm 20,8 x 16
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Completamente bianco.


 11. Oceano mare, olio su tela, cm 66,7 x 81
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Completamente bianco. (Molto deteriorato. Probabilmente caduto in acqua) 12. Ritratto di Ismael Adelante Ismael Bartleboom, matita su carta, cm 41,5 x 41,5
 Descrizione.
 Completamente bianco. In centro, in caratteri corsivi, la scritta: Bartleb 13. Oceano mare, olio su tela, cm 46,2 x 51,9
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.

Completamente bianco. In questo caso, però, l'espressione va intesa in senso letterale: la tela é completamente coperta da spesse pennellate di colore bianco.
 14. Alla locanda Almayer, olio su tela, cm 50 x 42 Coll. Bartleboom Descrizione.
 Ritratto di un angelo in stile preraffaellita. Il volto é privo di lineamenti.
 Le ali sfoggiano una significativa ricchezza cromatica. Fondo oro.


Oceano mare, acquarello, cm 118 x 80,6
 Coll. Bartleboom
 Tre piccole macchie di colore azzurro in alto a sinistra (vele?). Il resto, bianco. Sul retro, annotazione autografa: Pigiama e calze.
 16. Oceano mare, matita su carta, cm 28 x 31,7
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Diciotto vele, di diverse dimensioni, disseminate senza un ordine preciso.

 Nell'angolo inferiore sinistro, piccolo schizzo di un tre alberi, chiaramente eseguito da altra mano, probabilmente infantile (Dol?).  17. Ritratto di Madame Ann Deverià, olio su tela, cm 52,8 x 30 Coll. Bartleboom Descrizione.
 Una mano di donna dal colore pallidissimo, le dita meravigliosamente affusolate.
 Fondo bianco.
 18, 19, 20, 21, Oceano mare, matita su carta, cm 12 x 12 Coll. Bartleboom Descrizione.
 Serie di quattro schizzi all'apparenza assolutamente identici. Una semplice linea orizzontale li attraversa da sinistra a destra (ma anche da destra a sinistra, volendo) più o meno a mezza altezza. Plasson affermava trattarsi, in realtà, di quattro immagini profondamente differenti. Disse testualmente:
“Sono quattro immagini profondamente differenti”. La mia personalissima impressione e che rappresentino lo stesso scorcio in quattro differenti momenti successivi della giornata. Quando manifestai questa mia opinione all'autore, egli ebbe modo di rispondermi, testualmente: “Dite?”.
22. Senza titolo), matita su carta, cm 20,8 x 13,5
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Un giovane uomo, sulla riva, si avvicina al mare portando sulle braccia il corpo abbandonato di una donna senza vesti. Luna nel cielo e riflessi sull'acqua.
 Questo schizzo, a lungo tenuto segreto per preciso volere dell'autore, oggi rendo pubblico in considerazione del tempo ormai trascorso dai fatti drammatici a cui é legato.
 23. Oceano mare, olio su tela, cm 71,6 x 38,4
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Un pesante sfregio rosso cupo taglia la tela da sinistra a destra. Il resto, bianco.
 24. Oceano mare, olio su tela, cm 127 x 108,6
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Completamente bianco. E' l'ultima opera realizzata durante il soggiorno alla locanda Almayer, località Quartel. L'autore la regalò alla locanda, manifestando il desiderio che fosse esposta su una parete di fronte al mare.  In seguito, e per canali che non sono riuscito mai a chiarire, essa é giunta in mio possesso. La conservo, tenendola a disposizione di chiunque fosse in grado di reclamarne la proprietà.
 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32. (Senza titolo), olio su tela, dimensioni varie.
 Museo di Saint Jacques de Grance.
Descrizione.
Otto ritratti di marinai, riconducibili stilisticamente al Plasson prima maniera. L'abate Ferrand, che ha avuto l'amabile cortesia di segnalarmene l'esistenza, testimonia che l'autore li realizzò gratuitamente, in segno di affetto per alcuni personaggi con cui aveva stretto sinceri rapporti di amicizia durante il suo soggiorno a Saint Jacques. Lo stesso abate mi ha simpaticamente confessato di aver chiesto al pittore di essere da lui ritratto ma di averne ricevuto un cortese e fermo rifiuto. Pare che le parole esatte da lui pronunciate nella circostanza siano state: “Malauguratamente voi non siete un marinaio, e dunque non c'è mare sul vostro volto. Sapete, ormai so solo dipingere mare, io”.
 33. Oceano mare, olio su tela (dimensioni non accertate)  (Smarrito) Descrizione.
 Completamente bianco. Anche qui risulta preziosa la testimonianza dell'abate Ferrand. Egli ha avuto la franchezza di ammettere che la tela, trovata nell'alloggio del pittore all'indomani della sua partenza, era stata considerata, per un inspiegabile equivoco, una tela pura e semplice e non già un'opera compiuta e di significativo valore. Come tale fu portata via da ignoti e risulta a tutt'oggi introvabile.
 34, 35, 36. (Senza titolo), olio su tela, cm 68,8 x 82  Museo Gallen-Martendorf, Helleborg
Descrizione.
 Trattasi di tre accuratissime copie, pressoché identiche, di un dipinto di Hans van Dyke, Porto di Skalen. Il Museo Gallen-Martendorf le cataloga come opere dello stesso van Dyke, perpetrando così un deprecabile malinteso. Come ho fatto più volte osservare al curatore del suddetto museo, prof. Broderfons, le tre tele non solo recano sul retro la chiara annotazione
“van Plasson”, ma presentano una particolarità che rende la paternità di Plasson evidente: in tutte e tre il pittore ritratto al lavoro sul molo, in basso a sinistra, ha davanti un cavalletto con una tela completamente bianca.
Nell’originale di van Dyke, la tela risulta regolarmente colorata.
37. Lago di Costanza, acquarello, cm 27 x 31,9
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Opera di accurata ed elegantissima fattura, raffigurante il celebre lago di Costanza al tramonto. I colori sono caldi e sfumati. Non appaiono figure umane. Ma l'acqua e le rive sono rese con grande poesia e intensità. Plasson mi mandò questa tela accompagnata da un breve biglietto, il cui testo qui riporto integralmente: “E' la stanchezza, amico mio. Bella stanchezza. Addio”.
 38. Oceano mare, matita su carta, cm 26 x 13,4
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Vi é disegnata, con accuratezza e precisione, la mano sinistra di Plasson. Il quale, mi corre l'obbligo di annotarlo, era mancino.
 39. Oceano mare, matita su carta, cm 26 x 13,4
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Mano sinistra di Plasson. Senza ombreggiature.

 40. Oceano mare, matita su carta, cm 26 x 13,4
Descrizione.
 Mano sinistra di Plasson. Pochi tratti, appena accennati.

 41. Oceano mare, matita su carta, cm 26 x 13,4
 Coll. Bartleboom
 Descrizione.
 Mano sinistra di Plasson. Tre linee e una lieve ombreggiatura.  Nota. Questo disegno mi é stato regalato, unitamente ai tre precedenti, dal dottor Monnier, il medico che si occupò di Plasson durante il breve e doloroso decorso della sua malattia finale (polmonite). Secondo la sua testimonianza, di cui non ho ragione di dubitare, sono questi gli ultimi quattro lavori a cui Plasson si dedicò, ormai bloccato a letto e ogni giorno più debole. Sempre secondo la medesima testimonianza, Plasson morì sereno, in quieta solitudine e con l'anima in pace. Pochi minuti prima di spirare pronunciò la seguente frase: “Non é una questione di colori, é una questione di musica, capite? Ci ho messo tanto tempo ma adesso . . .”.
 Era un uomo generoso e sicuramente dotato di enorme talento artistico. Era amico mio. E io gli volevo bene.
 Adesso riposa, per suo esplicito desiderio, nel cimitero di Quartel. La lapide, sulla sua tomba, é in semplice pietra. Completamente bianca.

Io credo che un po' ci soffrisse, di questa faccenda, ma non te lo faceva pesare, non era il tipo, le sue mestizie se le teneva per sé, e sapeva passarci sopra. Era uno di quelli che, comunque, si fanno un'idea lieta della vita. Uno in pace, se capite cosa voglio dire.
Sapeva apprezzare, per così dire. Lo vedi anche da queste cose, un uomo.  A quella sua Enciclopedia dei limiti continuò a lavorare fino all'ultimo. Adesso aveva iniziato a riscriverla.
Lo affascinava questa idea che una Enciclopedia sui limiti finisse per diventare un libro che non finivi mai. Un libro infinito. Era un bell'assurdo, a pensarci, e lui ci rideva su, me lo spiegava e rispiegava, meravigliato, perfino divertito. Un altro magari ci avrebbe patito. Ma lui, come dico, per certi triboli non c'era tagliato. Era lieve, lui.
Va da sé che anche morire, fu una cosa che fece a modo suo. Senza tanto spettacolo, sottovoce. Si mise a letto, un giorno, stava poco bene, e la settimana dopo era tutto finito. Non si capiva neanche bene se soffrisse o no, in quei giorni, io glielo chiedevo ma a lui importava solo che non ci intristissimo, tutti quanti, per quella storia da nulla.
Solo una volta mi chiese se per favore gli mettevo su uno di quei quadri del suo amico pittore, appeso alla parete, proprio davanti al letto.
Anche quella era una storia da non crederci, quella della collezione dei Plasson.
 Quasi tutti bianchi, se mi credete. Ma lui ci teneva tantissimo.  Anche quello che gli misi su, quella volta, era proprio bianco, tutto bianco, lui lo scelse tra tutti, e io glielo misi lì, che lo potesse vedere bene, dal letto. Era bianco, giuro. Ma lui lo guardava, lo riguardava, se lo rigirava negli occhi, per così dire.
 Il mare... -, diceva piano.

Lui era uno di quelli che quando non ci sono più lo senti. Come se il mondo intero diventasse, da un giorno all'altro, un po' più pesante. Questo pianeta, e tutto quanto, resta a galla nell'aria solo perché ci sono tanti come lui, in giro, che ci pensano loro a tenerlo su. Con quella loro leggerezza. Senza aver la faccia da eroi, ma intanto tengono su la baracca. Sono fatti così. Lui, era fatto così. Per dire: Era uno capace di prenderti sottobraccio, un giorno qualsiasi, per strada, e dirti in gran segreto: “Io una volta ho visto gli angeli. Stavano sulla riva del mare.” Con tutto che lui non ci credeva, in Dio, era uno scienziato, e per le cose di chiesa non aveva una gran predisposizione, se capite cosa voglio dire. Ma aveva visto gli angeli. E te lo diceva.
 Ti prendeva sottobraccio, un giorno qualsiasi, per strada e con la meraviglia negli occhi, te lo diceva.  Io una volta ho visto gli angeli.
 Si può non voler bene a uno così?

la Settima Stanza.



Si aprì la porta, e dalla settima stanza uscì un uomo. Si fermò un passo oltre la soglia e si guardò intorno. Sembrava deserta, la locanda. Non un rumore, non una voce, niente. Entrava il sole, dalle finestrelle del corridoio, tagliando la penombra e proiettando sui muri piccoli trailer di una mattina tersa e luminosa.
 Dentro la stanza tutto era stato riordinato con cura volonterosa ma sbrigativa. Una valigia piena, ancora aperta, sul letto. Pile di fogli, sulla scrivania, penne, libri, una lampada spenta. Due piatti e un bicchiere, sul davanzale. Sporchi ma ordinati. Il tappeto, per terra, faceva una grande orecchia, come se qualcuno ci avesse fatto il segno per poi tornarci su, un giorno. Sulla poltrona c'era una grande coperta, ripiegata alla meglio. Si vedevano, appesi a una parete, due quadri. Identici.
 Lasciandosi aperta la porta alle spalle, l'uomo percorse il corridoio, scese le scale canticchiando un motivetto indecifrabile, e si fermò davanti alla reception volendola chiamare così. Non c'era Dira. C'era il solito librone, aperto sul leggìo. L'uomo si mise a leggere, intanto che si aggiustava la camicia nei pantaloni. Buffi nomi. Tornò a guardarsi intorno. Decisamente quella era la locanda più deserta nella storia delle locande deserte. Entrò nella grande sala, girò un po' intorno ai tavoli, annusò un mazzo di fiori che stava invecchiando in un orrendo vaso di cristallo, si avvicinò alla porta a vetri e la aprì.
 Quell'aria. E la luce.
 Dovette socchiudere gli occhi, tanto era forte, e stringersi la giacca addosso, con tutto quel vento, vento da nord.
 Tutta la spiaggia, davanti. Posò i piedi nella sabbia. Se li guardava come se fossero tornati in quel momento da un lungo viaggio. Sembrava sinceramente stupito che fossero di nuovo lì. Rialzò la testa e aveva in faccia quell'espressione che ha la gente, ogni tanto, quando proprio ha la testa vuota, svuotata, felice.
Saresti capace di fare, senza saper perché, qualsiasi fesseria. Lui ne fece una semplice semplice. Iniziò a correre, ma a correre come un matto, a perdifiato, inciampando e rialzandosi, senza smettere mai, correndo più veloce che poteva, come se lo stesse inseguendo l'inferno, e invece non lo inseguiva proprio nessuno, no, era lui che correva e basta, lui da solo, lungo quella spiaggia deserta, con gli occhi spalancati e il cuore in gola, una cosa che a vederlo avresti detto: Non si fermerà più.

 Al pomeriggio, tutti in riva al mare, a tirare le pietre piatte per farle saltare, a tirare le pietre tonde per sentire poi pluff. C'erano tutti i bambini e c'era la bambina bellissima che dormiva nel letto di Ann, e chissà come si chiamava. Tutti lì: a tirar pietre nell'acqua e ad ascoltare quell'uomo uscito dalla settima stanza. Piano piano, parlava.

Dovete immaginarvi due che si amano... che si amano. E lui deve partire. Fa il marinaio. Parte per un lungo viaggio, in mare. Allora lei ricama con le sue mani un fazzoletto di seta... ci ricama sopra il suo nome.
 Lo ricama con un filo rosso. E pensa: lui lo porterà sempre con sé, e questo lo difenderà dai pericoli, dalla tempesta, dalle malattie
… da tutto. Ne è convinta. Però non glielo dà subito, no. Prima lo porta nella chiesa del suo villaggio e al prete dice: me lo dovete benedire. Deve proteggere il mio amore, e voi lo dovete benedire. Così il prete lo posa lì, davanti a sé, si china un po' e con un dito ci disegna sopra una croce. Dice una frase in una lingua strana, e con un dito ci disegna sopra una croce.  Riuscite a immaginarlo? Un gesto piccolissimo. Il fazzoletto, quel dito, la frase del prete, gli occhi di lei, che sorridono. Ce l'avete bene in mente?  Sì.
 Allora adesso immaginate questo. Una nave. Grande. Sta per partire.
 La nave del marinaio di prima?
 No. Un'altra nave. Ma anche lei sta per partire.
 Galleggia sull'acqua del porto. E davanti ha chilometri e chilometri di mare che l'aspetta, il mare con la sua forza immensa, il mare che è matto, forse se ne starà buono, ma forse la stritolerà con le sue mani, e se la ingoierà, chissà. Nessuno ne parla, ma tutti lo sanno, quanto è forte il mare.  E allora, su quella nave, sale un omino, vestito di nero. Tutti i marinai sono in coperta, con le loro famiglie, le donne, i bambini, le madri, tutti lì, in piedi, in silenzio. L'omino cammina per la nave, mormorando qualcosa sotto voce. Va fino a prua, poi torna indietro, cammina lento tra i cordami, le vele piegate, le botti, le reti. Continua a mormorare cose strane, tra sé e sé, e non c'è angolo della nave in cui lui non passi. Alla fine, si ferma, in mezzo al ponte. E si inginocchia. Abbassa il capo e continua a mormorare in quella sua lingua strana, sembra che le parli, alla nave, che le dica qualcosa. Poi d'improvviso tace, e con una mano, lentamente, disegna il segno di una croce su quelle assi di legno. Il segno di una croce. E allora tutti si voltano verso il mare, e hanno lo sguardo di chi ha vinto, perché sanno che quella nave tornerà, è una nave benedetta, sfiderà il mare e ce la farà, nulla più può farle del male. E' una nave benedetta.
Avevano perfino smesso di tirare pietre nell'acqua. Se ne stavano ormai immobili, ad ascoltare. Seduti sulla sabbia, tutti e cinque, e intorno, per chilometri, nessuno.
 Avete capito bene?
 Sì.
 Avete tutto quanto, per bene, negli occhi?
 Sì.
 Allora attenti. Che qui diventa difficile. Un vecchio. Con la pelle bianca, le mani magre, cammina a fatica, lentamente. Risale la via centrale di un paese. Dietro di lui, centinaia e centinaia di persone, tutta la gente del posto, sfilano e cantano, si sono messi il vestito più bello, non manca nessuno. Il vecchio continua a camminare, e sembra da solo, completamente da solo. Arriva alle ultime case del paese, ma non si ferma. E' così vecchio che gli tremano le mani, e anche un po' il capo. Però guarda davanti a sé, tranquillo, e non si ferma neanche quando inizia la spiaggia, scivola tra le barche tirate in secca, con quel suo passo traballante che sembra cadere da un momento all'altro e poi non cade mai. Dietro di lui, tutti gli altri, qualche metro dietro, ma sempre lì. Centinaia e centinaia di persone. Il vecchio cammina sulla sabbia, ed è ancora più complicato, ma non importa, non vuol fermarsi, e poiché non si ferma, alla fine arriva davanti al mare. Il mare. La gente smette di cantare, si ferma a qualche passo dalla riva. Adesso sembra anche più solo, il vecchio, mentre mette un piede davanti all'altro, così lentamente, ed entra nel mare, lui solo, dentro il mare.
 Qualche passo, fino a quando l'acqua gli arriva alle ginocchia. Il vestito, fradicio, gli si è appiccicato a quelle gambe magre, pelle e ossa. L'onda scivola avanti indietro e lui è così sottile che pensi se lo porterà via. E invece niente, rimane lì, come piantato nell'acqua, gli occhi fissi davanti a sé. Gli occhi dritti in quelli del mare. Silenzio. Non si muove più nulla, tutt'intorno. La gente trattiene il fiato. Un incantesimo.
Il vecchio
 abbassa
 gli occhi,
 immerge
 una mano
 nell'acqua
 e
 lentamente
 disegna
 il segno
 di una croce.
 Lentamente. Benedice il mare.
 Ed è una cosa enorme, dovete riuscire a immaginarla un debole vecchio, un gesto da niente, e d'improvviso l'immenso mare ha una scossa, tutto il mare, fino all'ultimo orizzonte, trema, si scuote, si scioglie, scivola nelle sue vene il miele di una benedizione che incanta ogni onda, e tutte le navi del mondo, le burrasche, gli abissi più profondi, le acque più scure, gli uomini e gli animali, quelli che ci stanno morendo, quelli che hanno paura, quelli che lo stanno guardando, stregati, terrorizzati, commossi, felici, segnati, quando d'improvviso, per un istante, china il capo, l'immenso mare, e non è più enigma, non è più nemico, non è più silenzio ma fratello, e grembo mansueto, e spettacolo per uomini salvi. La mano di un vecchio.
 Un segno, nell'acqua.  Guardi il mare, e non fa più paura. Fine.

Silenzio.
 Che storia..., pensò un bambino. Una bambina si voltò a guardare il mare. Che storia. Ma sarà vera?, pensò un bambino.  L'uomo se ne rimaneva seduto, sulla sabbia, e taceva. Un altro bambino lo guardò negli occhi.
 Ma è una storia vera?
 Lo era.
 E non lo è più?
 No.
 Perché?
 Non si riesce più, a benedire il mare.
 Ma quel vecchio ce la faceva.
 Quel vecchio era vecchio e aveva qualcosa dentro che adesso non c'è più.
 La magia?
 Qualcosa del genere. Una bella magia.
 E dove è finita?
 Sparita.
 Non ci potevano credere, che fosse davvero sparita nel nulla.
 Giuri?
 Giuro.
 Era proprio sparita.

L’uomo si alzò. Da lontano si vedeva la locanda Almayer, quasi trasparente in quella luce lavata dal vento del nord. Il sole sembrava essersi fermato nella metà più chiara del cielo. E una bambina disse:
 Tu sei venuto qui per benedire il mare, vero?
 L'uomo la guardò, fece qualche passo, le andò vicino, si chinò e le sorrise.
 No.
 E allora che ci facevi in quella stanza?
 Se il mare non lo si può più benedire, forse, lo si può ancora dire.  Dire il mare. Dire il mare. Dire il mare. Perché non tutto quel che c'era nel gesto di quel vecchio vada perso, perché magari un lembo di quella magia ancora vaga nel tempo, e qualcosa potrebbe trovarlo, e fermarlo prima che sparisca per sempre. Dire il mare. Perché è quello che ci resta. Perché davanti a lui, noi senza croci, senza vecchi, senza magia, dobbiamo pur averla un'arma, qualcosa, per non morire in silenzio, e basta.  Dire il mare?
 Sì.
 E tu sei stato là dentro tutto 'sto tempo a dire il mare?
 Sì.
 Ma a chi?
 Non importa a chi. L'importante è provare a dirlo. Qualcuno ascolterà.  L'avevano pensato, che era un po' strano. Ma non in quel modo lì. In un modo più semplice.
 E ci vogliono tutti quei fogli per dirlo?
Se uno fosse davvero capace, gli basterebbero poche parole... Magari inizierebbe da tante pagine ma poi, a poco a poco, troverebbe le parole giuste, quelle che dicono in una volta sola tutte le altre, e da mille pagine arriverebbe a cento, e poi a dieci, e poi le lascerebbe lì, ad aspettare, finché le parole di troppo scivolerebbero via dai fogli, e allora ci sarebbero solo da raccogliere quelle che restano, e stringerle in poche parole, dieci, cinque, così poche che a furia di guardarle da vicino, e di ascoltarle, alla fine te ne resta in mano una, una sola. E se la dici, dici il mare.  Una sola?
 Sì.
 E quale?
 Chi lo sa.
 Una parola qualsiasi?
 Sì. Non si può sapere, fino a quando non l'hai trovata.
 Parlava guardandosi intorno nella sabbia, l'uomo della settima stanza. Cercava una pietra.
 Ma scusa... -, disse un bambino.
 Eh.
 Non si può usare mare?
 No, non si può usare mare.
 Si era alzato. L'aveva trovata, la pietra.
E allora è impossibile. È una cosa impossibile.

Chi lo sa, cos'è impossibile.
 Si avvicinò al mare e la tirò lontano, nell'acqua. Era una pietra tonda.
 Ma la pietra iniziò a saltare, sul pelo dell'acqua, una volta, due, tre, non la smetteva più, saltava che era un piacere, sempre più lontana, saltava verso il largo, come se l'avessero liberata. Sembrava non volesse più fermarsi. E non si fermò più.
 L'uomo lasciò la locanda la mattina dopo. C'era un cielo strano, di quelli che corrono veloci, hanno fretta di tornare a casa. Soffiava vento da nord, forte, ma senza far rumore. All'uomo piaceva camminare. Prese la sua valigia e la sua borsa piena di carta, e si avviò lungo la strada che se ne andava, di fianco al mare. Camminava veloce, senza voltarsi mai. Così non la vide, la locanda Almayer, staccarsi da terra e disfarsi leggera in mille pezzi, che sembravano vele e salivano nell'aria, scendevano e salivano, volavano, e tutto portavano con sé, lontano, anche quella terra e quel mare, e le parole e le storie, tutto, chissà dove, nessuno lo sa, forse un giorno qualcuno sarà così stanco che lo scoprirà.



Gustave Courbet, Mare calmo, 1869. Olio su tela.