TESI
MICHELE VITTI
TESI
© 2022 Michele Vitti
Data di pubblicazione 15/10/2022
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parziale, non autorizzata.
ISBN
9798357321251
Il sito dell'autore:
https://colorfulsharing.blogspot.com/
INDICE
Sincronismo relazionale e comunicazione assertiva
I limiti dell’attenzione
selettiva
Delega di responsabilità
personale
Mirror
Serendipità
I mai malcontenti
Limiti del vedere
Il capitale di amistà e le
monete dell’affettività – Il gioco
Pensieri
Il sistema del gruppo
La copiatura
Le gravità inverse tra
noi
Un secondo in più
Divenire con colori migliori
Le tele della libertà
The emblem of life +
Il due è più vicino dell’uno
all’infinito e il cuore dorato
Tcāj e simbiosi mutualistica micorriza
Anime velate
Un passo in più, il paradosso del nulla
Velate trascendenze
Elogio della flebilità
Le catene della libertà
Giocondi con i dadi del
destino
Trasfigurazioni e
derealizzazioni
Le stelle cadenti e le bugie
bianche
Sincronicità
Facoltà velate
Elementi autografi dell'autore
Michele Vitti
Creatività complessa e intuitiva:Tesina
antìgrafo-bibliografica con argomenti personali autografi
IL SINCRONISMO RELAZIONALE
CORRELAZIONE QUANTISTICA
LA SENSAZIONE E' L'ENTANGLEMENT DELLE
ANIME
Sarebbe come se due persone, dopo essersi
incontrate e allontanate, riuscissero, a distanza, a dirsi chi sono, a
riconoscere vicendevolmente i pensieri (Sinonimici o antinonimici), ad
avvertire presentimenti generici sullo stato dell'altra persona (ben-essere o
mal-essere), apercepire le risonanze dei reciproci sentimenti; senza vedersi e
senza parlare, e da quel momento rimanessero legate a distanza nella continua
comunicazione del loro stato. Le memorie dei trascorsi istanti di incontro
avrebbero notevoli influenze sulle sensazioni durante il loro status di
lontananza relazionale.
Recente fotografia di due fotoni che si
scambiano informazioni a distanza.
" Relationship between human beings is based on image - forming, defensive mechanism. In our relationships each of us builds an image about the other and these two images have relationship, not the human beings themselves."
Jiddu Krishnamurti
LA DEFINIZIONE DI SINCRONIA
Sincronico sullo stesso piano nel livello
del tempo ma diverso sul piano nel livello dello spazio.
Weltanschauung
– Concezione della vita, modo in cui
singoli individui o gruppi sociali considerano l’esistenza e i fini del mondo,
e la posizione dell’uomo in esso; per lo più riferita a pensatori, scrittori,
artisti, in quanto essa sia esplicitamente o implicitamente espressa nella loro
opera.
RIFLESSIONE PRELIMINARE
Un giorno mi è stato detto che devo
ridimensionare le mie aspettative perché sono superiori, non all'unisono con la
realtà ed è in questo momento che ho intravisto un senso della vita. Esistono
due tipi di persone, coloro che si rassegnano a ciò che è e coloro che
rivoluzionando ciò che è, i primi, che sono i molti si impegnano per spegnere i
secondi che nella misura della loro caparbietà sono un cambiamento per i primi,
i secondi sono più vitali dei primi, sono sognatori. Compresi che la persona
che mi consigliava di ridimensionarmi non mi voleva bene perché mi limitava, mi
confinava nella sua mentalità -
IL SIMBOLO DEL SINCRONISMO
LA TRISCELE
PREMESSA LE CONSIDERAZIONI DI SEGUITO
ESPOSTE SONO PERSONALI – OVVERO SONO CARATTERIZZANTI IL MINDSET PERSONALE CHE
PERTANTO VA OLTRE LA DICOTOMIA DELLA DISTINZIONE DI GENERE, MASCHILE E
FEMMINILE.
Jung e la sincronicità
IL LATO POSITIVO DELLA SINCRONICITA’
La sincronicità come cura per nevrosi e
per psicosi
Tuttavia non è assolutamente inferiore l'importanza
che ha la sincronicità per la prassi.
Noi non siamo del parere che dei colloqui
col paziente, sia pur comprendenti sogni e altri prodotti dell'inconscio,
possano di per sé portare alla guarigione di nevrosi e psicosi.
Jung e alcuni suoi allievi hanno spiegato
che in molte guarigioni la sincronicità gioca un ruolo decisivo.
1. Eventi spontanei.
Si possono dividere in un primo gruppo
comprendente quelli che emergono in rapporto
a un trattamento analitico, ad esempio lo
scarabeo nel saggio dedicato da Jung alla
sincronicità. Qui (Vili, par. 843) egli
descrive come una paziente avesse sognato, in una situazione critica, uno
scarabeo. Durante la seduta nella quale ella riportò il sogno, uno scarabeo
volando urtò contro la finestra della stanza.
Oppure si tratta di fatti documentati che
hanno luogo nell'ambito di eventi importanti, come casi di morte eco.
2. Procedimenti mantici
Esempio: la consultazione dell'l King.
Non si può negare che da essa si ricavano
ogni volta « risposte » sorprendentemente appropriate, per le quali ci si
troverebbe in difficoltà a fornire una interpretazione causale.
2. Procedimenti mantici
Esempio: la consultazione dell'l King. Non
si può negare che da essa si ricavano ogni volta « risposte » sorprendentemente
appropriate, per le quali ci si troverebbe in difficoltà a fornire una
interpretazione causale.
3. Fenomeni ESP e PK
Essi possono presentarsi tanto
spontaneamente quanto in condizioni sperimentali appositamente create; si
consiglia quindi di tener conto di questa differenza.
4. Percezioni « simpaticali »
Jung ha descritto il caso di una paziente
in stato di coma, che al suo risveglio fu in grado di riferire esattamente
tutto ciò che si era svolto attorno a lei.
5. Rapporti psicofisici
C. A. Meier ha proposto di interpretare in
chiave sincronistica i rapporti fra soma e psiche che non sono spiegabili da un
punto di vista causale
(Zeitgem. Probi, d. Traumforschung 1950,
p. 2213).
Jung (VIII/par. 849) intende per
sincronicità « la contemporaneità di due eventi collegati in base al senso, ma
in modo acausale ». A ciò si aggiunge la « impensabilità di una connessione
causale», nominata in diversi passi.
Ciò che mi interessa in primo luogo è la
voce « acausale ». Se vogliamo capire questo elemento negativo della
definizione, dobbiamo prima chiarirci il significato della parola « causalità
».
«Se il nesso fra causa ed effetto si
rivela solo statisticamente valido e solo relativamente vero, anche il
principio di causa è impiegabile in ultima analisi solo in modo relativo per
spiegare processi naturali, e presuppone quindi l'esistenza di uno o più
fattori diversi, che sono necessari alla spiegazione.
Ma questo equivale a dire che la
connessione di certi eventi può essere di altra natura che non causale... ».
Il primo gradino nel passaggio dal mondo
sensibile al mondo della fisica consiste in un procedimento di misurazione. Se
lo strumento di misura significa da un lato un affinamento dei nostri sensi,
dall'altro la riduzione dell'oggetto ai suoi aspetti quantitativi provoca un appiattimento
del mondo sensibile e porta ad un'astrazione che indusse Eddington a parlare di
« regno delle ombre ». I valori di misura e numerici in cui le espressioni di
misura comprimono la ricchezza delle caratteristiche vengono poi, a loro volta,
sintetizzati in leggi.
Per esempio
Helmholtz ai suoi tempi considerava il
principio dell'energia e dell'azione come il principio che unifica in sé tutto
il divenire naturale (« Ober die physikalische Bedeutung des Prinzips der
kleinsten Wirkung », 1886, in Harnack, Geschichte der Berliner Akademie,
II/287).
Resta da chiedersi se la concezione della
causalità qui tracciata può essere sostenuta anche considerando le leggi
statistiche della meccanica quantistica. Jung sembra negarlo; egli dice
comunque nel passo già citato che un rapporto meramente statistico fra causa ed
effetto relativizza anche la legge della causalità.
Legge: « se è vero x, allora è vero anche
y ». Quel che non si può negare è che i rilievi statistici non sono capaci di
dirci nulla sul comportamento o sul destino di un determinato individuo; questo
è il loro limite caratteristico.
Jung suppone che gli eventi sincronistici
spontanei si manifestino di preferenza là dove, come egli dice, è costellato un
archetipo.
Empiricamente ciò si accompagna di solito
ad un'emozione, ad un abaissement du niveau montai. Si può presumere che questo
sia vero per la stragrande maggioranza di quei casi che hanno luogo durante una
seduta analitica.
Qualora tali episodi non si verifichino in
situazioni particolarmente critiche — il che però accade nella maggior parte
dei casi —, rimane sempre la generale tensione, piena di attesa, («
costellazione »), collegata alla situazione analitica.
Quando i fenomeni di sincronicità
compaiono in relazione ad eventi decisivi della vita, come nascite, morti ecc.,
è chiaro che allora ci sarà da attendersi il manifestarsi di affetti anch'essi
molto intensi.
Se dunque facciamo nostra l'ipotesi di
Jung, arriviamo agevolmente, in una prima e ancor molto generale
approssimazione, alla formula: « Se è costellato un archetipo, allora si
manifestano (spesso) delle coincidenze inattese, che il soggetto avverte come
significative ».
Ciò non significa che si sia chiarito come
l'archetipo provochi la coincidenza significativa, o perché per esempio spazio
e tempo siano apparentemente relativizzati.
L. Rhine cita numerosi casi di PK, per i
quali non vi è motivo di credere che si fondino su una particolare
emozionalità.
Ma sbaglio forse se presumo che è proprio
il nostro bisogno di causalità ad essere insoddisfatto? E che da ciò si arriva
alla seguente « conclusione »:
2. Procedimenti mantici.
E' noto che di regola sono accompagnati da
una considerevole tensione affettiva. Prendendo come caso particolare la
consultazione dell' I King, è chiaro che quando essa è giustificata — e lo è
quando ci si trovi in una situazione critica e si sia effettivamente perplessi
sul da farsi — è presumibile l'esistenza d'una forte emozione. In questo caso
sarebbe valida anche la formula « se - allora » sopraindicata.
L'ipotesi già espressa da R. Weber (1967)
nella tesi di laurea scritta per lo Jung-Institut, secondo cui causalità e
sincronicità sono associabili a funzioni diverse della coscienza, cioè la
causalità alla sensazione e al pensiero, la sincronicità all'intuizione e al
sentimento.
Entrambe possono tranquillamente
coesistere; esse non si escludono, ma si integrano a vicenda.
Certo questa distinzione ci dice che
causalità e sincronicità appartengono chiaramente a due campi diversi. La
causalità è tipica della
conoscenza oggettiva e quindi della
scienza, mentre la sincronicità rientra nella sfera dell'esperienza soggettiva,
e proprio perciò non appartiene alla scienza.
Vorrei ora illustrare queste affermazioni
con un piccolo esperimento immaginario. Un animale allo stato selvatico è
guidato, come sappiamo, dal suo istinto.
Si trova quindi, — almeno abbiamo buoni
motivi per supporlo —, in uno stato simile a quello in cui ci troviamo noi se
subiamo un abaissement montai. Se questo animale provasse sete e trovasse insperatamente
dell'acqua, questa « coincidenza fortuita » potrebbe sembrargli senz'altro un
caso significativo, addirittura un piccolo miracolo.
Intanto l'etologia og-gettiva ci insegna
che grazie al modello di comportamento che gli è proprio, l'animale riesce a
trovare l'acqua per una via del tutto causale, di cui comunque non è
consapevole.
Infine bisogna ancora dire che il creativo
può agire solo nella sfora ndividuale, extracausale; esso crea l'inizio di una
nuova serie causale.
Da quanto poc'anzi abbiamo detto risulta
che il principio della sincronicità dovrebbe essere riservato a quegli eventi
che hanno il carattere della spontaneità e irripetibilità, e che riguardano una
persona alla quale appaiono significativi. Proprio perché il senso è una
caratteristica essenziale degli eventi sincronistici, sorgono a mio avviso
difficoltà insuperabili, se si oltrepassa questo limite. Ciò è chiaramente
visibile nei passi in cui Jung parla di senso a priori, oggettivo o
preesistente.
Il concetto oggettivo di un ordinamento
acausale ad opera dell'archetipo. L'esperienza di questo fattore ordinatore
nella maggior parte dei casi si accompagna alla coscienza del numinoso e quindi
fa « scorgere, dietro le circostanze singole, una connessione universale degli
eventi ».
Una concezione simile compensa, secondo
l'autrice, l'odierna, frammentaria immagine del mondo e « rappresenta una
analogia scientifica con la realtà, religiosamente vissuta, di una immagine
archetipica di Dio in cui gli opposti sono superati ». Anche se personalmente
si può essere propensi ad accettare questa concezione, è chiaro che non si
tratta più di scienza nel significato usuale del termine, ma piuttosto di una
fede, sia pure ben fondata, e si farà bene a non cancellare tale limite. A
questo proposito non nuoce ricordare un passo di Kant (Critica della ragion
pura2, 663) : «Affermo dunque che tutti i tentativi di un uso meramente
speculativo della ragione con riguardo alla teologia sono totalmente
infruttuosi e, per loro intima natura, futili e vani; e che, per contro, i
principi di un suo uso naturale non portano a nessuna teologia; di conseguenza,
se non si pongono alla base delle leggi morali o non si ha bisogno di esse come
filo conduttore, dico che non può mai esservi una teologia della ragione
» — e, più in breve, (loc. cit. XXX): « lo
dovrei dunque abolire il sapere per fare posto alla fede ».
E' consigliabile far uso della categoria
di sincronicità solo in quei casi in cui ci si trova di fronte a un evento o a
un concorso di eventi di carattere essenzialmente fortuito, che riguardino un
individuo per il quale l'evento ha un senso.
L'individuo non vive solo fra le
connessioni generalmente valide del sapere oggettivo, ma anche in una trama
personale e irripetibile di significati. Con ciò egli sembra disporre di un
proprio nucleo inte-riore, che si sottrae all'analisi scientifica e quindi,
eventualmente, alla manipolazione. Questo risultato può forse essere
considerato in armonia con certe tendenze del nostro tempo.
La sincronicità e la mente di Dio
Alla scoperta del mistero delle
“coincidenze significative” di Carl Yung Ray Grasse
Coloro che credono che il mondo
manifestato (il mondo dell’essere) sia governato dalla fortuna o dal caso,
e che dipenda da cause materiali, sono ben
lontani dal divino e dalla nozione di Uno.
Plotino, Enneadi, VI.9
Mentre si preparava per il suo ruolo nel
film “Il mago di Oz” del 1939, l’attore Frank Morgan decise di non usare il
costume che gli aveva offerto la casa cinematografica per la sua parte come
professor Marvel,
rappresentante di commercio, scegliendo
invece personalmente il suo guardaroba, tra i tanti abiti di seconda mano
collezionati negli anni dal dipartimento costumi della M. G. M. Optò per una
vecchia redingote che alla fine gli servì come abito di scena durante le
riprese del film. Passò del tempo e, un giorno, Morgan stranamente rovesciò
l’interno di una tasca della redingote scoprendo così il nome “L. Frank Baum”
cucito dentro la fodera. Come più tardi confermarono le indagini, la giacca
originariamente era stata disegnata per il creatore della storia di Oz, L.
Frank Baum ed era poi rimasta, per tutti quegli anni, nella collezione di abiti
della M. G. M. La maggior parte di noi una volta o l’altra ha avuto modo di
sperimentare certe coincidenze inusuali, così sconcertanti che ci hanno
costretto a domandarci quale fosse il loro possibile significato o scopo. Ma
questi strani avvenimenti hanno forse un qualche intendimento più profondo per
le nostre vite? O sono semplici eventi casuali, rigorosamente spiegabili
attraverso processi statistici e teorie della probabilità, come la maggior
parte degli scienziati moderni vorrebbe sostenere? Tra coloro che si
cimentarono con tali questioni vi fu il famoso psicologo svizzero Carl Jung.
Avendo egli stesso sperimentato molti di
tali eventi, alla fine coniò il termine sincronicità per descrivere quello che
egli vedeva come un inquietante fenomeno di coincidenze significative. Mentre
alcune di tali coincidenze erano davvero senza significato, egli scrisse, ogni
tanto abbiamo a che fare con quelle convergenze di circostanze così improbabili
da sembrar intendere un fine più profondo o un disegno, nel loro svolgersi. Per
spiegare il funzionamento di tali fenomeni Jung teorizzò l’esistenza di un
principio o legge di natura piuttosto diverso da quello normalmente descritto
dalla fisica convenzionale. Mentre la maggior parte dei fenomeni visibili nel
nostro mondo sembra accadere in modo lineare, di causa ed effetto, come le
tessere del domino che cadono una sull’altra, gli eventi sincronici sono
“acausali” in quanto sembrano legati da modelli archetipali più profondi,
piuttosto che da forze lineari. Per esempio, la presenza della redingote di
Baum sul set del film non causò in nessun modo la realizzazione del film stesso
né la realizzazione del film causò la presenza della giacca – essi
semplicemente erano espressioni duali della stessa matrice di significati che
si rivelava. In questo modo Jung postulò due tipi primari di relazioni
acausali: tra due o più eventi esteriori nella vita di una persona o tra un
evento esteriore ed uno stato psicologico profondo. Dalla sua prima
pubblicazione del 1952, questo concetto junghiano è diventato sempre più
familiare attraverso la cultura popolare, fino ad arrivare alle trame degli
show televisivi, ai best-seller di narrativa come La profezia di Celestino e
perfino ai versi di canzoni rock di gruppi come i Police. In ambienti più
filosofici sono stati fatti molti tentativi per chiarire ulteriormente questa
importante nozione e qualcuno ha perfino ipotizzato, sulle orme di Jung stesso,
che la chiave per comprendere la sincronicità potrebbe un giorno essere trovata
tra le scoperte della fisica quantistica.
Come Robert Anton Wilson scrisse quasi due
decenni fa: “Jung era sulla strada giusta, egli insisteva nell’affermare che in
qualche modo, da qualche parte nella teoria dei quanti, sarebbe stato trovato e
definito il vero meccanismo della sincronicità. Alla fine degli anni ’80
sembrava che avessimo cominciato a comprenderlo”.
A tutt’oggi il mistero della sincronicità
rimane irrisolto. Mezzo secolo più tardi di quando fu introdotto per la prima
volta ci troviamo ancora essenzialmente lontani dal disvelare il meccanismo
profondo che sottostà al concetto junghiano. Perché? Forse abbiamo guardato nella
direzione sbagliata, per avere una risposta. Potrebbe essere, in altre parole,
che abbiamo affrontato questo problema troppo da vicino, per osservarne i
particolari, perdendo così la visione globale? Per analogia consideriamo la
celeberrima parabola degli uomini ciechi e dell’elefante: cinque uomini non
vedenti si imbatterono in un grosso elefante e ciascuno di essi cercò di
determinarne la vera natura, dalla sua limitata prospettiva. Per quello che
poteva afferrarne solo la proboscide, esso assomigliava ad un grosso serpente,
mentre per colui che poteva tastarne solo le gambe esso appariva come un albero
e così via. A causa del loro punto di osservazione parziale, nessuno di loro
poteva davvero cogliere la vera natura di un tale animale, appropriatamente
comprensibile solo da una prospettiva più ampia e globale. Similarmente
potrebbe essere che focalizzando la nostra attenzione interamente sui fenomeni
di coincidenze isolate, stiamo esaminando solo una piccola parte di una più
grande realtà. Scoprire il significato della sincronicità può richiedere un
passo indietro e la visione di questo problema in una luce completamente
diversa – forse perfino all’interno del contesto di una cosmologia totalmente
differente. Una visione simbolista del mondo Ma qual è allora questa “diversa
cosmologia” a cui mi riferisco? È una prospettiva alla quale io e altri
scrittori abbiamo fatto riferimento, negli anni, come alla visione simbolista
del mondo.
Questo punto di vista ricorrente è stato
espresso attraverso i secoli da figure tanto diverse quali Plotino, Pitagora,
Emerson, Jacob Boehme e Cornelio Agrippa, per nominarne solo alcuni. Questa
corrente di pensiero sostiene che l’universo è il riflesso di una realtà
spirituale sottostante e che tutti i fenomeni e le forme sono simboli di verità
e principi più profondi. Come lo scienziato e mistico svedese Emmanuel
Swedenborg scrisse in Paradiso e Inferno: “C’è una corrispondenza tra tutte le
cose del cielo e quelle dell’uomo”. Tutte le cose riflettono le idee ed i
principi più alti di cui esse sono espressione tangibile o “segno
inconfondibile” e possono essere interpretate nel loro significato più sottile.
Per il simbolista ogni evento e fenomeno va considerato come elemento di un
tutto perfettamente ordinato; come le trame intricate di un grande romanzo o
mito, gli elementi dell’esperienza quotidiana sono percepiti come intimamente
correlati, senza che nessuna situazione o evento sia fuori posto e nessuno
sviluppo sia accidentale. Di conseguenza perfino un fatto che sembra insignificante
può diventare una chiave importante per la comprensione di un significato più
profondo: il passaggio di un uccello attraverso il cielo, il comparire di un
lampo in un momento particolare o il cogliere un commento casuale – tali cose
hanno significato tanto in quanto noi le percepiamo come intrecciate
all’interno di un più grande tessuto di relazioni. Esiste una rete di sottili
connessioni, conosciuta col termine di corrispondenze, che pervade ordito e
trama della creazione. Il saggista americano Ralph Waldo Emerson una volta
disse: “Analogie segrete legano assieme le più remote parti della Natura, come
l’atmosfera di un mattino d’estate è pervasa di innumerevoli sottilissimi fili,
che vanno in ogni direzione, svelati dai raggi del sole nascente” (1949). Nei
secoli, maghi ed esoteristi hanno lavorato per costruire complesse “tavole
delle corrispondenze” che cercavano di unire tutte le parti della natura in un
grande tutto armonico.
In questo modo si dice che la Luna sia
correlata con certi altri simboli, come la casa, le donne, il cambiamento e le
emozioni in generale, mentre Mercurio è legato alle comunicazioni,
all’editoria, ai viaggi, alla mente e così via. Capire i principi essenziali
che sottostanno a tutti i fenomeni fornisce all’esoterista una chiave
universale che gli permette di svelare il linguaggio sia dei mondi esteriori
che di quelli interiori.
Naturalmente sin dall’Illuminismo
razionale del XVII secolo il credere alle corrispondenze è stato accantonato
dagli scienziati come un’antiquata invenzione metafisica, comparabile alla
credenza infantile in Babbo Natale o alla “fata del dentino”. Eppure, come
diviene ovvio a chi si dedica attivamente per un certo lasso di tempo alla
pratica dell’astrologia (di contro a coloro che la criticano con severità, come
i teorici da tavolino), tali correlazioni sono in effetti piuttosto vere e non
semplicemente delle sciocchezze di un’immaginazione iperattiva. Di conseguenza,
quando Nettuno va ad incidere pesantemente sull’oroscopo di una persona, possiamo
osservare il sorgere di problemi su questioni legate a frodi o utilizzo di
droghe, nella sua vita, o quando Giove attraversa la Venere di tale persona
un’improvvisa buona sorte potrà capitarle nei campi economico o sentimentale.
In ultima analisi l’oroscopo fornisce una mappa complessa delle relazioni e
delle corrispondenze simboliche che si intrecciano tra la vita interiore ed
esteriore di una persona, illustrando le loro potenzialità archetipali in
un’ampia varietà di modi.
Le implicazioni della sincronicità di Jung
Ma
allora, cos’hanno da offrirci questa antica visione del mondo e i suoi principi
fondamentali nella comprensione della sincronicità? Consideriamo la questione
della vera frequenza di questi fenomeni – quanto spesso veramente accadono
nelle nostre vite.
Mentre c’è la prova che Jung, nel privato,
considerava in maniera più aperta tali fenomeni, nei suoi scritti ufficiali
dichiarava che gli avvenimenti sincronici erano “relativamente rari” e si diede
grande pena per distinguere le coincidenze significative da quelle
convenzionali. Per il simbolista, comunque, la coincidenza è semplicemente la
punta dell’iceberg, l’aspetto visibile della struttura più complessa di un
disegno che sta alla base di tutte le esperienze. Le circostanze di un’intera
vita costituiscono un complesso tessuto di connessioni piene di significato e
di analogie correlate, che si estendono a tutti gli aspetti dell’esperienza
personale – il corpo, gli eventi esteriori, gli stati d’animo e i sogni e le
azioni o i gesti – e oltre, perfino alle sfere di esistenza collettiva e
universale. Davvero si può ben dire che ogni cosa è una coincidenza, nella
misura in cui tutto co-incide. Jung considerava gli eventi sincronici come
un’importante “esplosione di significato” nelle nostre vite; tuttavia sistemi
divinatori quali l’astrologia e, come analizzo più approfonditamente nel mio
libro The Waking Dream, Il sogno ad occhi aperti, dimostrano che ci sono
davvero molti tipi di significati nel nostro mondo oltre a quello immediato che
possiamo trovare nelle coincidenze occasionali. Per dirla come William Irwin
Thompson, siamo come mosche che camminano sul soffitto della Cappella Sistina,
inconsapevoli del complesso dramma archetipale rappresentato davanti a loro.
Quello che le sporadiche coincidenze sensazionali fanno è semplicemente
scostare la tenda, anche se sempre di poco, sul vasto dramma, per renderci
coscienti di un piccolo dettaglio in tale complessa rappresentazione di
significati.
Per questa ed altre ragioni possiamo dire
che la sostanza della sincronicità sta meno nello studio dell’acausalità che in
una più piena comprensione del significato, che va svelato non attraverso gli
strumenti della scienza ma attraverso quelli dell’indagine filosofica ed
ermeneutica.
Proprio come gli studi di astrologia e
divinazione, che comprendono appieno lo scopo delle coincidenze significative,
possono richiedere niente meno che una “teoria del campo unificato” che
incorpori soggetti tanto diversi quali la geometria sacra, la teoria delle
corrispondenze, la psicologia dei chakra, la teoria dei numeri e una cosmologia
multilivelli, per elencarne solo alcune. Solo all’interno di una più ampia
struttura offerta da una scienza sacra come questa possiamo davvero sperare di
carpire “l’intero elefante” della sincronicità, così com’è, e non semplicemente
uno dei suoi complementi isolati, come ci accade di trovare fortuitamente in
occasione di qualche coincidenza di rilievo.
Ed è contro il fondale di questa più ampia
prospettiva che noi ci troviamo per scoprire una ancor più profonda verità nel
funzionamento della sincronicità, che va ben oltre semplici questioni sia di
acausalità che di corrispondenze. Nel suo libro A Sense of the Cosmos Jacob
Needleman fa le seguenti osservazioni riguardo la curiosa simmetria che si trova
nella trama ecologica della natura: “Ogni qualvolta abbiamo guardato a una
parte, per poter comprendere il tutto, alla fine abbiamo trovato che la parte è
una componente viva del tutto. In un universo senza un centro visibile la
biologia presenta una realtà in cui l’esistenza di un centro è implicita
ovunque” (64, corsivo dell’autore dell’articolo).
Questa osservazione di Needleman potrebbe
ben essere presa anche come utile analogia per la nostra comprensione della
sincronicità. Per far sì che i diversi eventi delle nostre vite siano
intrecciati in un modo tanto intricato e astuto, come implica la sincronicità
(e come sistemi quali l’astrologia dimostrano empiricamente) sembrerebbe
doverci essere un’intelligenza disciplinante, sottostante il nostro mondo, che
orchestra tutti i suoi elementi come note all’interno di una grande eloquente
sinfonia. Non c’è bisogno naturalmente che pensiamo a tutto questo come se
necessitasse il coinvolgimento di una deità barbuta e antropomorfa, assisa su
un trono celeste.
Come abbiamo visto all’apertura di questo
articolo Plotino, scrittore neoplatonico, vi si riferiva semplicemente come
all’“Uno” mentre i mistici geometri dell’antichità talvolta descrivevano questo
principio unificante come una sfera il cui centro era dappertutto e la cui
circonferenza era in nessun luogo. In qualsiasi modo scegliamo di chiamarla
essa parla di un’opera di coordinamento di portata e finezza inimmaginabili per
mezzo della quale tutte le coincidenze e le corrispondenze del mondo si fondono
come fili in un grande intreccio, ed entro la quale le nostre vite sono
“annidate”. Visto in questo modo l’evento sincronico si può considerare
un’occhiata di sfuggita, come se attraverso una lente scura, nella mente di
Dio.
PRINCIPI DI CREATIVITA’
L'astrazione, l'imperturbabilità e la
vitalità in noi
L'astrazione è la facoltà garante del
'brillare di luce propria'.
L'astrazione è l'ambiente che germoglia la
resilienza e la creatività, secondo questo principio il calore di un fiore
potrebbe sciogliere la neve che lo cristallizza. Il Sole non brilla perché è
riflesso dalla Luna, il Sole non riscalda per essere riscaldato e non desiste
dall'illuminare perché è circondato dal buio. Secondo l'astrazione ogni luogo
ambiente, i più avversi, sono ideali; così ad esempio il luogo della solitudine
presenta analoghe possibilità creative rispetto al luogo della compagnia, il
luogo della fine è il più ampio spazio di possibilità di iniziare nuovamente, i
luoghi negativi sono luoghi vasti di incremento, di miglioramento, la qualità
illuminante del Sole è più rilevante proprio perché il Sole è circondato dal
buio.
Astrazione non è indifferenza all'ambiente
ma è riconoscenza e gratuità verso di esso in quanto iniziativa di colui/colei
che abita l'ambiente di integrarlo di lui/lei migliorandolo.
L'astrazione si contrappone alla facoltà
del riflettere - del brillare di luce riflessa, il riflettere presuppone la
acquisizione di vitalità dall'ambiente, se l'ambiente non è vitale, se siamo
supportati solamente dalla facoltà della riflessione, ci affievoliamo e
spegniamo l'ambiente.
Concludiamo allora che ciascuno di noi può
essere ambiente colorato, vitale e rivitalizzanti di ambienti esteriori
possibilmente privi di colori. Essere imperturbabili dal luogo e dal tempo è
possibilità della manifestazione della nostra identità riconoscibile come
novità rispetto al luogo e al tempo.
BE THE SPRING THAT CHANGES THE INVERNAL
ENVIRONMENT
No matter where you are while there your
inner self is the enlivening place, you already have life, need life
Realize it — share it by your inner soul to
the place you enliven.
NO MATTER WHERE YOU ARE NOW, YOUR INNER SELF IT IS YOUR OME, FORGIVE ALL OF YOUR SELVES.
Possibilities are not infinite,
possobilities have the time of our lives, you may lose forever a game of your
life, anyway not all the game.
This singularity of time is about our
chance to better us, not everything depends on us, but on us and on the people
we are relating with.
Think about it, you may better your life.
Give importance to the mindset: "if i
had.. I had to be more." YOU WILL MEET YOUR PAST AGAIN SOON, IN THE NEXT
NOW.
What about love? What about melancholy
feeling... They're about the words sincronicity, coincidences, connections: The
time of the second, third, step of possibility come but the two people are not
vis a vis in the place where initially they related, this dissonance, the
seeing and the feeling of void makes us think about the person we related
initially.
Déjå vu
Who has an enlightened memory may have
seen life it is a constant repetition of the same similar circumstances, same
people, same places, same dialogical themes, similar aptitudinal behaviours.
And we're there, once; and a little time later life donate us another
possibility to behave similarly or differently - people who do not think about
experiences will return to the second step of possibility with the same
behaviour - differently others through memory, reflections, and inner
disposition to be not blind and insidie the now, they will allineate their will
to their DIFFERENT behaviour into the second step of possibility. There may be
more than two step of possibilities. The number of possibilities steps depends
on our gratuity spirit of donating relational possibilities.
Our inner mindset singularity has the
potential of the universe
You can be reborn any moment you choose to
be.
You are everywhere and in every now of
your life not bound to your old self, you're always NEW, this is the gift of
life. This way all of us is infinite, cause through our life we arise infinite
selves.
So does not matter the environment we live
in, we may see the environment around us to be unfavorable and hostile up to
the point to damage the health of our self. We character i e the environment as
the whole system of circustamces feeded by other people behaviours and natural,
virtual... relations.
Everything happens because of you." The
little boat may be taken away by the tsunami, but do not delegate your
resposibility, you can always choose, the possibility of choice it is the
matter of the responsabilities, your new selves are free, new and different,
from the past your selves: you have a place here - it's a fact, an evidence,
this is the profund matter of all of us, and the importance of the factual
value of everyone of us. We don't need to demonstrate value because we are a
priori value. So the second fact it is that we deserve to care each other a
priori.
It's a blindness - in truth we'll
recognize the truth of us it is quite entirely into our mindset - we may see
the environment as a (imitated place and the inner mindset as the singularity
of a universe.
Just see your inner universe and You'll be
able to face easily every hostile environment.
LA CREATIVITA’ COME DONO E PURO VALORE
AGGIUNTO
La ricompensa del dono
Dovremmo essere come candele che non si
spengono vicendevolmente ciascuna depauperando d'ossigeno le sue vicine , la
candela più luminescente resterà al buio se terrà per sé stessa ogni fonte
vitale privando le sue compagne. E saremmo come candele che si mantengono
accese ciascuna riardendo dal filo di fumo della fiammella vicina che
illuminerà dei colori della candela originaria.
Il fumo delle candele spente non assopisce
mai i vivaci lumi delle candele accese, è un sottile e flebile filo di fumo che
ascendendo al cielo incontra le nuove fiammelle, non è un anelito di fine ma è
l'inizio di una preghiera raccolta da chi sceglie di illuminare essendo custode
di vita e luce. Illuminare è l'opportunità di permettere che altri illuminino
della nostra stessa luce, il germogliare del nostro unico e raro colore, che
sarà riflesso più intensamente, questa è la ricompensa del dono.
UN SISTEMA DIALOGICO CREATIVO
Un sistema dialogico fondato sula
competizione può non essere creativo – può essere creativo in qualità di
pulsione di ambizione emulatrice – tuttavia oltre a questo unicum, il dialogo
competitivo è sulla base del valore relazionale dirimente e sul piano
essenziale minorativo, annichilente e immiserente la essenza del prossimo. Un
sistema dialogico fondato sula competizione può declinare in dispotismo
dialogico e decisionale, Un sistema dialogico fondato sula competizione è
strutturato sulla PAROLA nella presunzione di inconfutabilità – e l’obiettivo
principale del sistema dialogico competitivo è l’ottenere ragione, così da
potere imporre la propria autorevolezza decisionale sul prossimo.
IL SISTEMA DIALOGICO ASSERTIVO
L’atto del restare in silenzio implica il
farsi specchio del prossimo conducendo il prossimo a riflettere. Un sistema
dialogico saggio e maturo si astrae dal metro di giudizio qualitativo e
quantitativo presupponendo la sospensione del giudizio come sistema conoscitivo
che si astiene dall’oggettivare e misurare le realtà esterne e le essenze con
cui si relaziona. Il sistema dialogico assertivo si fonda sull’ascolto, meno
sulla parola, il sistema dialogico assertivo è libertario.
La parola delimita, toglie luogo e toglie
tempo, vincola, aggredisce ovvero toglie vitalità e vita, mentre il dono di
ascolto è dono di spazio e di tempo, se ti ascolto di dedico tempo vitale e
spazio di reciprocità comunicativo-relazionale, se dico di te delimito la tua
essenza togliendo luogo essenziale alla tua qualità di presenza, e se possibile
impariamo a dire con noi e non con altri di noi, ciascuno di noi ha un solo
nome, teniamo, custodiamo e tuteliamo il nostro nome, non siamo altre essenze,
non spacciamoci per esse. Non argomento che si debba tacere, tuttavia assumo
che si debba riflettere prima di parlare perché le parole sono uno strumento
dialogico di gravità espressiva, perché la parola è dicotomia, è bianca o è
nera, ogni singola parola in un dialogo è una profonda e radicale presa di
posizione attitudinale che ha rilevanza fattuale sulla nostra vita e sulla vita
del prossimo.
Ascoltare e pronunciare il no implica una
dissonanza cognitiva indotta – significa accolgo la tua assenza, la riconosco
per poi annientarla, annichilirla – significa ti amo ma presto pongo fine alla
nostra realtà relazionale affettiva e opportunità relazionale. A nessuno piace
essere tenuti sulle spine dell’avverarsi di un probabile congedo. Quando
avverrà? (Percepite la gravosità del maybe negativo)
IL PREGIUDIZIO DELLA PERSONA PREGIUDICANTE
IMPLICA UNA MINORAZIONE E DESTRUTTURAZIONE QUALITATIVA DELLA ESSENZA
DEL PROSSIMO PREGIUDICATO:
La determinazione di ciascuna persona in
relazione con la sua profonda essenza e
volontà attitudinale spetta esclusivamente a lei stessa, qualsiasi
classificazione, categorizzazione caratteriale e qualitativa della persona,
ciascuna inesorabile, restrittiva e
delimitante denominazione e aggettivazione (il denominare presuppone il
vincolare il soggetto giudicato alla
realtà che si destina a lei/lui, ma la sua essenza profonda non ha alcuna
relazione con la realtà attribuita proprio perché è una attribuzione soggettiva
esterna.
Le percezioni provenienti da ciascuna
visione esterna sulla essenza di una persona pre-giudicata sono una
rappresentazione stolta di chi giudica e non coincide mai con la vera essenza
della persona pregiudicata in quanto ogni immediata osservazione e pregiudizi
conseguenti sono la sommatoria della percezione di superficie essenza della
persona) e della rielaborazione della persona giudicante (fondata dalle
singolarità delle esperienze altrui ogni giudizio è una falsificazione della
reale essenza del singolo giudicato.
La essenza è ILLIBATA, è un sistema
complesso non riducibile all' atto.
Si veicola l'attitudine come metro di
giudizio della persona ma ritornando al principio sopra descritto è più
precisamente l'osservazione esteriore
della attitudine il fondamento di giudizio della persona giudicante, qualità
non coincidenti con l'essenza della persona che è una sommatoria di realtà
interiori - ad esempio giudichiamo la punta dell'iceberg quando giudichiamo una
attitudine in verità per un giusto giudizio dovremmo considerare le cause
profonde di una attitudine incontrando dunque la profondità essenziale della
persona giudicata.
Il giudizio esteriore è avvelenato dalle
negatività di generalizzazione e di inesorabilità invero quando giudichiamo
omologhiamo alla nostra percezione di categoria (è come) e ci sbagliamo poiché
nessuno è mai identico a nessun altro, in secondo luogo qualunque nostra realtà
è diveniente, ovvero cambia e può divenire - la stoltezza di chi giudica vuole
cristallizzare e vincolare la persona al giudizio che le si attribuisce.
Utilizziamo lo strumento di pregiudizio e
di giudizio come mediazione di superiorità ovvero fondiamo il dialogo che è un
sistema complesso di sequenze di giudizi sulla classificazione negativa di un
terzo per dimostrare a un secondo la nostra superiorità rispetto alla
inferiorità di cui raccontiamo.
Il danno è che crediamo comunitariamente
che ciascuna nostra parola sia creatrice di realtà, non di falsificazione.
Quando una persona attribuisce un giudizio
0 una classificazione su una seconda persona ed una terza ascolta il giudizio e
vi ci crede sulla base di una fiducia aprioristica, allora insieme realizzano
una realtà qualitativa della persona giudicata che come abbiamo visto può non
coincidere Con la Sua essenza e spesso non coincide, ma la persona giudicata
deve farsi carico dei pregiudizi a cui è stata sottoposta.
ln verità quotidianamente realizziamo
prospettive, falsificazioni, percezioni.
Dovremmo essere più timidi e riguardosi
nel giudicare perché? Perché il nostro giudizio fonda la nostra tipologia
attitudinale con il prossimo, quindi se il nostro giudizio è inesorabile,
saremo inesorabili con la persona giudicata, se il nostro giudizio è sommario
saremo indifferenti con la persona giudicata e così via.
LE DINAMICHE DI FALSIFICAZIONE DIALOGICO –
PERCETTIVA
Lo sguardo che mira sempre verso il
prossimo e mai verso se stessi.
Se il dialogo è una sequenza di parole,
durante un dialogo ciascuna delle due persone partecipanti attribuiscono a
ciascuna frase e tonalità di espressione del dialogo associazioni contestuali
relative e arbitrarie - ciascuna parola o insieme di parole risulta connesso ad
un pensiero associativo e interpretativo che risponde alla domanda individuale
e soggettiva perpetuata nel tempo di relazionalità dialogica:”Che cosa
capisco?"
Auto inducendosi una risposta di
pregiudizio che è in relazione con le personali categorie di idee contestuali
risultanti dalla propria esperienza e inclinazione caratteriale custodite nel
personale ‘cassetto’ di mindset costitutivo delle personali ontologiche realtà
nevrotiche devianti sane - nel percorso conoscitivo, dalla pronuncia di una
frase di una persona esterna, o attitudine o semplice movimento del corpo, alla
percezione, al sentire vi è la mediazione del pensiero di coloro che
percepiscono che è in sé un valore aggiunto falsificante dell'atto puro della
persona che essenzialmente attua l'azione o pronuncia la frase –
la presunzione di comprensione è una
abitudine deviante la veridicità essenziale dell'atto e della parola - la
presunzione di comprendere pone il punto al percorso conoscitivo fermandolo
alla superficialità di dialogo, mentre la domanda e curiosità approfondisce la
quantità e qualità di singolarità contestuali virando ogni falsificazione
percettiva dalla arbitrarietà di percezione alla coincidenza tra le
arbitrarietà di pensiero di colei che attua l'azione e colei che percepisce
razione. Per eludere il fraintendimento è necessario tempo - non dedichiamo
sufficiente valore al secondo - dialoghiamo alla velocità della luce tanto da
rendere caotico ed incomprensibile il Senso olistico risultante dalla
relazionalità.
E delle miriadi di parole che pronunciamo,
attribuiamo arbitrariamente e talvolta istintivamente il valore di giudizio e
le relazioni contestuali al buio della persona con cui ci relazioniamo. Il buio
crea disorientamento, e il disorientamento è strumento vincolante il dialogo
utilizzato da coloro che il dialogo lo vogliono veicolare, la presunzione di
superiorità dialogica è una devianza che danneggia la reciprocità di valore
umano fondante l’equilibrio reciproco di analogia valoriale relazionale ed
essenziale.
È proprio quando prima del giusto tempo
pensiamo - Ho capito - (e sovente non capiamo) che rendiamo reale il
pregiudizio e realizziamo la nostra falsificazione del prossimo che il prossimo
deve gestire e assimilare - il danno è quando fondiamo nuove realtà dialogiche
e relazionali sulla base della nostra falsificazione - facciamo un passo verso
la via della falsità e vi percorriamo altre miriadi di passi, allora crediamo
di vedere sempre più giusto e lontano mentre diventiamo ciechi e realizziamo
l'errore, basterebbe fare un passo indietro all'inizio, potrebbe non bastare un
passo indietro in seguito a molti errori interpretativi, ma il percorso è
individuale dello spettatore (e della persona che mediante il suo essere
comprova la non veridicità del pensiero del giudicante, non si tratta di
chiedere pietà al giudicante e non si tratta di Ottenere una gentile
concessione di seconda opportunità di chiarimento relazionale da parte del
giudicante, si tratta qui di argomentare la limitatezza come erroneità di
pensiero di coloro che scelgono di mettersi dalla parte del giudice
prescrivendo il falso ovvero che la loro soggettiva percezione sia la Verità
essenziale della persona da essi vincolata), La frase più pericolosa e dannosa
che possiamo pronunciare è "so chi sei," E ciascuno di noi la pensa e
la pronuncia quotidianamente semplicemente aggettivando il prossimo. Ma la
aggettivazione che sia un gesto, un pensiero o una parola non è che la
dimostrazione della veridicità essenziale di coloro che agiscono l'attitudine
giudicante. (sovente maledicenti o mal pensanti). Allora non è detto che le
persone benedicenti siano benedette, ma sono benedicenti, non sono maledicenti
poiché sono maledette. Questo discorso non é solamente dialogico, bensì anche
attitudinale. E non è detto che le persone maledicenti siano essenzialmente
maledicenti, l'atto singolare non è la essenzialità della persona, il pensiero
che il singolare atto di una persona sia la persona stessa significherebbe assumere
"se conosco una stella conosco l'universo" se si vede una stella non si sa niente
dell'universo che è infinitamente più vasto della stella stessa.
II principio di arbitrarietà e relatività
decisionale, la singolarità attitudinale implicano che sia vuota di senso e
quindi priva di fondamento ogni assunzione di superiorità personale fattuale e
essenziale di una persona sul prossimo. In più attribuisco alla autopercezione
di superiorità e la relativa imposizione di volontà di una persona sul suo prossimo
la caratterizzazione di Nevrosi relativamente a una forma di minoranza
intellettiva in relazione a una deficienza di umiltà e assenza di umanità in
quanto annichilimento nel non ascolto e considerazione della essenza e volontà
del prossimo. Relativamente al giudizio:
Un uomo un giorno accorgendosi dei danni
delle quotidiane maldicenze si impose di imparare la sospensione del giudizio.
Se non si dice non si può maledire disse un uomo.
L'istinto di negazione la cui traduzione
attitudinale è la pronuncia del no categorico e inesorabile non è che
l'implicazione immediata di una Nevrosi la cui caratterizzazione si struttura
su una base di Autostima di Superiorità provocata da una arbitrarietà di
giudizio (come abbiamo già visto) e pertanto moralmente infondata e tuttavia
avente implicazioni dannose come rilevanza fattuale di annichilimento attivo o
di attitudine passiva. Una seconda radice nevrotica che causa l'iniziativa di
negazione può essere l'istinto di vendetta, ovvero, l'influenza di un vento di
odio che influenza una persona che ha vissuto il rifiuto e che reitera
l'attitudine del rifiuto nei confronti di nuove persone adoperando a loro
discredito un aggravio di colpa, ovvero in risposta di alcuna attitudine
negativa o in presenza di una attitudine negativa non grave, la persona che vi
risponde attua nei suoi confronti una attitudine di qualità di gravità n volte
superiore.
L'inversione dei valori, molte delle
nostre attitudini quotidiane sono il frutto della inversione dei valori che è
cosa umana.
La domanda "perché agire cosi
adesso" è fondamentale Perché sto pensando cosi? Ciascun pensiero è
fondante una attitudine. Riflettiamo sulla arbitrarietà e relatività di
pensiero capiremo che ciascun movimento di ogni singolo è il risultato della
sua singolarità e unicità.
Assumere che ciascuno debba essere
chiamato al dialogo è solo una faccia della medaglia delle reciprocità che
vuole valorizzare l'iniziativa come valore fondante il movimento della
relazione, ovvero la sua esistenza e vitalità stessa, la seconda faccia della
medaglia vuole dunque assumere che si chiami attivamente al dialogo come
automatismo secondo cui la relazionalità sia un sistema più naturale e più
abituale della iniziativa di solitudine e di silenzio. Un secondo tema
importante è la libertà relazionale, tuttavia se l'equilibrio del dono di
libertà è sbilanciato la situazione relazionale degenera in uno sbilanciamento
di responsabilità relazionale - una
persona delega all'altra ogni libertà e
responsabilità assumendo dipende tutto da te - ed assumendo questo non si attua
che la realtà dell'abbandono è l’annichilimento della proprietà utile e buona
che chiamiamo collaborazione o
complicità.
Non lasciamoci soli, e soprattutto
cogliamo le situazioni di incontro non per procrastinare al futuro (nulla) la
relazionalità lasciandoci soli definendo ad esempio categorici limiti di tempo
per noi. Diamoci tempo ma non abbiamo troppa pazienza. La pazienza radicale
degenera in procrastinazione passiva la cui voce è l'inerzia.
La comunicazione assertiva
Le tre
tipologie caratteriali.
PASSIVITA’, AGGRESSIVITA’, ASSERTIVITA’
( ciascuno di noi è un connubio di esse e
ne manifesta una piuttosto un'altra in base al contesto al
ruolo relazionale, alla persona con cui
si relaziona e al tempo personale o in comunione a disposizione)
Assertività (Creatività relazionale)
passività, aggressività.( distruttività e
Stasi relazionale)
passività
Disamore, disaffettività, dubbio a
priori, distrazione, tergiversare,
colpevolizzare l'insicurezza e approfittarne,
indifferenza, apatia, dilatare
e sprecare il tempo di relazione ( Ci sarà tempo), non vedere l'essenza
dell'errore e non riconoscere di sbagliare
ovvero sentirsi nel giusto a priori,
attesa (tutto è dovuto
Indifferentemente dalla disponibilità di dare. gentilissima papà Grazie), sminuire, delegare, disistima, noncuranza, manifestare a priori delusione
aggressività
Non ascolto, Non lasciar parlare, generalizzare, radicalizzare il giudizio fattuale su una
negatività riconosciuta senza considerare le
positività, giudizio a priori,
antipatia, odio, invasione della
Libertà, l’accusa senza spiegazione implica l'impossibilità di migliorare.
sovente è una forma di difesa causata da
incomprensione incapacità di gestione,
precarietà di strumenti conoscitivi e di volontà di purificazione.
Le modalità passiva e aggressiva implicano
conseguenze spesso disattese e relazionalmente negative.
La mentalità della non difesa, il
vittimismo, il sembiante del pianto è secondo la misura della sensibilità
personale riconoscibile come aggressività. (A TRATTARE UNA PERSONA
APRIORISTICAMENTE DA NEGATIVA E DA MALINTENZIONATA LE SI INSEGNA A DIVENTARLO)
La delusione aprioristica: I giudizi sul
prossimo a priori: Non va mai bene nulla, è insufficiente, è diverso, è
inconoscibile, è chiuso caratterialmente…
assertività
Fiducia a priori, empatia, complicità,
collaborazione, chiarezza, gratificazione, gratitudine,
ascolto (SAPER ASCOLTARE, PER ESSERE ASCOLTATI), volontà di incontro e di comprensione, curiosità,
animosità, la domanda e l'interesse
sostituiscono l'imposizione l'attesa e l'apatia, incentivazione e buone aspettative a priori ( riconoscimento
di appartenenza relazionale,
propositività per il futuro in comunione, progettazione del tempo), comunicare l'errore sulla base di una
spiegazione e tuttavia parallelamente
riconoscere ciò che del prossimo è bene.
Riconoscimento e buona valutazione delle
attitudini altrui nonostante il contesto e l’ambiente relazionale.
La rivitalizzazione relazionale del
silenzio: Ad una mancata relazione rispondo con una nuova iniziativa
relazionale, ad esempio rispondo al silenzio con la parola.
Il rinnovamento relazionale, la
variabilità contestuale e ambientale – A ciascuno di noi è data la possibilità
di creare contesti e ambienti vari e non limitati e limitanti, promuovendo le
diverse singolarità come nuovi spiriti relazionali e non come muri tra noi.
Il rifiuto della delega: la tempestività nel vedere a priori i limiti
relazionali personali piuttosto che attribuire
le limitatezze che si giudicano aprioristicamente nel prossimo.
(mettersi nei panni del prossimo)
Il rifiuto dell‘Esigere: il dare a priori prima del pretendere.
Il
rifiuto della inesorabilità: la
coevoluzione relazionale: fin quando è
vita, è relazione, niente è
definitivo, ogni relazione è
Ridimensionabile, resuscitabile e implementabile.
L’autostima è strutturante l’Assertività.
L'assertività è purificazione dei caratteri passivo e
aggressivo. l'assertività implica un
investimento di energia ingente (Maggiore di passività e aggressività) per il
fine di relazionalità creative.
Tutti i conflitti e
attitudini aggressive e passive nascono dal non ascolto, da fondamentali equivoci. ( non è bene lasciare
il prossimo in uno stato non senso
relazionale e di equiivocità conflittuale irrisolta). Non si può non
comunicare. Altresì nel periodo di lontananza siamo in relazione – ascolto.
La comunicazione assertiva presuppone lo
scambio dialogico simmetrico:
Lo scambio dialogico simmetrico presuppone
l’equilibrio personale di diritti e di doveri reciproci, nonché l’equilibrio
dei giudizi di valore e stima tra coloro che si relazionano.
(Siamo sullo stesso piano). Le
comunicazioni passiva e aggressiva presuppongono e implicano le posizioni
(One-up and one-down) lo scambio dialogico asimmetrico e il disquilibrio
relazionale, la mancanza di rispetto, fino alla stasi relazionale o al tramonto
della relazione.
L’assertività dialogica è fondata sulla
struttura della Reciprocità – Non può esistere assertività e creatività
relazionale in mancanza di INIZIATIVA RELAZIONALE E COERENTE FEED BACK.
Per essere assertivi è necessario in primo
luogo andare a modificare tutti i pensieri che formulo, tutte e opinioni e
credenze che ho verso di me: La tolleranza.
L’esteriorità attitudinale è fondante la
comunicazione non verbale.
La comunicazione non verbale ha notevoli
implicazioni nella qualità relazionale:
Il movimento del corpo in relazione alla
creatività o distruttività relazionale ha maggiori implicazioni delle parole e
della intonazione. Per questo motivo è fondamentale riconoscere con serietà il
valore plasmante della superficialità.
Le dialettiche del mentire è riconoscibile
nell’incongruenza tra parole, movimenti del corpo e tonalità vocali.
“Non mi fido delle parole perché
nascondono molto e rivelano poco di ciò che è realmente importante e
significativo.”
“I mortali non sanno mantenere segreti. Se
le loro labbra sono silenziose, spettegolano con la punta delle dita: Il tradimento
si fa strada attraverso ogni poro della pelle.”
IL PRIMO FONDAMENTO DELLA CREATIVITA
RELAZIONALE E’ LA MEMORIA.
La dimenticanza implica il dovere iniziare
in ogni incontro relazionale la relazione sin dai primi albori: è inaccettabile
che due persone si relazionino analogamente al loro primo giorno di incontro
dopo un decennio di costante frequentazione – questa eventualità è sintomo di
precarietà empatica, affettiva e relazionale di una o di entrambe le persone.
Nonché la conoscenza dei valori e delle
esperienze e la consapevolezza dei punti di vista della persona con cui ci
relazioniamo. La relazione è una spiritualità creativa e conoscitiva in
divenire.
La comunicazione assertiva cerca una
sintesi armoniosa tra due variabili:
LA COESIONE.
Si parte insieme e si cammina insieme in
un rapporto basato sulla fiducia, la stima reciproca e l’accettazione delle
differenze, che produce un clima positivo.
L’ORIENTAMENTO AL RISULTATO. DOVE ANDIAMO
INSIEME ? QUANDO SARA’?
Premessa: La mentalità propositiva: Ideazione
di un percorso all’unisono ed attribuzione chiara e frutto di un confronto di
una meta reciproca, in ogni adesso ridimensionabile, riqualificabile o
alterabile e tuttavia non tergiversata e mantenuta nel lungo periodo con
serietà e urgenza. (A lungo e a breve termine)
Può essere legittimamente criticabile il
reciproco abbandono inesorabile.
Una donna o un uomo avente la propria
prospettiva, espressione della propria identità (dunque un 'vero') se dialoga con altri (' veri') può
'vedere' prospettive a lui/lei celate.
Le verità sarebbero secondo questo
pensiero il risultato di un arricchimento reciproco in grazia del dialogo tra
prospettive, identità:
Vi è dunque relazione tra la pace e le
verità:
Il reciproco ascolto e la coesistenza
delle prospettive* ovvero l'istaurarsi di un clima relazionale pacifico e
aperto alla ridefinizione delle idee e dei giudizi in seno alle idee
(risultanti dalla domanda, dall'ascolto e dalla parola) agevola la 'messa a
fuoco' della conoscenza della verità soggetto del dialogo.
*Affinché vi sia coesistenza di
prospettive deve esistere l'equilibrio di rilevanze fattuali che dispone che
ciascuna prospettiva partecipante al dialogo abbia diritto di parola, di essere
ascoltata ed accolta come esistente e conpartecipante in quanto sfumatura di
senso della verità, soggetto del dialogo,
ricercata e esaminata confrontando opinioni diverse.
La necessità della reciprocità e della
biunivocità relazionale.
La relazione sociale è considerata come
inter – azione = azione tra due agenti nella quale è centrale la mediazione
simbolica che l’uno esercita per l’altro, in quanto si suppone che la
rappresentazione del ‘self’ avvenga necessariamente attraverso l’altro.
Il dono relazionale: Fare passi verso chi
resta immobile o verso chi si allontana.
Il valore dell’intelligenza emotiva. La
curiosità.
Cosa significa ascoltare? Significa
domandare affinché non si fraintenda ciò che l’altro dice o non dice.
LA RIVITALIZZAZIONE RELAZIONALE
Pronunciamo abitudinariamente e
prematuramente fallimentari o non all’altezza di elevate aspettative o attese
situazioni che inizialmente prospettano a noi interesse e attrazione.
La necessità dell’estroversione.
Non possiamo leggere nella mente del
prossimo, dobbiamo comprendere che nella misura in cui comunichiamo possiamo
comprenderci e chiarirci.
Bibliografia: Baggio. F. (2017).
Assertività e training assertivo. Franco Angeli.
PRINCIPI DEL CAMBIAMENTO DEL REALE
Il principio di ovvietà conoscitiva in
quanto stima di probabilità della reale esistenza di una ipotesi di pensiero.
La ovvietà segue i principi di poche
categorie cardine e questi sono una costante che basta imparare come si impara
qualsiasi altra realtà.
LA PAROLA ALTERNATIVA LA SOVVERSIVITA’ DEL
CONSUETUDINARIO
Se la verità è una sfera e le prospettive
sono gli osservatori infiniti le cui rispettive prospettive riconoscono
ciascuna delle sue dimensioni variopinte del tempo e dello spazio, sii ciascuno
di essi - immedesimati nella loro singolarità e fa si che queste persone
entrino in dialogo tra loro nella tua fantasia relaziona tutte le diverse
prospettive che puoi gestire, come? Immagina di entrare in contatto con un
numero infinito di te stessi - così i puzzle della sfera della verità saranno
conciliabili nella misura in cui vi saranno coincidenze di pensiero - allora
rivela la tua sfera di pensiero incompleta ad una seconda persona e donate
vicendevolmente i puzzle mancanti con curiosità camminando insieme verso la
verità.
Perché? Per uscire dalla nostra culla.
ln ciascuno di noi resta una parola
indecifrata ma intelligibilmente avvolta dal mistero - è lo 0,01 % della nostra
volontà che può confutare il 99,9% della realtà che è inesorabile, destinata in
una alternativa la possibilità di essere il nostro destino - poni il tuo sguardo
verso l'impensabile, sii il compositore del futuro che è ancora da scrivere -
ci sono dei segni simboli del percorso della novità - il silenzio e il
"No", dell'inconsueto si ha paura, se il consuetudinario è la culla,
esci dalla culla, non ripetere il consuetudinario. Quando inizierai a sentire
il silenzio e il "No" significa che ti stai avventurando verso il mai
visto, verso il non pensabile, verso il nuovo, sarai il germoglio del
cambiamento.
LA INIZIATIVA AUTONOMA RELAZIONALE
IL METRONOMO DELL’AMISTÀ
Nonostante nulla sembrasse cambiare, la
nota della vita suonava per noi sebbene talvolta fummo distratti
dall'imperversare di melodie intemperanti, ma eravamo noi che non riuscimmo mai
a coglierne la dolce melodia:
l'asta del metronomo oscillava al ritmo di
note a cui noi siamo sensibili, ascoltiamo allora il destino che dice di noi le
parole che timidamente non sappiamo comunicarci, ci è dato dalla vita un
pianoforte che non vogliamo imparare a suonare lasciandoci cullare dal sogno
del pianista che suona per noi e diveniamo più attenti proprio quando l'asta si
ferma; ancora non sapevamo che proprio il silenzio sarebbe stato il nostro
inizio, quando ci svegliammo d'un sogno incantevole per imparare a leggere e a
scrivere le nostre note per essere compositori del nostro tempo sullo spartito
delle nostre possibilità.
LA SINCRONICITA’ COME FONTE NEGATIVA DI
PERCEZIONE DI NONSENSE COME DISSONANZA COGNITIVA IN RELAZIONE A COINCIDENZE
ATTITUDINALI SULLA BASE DELLA COSTANTE TEMPO PRESENTE E DELLA VARIABILE LUOGO
2 Esempi
L’AMBIENTE DELLA RELAZIONALITA’
Generalità attitudinali aventi rilevanza
fattuale nell’adesso in cui la persona è presente e partecipante come parte
attiva delle dinamiche comportamentali che si realizzano in un luogo.
La persona percepiente in questo caso deve
farsi carico del suo personale ambiente psicologico individuale e dell’ambiente
relazionale reale di cui è senziente – la persona sente (Percezione di
sentimento), vede,
La variabilità della iniziativa
comportamentale nel caso in cui una persona sia presente essenzialmente in un
dato ambiente relazionale è evidente in quanto ad essenza modificatrice
dialogica e senziente che collabora alle dinamiche di divenire dell’ambiente
relazionale – Il dialogo, l’ascolto, la compartecipazione affettiva… ATTIVE
hanno implicazioni palesi sulla modificazione dell’ambiente relazionale –
Proprio perché l’essenza percepiente connubia la qualità dell’ambiente
relazionale.
Un importante esempio che chiarifica la
dualità esperienziale di una persona che partecipa ad un contesto relazionale,
(Ovvero la realtà relazionale dialogica e la realtà di pensiero sincronico):
Pensiamo a due stanze prossime tra loro
separate da una porta chiusa dalla quale tuttavia sono percepibili i suoni
vicendevoli provenienti dalle due stanze:
In una stanza sono presenti alcune persone
che conversano tra loro, nella seconda stanza uno scrittore che sta scrivendo
con il computer la sua opera realizzando il suono iconico della pressione dei
tasti sulla tastiera – Allora si realizza che lo scrittore viene in ogni
istante influenzato dalla assenza relazionale delle persone che stanno
dialogando nella stanza prospiciente, e le stesse persone partecipanti
all’ambiente relazionale sono influenzate dalla assenza dello scrittore – (Esse
ad esempio potrebbero pensare mentre stanno dialogando – che cosa sta scrivendo
lo scrittore? Si realizzerebbe in loro lo spirito di curiosità, che ad esempio
condurrebbe una di loro ad aprire la porta della stanza per vedere che cosa lo
scrittore scrive. (Qui si evidenziano le implicazioni reali di una assenza.))
LA GENERALIZZAZIONE E LA
UNIVERSALIZZAZIONE DEL PENSIERO DELLO SPAZIO
Non perché accade lontano nel tempo e
nello spazio, non accade. La lontananza della segretezza è uno spettro
misterioso, tuttavia non è vero che non esiste concorrendo a colmare il vuoto
della verità e la segretezza si fa conoscere con la semplice chiave
dell'intuito.
PREMESSA
Le percezioni sono causali, ovvero
implicano una variazione del reale, la variabilità del reale non è indipendente
dal pensiero, il pensiero ha rilevanza fattuale. Vediamo come e perché:
Ora adduciamo all’esempio precedente la
abilità del pensiero di ciascuna persona di generalizzare e di
decontestualizzare la realtà relazionale presente e per raggiungere con il
pensiero una contestualizzazione lontana nello spazio mediante il sistema
immaginativo.
La virtualità è strumento garante della
decontestualizzazione sincronica del pensiero, semplifichiamo – Una persona tra
le quali che nella prima stanza dialogano tra loro guarda un social network in
cui riconosce la persona di cui è innamorato mentre bacia una altra persona –
Ed ecco che la qualità attiva relazionale della persona partecipante al dialogo
presente nel gruppo relazionale viene influenzata da una assenza (La persona
che ama), allora questa persona potrebbe sospendere di colpo la sua
intraprendente parlantina sostituendola con una espressione sul volto di
tristezza – Le altre persone percepirebbero questa variazione e domanderebbero
alla persona presente, “che cosa ti è successo per esserti rattristito in
questa maniera?”. Allora una persona assente che ha preso l’iniziativa di un
bacio ha influenzato l’intera dinamica di gruppo della prima stanza. Un secondo
esempio – Lo scrittore che stava scrivendo di fiabe nella seconda stanza
percepisce che nella prima stanza la televisione sta pubblicando il
telegiornale in cui annuncia l’imperversare della guerra in un altro stato –
L’assenza attitudinale nella stanza dei belligeranti, e tuttavia la loro
presenza sincronica in altro luogo implica ad esempio che lo scrittore desiste
dallo raccontare le fiabe e intraprende di li a poco gli studi di giornalismo –
per ottenere il potere carrieristico di argomentare pubblicamente il suo
dissenso verso la guerra. In questo secondo caso si evidenzia la abilità di
universalizzazione del pensiero e le implicazioni delle assenze attitudinali
personali sulla attitudine reciproca.
LA GENERALIZZAZIONE E LA
UNIVERSALIZZAZIONE DEL PENSIERO DEL TEMPO E IL SISTEMA MEMORIA
Ritorniamo all’esempio originario delle
due stanze – Ora vediamo la variabile del tempo di pensiero, non del tempo
sincronico reale, vediamo la decontestualizzazione mentale temporale passata
come assenza, implicazione di variazioni attitudinali del reale.
Per chiarire questo argomento basti
pensare che quando dialoghiamo con le persone ricordiamo, il nostro passato,
miliardi di sentimenti, miriadi di esperienze connubiano in ogni adesso la cui
attitudine che vi agiamo è sincronicamente influenzata e deviata da
relazionalità assenti ma che sono state – Chiariamo questa dinamica sincronica
con la definizione: “CIO’ CHE E’ STATO E’” Questa frase ha valenza filosofica e
realtà lessicale – La realtà della esistenza della parola “E’” connubia,
appartiene, è abbracciata nella complessità reale della frase:”CIO’ CHE E’
STATO”.
Il sistema memoria come sistema fondante
la resurrezione essenziale di una assenza.
La rilevanza fattuale globale di una
essenza vitale è plasmabile finché la persona vive – assunto questo, le
attitudini percepite dalle persone che hanno avuto relazione con una persona
defunta assumono nuova realtà presente nel momento in cui tali persone le
ricordano e le ripresentano.
la mentalità di non appartenenza e di non
privilegio comunitario.
La solitudine è una forma di mortificazione
essenziale e parallelamente la realizzazione della resurrezione relazionale e
della persona sola ha luogo nella misura delle possibilità in cui si riabilita
la catena delle reciprocità relazionali, ovvero nel momento in cui attivamente
o la persona sola, o le persone con cui lei ha avuto relazione compiono il
passo di incontro relazionale – La relazione è sempre reciproca, pertanto nella
univocità di relazione tra due persone, se una persona è sola, anche la seconda
persona compartecipante a tale relazione di lontananza è sola – tuttavia la
situazione di solitudine globale si realizza nel momento in cui una persona sia
globalmente sola, ovvero che questa debba gestire numerose relazioni di
lontananza e di silenzio affettivo relazionale, mentre non è detto che le
persone soggette alla relazione di lontananza e silenzio siano globalmente
sole.
Queste possono avere molti affetti ed
esserne pienamente soddisfatte da questi affetti, dunque si realizza che la
relazione con la relazione sola non compendi la felicità di queste persone già
felici – ed è sulla base di questa dinamica che lo status di solitudine globale
di una persona sola possa non divenire più relazionale. Inoltre la dinamica di
solitudine globale implica che la persona sola senta il profondo bisogno di
cercare le altre persone, ma soprattutto di essere cercati – in quanto la
dinamica del ‘cercare’ implica una valorizzazione essenziale del prossimo, la
solitudine globale può implicare una devalorizzazione e demoralizzazione
autoindotta che adduce una fragilità di iniziativa di valorizzazione del
prossimo – secondo quanto prescritto si dimostra che la minorazione di
autostima implica il bisogno delle persone sole globalmente di essere cercate e
stimate – in quanto l’iniziativa di incontro relazionale sia una mediazione di
valorizzazione del prossimo ed analogamente di coloro che valorizzano secondo
la logica della reciprocità relazionale secondo cui il bene che agisco verso il
prossimo/a lo agisco verso me stesso/a.
'La mia solitudine è garante della tua
libertà' ma il dono di libertà coincide secondo queste parole con una speculare
solitudine - secondo reciprocità relazionale secondo questo dono di libertà ad
una solitudine coincide una solitudine, potremmo avvicendare la relazionalità,
non la solitudine come dono e principio di libertà - a stare insieme ci
doniamo, aumentiamo il nostro tempo, non lo perdiamo, non lo diminuiamo.
Cambiamo le basi della reciprocità di relazione.
Il lungo periodo di lontananza relazionale
deve essere motivo di conciliazione non pretesto di fine relazionale definitiva
ed inesorabile. Il tempo di solitudine non risolve nulla, è in atto una vuota
procrastinazione relazionale e delega ad un futuro che rischia di non esistere.
Tutto è relativo al secondo ad adesso. Il dialogo reciproco è garante del
cambiamento, la solitudine cristallizza le vite.
Vogliamo esserci più utili? CHI RIFIUTA
PERDE, CHI ACCOGLIE GUADAGNA Esiste semplicemente una assenza di curiosità - la
curiosità è dono possibilità di rendimento. Se definiamo e attribuiamo ad una
persona il valore di nullità di non sufficiente - semplicemente neghiamo a
questa persona la possibilità di fiorire. Cl OSTACOLIAMO, NON È SINTOMO Dl
INTELLIGENZA. NÉ Dl CREATIVITÀ. Vogliamo scoprire il potenziale di una persona
che nominiamo nullità? NO QUASI MAI, Perché il nostro sistema valoriale Implica
l'annichilimento di tale persona. Pertanto neghiamo a noi stessi ciò che
nominiamo la possibilità della sorpresa o Resurrezione - la resurrezione non è
che la dimostrazione di una vitalità in seguito ad una mortalità che sa indotta
o autoindotta. IMPLICANDOCI UN SISTEMA RELAZIONALE FONDATO SULLA MORTIFICAZIONE
E NON SULLA VITALIZZAZIONE O SULLA RIVALUTIZZAZIONE_ SCEGLIAMO LA NOIA CHE E’
STASI SACRIFICANDO MOVIMENTO DELLA
CREATIVITÀ.
Il sistema di denigrazione è fondato sulla
limitatezza di giudizio esterno - nessuno ha ancora compreso bene il
significata della frase di Nietzche –Io sono questo - e quest’altro. C’è altro
da vedere e ci rendiamo ciechi in nome della incapacità di riconoscimento delle
singolarità latenti e velate del poliedro della essenza di ciascuna IO qui resto, e posso essere immensamente
di più. Dio mi ha lasciato più tempo.
L'aleatorietà è il ponte tra la fine e
l’inizio, la vita è in sé dono, la vita è in sé una rilevanza fattuale motrice
di cambiamento. il respiro muove l’aria. Avere luogo è una implicazione del
CAMBIAMENTO in relazione alla variazione di una presenza modificante il vuoto
della sua gemella assenza_ Qui usiamo lo Strumento della immaginazione • la
domanda che risulta questa realtà è, “Ma se questa realtà non fosse che cosa sarebbe?”
La essenza colma il vuoto. Questo è il
senso più profondo della vita, La essenza è meglio del vuoto, la vita è meglio
della morte. La solitudine è peggio della compagnia.
Riveliamo il vaso di pandora
Si disimpara a scrivere se non si scrive,
ma perché si scrive? Quale è il significato dello scrivere se non il comunicare
un messaggio il punto è a chi? Tuttavia può accadere che il chi smetta di
esistere. E se l'interlocutore non esiste non ha più senso scrivere non si ha
nulla da dire finché dopo anni di non scrittura si disimpara a scrivere, e ci
si ritrova nell'oblio della perdita di tempo. Ma quale è la causa di questa
perdita di facoltà, l'assenza dell'interlocutore ; ora il punto è che non siamo
più vicendevoli scrittori, incombe un vento di passività velenosa, nella
scrittura di lettere ci dovrebbe essere uno scambio reciproco di lettere. La
reciprocità è una parola sempre più rara e preziosa perché manca.
L'interlocutore è andato e andandosene che cosa ha dato? Il vuoto, un vuoto che
lo scrittore deve gestire, perdonare e assimilare, Dio non ha mai insegnato a
annichilire il prossimo.
Parliamo di noia - la noia esiste ed è una
delle cause per cui l'interlocutore se ne è andato inesorabilmente - la noia
può abbracciare tutte le negatività - tuttavia il limite risiede nella
resistenza al cambiamento - la noia può divenire? Secondo l'interlocutore no. E
della sua presa di posizione non se ne prende la responsabilità. La risposta è
che la noia può divenire solo se io e te ci impegniamo insieme per cambiarla -
dovremmo riuscire a intravedere Io spiraglio di vita nella fine. Il punto è il
problema dell'essere soli è che prima si disimpara a scrivere - ma lo stesso
discorso si ripercuote sulla parola - allora l'oratore diventa muto perché ha
disimparato a parlare?
Guardate che i veri muti sono coloro che
restando in silenzio con lei le hanno tolto la parola - ma la persona sola non
è più debole e non è meno intelligente, né meno noiosa, ad esempio lei non
parlando e non scrivendo pensa molto, e pensando molto a suo modo esprime nella
qualità del suo carattere la sua percezione della vita, ma esprime a chi?
A
nessuno, ma nessuno sono tutti, e tutti sono nessuno perché tutti hanno
condotto una vita umana all'inesistenza facendole perdere il senso stesso del
pensare, “cogito ergo sum”? Ah la memoria della persona sola è solo una povera
consolazione di ciò che è stato e di ciò che non è più - ma la memoria è
reciproca - non ricorda solo la persona sola tutte le persone che lei ha
incontrato ricordano - il problema è che preferiscono dimenticare lasciandola
sola delegandole la responsabilità. Allora la persona sola non scrive perché
non sa più scrivere, non parla perché non sa più parlare, non pensa perché non
ha più senso il pensiero, non ricorda perché ha imparato dagli altri a
dimenticare. E gradualmente la persona sola si sente più debole perché? Per le
sue numerose iniziative non accolte e non ricambiate - anche nei momenti in cui
sentiva di non potere continuare, lei continuava per una innata energia che
possedeva, lei era la sola predestinata a conoscere il profondo senso della
resurrezione. Avrebbe avuto molto da insegnare ma era sola, a chi insegnava?
Lei ebbe disimparato ad ascoltare, chi
ascoltava? Ad una ad una perdeva ogni sua abilità finché incontrò la fine, il
nulla, che cosa è la fine? La perdita di ogni collegamento sostanziale con la
realtà il non sapere ciò che accade, il non capire ciò che potrebbe accadere,
la rivalutazione del tempo che diviene più pesante perché ci si accorge che ciascuna
realtà personale e relazionale accade simultaneamente secondo dopo secondo - la
vita è relazionalità - la relazionalità termina con il termine della vita non
prima.
Fu in quel momento che acquisì un livello
superiore di consapevolezza - ogni secondo di vita è possibilità - e il suo
atto nella relazione con le altre persone è resurrezione - lei comprese che
persino la follia è un bene, è importante perché è oltre il limite che
cristallizza ogni sistema di dialogo e di relazione, la follia realizza l'assurdo
è rivoluzionaria, sblocca ciò che è latente, la follia è sorpresa, realizza ciò
che è inaspettato, realizza l'impossibilità, crede nella vita perché è oltre il
limite della negazione.
La follia è garante della vita nel vuoto
della solitudine tanto è che con tenacia la persona sola imparò nuovamente a
scrivere a parlare a pensare a ricordare, ma fu superiore alle altre persone
poiché lei perdonò agendo ciò che le altre persone per lungo tempo non ebbero
mai agito con lei, le incontrò, tante persone non poté più incontrarle perché
non volevano essere incontrate - allora lei capì l'importanza del dono di
libertà. Il fatto è che agiamo in ottemperanza di ciò che vogliamo, ma è
davvero sempre così? No, non sempre dimostriamo coerenza con il nostro sentire
e volere, la volontà relazionale è umana e naturale? Amerei fosse così e la
chiave è la reciprocità.
Allora lei fu accolta, fu congedata, fu
perdonata, ma lei incontrando la fine aveva compreso la varietà della vita.
Alcune persone la incontrarono e videro in lei una luce inconsueta, rara, il
suo ascolto era Saturo di cosentimento lei aveva sofferto più delle altre
persone e accettava, abbracciava e capiva ogni loro realtà.
LA NORMALITA’ DELLA FOLLIA COME EMISFERO
STRUTTURALE DEL MINDSET OLISTICO DUALE UMANO – (RAZIONALITA’) – (IRRAZIONALITA’
ISTINTIVITA’ EMOTIVITA’ SUBCONSCIO) – LE DEVIANZE NEVROTICHE SONO
CARATTERIZZANTI L’UNICUM DELLA ESSENZA.
La follia può essere l'abilità
intelligente di potere eludere o mistificare la realtà, possibilità tale dall'essere
garante dell'oltrepassare ogni impasse che la sola razionalità non ti
permetterebbe di sopravvivere e assimilare come nuova saggezza, strumento
attitudinale, capacità e consapevolezza.
Niente è un caso, la complessità di ogni
secondo ha senso, impegnarsi ad essere talmente perspicaci e intelligenti da
assimilare ogni relazione per raggiungere la consapevolezza della complessità è
importante, calcolare tutte le possibilità e stimare la probabilità più elevata
per raggiungere le possibilltà più esatte, Relativamente alla varietà e alla
variabilità delle possibilità, Perché non pensiamo diversamente? Perché non
agiamo diversamente? Forse saremmo stati più sani e meno folle, Ma la
distinzione tra sanità e follia è labile, sanità e follia sono un connubio applicate
alla relatività contestuale. La scelta è unica tra la varietà della possibilità
- (tanto è che una delle Nevrosi più evidenti è la astinenza decisionale, la
procrastinazione) ed il fatto che scegli è manifestazione della tua unica
sfumatura di pensiero, la medesima vastità di possibilità di pensiero di cui si
è dotati è caratterizzante la nostra flessibilità psicologica ed è relativa
alla nostra unica storia e unicità essenziale, i bambini possiedono più
flessibilità di pensiero degli adulti, se avessi scelto diversamente avresti
avuto il medesimo mindset di coloro che scelsero diversamente, e nel caso in
cui essi siano la minoranza non c'è nessun fondamento che pronuncia la
veridicità del pensiero (il mindset della minoranza è follia mentre il mindset
della maggioranza è Intelligenza) riconosci che si tratta di relatività di
pensiero, pertanto ciascun pensiero e
scelta attitudinale è simultaneamente sintomo di sanità e di devianza.
Non è possibile non pensare.
Il mindset è caratterizzante la unicità
essenziale di ciacuna persona ed è fondante il suo olismo attitudinale –
L’olismo del mindset individuale è il connubio nelle variabili di spazio,
tempo, qualità subconscie, abilità mnemoniche, percezioni sensoriali,
percezioni emotive, istintività, realtà immaginative oniriche, percezioni della
qualità dell’ambiente reale, ragionamento – Tali e altre variabili sono
costitutive delle sottocategorie sistemiche che nominiamo devianze nevrotiche
psicologiche sane costitutive della unicità di mindset individuale che trovano
rivelazione nella unica qualità di attitudine individuale. La analogia
strutturale essenziale sistemica del mindset individuale decade di senso ogni
presunzione di superiorità intellettiva di una persona su una seconda persona.
Si evince semplicemente l’incremento di potenzialità abilitativa in una facoltà
piuttosto che in una altra – ma tale variabilità non è fondamento e criterio
umano essenziale di superiorità essenziale – Ad esempio – non ha senso privilegiare
l’intelletto all’intuito – Vi sono personalità che hanno elevato le loro
abilità intellettive razionali, (L’emisfero razionale)pensiamo agli illustri
scienziati o letterati – Vi sono personalità che hanno elevato le loro abilità
intuitive (L’emisfero emozionale intuitivo) – pensiamo agli illustri saggi
mistici – Ma arriviamo al punto – non ha alcun fondamento ontologico la stima
di misura valoriale essenziale degli uni rispetto agli altri – ma estendiamo
questa dinamica di ragionamento – annettiamo la categoria di coloro che non
hanno adottato alcuna attitudine al fine di elevare le loro potenzialità
intellettive – parliamo delle personalità di miseriae intellettiva – allora
perché non pronunciamo essi stessi personalità illustri? I contadini non involvono
forse nell’atto del coltivare la resilienza intellettiva tale da ottimizzare il
rendimento della coltura?
Sono essi medesimi intelligenti – essi
hanno ad esempio una resilienza alla tensione lavorativa la cui qualità
valoriale potrebbe non appartenere agli studiosi – pertanto comprendiamo che la
variabile contestuale di intraprendenza fattuale premia analogamente chiunque
istituendo una non gerarchia valoriale essenziale e attitudinale.
La vita è in sé valore essenziale pertanto
decade di senso il giudizio di minorazione valoriale nei confronti di coloro
che realizzano della inazione il loro valore esistenziale. Il valore personale
essenziale è intrinseco alla vita stessa di ogni persona, il valore essenziale
non è riducibile allo spirito di intraprendenza carrieristico, il valore
essenziale è indipendente dall'incremento del numero e della qualità di
obiettivi da raggiungere - la stima valoriale di ogni persona non è misurabile
sulla base dell'ottenimento di riconoscimenti sociali conseguenti ad attitudini
socialmente riconosciute buone e benefiche come il conseguimento degli studi,
ed il passo di ogni scalino varcato al superamento di ogni esame, come
l'impegno quotidiano lavorativo carrieristico, come l'arricchimento, tutti
questi ingredienti compendiano la situazione di vita di ciascuna persona, non
la sua essenza - la essenza si esplica nel termine - IO SONO, ed è relativa al
valore intrinseco di ciascuna vita, indifferentemente dalle aggettivazione
relative a questa essenza. Poniamo danno attribuendo misura valoriale
all'aggettivazione fraintendendola con l'essenza poiché in tal modo diamo
realtà a ciò che non è valore, al disvalore apparente, che percepiamo come
disvalore essenziale - allora finiamo a discriminare e a e arginare, istituiamo
la esclusività relazionale - assumiamo per esempio che la vita essenziale di
chi non studia vale essenzialmente di meno, che la vita dei poveri vale di
meno, che la persona avente differenza di pensiero è essenzialmente
disistimabile. Mi seguite?
La aggettivazione e la attribuzione di una
condizione di vita implica il giudizio valoriale in relazione alla essenza
personale ma non dovrebbe implicarlo poiché stiamo giudicando la percezione
soggettiva attitudinale non la essenza - in più la aggettivazione implica due
importanti gravi fenomeni - la delimitazione della assenza: Sostenere - "
Lui/lei è _______ è" minorativo rispetto al riconoscimento della essenza
" Lui/lei è." poiché la aggettivazione determina il riconoscimento di
un solo lato del poliedro essenziale trascurando e annichilendola gli altri.
Una seconda grave implicazione della aggettivazione percettiva è la
falsificazione reale che il giudicante realizza semplicemente osservando e
costituendo della sua percezione (la percezione è una falsificazione risultante
da un giudizio in quanto a percorso conoscitivo avente rilevanza fattuale
creativa o distruttiva della essenza giudicata - la aggettivazione come
percezione adduce alla pura essenza dell'osservato il mindset (cultura, tempra
caratteriale, volontà egoistica, deresponsabilizzazione, delega, intento di
superiorità...) dell'osservatore che appunto falsifica mediante osservazione e
attitudine attiva la pura essenza dell'osservato. In più a livello dialogico si
instaurano le dinamiche falsificanti della soggettiva attribuzione contestuale
- di ciascuna parola pronunciata l'ascoltatore attribuisce qualità e rilevanza
e misura valoriale arbitraria contestuale delle parole che ascolta in più
attribuendo ad esse valore di giudizio 'essenziale' di cui l'oratore deve farsi
carico e responsabilità, non delle parole che egli/lei pronuncia bensì della
percezione arbitraria e della variabilità di giudizio contestuale dei suoi
ascoltatori. Per concludere. La qualità valoriale della mia esistenza è già
data poiché semplicemente vivo, non in misura e in qualità della mia
intraprendenza o del raggiungimento o meno di obiettivi.
Rischieremmo di creare ansie inutili - che
oggi imperversano ovunque - adducendo che le persone valgono per gli obiettivi
che superano - non è così, immagino tutti coloro che hanno tentato e non sono
riusciti - essi probabilmente si sono sentiti falliti perché la società ha
innestato nelle menti il mindset dell'ambizione e della competitività -
tuttavia essi dovrebbero restare sereni e integri nella loro essenza poiché il
valore della loro essenza è di essi che nemmeno provano a intraprendere le
dinamiche sociali relazionali carrieristiche è immanente, ILLIBATA e intrinseca
al semplice battito del loro cuore e alle pulsioni elettriche del loro
cervello, ciascun cervello è intelligente e saggio in quanto artefice di
unicità attitudinali.
Nessuno è più 'intelligente', ciascuno è
intelligente, semplicemente ciascuno vive secondo le peculiarità conoscitive
che gli appartengono ma in quanto al risultato attitudinale non è vero che la
qualità e la quantità di strumenti conoscitivi di ciascuno implichino un valore
personale maggiore. Le persone la cui stima è di povertà e miserevolezza
mnemonico-conoscitiva possono essere ad esempio moralmente più ricche e più
disponibili alla gratuità dimostrando più valore personale di ciò che li è
attribuito, il risultato? Ad esempio lo stolto sul livello
mnemonico-intellettivo potrebbe essere estremamente intelligente sul piano
emotivo-sensibile-morale, ed essendo povero di una singolarità (l'intelligenza
mnemonica) realizza relativamente alla singolarità della gratuità dimostrando
inoltre buone qualità nella singolarità della moralità. Perché l’inazione può essere stimata
valorialmente buona e benefica? Ad esempio in quelle dinamiche in cui si agisce
l’inazione e non la iniziativa di violenza interpersonale.
Ora si considera il principio di
autorevolezza decisionale sul prossimo, ciascuna complessità di pensiero che in
ogni istante esiste nella mente di ciascuna persona o a la sequenza di
attitudini che non possono che implicare un effetto decisionale sul prossimo
sono effetto di mindset di devianze nevrotiche sane, tutti giudicano perché il
giudizio è in sé una attitudine decisionale attiva, ma pochi sono giudici
giusti. La complessità di pensiero è un connubio di coscienza, razionalità e
subconscio la cui complessa combinazione rende un assurdo il valore di
autorevolezza decisionale e l'attività decisionale In quanto a diritto di
potere decisionale di un mindset su un secondo mindset. In più il subconscio
aggiunge il principio di arbitrarietà caotica ad ogni attitudine decisionale.
Pertanto abbiamo compreso la delicatezza del tema del diritto di decisione
sulla vita presente altrui, ciascuno oggi si fa re del principio di
autorevolezza decisionale, si delibera sul prossimo con leggerezza
quotidianamente inesorabilmente, ciascuno dovrebbe riconoscere che non è un
caso che i giudici debbano essere persone con una solidità, flessibilità e
maturità di pensiero solo raggiungibile mediante anni di studio e di
esperienza, la superiorità eccelsa conoscitivo-mnemonico-morale non è uno
strumento di tutti non fingiamo che Io sia perché gli stolti che si fanno
giudici creano danni.
Una intelligenza è una follia se annichilisce
la esistenza di nuove mentalità, ciò che chiamiamo intelligenza è una
omologazione e standardizzazione conformista di una maggioranza diveniente
assolutista in quanto impositrice delle mentalità alternative più fragili - ciò
che nominiamo le Mentalità non sono che devianze risultanti dall'annichilimento
delle mentalità devianti più fragili, la fragilità di pensiero in traduzione
dell'inclinazione al credo di ciascuna maggioranza è causata dalla non
integrità di pensiero ovvero il mancato autoriconoscimento della resilienza
della personale autonomia di pensiero come sana singolarità di pensiero e
attitudinale indipendentemente dalla gentile concessione del mindset
comunitario che prescrive il dovere di pensare una realtà e non una sua
possibile alternativa.
L'etica del pregiudizio applicata alla
passività attitudinale e alla delega di responsabilità relazionale.
Il silenzio (due persone sconosciute si
siedono vicine su un prato. Ciascuna di loro delega la relazionalità, nessuno
parla, mentre ciascuno pensa "che antipatico/a lui/lei che non mi rivolge
la parola e i l saluto" Mentre colui/colei che sta pensando questo è lei/lui stesso
essenzialmente antipatico/a poiché restando in silenzio attua la medesima
negatività che critica nel prossimo. La delega di responsabilità è lo specchio
di una devianza caratteriale di aggressività passiva, di egoismo e mentalità di
superiorità.
La procrastinazione è una scelta
folle. Disse una persona. Ma un uomo compromise gravemente la sua vita per un
comportamento impetuoso, una seconda persona disse: Saresti stato più sano se
avessi pazientato e procrastinato"
"Niente è un Caso, la complessità di ogni secondo ha
senso, impegnarsi ad essere talmente perspicaci e intelligenti da assimilare
ogni relazione per raggiungere la consapevolezza della complessità è
importante, calcolare tutte le possibilità e stimare la probabilità più elevata
per raggiungere le possibilità più esatte." Ad esempio se pronunciate
questo pensiero ad un laureato/a in filosofia o in matematica - lei non vi attribuirebbe
il giudizio di persona folle ma giudicherebbe il vostro pensiero interessante e
ne parlerebbe con voi valorizzandovi approfondendo la relazione. Provate a
parlare così ad un pescatore, egli vi riterrà folle e vi allontanerà. Cosi voi
siete sani e intelligenti per un matematico o filosofo e folli per un
pescatore. E non è esatto giudicare il pescatore folle e il matematico sano,
Applicate la mentalità di relatività di pensiero e di singolarità di sana
devianza ad ogni pluralità contestuale e raggiungerete una delle
consapevolezze più elevate possibili della nostra realtà. Parliamo della
marginalità di pensiero o limite di mentalità locale, chi ha viaggiato in più
continenti o chi legge comprende bene - la marginalità limite di mentalità
locale, esso è un limite o devianza di inflessibilità e inesorabilità che
implica la auto imposizione di non ammissibilità di un mindset che non coincide
con il proprio o che dimostra orizzonti più vasti del mindset personale
riconosciuti come virus psicologici da eliminare, inoltre si può riconoscere
impermeabilità di pensiero (non contaminazione) nella inflessibilità una indisposizione
alla possibilità di cambiamento e nella inesorabilità della limitatezza mentale
ad imporre i propri vincoli di pensiero nelle mentalità più aperte.
Tuttavia relativamente alla singolarità di sana devianza e relatività
contestuale possiamo attribuire lo status di follia e di sanità sia alla Marginalità
di pensiero, sia alla illimitatezza di mentalità.
IL SISTEMA FANTASIA E SOGNO FUTURO COME
DECONTESTUALIZZAZIONE SINCRONICA DEL REALE
Ritorniamo all’esempio originario delle
due stanze – Ora vediamo la variabile del tempo di pensiero, non del tempo
sincronico reale, vediamo la decontestualizzazione mentale temporale come
sistema di previsione futura e come decontestualizzazione nel sistema del non
tempo della fantasia come assenza implicazione di variazioni attitudinali del
reale.
Per chiarire questo argomento basti
pensare che quando dialoghiamo con le persone fantastichiamo – Ovvero attuiamo
una decontestualizzazione che è più precisamente una astrazione del pensiero –
Secondo questa dinamica il silenzio del nostro pensiero in un sistema di gruppo
implica una variazione del piano dialogico del gruppo dalla concretezza del
reale al sistema immaginario surreale.
La decontestualizzazione temporale tra
pensiero futuro e reale presente in relazione alla dinamica di sfiducia
relazionale:
Consideriamo la parola indefettibile, è
una parola che associamo alla divina tuttavia. Quante volte attribuiamo la
realtà di indefettibilità di giudizio a noi stessi? Spesso. Quando applichiamo la aleatorietà di
un immediato futuro al nostro presente ovvero realizzando nell'adesso un futuro
che inventiamo e presumiamo probabile che non è che una previsione attitudinale
e stima di offensività attiva o passiva del prossimo che si rivela con
probabilità elevata falsa poiché frutto dell’immaginazione. Ovvero una
rielaborazione frutto di numerose variabili soggettive falsificanti l’atto puro
della persona che si osserva compiere una azione e di cui si immagina una
reazione futura diversa – l’esempio voce è rappresentato dalle parole - (so
'ora' come sarai) - tuttavia la mentalità di negatività futura percepita
solitamente implica una attività presente di offensività passiva. Elevazione
della difensività) o attiva • facciamo un esempio - la percezione del fuori
luogo di una persona implica l’istinto di allontanamento della persona da
quell'ambiente • tuttavia l'essenzialità è in essere il diritto di avere luogo.
Aggiungerei relazionale. Il semplice
saluto tra sconosciuti - ad un saluto corrisponde il silenzio perché. Per
indifferenza o per la mentalità di possibilità aleatoria di futura offensività
che attribuiamo al prossimo.
Esponiamo un esempio più focalizzato sul
tema di dissonanza tra pensiero e reale:
Ipotizziamo che due persone siano state in
una situazione relazionale di reciproco litigio. Queste due persone avrebbero
litigato in una stanza – una delle due persone è uscita dalla porta
educatamente.
Dopo il periodo di tempo di una ora questa
persona prova a rientrare nella stanza con l’intenzione di fare la pace con la
persona con cui ebbe litigato – quando la persona nella stanza vede
dall’occhiello della porta la persona con cui ebbe litigato lei chiude la porta
a chiave – La persona chiusa fuori dalla porta si demoralizza, si rattrista e
desiste dal provare a riconciliarsi con la persona nella stanza, nel suo
mindset l’atto della porta chiusa a chiave ha implicato la positività di
intenzionalità di incontro relazionale con la negatività della disistima
valoriale della persona che la ha diniegata. Ma cosa è accaduto nel mindset
della persona che ha chiuso la porta a chiave? Lei ha proiettato l’idea falsa
che la persona sarebbe ritornata per litigare nuovamente con lei non per
riappacificarsi. La falsificazione percettiva e la istintività attitudinale
psicologiche hanno pertanto implicato variazioni qualitative della realtà
relazionale tra queste due persone.
LA SURREALITA’ E’ LA REALIZZAZIONE NEL
REALE PRESENTE DELLE CONTESTUALITA’ SOGGETTIVE IMMAGINATIVE.
IL SOGNO FUTURO COME DECONTESTUALIZZAZIONE
Ad esempio le persone possono avere come
spirito di intraprendenza attitudinale il pensiero (I HAVE A DREAM) esse stesse
fondano le loro attitudini presenti su una possibile realizzazione lontana nel
tempo, futura, che ora non esiste – Canoniche relative a queste dinamiche di
pensiero sono le scelte carrieristiche universitarie o la ambizione strutturale
mentale della idea del matrimonio futuro di una persona molto giovane.
Ci sono metriche psicologiche dissimili
rispetto alla percezione soggettiva valoriale del tempo, c’è chi pone come
metro di misura vitale reale il secondo – chi gestisce la quotidianità reale
sulla base di realizzazioni a lungo termine, altresì di decenni – Tali seconde
personalità essenziali possono incorrere tuttavia in gravi dissonanze di
percezione nella misura in cui si realizza la eventualità che incombano
nell’arco di tempo tra il presente e la lontana ambizione futura variabili
reali non conciliabili o che comunque ostacolano tale realizzazione nella loro
vita del loro sogno futuro.
IL METRO DI MISURA VALORIALE TEMPORALE
DELL’ADESSO COME MANIFESTAZIONE E RIVOLUZIONE SINCRONICHE – L’UNIVERSO DEL
SECONDO E GLI ISTANTI PRIORITARI
ISTANTI PRIORITARI
Potremmo inventare una teoria, chiamiamola
la teoria 'degli istanti prioritari' secondo cui tra i miliardi di istanti
della vita di ciascuno alcuni di essi sono fondamentali poiché devianti
radicalmente il percorso di vita di ciascuno. Contesti di rilevanza dei secondi
prioritari sono relativi - ad esempio sia la variabile della solitudine, sia la
variabile della relazione possono essere contesti utili alla esistenza degli
istanti prioritari. Pensiamo ad uno studioso che reinventa una scienza in
solitudine • e parallelamente pensiamo al cantante che realizza un concerto in
relazione a milioni di persone. Il principio attitudinale potrebbe prevedere
che per essere preparati ad affrontare giustamente gli istanti prioritari della
sua vita debba credere che ciascun istante della sua vita sia prioritario - ad
esempio gli istanti di preparazione ad un esame sono prioritari poiché
concorrono alla buona riuscita dell'esame i cui istanti sono prioritari.
Esistono istanti di vita prioritari?
Sarebbero quei secondi che impieghi una vita per agirvi giustamente e che
rimpiangeresti la vita se non riuscissi a gestire quei secondi adeguatamente. È
vero che quei secondi definiscono inesorabilmente una direzione? È vero che il
battito d'ali di una farfalla implica un tornado lontano?
Amo credere che la direzione sia
reversibile, c'è una possibilità alternativa all'inesorabilità.
Tuttavia occhi più umani perdonerebbero
l'incertezza del trovarvisi li impreparati e si riconoscerebbe in verità che
ciascun istante della vita possa cambiare un destino inesorabile che sembra un
muro e che è in verità un ponte. Ciascun istante può essere un istante
prioritario.
Allora distinguiamo tra istanti concorrenti e istanti
prioritari. Gli istanti concorrenti sono il tempo che concorrono alla buona
riuscita del compimento degli istanti prioritari. La buona riuscita degli
istanti prioritari può dipendere dalla resilienza, perseveranza e quotidianità
delle attitudini buone realizzate nel tempo degli istanti concorrenti. La
seconda chiave utile al buon conseguimento degli istanti prioritari è la
coerenza - ovvero il conciliare il continuum degli istanti concorrenti con la qualità
degli istanti prioritari. Solitamente il tempo degli istanti prioritari è
caratterizzato da contesti di ipersensibilità relazionale e severità - ln quei
momenti non si deve e non si può sbagliare - altrimenti? Altrimenti la
direzione della nostra vita devia verso contesti ambientali imprevisti, o
avversi o inconciliabili con il nostro mindset. Vi è una seconda teoria
relativa al butterfly EFFECT (attrattore di Lorenz) che possiamo applicare alla
dialettica di relazione - il battito d'ali di una farfalla implica lontano un
uragano - pertanto è bene stare accorti quando attribuiamo scontatezza alle
realtà della nostra vita poiché possono essere proprio quelle banali realtà a
implicare una variazione grave del nostro destino o del destino del prossimo - la
premura relazionale prescriverebbe di intendere il prossimo gracile come una
foglia - estremizzando si intende che una attitudine di negatività lieve può
implicare nel prossimo gravi status di sofferenza. Non sempre è così ma può
succedere.
C'è chi ha voluto nuotare l'oceano
dell'improbabilità ed ivi vi ha trovato la sua nave di possibilità:
Un gruppo consuetudinario di giovani si
incontrò per anni, un appartenente al gruppo si separò da loro per molto tempo,
tuttavia il suo allontanamento non fu definitivo, egli ritornò non fu rifiutato
e fu accolto come prima. Si riconoscono gli istanti prioritari nell'esempio del
perdono, in verità quando nell'occasione del primo incontro insieme seduti intorno
al tavolo, un amico tra i presenti si assentò per alcuni secondi dalla stanza,
egli voleva comunicare a colui che era ritornato. "Vedi? Come me, ci siamo
lasciati per un attimo, (furono anni di lontananza relazionale) e adesso siamo
nuovamente insieme, va tutto bene."
IL SISTEMA ONIRICO E SUBCONSCIO COME
DECONTESTUALIZZAZIONE SINCRONICA DEL REALE
Ritorniamo all’esempio originario delle
due stanze – Ora vediamo la variabile del tempo di pensiero, non del tempo
sincronico reale, vediamo la decontestualizzazione mentale temporale come
sistema di previsione futura e come decontestualizzazione nel sistema del non
tempo della fantasia come assenza implicazione di variazioni attitudinali del
reale.
IL SUBCONSCIO COME Aleatorietà
L’AMBIENTE DELLA SOLITUDINE E LE
IMPLICAZIONI DEL MINDSET SINCRONICO SULL’AMBIENTE DI PENSIERO INDIVIDUALE
Il pensiero individuale adduce al reale la
abilità della immaginazione come pensiero di sincronizzazione tra la rea
La creatività attitudinale velata.
La assenza essenziale di una persona ha
analoga rilevanza fattuale rispetto alla dinamica di presenza in un ambiente
relazionale.
La VITA, intesa come essenza vitale, ha
comunque rilevanza fattuale e modificatrice della realtà sia nella dinamica di
solitudine, sia nella dinamica di relazionalità. (La rilevanza modificatrice
attiva nella dinamica della relazionalità della persona percepiente è stata
precedentemente descritta).
Ora argomentiamo la realtà della influenza
come rilevanza fattuale di una assenza sugli altri presenti ambienti
relazionali.
Le implicazioni sociali di una persona che
resta in solitudine:
Ora, per argomentare questo punto è
necessaria una premessa – L’influenza modificatrice di un sistema relazionale
esiste in grazia di una aprioristica passata partecipazione della persona ora
sola in tali altre dinamiche relazionali:
IL SOLIDO RELAZIONALE
RELAZIONE TRA FISICA – FILOSOFIA
RELAZIONALE
Concezione filosofico – relazionale
conciliata con la dinamica fisica delle tensioni interne normali al piano di
sezione di un solido sezionato
Assimilazione metaforica tra solido non
sezionato e status relazionale di unione tra due persone.
Assimilazione metaforica tra solido
sezionato e status relazionale di separazione tra due persone
Assimilazione metaforica tra le due parti
costituenti il solido sezionato e la lontananza psicologica e reale tra le due
persone separate che psicologicamente sincronicamente si risolve nella pulsione
di riavvicinamento.
Quali dinamiche fisiche intercorrono in
relazione alla dinamica della sezione del solido.
G. Petrucci “Lezioni di Costruzione di
Macchine”
1. 1
1. LO STATO TENSIONALE NEI SOLIDI
Un solido tridimensionale è un corpo
continuo che occupa una regione dello spazio 3D di volume V, delimitata dalla
superficie S. Una parte della superficie S
può essere vincolata all’esterno in modo che gli spostamenti dei punti
appartenenti a essa siano impediti.
Tensioni
L'oggetto dell'analisi è un solido
tridimensionale in equilibrio sotto l’azione di forze esterne di massa e di
superficie.
L’unica ipotesi fatta sul materiale che lo
costituisce è che sia continuo, per cui non vengono considerate le azioni
scambiate tra particelle e a livello di
dimensioni molecolari.
Si suppone valida l’ipotesi di Cauchy
secondo cui le forze che si scambiano le parti del corpo in un elemento
infinitesimo di superficie sono riducibili
alla sola forza risultante applicata in un punto interno dell’elemento stesso.
Per esaminare gli effetti del sistema di
forze si può immaginare il corpo diviso in due parti: affinché ciascuna parte
resti in equilibrio è necessario applicare
un sistema di forze esterne distribuite sulla superficie di separazione. Questo
sistema di forze è equivalente all’azione
che l’altra parte del corpo applicava prima della recisione.
Fig.1.1 - Forze interne agenti su un
elemento di superficie centrato nel punto P, in un solido caricato da forze
esterne e tensioni agenti in P.
La fig.1 mostra il corpo tagliato da un
piano parallelo al piano yz. La sua giacitura è individuata dal versore
nx=[1 0 0]T parallelo alla direzione x, le
cui componenti sono i coseni direttori della retta di direzione x. Se si
considera
un elemento di superficie centrato in un
punto P di coordinate P=(x,y,z) e si effettua la somma di tutte le
forze agenti su di esso indicando il
risultante con, si definisce vettore tensione px, agente nel punto P.
Con il passaggio al limite le componenti
di tensione sono associate a un singolo punto P. In generale il vettore
tensione e le sue componenti assumono
valori diversi in ciascun punto della superficie di separazione e ovviamente in
ciascun punto del solido cioè
px=px(x,y,z)=px(P), essendo P il vettore le cui componenti sono le coordinate
cartesiane
del punto.
Le forze sono dirette lungo l’asse x
normale all’area A e quindi sono chiamate rispettivamente forza normale e
tensione normale.
Argomenti
Teorema di Cauchy – lo stress – La realtà
di stress fisico che la realtà di sezione implica nel solido sezionato è
metaforicamente assimilabile allo status di stress come dissonanza cognitiva
conseguente a rottura relazionale come dissonanza cognitiva indotta da
sincronismo tra realtà di assenza e lontananza della persona con cui si è
esperita la rottura e la coincidenza del pensiero presente del passato
relazionale che si attualizza.
Una ulteriore considerazione è che le
forze esterne che fisicamente implicano il taglio del solido possono essere
assimilate sul piano relazionale alle vicissitudini reali che la coppia vive in
relazione altresì alle influenze reali che le altre persone agiscono
sull’olismo relazionale metaforicamente caratterizzato da solido fisico.
PULSIONE CONTRARIA ALLA SEPARAZIONE
Vale il principio di azione – reazione IN
RELAZIONE ALLA DINAMICA RELAZIONALE DELLA ROTTURA RELAZIONALE
«A un'azione è sempre opposta un'uguale
reazione: ovvero, le azioni vicendevoli di due corpi l'uno sull'altro sono
sempre uguali e dirette verso parti opposte.»
LA
ROTTURA RELAZIONALE IMPLICA LA PULSIONE DI RIAVVICINAMENTO RELAZIONALE.
Il concetto argomentativo che esemplifica
questa dinamica è il “Lei/lui non c’è più qui”
I pronomi personali Lui/lei prescrivono la
conoscenza delle persone partecipanti alla dinamica presente relazionale della
persona assente, la negazione essenziale “Non c’é” argomenta la tesi che sto
affrontando – ovvero che una assenza crea implicazioni di un ambiente sociale
proprio in quanto a dissonanza cognitiva di percezione delle persone di una
assenza di una esistenza presente in altro luogo – IL NON ESSERE RELAZIONALE HA
ANALOGHE RILEVANZE FATTUALI RISPETTO ALL’ESSERE RELAZIONALE, questa dissonanza
cognitiva è fonte del sentimento affettivo del “mancarsi”.
LA TEORIA DELLE DOMANDE SINCRONICHE
AFFETTE DA GENERALITÀ
Introduzione
La GENERALITÀ DEL DOVE è un peso grave da sopportare. Queste
domande, a maggior ragione se poste virtualmente in anonimo, se non possiamo
riconoscere il nome della persona che sta domandando, questa persona potrebbe
essere chiunque. Ad esempio una tra tutte le persone che ho incontrato e
conosciuto, oppure una persona sconosciuta, una persona in buona fede nei miei
confronti che è preoccupata per me o una persona in malafede che mi sta
tradendo.
Un elenco di domande sincroniche
generiche:
Che cosa è successo oggi?
Che cosa sta accedendo?
Che cosa accadrà?
Come stai?
Sono le domande sincroniche più gravose da
sostenere psicologicamente.
LA GRAVOSITA’ DELLA REITERATIVITA’
DELL’OLISMO SINCRONICO
Prendiamo in esame la domanda sincronica
“Dove sei ora?” – La pronuncia del termine “ORA” presente implica la
reiterazione in ogni istante della gravosità percettiva dell’olismo sincronico,
ovvero di tutte le realtà attitudinali relazionali che di cui la sincronia è
custode.
La gravosità della domanda “Dove sei ora?”
è aggravata dalla domanda sua gemella negativa, ovvero “Dove non sei ora?” e in
più associamo l’affermazione – “We could do more.” La premessa costitutiva di
questa affermazione è che il luogo attitudinale è appunto custode della qualità
di atto morale, pertanto si instaura nelle dinamiche sincronico relazionali la
realtà della responsabilizzazione relazionale.
LA GRAVOSITA’ DELLA COSTANTE GENERALITA’
COSTITUITA DALLA VARIABILE DELLA MOLTEPLICITA’ ATTIUTDINALE DI PERSONE DIVERSE
NELLA VARIABILE DEL LUOGO NELLA COSTANTE DEL TEMPO PRESENTE
L’INIZIO RELAZIONALE
La dinamica dell’approccio, soprattutto di
genere può essere un impasse grave all’inizio relazionale nella misura in cui
avvicendiamo alla la naturalezza di dialogo e di semplice inizio relazionale
una severa “messa alla prova” evidentemente incline al probabile rifiuto
reciproco poiché esigiamo dal prossimo caratteristiche attitudinali,
caratteriali, estetiche, di situazione di vita che vediamo non rispettare, si
riconoscono procrastinazione di profondità di Conoscenza, indifferenza -
l'indifferenza è paralizzante, significa mostrare al prossimo il nonsense del
silenzio che è un aggravio e sbilanciamento di responsabilità relazionale sulla
persona che dinanzi alla aggressività passiva giustamente non sa come
relazionarsi, attese insensate, presunzioni di superiorità, la svogliatezza e soprattutto
l'inesorabilità ovvero la tendenza a sbilanciare verso la fine definitiva e non
verso l'inizio la relazione, l'indisponibilità al dialogo ed al chiarimento, la
delega di responsabilità, l'incomunicabilità che non è che la codardia di non
volere affrontare se stessi e gli altri, sono alcuni sintomi di una immaturità
che impariamo crescendo, non è forse l'evidenza che il noi bambino è più
empatico e relazionalmente vivo del noi adulto?
La vita è vita relazionale, qualunque tema
dialogico e attitudinale non può prescindere dalla nostra relazione,
coesistiamo finché siamo in vita e la nostra relazione inizia in ogni caso
quando ci incontriamo e non finisce se non con la nostra fine di vita, non
possiamo scegliere che la relazione non inizi perché due persone vive si sono
incontrate, in più sulla base delle riflessioni di questa tesi abbiamo compreso
che siamo in relazione altresì se non siamo in adiacente contatto relazionale.
Premesso che la relazione non può non
esistere, la variabile è dunque lo status della nostra qualità relazionale,
allora introduciamo i temi della resilienza relazionale, del restauro
relazionale, della caducità relazionale. Ma perché siamo più inclini alla
solitudine ed all’individualismo? Probabilmente in quanto ad influenza globale
della realtà della atomizzazione sociale di cui ho argomentato in questo libro.
Perché scegliamo l'inesorabilità alla possibilità?, perché il no è più normale
del si? Propongo una inversione valoriale.
Aiutando si impara l'umiltà la solidarietà
e la magnanimità. Vogliamo parlare di prosopagnosia?
Proviamo a non intendere questa parola
nella sua accezione di malattia di cui le persone possono essere malate,
proviamo a generalizzare il tema del non riconoscimento essenziale del prossimo
- non dovremmo consentire alla realtà di sospendere così a lungo il nostro
tempo relazionale tanto da cambiare cosi radicalmente nello stato della nostra
solitudine e tanto da non riconoscerci più quando ci incontriamo.
Ma il riconoscimento può essere una
abilità modificante Io status della nostra superficie relazionale rendendoci da
sconosciuti a conoscenti, e fondando il sistema di considerazione personale che
nominiamo rispetto. Il dono di rispetto è fondato dalla nostra disposizione non
innata all'altruismo. Così può accadere che due sconosciuti che si incontrano non
si riconoscono come essenze umane strutturando la percezione superficiale delle
esteriorità come motivo di non riconoscimento cosi riduciamo la Vita
relazionale tra sconosciuti a pochi secondi e non attribuiamo rispetto, qui
sorgono le delicate dinamiche di razzismo, bullismo, nonnismo... Allora, il
pregiudizio negativo ha rilevanza fattuale negativa sulla attitudine del
prossimo - ovvero il nostro immediato pensiero rischia di rendere negativa una
persona che non IO sarebbe se non subisse il pregiudizio 0 l'attitudine
negativa, la dinamica è l'incattivimento, e l'incattivimento può essere sanato
da ciò che nominiamo fiducia aprioristica, ovvero lo spirito relazionale
creativo che ci spinge ad amare, l'amore è il soffio vitale che sostituisce il
vuoto, è creatività, il dono di positività e somma attitudinale, in sé la
mistificazione di una negatività in positività. L'amore è miglioramento
reciproco. L'aiuto non è impoverimento ma è arricchimento. Aiutando non
perdiamo tempo ma lo acquisiamo.
La relazione con la fragilità, implica
l'acquisizione della proprietà della flessibilità alla nostra essenza - che
cosa è stimata la fragilità in un sistema sociale fondato sulla iperresilienza
individuale? Una devianza, La fragilità non è resilienza, il "non è"
rispetto alla "normalità" della resilienza è caratterizzata come
devianza.
Un limite è che temiamo: La devianza ed
ogni sua realtà che riteniamo contestualmente deviante, non la sfruttiamo come
opportunità di arricchimento. Annichilendo la "devianza" della fragilità
rendiamo abitudinaria la finzione "lo sto sempre bene" creando una
grave dissonanza cognitiva indotta nei momenti legittimi e nelle situazioni
legittime di malattia, isolamento, ed in generale di fragilità, povertà
emarginazione.
LA GRAVITA’ DELLO STATUS PERSISTENTE DI
SOLITUDINE
La concezione di RELAZIONALITA’ LONTANA
NELLA ACCEZIONE DI ABBANDONO
La buona prospettiva relativa alla
dinamica dell’abbandono è il dono di libertà.
Premettiamo che la dinamica di abbandono e
la responsabilità dell’atto presente di abbandono
SONO PERSONALI – OVVERO SONO
CARATTERIZZANTI IL MINDSET PERSONALE CHE PERTANTO VA OLTRE LA DICOTOMIA DELLA
DISTINZIONE DI GENERE, MASCHILE E FEMMINILE. Pertanto non è più giustificabile
e legittimabile l’abbandono da parte del sesso femminile verso il sesso
maschile rispetto l’inverso.
Perché essere in solitudine per un lungo
periodo può essere psicologicamente dannoso.
I FLOW DI PENSIERO CHE PUO’ VIVERE UNA
PERSONA CHE VIVE IN UNO STATUS AMBIENTALE DI SOLITUDINE GLOBALE. 3 PUNTI
Il mindset terzo ulteriormente precedente
è la mentalità della persona sola globalmente verso lo status relazionale della
persona a cui la persona sola pensa in relazione ai sentimenti che la persona
sola prova per ciascuna delle persone che ha incontrato e conosciuto.
Il mindset secondo è lo status della
condizione di salute psico – fisica della persona
Il primo minset ha relazione con la
preoccupazione in relazione allo status di dualismo vita-morte delle persone
con cui la persona sola è entrata in passato in relazione.
Il fantasma che grava maggiormente sul
mindset della persona sola globalmente è il fatto di “Non avere consapevolezza
di ciò che accade.”
LA VICENDA SINCRONICA DEL GATTO
Un gatto è stato chiuso in una stanza bene
blindata da cui dall’esterno non si può riconoscere alcuna lamina di luce
uscente dalle fessure di quella stanza. C’è una lampadina funzionante se viene
accesa e l’interruttore della lampadina nella medesima stanza in cui si trova
il gatto – LA STANZA E’ ILLUMINATA O E’ BUIA? – Sì sto parlando del gatto di
Shrodinger. Ma che cosa pensate alla luce spenta o accesa della stanza se avete
inteso che il gatto in quella stanza blindata soffocherà poiché se non può
trasparire la luce dalla stanza non può nemmeno entrare un filo d’aria
ossigenata, impegnatevi per liberare il gatto e per salvargli la vita – Allora
possiamo assimilare metaforicamente la vicenda sincronica del gatto nella
stanza blindata alla percezione di oblio dell’inconsapevolezza sincronica di
ciò che accade
Sulla base di queste proposizioni nascono
due nuovi temi argomentativi:
Il primo tema argomentativo:
IL SINCRONISMO IN RELAZIONE ALLE VARIABILI
DI FIDUCIA E TRADIMENTO RELAZIONALE, LA REALTA DELLE RELAZIONI APERTE E DEL
POLIAMORE
IL SINCRONISMO E IL TRADIMENTO
RELAZIONALE.
PRIMO PUNTO: IL TRADIMENTO VALORIALE
ESSENZIALE – Questa categoria abbraccia tutte le realtà attitudinali velate di
cattiva fede agite in anonimato alle spalle – Nei paragrafi successivi sarà
approfondito questo punto.
SECONDO PUNTO: IL TRADIMENTO AMOROSO E LE
REALTA’ SINCRONICHE DELLA AFFETTIVITA’ E DELLA SESSUALITA’
Quale le è la relazione che esiste tra
sincronismo e tradimento relazionale?
Premettiamo che la dinamica di tradimento
relazionale è inscritta nella realtà del pensiero replicativo.
Il pensiero comunitario nel mentre di una
relazione con una persona.
IL SOVRA – PENSIERO (LA DEGENERAZIONE E’
L’OVERTHINKING)
Immaginiamo dunque che una persona abbia
incontrato e conosciuto nella sua vita 1000 persone e che nell’adesso ne
incontri una nuova, diversa. E nel mentre della relazione con lei pensa a lei e
sincronicamente pensa ad alcune persone tra le 1000 che ha conosciuto e
incontrato. Ciascuna relazione ha una sua singolarità e unicità e una propria
vitalità – pertanto decade di senso ogni parallelismo, ogni paragone valoriale
relazionale. – immaginiamo una barra della vitalità relazionale, proprio come
quella dei videogiochi – la cui dinamica di vitalità è dipendente dalla
modalità di incontro, dalla nostra solitudine e dal pensiero – parliamo di
potenzialità relazionale. Allora di queste mille con questa persona, con alcune
lo status di vitalità relazionale è zero, ma accade che talvolta lei pensa ad
esse e già la vitalità relazionale di quelle coppie aumenta, l’incontro implica
un importante incremento della qualità della vita di relazione, così come la
affettività e le dinamiche di relazione amorose affettivo-sessuali
eterosessuali e le resilienze successive a decadimento relazionale. Quando ci
incontriamo la vitalità della nostra barra della relazionalità aumenta – la
intensità e il tipo di attitudine, di contesto, di sentimento che proviamo ha
importanti implicazioni sulla nostra vitalità relazionale.
Le barre di vitalità relazionale sono
allora in continuo movimento, e altresì per le relazioni con le quali abbiamo
raggiunto lo zero di vitalità relazionale c’è possibilità di variazione, anzi,
c’è più spazio di miglioramento (Come abbiamo già argomentato) rispetto alle
relazioni il cui status di vitalità è al 100%, ciò che è migliore non può
essere migliorato, è ciò che non è perfettamente migliore e ottimale che può
essere migliorato.
La
variabile di ciascuna singola qualità relazionale è percettiva e soggettiva e
psicologicamente univocamente atomizzata rispetto alle altre – a ciascuna
relazione attribuiamo percettivamente sistemi valoriali univoci pertanto in
relazione al sentimento che sentiamo la nostra natura umana è costituita e
costitutiva dal poliamore – Primariamente il sentimento amoroso è un olismo si
sentimenti soggettivi, e pertanto nessuno può dire ad una seconda persona “Non
è reale e vero che ami” – indifferentemente da tutte le contestualità di tempo
e di situazione essenziale - allora secondo il principio di soggettività
del sentimento e secondo il principio di pluralità e singolarità atomizzata
relazionale confutiamo il concetto secondo cui debba esistere nel periodo di
vita personale una unica relazione amorosa esclusiva – La pluralità amorosa è
costitutiva della verità e della realtà essenziale e naturale umana. In quanto
al tempo di innamoramento decade pertanto di senso ogni misurazione di garanzia
del tempo necessario affinché si ritenga, secondo la percezione esteriore,
concepibile e giustificabile un innamoramento – tale realtà argomentativa
adduce che nessuna premessa qualitativa in relazione alla necessità di una
esistenza di struttura conoscitiva relazionale sia doverosamente fondante e
necessaria alla esistenza del sentimento
amoroso – semplificando è assolutamente legittimo che una persona si innamori
di una seconda in assenza di reciproca conoscenza – in quanto a sentimento
soggettivo divengono legittime le dinamiche di innamoramento precoce.
(La precocità in questo senso non ha
accezione negativa bensì valoriale positiva in quanto ad onestà di sentimento
con sé stessi e con il prossimo ed in quanto a non vana procrastinazione
relazionale)
LA DISONESTA’ RELAZIONALE E LA PROCRASTINAZIONE
RELAZIONALE
Mi dispiace che i sentimenti positivi non
si comunichino, così il segreto diventa silenzio, il silenzio crea
incomprensione poiché è caratterizzato dalla Generalità del nonsense, e mi
dispiace che l'incomprensione sia da un lato fonte di interpretazione di
noncuranza relazionale reciproca e da un secondo lato garanzia e prova
giustificatrice e motivo di separazioni spesso definitive e inesorabili. Ora.
Parliamo da un lato di timidezza - la timidezza può essere una realtà benefica
in quanto a misura degli istinti più ancestrali - ma è dannosa nella qualità di
censura procrastinatrice della onestà sentimentale. Nel momento in cui
percepiamo emozioni positive nei confronti di qualcuno comunichiamole. Non
recheremo danno a nessuno pronunciando i nostri sentimenti di affettività.
Esistono tuttavia persone che non solo allibiscano all'ascolto di una persona
che pronuncia loro sentimenti di affettività, che inoltre la pronuncia di
questi sentimenti sia monito di queste persone per ripudiare coloro che
esprimono i loro sentimenti positivi FACENDOLE SENTIRE IN COLPA PER AVERE
PROVATO SENTIMENTI BUONI E PER AVUTO IL CORAGGIO RELAZIONALE DI COMUNICARLI! .
Ma allora, vogliamo abituarci ad astenervi dalla positività, vogliamo
anestetizzarci rendendoci insensibili!?
Ora esiste una forma di falsificazione
buona e tutelante in quanto a
variabilità tra il clima interiore e l’ambiente esteriore, argomentiamo delle
persone le quali provano sentimenti di odio e non li esternano assimilandoli e
purificandoli essi stessi nella loro anima in quanto salvaguardando l'ambiente
e il prossimo dalle attitudini negative che la loro fonte di odio, se esternata
e rivelata avrebbe potuto implicare. Diversamente comprendiamo che chi non
esterna i sentimenti positivi - dimostrando una innaturale insensibilità e
asetticismo - reca danno agli altri in quanto a disonestà nella qualità di
falsificazione della pura realtà del sentimento - il sentimento è puro e buono
valore aggiunto, è un surplus di positività e relazionalità, e potenzialità
relazionale, è dedica di nuovi orizzonti relazionali, è cambiamento della noia
in innovazione creativa, è compartecipazione e cosentimento in onore dello
sguardo verso il futuro relazionale e tutte queste positività le annulliamo se
le tacciamo a noi stessi e al prossimo.
LE IMPLICAZIONI DELLA SEGRETEZZA
RELAZIONALE
Ora il sentimento anonimo, segreto è una
grave offesa passiva in quanto a sacrificio di possibilità relazionale. Ma
badate, tacendo i nostri sentimenti neghiamo tempo vitale relazionale a noi
stessi - Ce ne accorgeremo quando chi abbiamo amato in segreto senza che le
nostre attitudini fossero coerenti con il nostro sentimento positivo, ebbene
vedremo la persona o le persone che abbiamo amato in segreto prima
disinteressarsi di noi, e poi ci destineranno alla solitudine - argomento di un vento di disadattamento
affettivo - Il mindset affettivo istintivo irrazionale emotivo deve avere pari
rilevanza valoriale fattuale rispetto al mindset gemello razionale, le nostre
abilità dialogico - interpretative affettive – stanno gradualmente
impoverendosi in ragione di un dispotismo di mindset intellettivo – razionale,
sappiamo bene parlare intellettualmente ma il dialogo intellettuale non
dimostra che la nostra ignoranza nella lingua del cuore.
Allora gli adulti e i giovani di qualunque
accezione carrieristico - sociale dovrebbero
sedersi sulle numerose sedie di una aula di una università e ascoltare
le parole di un bambino e di una bambina che disegnano sulla lavagna il loro
primo incontro da sconosciuti, quando lui le ebbe regalato un quadrifoglio e
lei lo ebbe istintivamente baciato.
IL PENSIERO REPLICATIVO, IL SINCRONISMO E
IL POLIAMORE
Il trascorrere il tempo di relazione è la
dedica di un valore aggiunto di relazionalità, amore, affettività fratellanza –
Tuttavia nel tempo di relazione come abbiamo precedentemente argomentato esiste
la realtà del pensiero sincronico che realizza una decontestualizzazione come
contaminazione buona di relazionalità alla relazione reale - Ora. Siamo unici.
Non possiamo replicarci per essere con tutti, ma è davvero così? Essenzialmente
si, ma nel pensiero no, il pensiero è replicativo, ecco perché il tradimento
può essere considerato come implicazione ed effetto del pensiero replicativo.
In quanto una forma leggera di tradimento relazionale si realizza proprio per
il fatto che possiamo pensare ad altre persone mentre ci relazioniamo
sincronicamente con altre persone.
Personalmente ho una concezione libertaria
della relazionalità, ammetto come possibile la realtà di relazionalità aperta
non esclusiva.
Sarebbe saggio attribuire valore di
felicità nella misura e nella qualità in cui una persona dedica a noi il tempo
della sua vita indifferentemente dalle altre sue relazioni, significa che quel periodo della sua
vita ha scelto di trascorrerlo con noi.
L’ESEMPIO DEL BACIO COME IMMAGINE DEL
POLIAMORE
Ad un giovane il cui mindset è in
relazione con le concezioni di poliamore e di relazioni aperte è stato
domandato –
“Baceresti due ragazze nello stesso
momento?”
Il giovane rispose:
“Sì, se ne baciassi solo una la seconda
ragazza si sentirebbe trascurata e esclusa, e non starei tradendo nessuna delle
due proprio perché le starei amando entrambe.”
La realtà di mindset di relazione
esclusiva e quindi radicalmente inclusiva nel dualismo delle due persone è in
evidente dissonanza cognitiva con la realtà che esistano molteplici
relazionalità nella vita di ciascuno, riconosciamolo.
Premettiamo inoltre che la realtà
percettiva di tradimento è in relazione con il mindset di relazioni esclusive –
ovvero delle relazioni che escludono
ogni altra relazione che non sia la relazione esclusiva.
Queste dinamiche di premessa strutturale
di esclusività relazionale possono implicare le realtà del mentire:
Se il tradimento esiste si nasconde.
La apertura relazionale dialogica che
struttura le relazioni aperte legittima diversamente un mindset più libertario
e dunque più comprensivo in quanto ad esistenza di relazionalità altre rispetto
alla relazione di cui partecipano i due interlocutori. La mentalità
dell'unicità dell'amore, il provare amore per una sola persona è esclusiva,
ovvero esclude creando una serie di rifiuti che implicano sofferenze. L'amore è
per natura poliamore, è un sentimento che per natura può essere provato nei
confronti di più persone nello stesso istante semplicemente conosciamo tante
persone e proviamo sentimento in diversa intensità per tutte secondo le
singolarità che di ciascuna persona di essa più ci attirano, perché allora
anestetizzare il sentimento nei confronti di molte persone in valore di una
sola persona? Perché la relazione con una persona deve implicare il sacrificio
di tante altre alla luce di una chiusura interpersonale che blinda ogni
rapporto non esclusivo. Così togliamo il saluto agli sconosciuti, i conoscenti
diventano lontani conoscenti e poi sconosciuti.
Presto ci accorgeremmo quanto tempo
abbiamo perso mentre la severità ci abituava a negare ogni possibilità
relazionale al di fuori della nostra confort zone di poche persone.
La pronuncia della frase:” Interrompere
una relazione.” È un nonsense, perché siamo in relazione per il fatto di essere
insieme in vita, allora supportiamoci e poniamo termine all’ipocrisia del
limite del tempo relazionale che non è se non con la fine della nostra vita.
La relazione di lontananza si esplica
così: “Nonostante siamo lontani, Siamo. “ Come possiamo notare la realtà
essenziale “Siamo” è parte integrante e appartenente alla complessità
concettuale “Nonostante siamo lontani.”
Allora avviciniamoci, e se ci stiamo antipatici,
siamo insieme in uno stato di antipatia che è comunque relazione, allora
facciamo nuovamente amicizia.
IL MARGINE DI POSSIBILITA’ DI INIZIATIVA
CREATIVA RELAZIONALE E’ MAGGIORE IN UNO STATUS RECIPROCO RELAZIONALE DI
DECADENZA RELAZIONALE –
Immaginiamo l’esempio metaforico con la
fattibilità di restauro di un immobile, così è per ciascuna nostra relazione.
La fattibilità creativa di restauro di un immobile in rovina è maggiore
rispetto alla fattibilità creativa di modificazione essenziale di un immobile
in status ottimale.
Se siamo in silenzio, siamo in ascolto,
allora parliamoci. Allora se siamo conosciuti o sconosciuti siamo in un dato
luogo del nostro itinere della nostra relazione e siamo in luoghi psicologici e
reali nella nostra vita diversi ma siamo – LA LONTANANZA TRA LE PERSONE
PSICOLOGICA E’ SIMILMENTE GRAVOSA RISPETTO ALLA LONTANANZA TRA LE PERSONE
REALE.
L’IMPASSE DELLA APERTURA INTERPERSONALE
Il problema è che le persone si aprono
solo con chi intraprende Io stesso loro cammino e questo è un grave impasse che
esclude la varietà la curiosità la possibilità la sorpresa la diversità.
L'empatia è data solo a chi dimostra empatia - il vaso vuoto deve essere
riempito, non quello pieno. A chi è più timido deve essere data parola
empatica, chi resta in silenzio in un dialogo merita curiosità, una parola la
curiosità che rischia di non esistere più.
ATOMIZZAZIONE SOCIALE VIRTUALE, CADUCITA’,
FRAGILITA’ E SUPERFICIALITA’ DIALOGICA RELAZIONALE
LA CABINA TELEFONICA SENZA TELEFONO
La cabina telefonica senza telefono è una
cabina telefonica abbandonata, di questa resta soltanto la sua struttura in
legno e la vetrina, al suo interno è vuota, è una cabina telefonica senza
telefono, una custodia inutile, una custodia che nulla custodisce. La mia immaginazione
dipinge il frenetico flusso del pubblico che attendeva con pazienza il proprio
turno per potere ottenere quella rara chiamata che era concessa per vera
necessità, in quella cabina la malinconia di due amanti lontani che finalmente
potevano ascoltarsi, e le loro parole sapevano di quotidianità e normalità,
erano quasi scontate, ma restavano profonde di significato impresse nei loro
ricordi semplicemente per l'eccezionalità di poterle pronunciare dopo tanto
tempo. La rara chiamata che sapeva di famiglia all'annuncio ad esempio di una
malattia che annunciava l'urgente doversi rivedere. Le chiamate stanche in cui
si perdeva tanto per le rare possibilità di comunicare e la scelta in quei casi
di parole sbagliate, troppo emozionate ed istintive.
Le chiamate che non arrivavano al
destinatario e dunque le lettere per comunicare di credere
in ciò che si intraprendeva. Erano tutte,
nonostante tutto e proprio per tutte le consuete difficoltà, parole che
restavano.
Oggi resta solo questa vetrina e manca il
telefono. Possiamo oggi sentirci sempre nell'immediato, ma stiamo disimparando
a sentirci, le infinite possibilità di comunicazione virtuale si risolvono
nella noia della scontatezza e del disinteresse, le troppe possibili parole
perdono il loro tenore, non restano con noi, sono un flusso che non vogliamo
più fermare, un racconto che perdiamo. Allora immaginiamo la vetrina senza
telefono e la pensiamo somigliante al nostro smartphone - una custodia inutile
che non custodisce e che testimonia la perdita di valore delle nostre parole.
Siamo tutti simultaneamente accessibili,
ma il tempo è unico così senza accorgerci plasmiamo le voci del dividerci non
cercandoci più. Sono troppe le parole come gocce in un mare, se ciascuna parola
pronunciata è un suono riconosciamo la baraonda di voci così somigliante ad un
silenzio che non comprendiamo, e siamo assuefatti da questo nostro stordimento
che aneliamo allo stesso caos delle luci allucinanti e dei suoni assordanti e
disconnessi delle disco, lì soltanto ci incontriamo così atomizzati e parliamo
comunicandoci il silenzio, esisté un tempo in cui non esisteva il telefono,
allora questa assenza di contatto era lo spirito che ci portava ad incontrarci
per comunicare, il telefono è stato brevemente un ponte per noi avvicinandoci,
ma ora è scomparso dalla sua vetrina, il nostro contatto è sospeso nella
virtualità e se per caso ci incontriamo abbiamo disimparato a sentirci, a
parlarci, ma soprattutto a conoscerci ed a riconoscerci, nella superficialità i
nostri saluti sanno troppo presto, talvolta subito, di prematuri congedi. Il
fil rouge delle nostre relazioni lampo.
INFINITE POSSIBILITA’ RELAZIONALI
IL RACCONTO DELLA FINE INFINITA
La lettura di una scrittura la plasma
delle singolarità dei suoi lettori. Che semplicemente —vivendo eludono la fine di
cui il punto prova ad essere simbolo.
Il punto ci inizia, ci dedica nuovo
spazio, il punto è la nostra nuova opportunità, consacrando il noi più
resiliente della fine stessa.
Il punto è il più semplice racconto della
fine che non è.
Una fine infinita risonante l'augurio del
nuovo tempo per noi.
Il racconto del punto rivive e risorge
dalle lacrime dei suoi lettori che vivendo il punto ne piansero, e le loro
lacrime, voci di vita sfumarono il punto sul foglio in una virgola.
Segnarono un punto. Alla sua lettura si
ricordarono di averlo segnato, si ricordarono il punto stesso, il suo
significato, cosa avrebbe terminato e cosa inaugurava, come si può mai
dimenticare un punto? Il più semplice simbolo che esista? Potere vedere,
leggere, potere ricordare, potere ripensare, potere perdonare, potere
reinventare, potere sovvertire, potere sorprendere, potere riconoscere da nuove
prospettive il semplice punto, osservato in tempi e luoghi diversi, tutte
queste attitudini non sono che manifestazioni del vivere, e rivivendo il punto
gli si dedica nuova vita, tuttavia se il punto vuol apparire la fine di noi, il
donarvi nuovo senso, nuove possibilità significa dedicare nuovo senso e nuove
possibilità a noi, semplicemente perché siamo ancora, adesso e adesso ricordiamo
e riscriviamo il nostro destino.
LA REALTA’ DI MINDSET DI RELAZIONALITA’
INCLUSIVA ACUTIZZA IL VALORE NEGATIVO DELL’ATTO DI TRADIMENTO
Sicché accade che il riconoscimento di
atto di tradimento in una dinamica di coppia radicalmente inclusiva implica
nella maggioranza dei casi una separazione definitiva e inesorabile delle
persone compartecipanti.
LA FINE INESORABILE RELAZIONALE
La realtà più ignominiosa è
l'inesorabilità relazionale poiché non attribuisce vita alla reciprocità
relazionale e alle esistenze della persone delle relazioni che furono, il fatto
che nel momento in cui percepiamo una relazione terminata la serriamo
definitivamente come se la vita stessa della persona che fu in relazione con
noi fosse finita. È grave. La nostra relazione non è finita finché siamo in
vita. L'insegnamento - non fidarti degli sconosciuti - è velenoso perché
insinua il pensiero maligno nel prossimo a priori negando ogni possibilità
relazionale. È incomprensibile il blocco che è evidente nei confronti degli
sconosciuti - siamo in realtà tutti sconosciuti? Diciamo ' non ti conosco' ma
dovremmo dire per essere più onesti - ti ho incontrato ma per me neanche
esisti, figuriamoci come si può sentire la persona congedata.
Il cosentimento relazionale
Il cosentimento si ha quando si ha provato
la medesima singolare sofferenza del prossimo, siamo stati rifiutati?
Emarginati? Allora non rifiutiamo, incontriamo e non emarginiamo. Conosciamo le
sofferenze che comportano le attitudini dirimenti.
Se non c'è gratuità e se la gratuità non
viene valorizzata allora tutto si ferma, gratuità è valore aggiunto ovvero
l'intraprendere una iniziativa non per effetto di una causa ma come causa, come
inizio. ln quanto al merito relazionale e affettivo siamo tutti uguali e
meritiamo tutti ugualmente.
PARENTESI SULLA ANALOGIA VALORIALE
ESSENZIALE UMANA – IL RISPETTO DELLA DIVERSITA’
IL VALORE ESSENZIALE IMMANENTE E LA TEMPRA
ESPERIENZIALE
Prese una banconota da 20 euro e chiese ai
presenti chi tra di loro la volesse sostenendo che la avrebbe consegnata a uno
di loro. Tutti risposero di volerla. Poi la stropicciò e chiese di nuovo chi la desideri. Tutti risposero di
volerla. Poi la calpestò.
Poi la bagnò. Tutti ancora risposero
ugualmente. Vedete, ciascuno di noi è come questa banconota, sempre degna di
essere desiderata e meritata nonostante. Nonostante cosa? Vedete, le
vicissitudini, ciò che ci fa soffrire, le circostanze sfavorevoli, i traguardi
non raggiunti, le solitudini mai ricolmate, possono rovinarci superficialmente
ma non diminuiscono il nostro valore umano, il nostro valore è immanente. Poi
il professore dispose la banconota affinché ne risolvesse le pieghe e affinché
si asciugasse. E prese una banconota da 50 euro. Vedete quella banconota da 20
euro? Considerate questa da 50, in essa è la banconota da venti e il suo valore
aumentato dei valori che ha acquisito in grazia della sua resilienza alle
sofferenze. Così è per tutti noi.
Siamo stati tutti bambini e abbiamo
imparato che sono intelligenti perché vanno oltre l'impasse delle differenze e
del valore e disvalore. Allora ricordiamo il bambino in noi per agire
relazionalmente bene. ln quanto alla superficialità relazionale se ciascuno di
noi è l'oceano di ciascuno di noi non vogliamo che incontrare il primo passo
intrapreso alla riva dove fluisce la sua prima onda - siamo davvero intrepidi
avventurieri.
Una concezione più intelligente,
resiliente relazionalmente e libertaria ammette questo pensiero:
“Se mi tradisci non è finita la nostra
relazione, la relazione termina con il termine della vita. Il tradimento è una
sospensione della relazione in quanto a tempo di vita dedicato a altra persona
rispetto alla persona compartecipante alla relazione.
La triscele. La coincidenza nell'adesso di
presente, passato e futuro. Secondo questa prospettiva il tradimento passato
influisce sulla relazione presente, perché? perché le scelte nel continuum
della vita della persona e nel lungo periodo la storia della persona stessa
definiscono la sua essenza presente.
Pertanto ad esempio la probabilità di labilità
relazionale e la predisposizione alla incertezza relazionale e la
predisposizione al tradimento - sistema di abbandono - ritorno reiterato
aumenterebbe nel presente e nel futuro se la persona nel passato ha dimostrato
di avere molta variabilità relazionale. Ma è davvero vero questo? Forse. Può
essere come può non essere. Una persona che per una intera vita ha variato
costantemente relazioni, potrebbe rivelarsi diversa dopo decenni di vita ed
esserlo mantenendo l'integrità relazionale con una persona.
Il secondo tema argomentativo:
IL SINCRONISMO E LE ATTITUDINI VELATE IN
RELAZIONE ALL’ANONIMATO – Le attitudini velate in buona fede e le attitudini in
cattiva fede.
DISQUILIBRI DI RECIPROCITA’
C'è una reciprocità non equilibrata, io vi
tutelo e veglio su di voi - pensate miei cari tutti, per me sono care sia le
persone conoscenti, sia gli sconosciuti – Ora secondo reciprocità mi attendo lo
stesso da voi.
Pensiamo alla percezione soggettiva della
sofferenza in relazione alla relatività di percezione attitudinale.
La dissonanza percettiva in relazione a
percezione di qualità valoriale dissimile rispetto alla qualità valoriale di
atto puro subito.
La percezione soggettiva di una iniziativa
subita che si percepisce come negativa, ad esempio una persona può subire e
vivere un trauma e burnout tanto grave da compromettere la sua intera esistenza
per una iniziativa subita che il colpevole può stimare una sciocchezza.
Allora associamo la negatività
attitudinale all’immagine del vulcano che erutta, e si colpevolizza sempre
l'attitudine dell'eruttare del vulcano, mai i cataclismi delle profondità del
pianeta. (I cataclismi delle profondità del pianeta sarebbero in relazione a
questo contesto le miriadi di negatività che una persona ha vissuto e che la
sua essenza non è riuscita ad assimilare e perdonare)
Ebbene ciascuno di noi è simultaneamente
entrambe le immagini, ciascuno di noi può essere sia il vulcano che erutta sia
un cataclisma che ha implicato prima la implosività poi la esplosività di
essenze altre. E siamo soliti annoiarci delle fiammelle di un vulcano che
erutta, ma per fortuna che il vulcano è vivo, poiché poniamo attenzione – i
medesimi miriadi di cataclismi esplosivi sulla essenza di una persona possono
implicare altresì il suo annientamento, annichilimento – Qui non si tratta
delle implicazioni reali e vendicative della percezione di danno subito – Bensì
si argomenta che non è la misura della reazione, rivelazione vendicativa del
danno subito che è immagine speculare della crisi e sofferenza e quindi della
ingenza di danno che una persona vive – Il vulcano può essere quiescente, ma
ciò non implica e non legittima la lava di cui il vulcano stesso deve farsi
carico – NELLE DINAMICHE RELAZIONALI SI PARLA SEMPRE DI PERCEZIONI.
Vi sono persone che tutelano e vi sono
persone che rivendicano, ma la misura della tutela e della rivendicazione sono
un surplus caratteriale fortemente dipendente dalla qualità essenziale della
persona che subisce danno – mi spiego – talune persone applicano vendetta di n
volte più grave rispetto alla gravità di danno subito. Talune altre tutelano e
perdonano agendo una buona falsificazione di gravità minorativa sulle spalle di
coloro che hanno agito nei loro confronti un grave danno (Percepito dalla parte
offesa e sofferente.) Ora.
Riflettiamo più vastamente sulla bontà
attitudinale nella dinamiche di reciprocità offensive e di rivendicazione.
La bontà attitudinale e la utilità
relazionale si fondano entrambi sulla proprietà della creatività e non della
distruttività – Riflettiamo che coloro che pongono danno al prossimo in verità
pongono danno a loro stessi in realtà della perdita relazionale ed essenziale
della persona offesa. Diversamente la tutela e il perdono sono agenti
relazionali creativi e costruttivi implicando le dinamiche di guadagno
relazionale.
Argomentiamo ora della dinamica
dell’anonimato in relazione alla creatività positiva o negativa di coloro che
in anonimato, sulla base della codardia di non disvelare il nome, operano opere
buone o cattive alle spalle del prossimo.
Ora vagliamo le attitudini in anonimato di
opere buone – Di queste dinamiche non ho nulla da dire se non il sentimento
personale di premiare questi benefattori in quanto artefici buoni di creatività
valoriale di un loro prossimo senza che essi siano riconosciuti come
benefattori – essi sono coloro che maggiormente hanno riconosciuto il concetto
e la realtà del dono, ovvero puro valore aggiunto in assenza di risarcimento
proprio perché puro valore aggiunto.
In seconda analisi argomentiamo delle
opere in malafede e dannose operate in anonimato – Qui assumono rilevanza i concetti di codardia, di
annichilimento di iniziativa attitudinale della parte offesa – La persona
offesa non può difendersi contro i fantasmi – tanto che vi possono essere due dinamiche
relative alle iniziative velate di danno a terzi –
La dinamica della gradualità.
La dinamica della gradualità annette
l’insieme delle attitudini negative ‘deboli’, ovvero di rilevanza fattuale non
grave, ma persistente nel tempo – spontaneamente pensiamo all’esempio della
possibilità della maldicenza quotidiana a danno di una persona offesa che dopo
anni di silenziose maldicenze, risultanti da percezioni utilitariste e
falsificazioni fantasiose o di aggravio di attitudine riconosciuta o di qualità
essenziale della persona offesa, si ritrova ad essere emarginata, esclusa
poiché le quotidianità dialogiche delle altre persone hanno intaccato la sua
rispettabilità sociale.
LA DINAMICA DIALOGICA DELLA MALDICENZA –
LA ALIENAZIONE RELAZIONALE
Oggi persiste l'abitudine di alienare il
prossimo • alienare? Ma secondo qua e senso - distogliere • alienare una
persona da una seconda • perché per guadagnare tempo - o meglio per annichilire
il tempo del prossimo –
La banalità della competizione prescrive
il sacrificio dell'avversario. Chi è l'avversario? Chiunque di cui si parla con
la persona con cui si parla per tutelare il tempo di relazione con lei stessa.
La FIDUCIA di conoscenza è attribuita a coloro che pregiudicano una terza
persona nel dialogo tra due persone, raramente alla terza persona stessa. E qui
accompagniamo la codardia come valore principe, è ora di fare decadere la
codardia dal trono. É più semplice affrontare la percezione apparente di chi
non è che affrontare chi è? Risposta ovvia. Si, Risposta benefica? NO. Oggi sta
succedendo che per conoscere una persona non incontriamo e non parliamo con lei
bensì parliamo di lei Con le altre persone. Ora. È una follia la concezione
secondo cui altre persone ci fanno aprire gli occhi su una persona pregiudicata.
Assumo categoricamente che ciascun singolo gesto, ciascuna parola di persona
giudicante una terza, sia artefice di falsificazione di identità. La
consuetudine mi consiglia che rare parole di bontà sono pronunciate verso
terzi. E questo non è che sintomo evidente di una immaturità che vuole eludere
qualsiasi personale responsabilità di danno morale a terzi come vantaggiosa
denigrazione della dignità e reputazione sociale.
Per tutelare chi non può ascoltare chi
viene aggettivato con malizia alle spalle, ho imparato a ascoltare il vento da
decenni, tutti ascoltano il vento e per nostra purezza e umanità sogno il
momento in cui il vento taccia.
Tuttavia da queste dinamiche dovremmo
riconoscere la palese maleducazione di coloro che agiscono danno i quali
rivelano la loro comunitaria povertà morale, così tutti gli accusatori di un
capro espiatorio si rivelano tanto più giustamente accusabili del capro
espiatorio stesso.
La dinamica della gradualità implica
sempre un gravità di rivelazione – Le attitudini negative ‘deboli’ velate si
risolvono sempre in un risultato negativo ‘grave’ che la persona offesa deve
sostenere – Questa dinamica è assimilabile alla realtà delle nubi che prima
adombrano e annebbiano l’albero e poi del fulmine che tronca l’albero: La dinamica
elettrica insita nella creatività nuvolosa implica una rivelazione esplosiva
dannosa. Che nel caso osservato è la solitudine della persona velatamente
tradita - ma in casi più gravi lo
spirito rivendicativo graduale velato nei confronti della parte offesa può
implicare rivelazioni tuonanti ben più gravi.
Solitamente l’anonimato si pone in
relazione ad un furto di identità essenziale – L’anonimo si fa nome della parte
offesa – tanto che diviene in potere parte decisionale della persona offesa –
Ma questa libertà non implica la superiorità essenziale dell’agente danno bensì
la sua bassezza morale giustamente perseguibile e rivendicabile.
Dobbiamo avere il coraggio di rivelare il
nostro nome, di mostrare il nostro volto e dobbiamo avere la saggezza di non
farci nome di una persona che non è il nostro nome.
Perché la dinamica del ghosting anonimato
è dannosa – perché pone la parte offesa in uno status ambientale buio, in cui
non può avere potere di iniziativa attitudinale in quanto incosciente di ciò
che succede.
Maybe
The images of void are sharpened by maybe,
the main dissonance between mind and reality and the main rescission between
time and place, between what may be and what it is, what will be, what it is
the dream to be, and the possible or impossibile return of what had been.
Non sapere che cosa sta succedendo è una
grave dissonanza cognitiva indotta in quanto induzione di cecità relazionale.
Questa situazione di nonsense ha importanti relazioni con il concetto di
‘Sincronismo’. Riflettiamo. Come è possibile disvelare l’anonimato in un
ambiente percepito di corruzione essenziale della parte offesa? La
generalizzazione – Se non si sa chi, potrebbe essere chiunque – e l’anonimato
si risolve nella responsabilizzazione comunitaria del fatto medesimo di avere
indossato la maschera di anonimo. È giusto generalizzare ? La giustizia della
generalizzazione è garantita dalla veridicità della probabilità della maggior
quantità di persone agenti ghosting.
Contestualizziamo come veleno nevrotico lo
spirito di anonimata iniziativa e|o rivendicazione
tanto che la codardia di ferire alle
spalle una persona è una abitudine che si impara da adulti, i bambini sono
migliori, possono essere cattivi è vero, tuttavia sono innocui, all'estremo
lanciano la palla sul viso di un compagno, nulla di più - nulla a che fare con
i complessi meccanismi di annichilimento essenziale personale che
quotidianamente il mondo degli adulti si autoinduce. E poi dove si va? A
sorridere con altri uguali della presunta illibatezza attitudinale quando
sincronicamente si medita e si ricorda di tutti i tradimenti che si ha agito
nei confronti di più fragili e di meno fragili – coloro che provano a velare le
condotte negative e tuttavia proprio la impassibilità è la chiave per
riconoscere l'inverso della positività, ovvero le negatività.
Le misura e la qualità della percezione di
sofferenza subita conseguente ad una offesa è relativa e soggettiva, non è
omologabile e non è oggettivabile, vi sono persone più resilienti e meno,
persone che sanno andare oltre e coloro
che sono più fragili, pertanto la medesima azione può avere conseguenze diverse
su persone diverse, una azione che implica in una persona uno stato di
malessere e sofferenza transitorio se attuata su una seconda persona più
fragile può implicare realtà ben più gravi come traumi e burnout psicologici.
Inoltre la percezione di sofferenza è contestuale, una persona può essere
resiliente al 99% dei contesti e sensibile allo 0,1% dei contesti, dunque se la
qualità attitudinale della offesa coincide con il contesto relativamente alla
quale la persona è più sensibile lei viene ferita gravemente.
Non è attribuibile a nessuna persona la
garanzia della impermeabilità e
resilienza relative ad una attitudine pertanto se la sensazione risultante da
una data attitudine si riconosce come fonte di sofferenza dalla persona che la
vive, indifferentemente dalla qualità della attitudine, che ad esempio può
essere stimata una leggerezza da coloro che attuano l'attitudine, questa
attitudine acquisisce la qualità di offesa e la persona attuatrice di tale
attitudine si ritiene essere dunque offensiva.
La accezione negativa della inazione
relazionale in relazione alla dinamica di abbandono in aperta contrapposizione
con l’idea di compartecipazione e di
complicità relazionale:
La semplice inazione può essere
caratterizzata come fonte di aggressività passiva. Perché la inazione è dedica
di indifferenza – caratterizziamo indifferenza come attribuzione di giudizio di
– non – differenza – ovvero di una essenza che non induce rilevanza fattuale
nell’ambiente relazionale. Ovvero induzione di attribuzione di annichilimento,
annientamento essenziale.
Tuttavia non sempre è cosi, l'inazione
oltre al riflesso dell'indifferenza, può essere il risultato di una mentalità
più profonda che vede il dono di libertà come causa dell'inazione, tuttavia se
all'inazione si accompagna l'inesorabilità ovvero la persistente e definitiva
indisposizione al dialogo la inazione viene caratterizzata come abbandono di
cui raramente si parla e che tuttavia è una negatività che può essere fonte di
sofferenza.
Solitamente I' aggressività passiva, ( se
la persona che la subisce non è resiliente e se non possiede la consapevolezza
tale da comprendere, assimilare e perdonare, qualità che ritengo io stesso di
dimostrare di possedere,) può implicare aggressività attiva pertanto dovremmo
tutti riporre la nostra attenzione nella latente nostra passività relazionale
come soluzione della negativa causa prima di ogni incomprensione.
La tutela
Un uomo crede fermamente in una singola
verità - Se dovessi un giorno ricevere da qualunque uomo o da qualunque donna la
chiave del giudizio - ovvero i presupposti per recare a questa persona danno -
io non le recherei danno, la tutelerei e la perdonerei.
Questo uomo soffriva di una grave malattia
e sapeva che la sua vita sarebbe presto giunta al termine - una sola volontà gli restava: incontrare
l'amore, incontrare il suo mindset gemello
- ovvero riconoscere l'ago nel pagliaio, ovvero vagliare tra tutti i cui
molti lo avrebbero tradito - le due o tre persone che lo avrebbero amato.
Il suo intento era più profondo. Il suo
intento era dimostrativo. Sapeva nel profondo che ciascuna delle miriadi di
persone avrebbe riconosciuto la negativa iniziativa comunitaria nei suoi
confronti.
Lui scrisse una lettera in cui
scrisse - presto dovrò morire - e con questa iniziativa
e scelta potrei sfiorare la fine prima del tempo - ma sogno un mondo in cui non
solo tutti perdonino riconoscendo in essi stessi la propria umanità e
sensibilità nei confronti della fragilità.
Ma ripongo la mia fiducia nella
rivoluzione e nel cambiamento. Vi dirò! Sarà certo che sbaglierete tutti! Voi
mi tradirete! E tuttavia vedrete con i vostri occhi che nel senso stesso
dell'universo è più utile e buono il valore aggiunto positivo, non negativo,
indifferentemente dal valore di misura e di qualità della negatività in
principio - provate a purificare le negatività - assumete, una negatività può
essere fonte di positività e migliorerete il mondo.
Questo uomo solo e dotato di una
resilienza sovrannaturale esortò tutti coloro che lo ebbero incontrato dopo
avere trascorso la vita insieme, e tutti coloro che non lo conoscevano - queste
sono le chiavi, le prove per annientarlo, per farlo fallire, per rovinare la
sua reputazione, per umiliarlo, per emarginarlo, per legittimare l'odio che
proverete se sapeste...,per ridurlo dalla ricchezza alla povertà, per...
Insomma varcò ogni possibile negatività dello scibile umano affinché ciascuna,
alcune o solamente singole peculiarità negative potessero coincidere con
l'iniziativa di rivendicazione, tradimento, odio aprioristico di ciascuna di
quelle migliaia di uomini e donne. Che cosa accadde? Per lui il finimondo. Fu
calunniato, gli si attribuì ogni anatema di sorta... tuttavia vi furono rare
persone che andarono a incontrarlo, lo perdonarono e lo amarono - egli
ebbe trovato il suo ago nel pagliaio.
Dopo la sua morte il mondo cambiò - egli
era stato un visionario - tutti diventarono reciprocamente più permissivi,
comprensivi buoni e dotati di un nuovo spirito di magnanimità.
Ma soprattutto quando incontrò Dio, che
solitamente non congeda mai nessuno prima di un severo colloquio di
purificazione e di confessione, fu accolto in maniera singolare, unica, dio non
gli parlò lasciando intendere sei già un uomo giusto - semplicemente lo
abbracciò. Sulla terra intanto fu glorificato come santo purificatore di ogni
male.
CONSIDERAZIONI SULLA SUBLIMINALITA’ E
SULLA TELEPATIA, FONDANTI DA STRITTURA ESSENZIALE PERCETTIVA DI IPERSENSIBILTA’
LA FINE RELAZIONALE VIRTUALE E REALE – I
FENOMENI DI Unwelcoming and social blocking
Against social blocking emotionless
diriment flow of behaviours.
Iterative activities of social blocking
and the repeated unwelcoming spirit are passive bullying condupts, blocking it
is a form of essential passive induced annihilation and can cause serious
mental damages into people whose relational life with you, who may cause
blocking, it is ended – This relational end has the same feature as
inexorability, silencing, blinding, absence of amity and meeting – for the rest
of the life and this fact it causes a mental induced dissonance into people
whose relational spirit and meeting and forgiveness avaliabilities are once
again alive.
CONSIDERAZIONE FINALE
Un primo traguardo
L'aver camminato molti passi lungo la via
creativa artistico letteraria mi rassicura d'esservi giunto lontano scoprendo
che non esiste meta se non la gratitudine e l'orgoglio del compimento dei passi
passati e la resilienza e perseveranza nel compiere oggi stesso un nuovo passo
creativo.
Secondariamente ho intravisto che il luogo
del lontano non sia dissimile all'umiltà del luogo vicino così come un castello
di sabbia non è che la paziente composizione d'ogni suo granello di sabbia,
ogni grande riconoscimento può rivelarsi somigliante alla creatività d'ogni
timida iniziativa che è custodita in esso.
NON DOVREMMO DOMANDARCI QUANDO SIA
IL MOMENTO IN CUI IL FIORE È SBOCCIATO
MA PIUTTOSTO QUANDO SIANO I MOMENTI DELLO
SBOCCIARE DEL FIORE .
Parti bibliografiche in corsivo.
Riferimenti bibliografici
- Emerson, Ralph Waldo, The complete
Writings, vol. II. New York: William
H. Wise, 1929.
- Jung, Carl, “Synchronicity: An Acausal
Connecting Principle”, in The
Structure and Dynamics of the Psyche, vol.
8, Collected Works. Princeton,
NJ: Bollingen Series, Princeton University
Press, 1969.
- Needleman, Jacob, A Sense of the Cosmos:
The Encounter of Modern
Science and Ancient Truth, E. P. Dutton
& Co., Inc., 1975.
- Swedenborg, Emmanuel, Heaven and Its
Wonders and Hell, New York:
Swedenborg Foundation Uncorporated, 1935.
- Wilson, Robert Anton, “Synchronicity,
Isomorphism, and the Implicate
Order”, Gnosis, Winter 1989.
Ray Grasse è scrittore editore e
astrologo. Questo articolo è un
adattamento del suo libro The Waking
Dream: Unlocking the Symbolic
Language of Our Lives (1996, Quest Books).
E-mail:
jupiter.enteract@rcn.com
Tratto da The Quest, maggio-giugno 2006.
Traduzione di Patrizia Moschin Calvi.
Bibliografia relativa
https://it.wikipedia.org/wiki/Tensione_interna
https://sites.unipa.it//giovanni.petrucci/Disp/Tensio0.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Cerchio_di_Mohr
https://it.wikipedia.org/wiki/Teorema_della_divergenza
LEMENTI AUTOGRAFI DELL’AUTORE VITTI
MICHELE
I LIMITI DELL’ATTENZIONE
SELETTIVA
Penso, dunque sono, sosteneva Cartesio. Tuttavia
Eckhart Tolle nella sua opera scrive che è proprio il pensiero, voce del nostro
Ego ad allontanare la nostra consapevolezza della nostra intima essenza e dalle
altre essenze
Non si giudicano dunque che esteriorità e
superficialità, davvero siamo così ciechi da credere che la superficialità sia
la verità? Semplicemente la logica ci soccorre indicando che la superficie
(super- facies) non è che l’elemento velante una profondità. Potremo dunque
assimilare la verità nelle sue componenti di superficialità e profondità.
Nella sua opera lo scrittore dimostra come
l’Ego abbia assunto nel tempo significato e rilevanza comportamentale come
guida del nostro agire.
Ego che desidera nell’immediato, Ego che è
impaziente e che non attende, Ego che non può che avere come strumenti,
premesse di giudizi e di scelte comportamentali, decisionali e di
qualificazione, la consapevolezza più immediata possibile: La consapevolezza
superficiale.
In una realtà in cui l’immagine si è
imposta come onnipresente realtà ciascuna persona è sistematicamente abituata
al costante giudizio di valore tra possibilità di immagine. L’impossibilità del
non pensare oggi si è tradotta nell’impossibilità del non giudicare.
Tuttavia riflettiamo, secondo la natura il
vedere non presuppone il giudicare, lo scegliere tra due o più possibilità:
Avete mai avuto la possibilità di trovarvi in mare aperto? Intorno a voi il
cielo, ed il mare, semplicemente. Un bambino sin dalla prima infanzia vede
questo: Il cielo ed il mare.
È presto un adulto che insegna al bambino
domandandogli: “Ti piace di più il cielo o il mare?”
Consideriamo questa prospettiva: Il
bambino non crea gerarchie di valore di alcun genere tra cielo e mare, egli
prende il cielo ed il mare, Secondo questa mentalità il sacrificio del reale è
ridotto a zero.
Consideriamo il secondo caso: L’adulto
destruttura il naturale creando una crepa concettuale, è imposta una scelta: O
il cielo o il mare, l’adulto crea nel bambino la mentalità del disequilibrio di
valore, della frammentarietà, del giudizio e del sacrificio di una realtà
naturale in onore della seconda. Notiamo l’evidente differenza tra il primo ed
il secondo caso, ovvero la differenza che sussiste tra l’accoglimento ed il
giudizio: L’accoglimento non implica una perdita aprioristica che il giudizio
impone. Il bambino accoglie il mare e il cielo, tuttavia quando deve scegliere
tra il mare e il cielo egli deve imparare a rispondere alla domanda perché
scegliere il mare e sacrificare il cielo o il contrario: Dunque il bambino
impara la diffidenza, o più precisamente egli impara a riconoscere nuovi
strumenti per diffidare di una realtà o di una seconda. Il giudizio è una
proprietà intellettiva importante, tuttavia potrebbe rivelare le sue
limitatezze nel processo decisionale, ed in questo processo potrebbero subire
ingiustizie le realtà che sono sacrificate.
Il sistema economico ha inciso nel
processo decisionale poiché questo sistema fondato sul profitto ha insegnato
agli uomini ed alle donne a non accogliere bensì a scegliere ed a selezionare
tra un oggetto ed un secondo oggetto.
È evidente, Se non accogliamo una marca ed
una seconda, se scegliamo un prodotto e sacrifichiamo un secondo prodotto, in
sé, il secondo prodotto non se ne risentirà in alcun modo, poiché lo sappiamo,
questo prodotto non ha sentimenti, non ha una anima, non può piangere, non può
soffrire.
Dunque giungiamo al fulcro del
ragionamento: Ciascun uomo e ciascuna donna può in ciascun istante della sua
vita scegliere se accogliere o se giudicare. Se lei o lui sceglie di giudicare,
deve essere consapevole e responsabile del fatto che si pone come giudice tra
realtà, tra le quali lei/lui dovrà sacrificarne alcune, inoltre esternandone le
motivazioni. Ora è chiaro del tema che sto provando ad affrontare: La
qualificazione, il giudizio sulle cose, sugli oggetti è una realtà. La
qualificazione. Il giudizio sulle persone è una seconda realtà estremamene più
urgente e seria.
Perché sarebbe grave assistere ed
ascoltare alcune parole tra cui: Rammentiamo l’episodio precedente in cui
l’adulto chiedeva al bambino: “Ti piace di più il cielo o il mare?, o diversamente
immaginiamo le parole di tale adulto che consiglia o impone al bambino o alla
bambina:” Ti consiglio di scegliere il cielo e di sacrificare il mare.” O ancor
peggio: “ Devi scegliere il cielo e sacrificare il mare.”
Ora immaginiamo questo adulto consigliare
al bambino o alla bambina: “Ti piace di più il nero o il bianco?, o
diversamente immaginiamo le parole di tale adulto che consiglia o impone al
bambino o alla bambina:” Ti consiglio di scegliere il nero e di sacrificare il
bianco.” O ancor peggio: “ Devi scegliere il nero e sacrificare il bianco.” O
vicevèrsa.
“Devi scegliere l’intellettuale,
universitario/a, sacrifica e diffida di chi non ha studiato.”
“Devi scegliere il religioso/a, sacrifica
e diffida di chi è ateo/a.”
“Devi scegliere colui/colei che pratica il
nostro credo, sacrifica e diffida di chi non pratica il nostro credo.”
“Devi scegliere colui/colei che dimostra
di avere una vita sociale rigogliosa, sacrifica e diffida di chi non ha molte
relazioni.”
“Devi scegliere colui/colei che è ricco,
sacrifica e diffida di chi non ha molto denaro, che tuttavia è un lavoratore
onesto/una lavoratrice onesta che nel suo umile tempo prova a portare avanti la
sua vita.”
“Devi scegliere colui/colei che dimostra
di avere la tua stessa mentalità, i tuo stessi sogni, sacrifica e diffida di
chi non ha la tua stessa mentalità, i tuo stessi sogni.”
“Devi scegliere colui/colei che
sacrificherebbe il suo cuore per te, sacrifica e diffida di chi non lo
farebbe.”
“Devi scegliere colui/colei che presenta
un modello fisico adeguato agli standard comunitari, sacrifica chi non si
presenta secondo tali esteriori caratteristiche.”
“Devi scegliere colui/colei che è un
modello da sempre per le persone. Sacrifica e diffida di chi nella sua vita ha
dimostrato alcune labilità.”
“Devi scegliere colui/colei il cui nome è
annoverato dalle persone che conosci. Sacrifica e diffida di chi non è
rinomato, i falliti non valgono nulla!”
. . .
Ne concludiamo che la mentalità del
sacrificio potrebbe versare non poco sangue se messa nelle menti di giudici
inconsapevoli. Ricordiamo che il giudicare è una attività professionale
universalmente riconosciuta per raggiungere la cui qualifica sono necessari
decenni di formazione ed esperienza. Non improvvisiamoci giudici. D’altro
canto, come ho precedentemente assunto l’attività del giudicare è al limite
imprescindibile da noi, dunque almeno proviamo a dedicare alcune possibilità di
conoscenza al nostro prossimo prima di pregiudicarne il nostro diniego.
Non radicalizziamo il concetto di accoglienza,
accogliere significa dedicare una opportunità di relazion, un flebile lume di
gratuità necessaria ad avere noi stessi gli adeguati strumenti decisionali
utili al giudizio a posteriori, il modello decisionale che cancella
dall’umanità il diniego a priori.
Il diniego a priori ed il limite del
giudizio di superficie.
La superficialità si è talmente imposta
nella nostra struttura di pensiero, cogliamo le lievi espressioni sui volti, ne
rendiamo soggettivi significati per potere giudicare: tuttavia questa
abitudine, associata alla struttura di pensiero in relazione alla rilevanza che
dedichiamo al nostro ego e di conseguenza al secondo ordine di rilevanza che
dedichiamo alla realtà che osserviamo, ed in onore di una mentalità purista ed
idealista di cui siamo abitudinari e artefici, secondo cui poniamo in secondo
valore la realtà per come è, alla nostra astratta idea della medesima realtà
strutturata secondo le nostre pretese: Questa è una mentalità che affievolisce,
sfuma e talvolta annichilisce il valore della realtà osservata, in onore di una
selettività sociale, relazionale e di amistà radicalmente esclusive.
“ La compagnia è un dono! Non deve essere
meritata! “
Non sei una persona intraprendente? Non
accenni ad una parola in più rispetto a tale che ti viene donata? Credi che gli
sconosciuti a priori non meritino nulla se non un aprioristico diniego
solamente per il fatto di essere sconosciuti? Siamo così abituati a non vedere
altro che la conoscenza superficiale che la riconosciamo analoga alla conoscenza
profonda, questo principio di indolente carenza di relazionalità si traduce
nell'assunto che una persona sconosciuta debba restare sconosciuta.
Spezzi le catene della reciprocità
relazionale?
Allontanando il prossimo, presto o tardi
questa persona si allontanerà da te.
In questo esatto istante della relazione
al limite il cento per cento delle persone definisce e dichiara la relazione
finita.
Ed allora è in questo punto che noi tutti
dovremmo impegnarci per stravolgere questa mentalità di inesorabilità e noia:
In gioco c'è la nostra possibilità di
valorizzare ciò che si definisce conoscenza profonda, abbiamo riconosciuto che
la conoscenza superficiale non può che avere breve vita poiché si fonda sul
ricevere in assenza di iniziativa, valore aggiunto e dono reciproco.
Le gemme della conoscenza stabile e
profonda, origine di ogni amistà costante e resiliente trova luogo di
compimento nella lontananza, nella solitudine che appare nelle caratteristiche
di inesorabilità, delusione, malinconia, speranza, poiché solo secondo questo
ambiente relazionale di reciproca solitudine decade l'impasse della relazione
tossica:
‘Io dono a te, esclusivamente nel caso
unico e nel tempo unico in cui tu doni a me.'
E può risorgere il vero valore di
definizione del dono di cui il principio è:
'Io dono a te indipendentemente da...'
Il valore aggiunto ha significato se il
numero uno è aggiunto al valore zero, o al valore meno uno. Questo è il
fondamento della creatività relazionale.
La relazione di reciproco dono 'io dono a
te indipendentemente da...' ha un impatto emotivo importante e buono poiché è
caratterizzato da opportunità di incontro non previste, nuove, e
chiarificatrici. Qualcuno ricorda ancora il significato della parola sorpresa
in relazione all'iniziativa di incontro tra coloro che non si donano parola da
decenni? Si crede, è andata così, ed allora andrà per sempre così. Un pensiero
inesorabile, in onestà noioso che non rende onore alla vita il cui significato
più vero è: Non fine. Come potremmo forse avere dimenticato il significato di
sorpresa, assistendo a nuove persone sconosciute, le quali essi stesse
desiderano incontrarci per conoscere la nostra persona.
Assurda è l’evidenza secondo cui alcune
persone piuttosto di accogliere questo dono di relazionalità preferiscono
destrutturare queste persone più aperte e intraprendenti ancor prima di
conoscere il senso del loro agire caratterizzandole come sconosciute,
profittatrici, ladre di tempo o malintenzionate.
Non è stata sufficiente la gravosa situazione
di quarantena conseguente a covid19 per convincere noi tutti della primaria
rilevanza della nostra relazionalità?
L’impazienza del giudizio: Il pregiudizio
Ed inoltre considerando la cecità relativa
all'impazienza di definire la realtà, la definizione di una realtà ne arresta
la opportunità di consapevolezza di ciò che di questa realtà non si conoscerà
poiché si giudica di avere già conosciuto e di avere già visto, in tal modo a
questa realtà neghiamo la nostra consapevolezza del suo essere latente, in
divenire, in potenza che sovente costituisce il fondo dell'iceberg, una valenza
creativa superiore, una essenza le cui qualità non manifeste sono di livello
estremamente elevato che tuttavia scegliamo di non volere riconoscere nel
prossimo ed acquisire noi stessi secondo i modelli comportamentali della
pazienza, dell'attesa attiva, della curiosità, dell'esempio, della fiducia, del
dono.
Il pregiudizio decade in diffidenza
La probabilità più elevata del pregiudizio
cattivo rispetto al pregiudizio buono
Abbiamo compreso grazie alle illustri
parole di Eckhart Tolle, trascritte nell’opera letteraria “Il potere di Adesso”
la radicale influenza dell’Ego in relazione alle nostre attitudini.
La definizione di Ego custodisce
l’emergere del modello attitudinale egoistico ed il decadere del modello
attitudinale altruistico, questo disquilibrio di valore tra Io ed Altro,
implica la valorizzazione, la centralizzazione dell’io e la svalutazione
dell’altro, dunque logicamente si avrà la lode di sé stessi ed il discredito e
non la lode dell’Altro.
Appunti di approfondimento relativi ai
temi della mentalità purista e della nonviolenza nello scritto:
“IL DUE È PIÙ VICINO DELL’UNO
ALL’INFINITO”
Il problema è che talvolta lo stesso
spirito di ricerca velato dalle nostre attitudini sia fondato in onore della
meta del sistematico diniego aprioristico, che si traduce in indifferenza,
sottostima, bullismo, e non accoglimento. L’abitudine del rifiuto
dell’accoglienza e la struttura mentale del giudizio possono implicare la
volontà di cercare e di trovare la negatività e non la positività nella realtà
osservata, secondo questa scelta rischieremmo di attribuire più rilevanza al
male rispetto al valore che dedicheremmo al bene, ovvero una miseria, una
realtà già data, presupposta.
Dunque se si scorge il bene sosteniamo che
sia presupposto, ed in realtà, nel nostro percorso conoscitivo ci arrestiamo
qui poiché caratterizziamo il bene come normalità necessaria che a noi si offre
come completa e definita. Sovente manca la volontà di approfondimento del bene,
di tempo dedicato alla scoperte delle miriadi di prospettive caratterizzanti
che hanno un ruolo valoriale di arricchimento relazionale davvero importante.
Diversamente non appena riconosciamo la
ferita della negatività, desideriamo approfondirne la nostre consapevolezze
relative alla negatività, ricordiamo che la via della conoscenza del male
relativo ad un singolo è radicalmente dirimente. Il pensiero negativo, il
maledire creano separazione, non relazione.
Il nostro tempo è unidirezionale, se
scegliamo la via della consapevolezza del male, non scegliamo la via della
consapevolezza del bene.
Il fiume del negativo può sopravvivere
solo in grazia della nostra voce e delle nostre attitudini,
Siamo correnti d'acqua che in ogni istante
possono scegliere se adeguare il loro fluire al verso negativo sostenuto dalle
voci dei più o opporci ad esso, sarà sola la nostra voce? No, tuttavia potremmo
riconoscere che le voci del diniego siano più presenti, canzonatorie, dirimenti,
coartanti e impattanti delle voci magnanime e umili dell'accoglimento.
La conoscenza profonda
La parola ed il giudizio presuppongono il
sapere, la coscienza della verità, la verità non è accessibile, la verità è il
culmine tendente all'infinito di un percorso conoscitivo.
La giustizia di un giudizio esiste in
misura dell'impegno conoscitivo e della curiosità dedicate con pazienza e fede
nei confronti del soggetto che si vuole conoscere: La conoscenza profonda.
Se si giudica in mancanza degli strumenti
conoscitivi ottenuti in grazia del lungo pellegrinare lungo il percorso di
conoscenza del soggetto, si giudica l'immediata apparenza che è una
consapevolezza miseramente limitata del potere essere del soggetto, dunque si
pregiudica, ed il pregiudicante realizza egli stesso e tempra nella sua mente e
nella realtà assunti dissimili rispetto alla verità del soggetto che non
rendono giustizia al nome pregiudicato frammentando, disonorando, screditando
l'essere relazionato al nome pregiudicato.
Questa vicendevole attitudine dirime
coloro che si relazionano secondo il sistema del reciproco pregiudizio:
l'amistà tra un pregiudicato ed il suo giudice non è mai esistita.
Il pregiudizio in relazione alla
creatività del prossimo.
L'impasse della competitività.
Il pregiudizio presuppone disequilibrio di
libertà e di rispettabilità.
Il giudice è più libero ed a lui è
giudicato più valore intellettuale e umano rispetto al giudicato.
Abiezione, avvilimento creativo,
indifferenza, freno, sono caratteristiche comportamentali più frequenti delle
attitudini di conforto, promotrici, iniziatrici di relazioni collaborative ed
umane.
Un sano percorso collaborativo presuppone
il rifiuto della competitività, in primo luogo fondante il sistema del
disequilibrio di rispettabilità tra singoli conseguente all'assegnazione di
valori e di numeri che standardizzano le competenze di superficie dei singoli,
creando etiche del privilegio e d'altra parte del diniego, inoltre la
competitività è controproducente in quanto limitante secondo il modello
comportamentale del pregiudizio, in quanto nomina sulla base di una categoria
intellettiva, comportamentale, fisica, religiosa, e nominando limita le
potenzialità di ciascun singolo a tale categoria.
Il giudizio presuppone il nominare. Il
nominare presuppone il limitare il soggetto conosciuto in onore dei limiti
necessariamente esistenti del personale mindset o del sistema giudicante
comunitario.
Rendiamo l'esempio della categoria della
memoria, se in un luogo definito una comunità è pregiudicata secondo
esclusivamente il modello della memoria, vi sarà chi eccellerà, essi saranno
valorizzati, e lautamente ricompensati e lodati, vi saranno coloro i quali non
hanno una innata propensione per la memoria, ed essi in questo sistema
limitante resteranno indietro, altresì nella catena di reciprocità relazionali
che presuppongono l'abilità mnemonica come strumento necessario all'accoglienza
relazionale ed alla amistà.
Tuttavia perché nominiamo questo sistema
limitante? Poiché può accadere che gli stessi partecipanti che dimostrano
carenze nel sistema pedagogico relativo alla memoria, siano al di fuori di
quegli schemi limitanti, iniziatori eccellenti e degni di lode, essi resteranno
nell'ombra per ciò che sanno realizzare poiché non appena essi proveranno ad
esporre le loro creatività, la mentalità di sistema pedagogico relativo alla
memoria, rappresentato dalla comunità di pensiero omogeneo si imporrà sui
principi del pensiero del singolo divergenti, prima affievolendolo, poi
spegnendolo.
Ora, la mentalità di non competitività è
la chiave di volta affinché ciascun sistema relazionale e pedagogico possa
allargare gli orizzonti, non esisterebbero secondo questo principio categorie
limitanti e standardizzanti che costituiscono modelli di pregiudizio omogeneo,
superficiale e destrutturante, che sacrificano i molti per salvare i pochi. Il
'Tu sei!' verrebbe sostituito dal 'Tu sei?'.
Sappiamo che la variabilità è un fattore
di cambiamento, di creatività e di crescita fondamentale, in un sistema
strutturato in categorie pedagogiche o relazionali definite, si sacrifica il
diverso in nome della statica sussistenza dell'ordine che si vuole mantenere
eternamente. La non competitività è una forma di intelligenza creativa fondante
il pensiero:
“Io non competo con te, io sono con te,
che cosa possiamo creare insieme?”
“Io ho una predisposizione innata per la
memoria”,
“Io ho una predisposizione innata per la
matematica”,
“Io ho una predisposizione innata per la
resilienza”,
“Io ho una predisposizione innata per
l'immaginazione,
“Io sono confuso, non so nulla, non credo
di avere una predisposizione”,
“Resta con noi e scegli quale sia la tua
passione, li potrai donare il tuo contributo.“
“Io non voglio fare nulla.“
“Non fare nulla, noi ti conforteremo nella
tua scelta, sappiamo che questa tua scelta cela motivazioni profonde, ed
intelligenze che ancora ci sono velate, nel tempo che dedicherai alla tua
scelta non potrai non pensare, non potrai non fare, non potrai non vivere, ed
allora forse il tuo modello di pensiero e la tua consapevolezza germoglieranno
secondo idee innovative, di livello anche superiore al nostro, forse ti dedicherai
alla lettura, all'agricoltura, all'arte, o semplicemente al vivere non
irrequieto, quanto saprà donare il tuo silenzio, quanto le tue parole, quanto
il tuo esempio!”
Bibliografia.
https://www.stateofmind.it/2017/05/bambini-attenzione-selettiva/
DELEGA DI RESPONSABILITA'
PERSONALE
“When a flower doesn't bloom you fix the
environment in which it grows, not the
flower.”
Alexander Den Heijer
I N D I C E C O N C E T T U A L E
C A P I T O L O I
Esempi di delega di responsabilità
personale desunti dall’opera :
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme, di Hannah Arendt.
La dinamica dialettica del
conformismo.
Conformismo, dispotismo e disquilibrio di rilevanze fattuali.
Indisponibilità all’ascolto.
La falsificazione semantica (generalizzazione
del concetto, pronuncia parziale del concetto).
L’ annichilimento o diniego di
identità.
Falsificazione : Attenuazione di gravità
dell’atto e parvenza di legalità.
La forza del conformismo che tace idee
diverse rispetto all’idea che domina.
Considerazione sul grado di responsabilità
dei partecipanti alla soluzione finale.
L’accusa ad Adolf Eichmann (attribuzione
di responsabilità).
Democrazia ed equilibrio di rilevanze
fattuali.
Connivenza e mendacio.
Il concetto di delega di responsabilità
personale ed il pensiero di Hannah Arendt.
Esempio di generalizzazione del giudizio
(una forma di delega di responsabilità).
Influenza sociale e conformismo.
Il valore della minoranza (entità priva di
potere):
I n n o v a z i o n e .
Influenza normativa e informativa.
L'esperimento di Solomon Asch (1956).
L’esperimento di Milgram (1961).
Il caso Genovese.
L’effetto spettatore (bystander
effect)
C A P I T O L O II
Delega di responsabilità relazionale.
Sensibilizzazione relazionale.
Le implicazioni sociali contemporanee della
delega di responsabilità personale.
La concezione “perentoria” dell’autonomia
e della resilienza individuale.
La ridefinizione del giudizio implica la
ridefinizione e la tempra della relazione.
La delega d’iniziativa.
L’ impasse dello specchio.
Gudizio critico relativo alle proposizioni
:
“If I do not change myself nothing
changes.”
“Ad ogni azione corrisponde sempre una
uguale ed opposta reazione.”
Il principio di equilibrio
relazionale.
La noia.
Ignoranza etica : Il fenomeno della
spietatezza relazionale e della labilità relazionale.
Nihil.
Volo ut sis.
The art of being fragile, Alessandro
D'Avenia.
Sitografia, bibliografia e
videografia.
I
Riprensione verso l’atto di delega e
diffusione di responsabilità personale.
Dèlega
Atto con cui si conferisce a un’altra
persona la capacità di agire in vece propria.
Delegàre
Conferire ad altri il potere di esplicare
in nome proprio e per conto del delegante attività normalmente proprie di
quest’ultimo.
Esempi di delega e diffusione di
responsabilità personale desunti dall’opera letteraria :
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme, di Hannah Arendt.
Le sistematiche deleghe e diffusioni di
responsabilità implicano indisponibilità in relazione alla creatività e dunque
inazione .
L’opera letteraria di Hannah Arendt è
testimonianza del fatto che le inazioni sono le principali cause del
manifestarsi di un sistema sociale dispotico in cui si annichilisce il
contributo sociale degli individui asserviti; ché ove e quando la scelta della
persona libera aveva rilevanza fattuale, la persona ha delegato il suo
personale contributo. *
*Il personale contributo di una persona
(l’esternazione della sua identità) può manifestarsi a titolo di:
- Parola (generalmente, atto)
consapevolmente consenziente o dissenziente un’idea di una persona
- Tacito consenso al pensiero che in un
determinato luogo e in un determinato tempo possedeva maggior rilievo. (Sovente
per il solo fatto che tale pensiero possieda rilievo consensuale, non perché
tale pensiero sia razionalmente ed umanamente assentito. )
La dinamica dialettica del conformismo
All’ atto libero di delega di
responsabilità segue l’ineluttabile asservire alla prescrizione (umanamente
legittima o umanamente non legittima) dell’ente o della persona a cui si delega
la responsabilità decisionale.
Sovente l’atto libero di delega di
responsabilità implica
L’imposizione di una legge, non
l’indicazione di un consiglio valutabile ed ipoteticamente ricusabile.
Il dovere, (non la libera scelta) di
adempiere alla volontà dell’ente o della persona a cui si delega la
responsabilità decisionale.
Il fenomeno fisico dell’interferenza
costruttiva delle onde esemplifica la dinamica dialettica del conformismo:
Secondo tale principio il conformismo si
esemplifica nella sommatoria di onde ciascuna avente picco dipendente dalla
rilevanza fattuale del contributo di ciascuna persona. È doveroso notare che
l’interferenza costruttiva dipende dalla concordanza e tacito consenso di una
medesima idea. È rilevante ricordare che nel caso degenerato di un sistema
sociale dispotico il contributo d’interferenza distruttiva dovuto alla
pronuncia di un pensiero alternativo rispetto all’idea dominante sarà
irrisorio, questo pensiero sarà sottovalutato, trascurato, nei casi più
radicali diverrà origine di violenze nei confronti di coloro che pronunciarono
l’idea alternativa :
L’evolversi e l’accreditamento di un’idea
che domina in seguito al tacito consenso o al consenso di una massa culmina con
l’annichilimento della razionale volontà di ciascun singolo che agisce
esclusivamente in nome delle idee fondanti il sistema dispotico. Il singolo
assimila tali leggi parassite soggettivamente, ovvero sulla base di ciò che di
esse comprende o sulla base di ciò che gli è permesso comprendere.
Tali leggi parassite non sono criticabili
per due motivi :
Indisponibilità all’ascolto.
Hanno acquisito un’immensa forza
persuasiva risultante dal tacito o non tacito consenso di una molteplicità di
individui; la retta di analisi (impatto gravoso del conformismo sociale) del
grafico di pagina 3 esemplifica l’indisponibilità al cambiamento ed
all’accoglienza di nuove idee in tale determinata situazione sociale. Cecità
Tali leggi sono subite dall’individuo il
quale non ha possibilità di comprenderle poiché sovente le cause prime non gli
sono accessibili ché celate o falsificate da chi detiene il potere:
Esempio di generalizzazione del concetto :
caso specifico di falsificazione. “I nazisti, sempre portati a generalizzare,
pensarono di aver dimostrato che gli ebrei erano «indesiderati» dappertutto, e
che ogni non ebreo era almeno in potenza un antisemita. Chi dunque si sarebbe
infastidito se essi avessero affrontato il problema in maniera «radicale»? A
Gerusalemme, Eichmann, ancora influenzato da quelle generalizzazioni, sostenne
più e più volte che nessun paese si era mostrato disposto ad accogliere ebrei,
e che questo, soltanto questo aveva provocato la grande catastrofe: senza
pensare però che gli Stati europei si sarebbero certamente comportati allo
stesso modo di fronte a qualsiasi altra «calata» di persone - anche se non
ebrei -, se queste fossero arrivate improvvisamente senza un soldo, senza un
passaporto, senza neppure conoscere la lingua del paese!”
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme, Hannah Arendt
La falsificazione semantica
“Pensavano che questi ebrei venissero
“trasferiti”; non sapevano che cosa significasse il termine “trasferimento”.”
“Invece di dire uccisione si dovevano
usare termini come «soluzione finale,» «evacuazione» (Aussiedlung) e
«trattamento speciale» (Sonderbehandlung); invece di dire deportazione
bisognava usare parole come «trasferimento» o «lavoro in oriente»
(Arbeitseinsatz im Osten), in modo da dare l'impressione che si trattasse di
provvedimenti temporanei, non dannosi, altresì favorevoli nei confronti degli
interessati, (Dimostrando l’evidente intenzione di far credere
all’interlocutore di agire ancora per il loro bene!).”
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
Pronuncia parziale del concetto: caso
specifico di falsificazione
“Nessuno mai disse ad Eichmann più di
quello che era strettamente indispensabile perché egli potesse svolgere il suo
lavoro specifico.”
La falsità o mancanza di informazioni
implicano cecità imposta compromettendo la comprensione, il giudizio e la
critica costruttiva della realtà.
“Beware of false knowledge: it is more
dangerous than ignorance.”
George Bernard Shaw
La cieca fiducia sovente diviene
necessaria. La cieca fiducia può talvolta tradursi nell’impoverimento della
persona che delega la responsabilità del proprio agire divenendo un ingranaggio
utile esclusivamente nei termini che il sistema richiede (il valore umano,
creativo, intellettivo della persona che non rientra nei termini che il sistema
richiede viene giudicato inesistente dalla collettività sottoposta ai principi
del sistema.)
Il sistema è degenere e disumano quando
grava negativamente sul valore della complessità dell’identità del singolo
mediante alienazione, omologazione di identità e annichilimento di identità.
“La sua mente era tutta presa dalla mole
sempre crescente di lavoro organizzativo e amministrativo.”
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
L’ annichilimento o diniego di identità.
Il concetto Diniego:
Diniègo Negazione, rifiuto: Il diniego
consiste nel negare, nelle forme più svariate e ipocrite, l’esistenza di ciò
che esiste e per giunta si conosce (Umberto Galimberti).
L’annichilimento dell’identità (e la noia)
affievolendo la creatività, la forza di volontà e la capacità critica possono
implicare il crollo morale causato da sentimento d’inferiorità.
“Noi lo sapevamo. Non facemmo nulla.
Chiunque avesse protestato sul serio o avesse fatto qualcosa contro le unità
addette allo sterminio sarebbe stato arrestato entro ventiquattr'ore e sarebbe
scomparso. Uno dei metodi più raffinati dei regimi totalitari del nostro secolo
consiste appunto nell'impedire agli oppositori di morire per le loro idee di
una morte grande, drammatica, da martiri. Molti di noi avrebbero accettato una
morte del genere. Ma la dittatura fa scomparire i suoi avversari di nascosto,
nell'anonimo. E' certo che chi avesse preferito affrontare la morte piuttosto
che tollerare in silenzio il crimine, avrebbe sacrificato la vita inutilmente.
Ciò non vuol dire che il sacrificio sarebbe stato moralmente privo di senso. Ma
sarebbe stato praticamente inutile.
Nessuno di noi aveva convinzioni così
profonde da addossarsi un sacrificio praticamente inutile in nome di un
significato morale superiore.» E' ovvio che qui lo scrittore non si rende conto
di quanto sia vuota la «rettitudine» da lui tanto esaltata quando manca quello
che egli chiama il «significato morale superiore.»
Questo esempio sta però a dimostrare non
tanto la vuotezza della rispettabilità (poiché in circostanze come quelle la rettitudine
si riduce semplicemente a rispettabilità), quanto la vuotezza di tutto il
ragionamento, che pure a prima vista sembra ineccepibile. E' vero che il regime
hitleriano cercava di creare vuoti di oblio ove scomparisse ogni differenza tra
il bene e il male, ma come i febbrili tentativi compiuti dai nazisti dal giugno
1942 in poi per cancellare ogni traccia dei massacri (con la cremazione, con
l'incendio in pozzi, con gli esplosivi, i lanciafiamme e macchine che
frantumavano le ossa) furono condannati al fallimento, così anche tutti i loro
sforzi di far scomparire gli oppositori «di nascosto, nell'anonimo,» furono
vani.”
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
“I vuoti di oblio non esistono. Nessuna
cosa umana può essere cancellata completamente e al mondo c'è troppa gente
perché certi fatti non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per
raccontare. E perciò nulla può mai essere «praticamente inutile,» almeno non a
lunga scadenza.“
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
Il sistema si alimenta sulla base di un
progressivo adattamento alla menzogna : L’ adattamento del sistema uditivo
umano al costante e reiterativo aumento dell’intensità sonora è esemplificativo
del fenomeno di sopportazione, di adattamento ed in fine di felice accoglimento
e condivisione reciproca di falsità o proposizioni non veritiere in quanto
vengono private di elementi fondamentali nel momento in cui vengono pronunciate
o, come nel caso preso in esame,
viene celata la gravità del concetto
pronunciato.
“Inoltre, tutta la corrispondenza relativa
alla questione doveva rispettare rigorosamente una determinata «falsificazione
concettuale e di significato» e se si eccettuano i rapporti degli
Einsatzgruppen è raro trovare documenti in cui figurino parole crude come
«sterminio,» «liquidazione,» «uccisione.» “
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
Falsificazione della realtà : Attenuazione
di gravità dell’atto e parvenza di legalità.
“Inutile aggiungere che tutti questi strumenti
giuridici, lungi dall'essere semplice frutto della pignoleria o precisione
tedesca, servirono ottimamente a dare a tutta la faccenda una parvenza di
legalità.”
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
“Sarebbe stato controproducente se ai
funzionari principali avessimo detto: Dovete far così e così. Se uno fa una
cosa malvolentieri, tutto il lavoro ne risente... Noi facevamo del nostro
meglio per rendere ogni cosa più o meno digeribile.» E non c'è dubbio che così
agivano i nazisti.”
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
La forza del conformismo che tace idee
diverse rispetto all’idea che domina:
“Tutto sta a dimostrare che la coscienza
in quanto tale era morta, in Germania, al punto che la gente non si ricordava
più di averla e non si rendeva conto che il «nuovo sistema di valori» tedesco
non era condiviso dal mondo esterno.
Naturalmente, questo non vale per tutti i
tedeschi: ché ci furono anche individui che fin dall'inizio si opposero senza
esitazione a Hitler e al suo regime. Nessuno sa quanti fossero (forse
centomila, forse molti di più, forse molti di meno) poiché non riuscirono mai a
far sentire la loro voce.”
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
La realtà contemporanea non può che essere
percepita e accolta acriticamente come caos di molteplicità di eventi le cui
relazioni sono inaccessibili. Queste relazioni costituiscono gli elementi
necessari del ragionamento logico che permetterebbe al singolo di criticare ciò
che vede e, in primo luogo, di essere ascoltato e di esser considerato come
individuo che può abilitarsi a scegliere in autonomia come esempio di libera
iniziativa consapevole (Che in tale gravoso contesto viene soffocata).
Un’idea condivisa e rilevante può essere
creativa ed umanamente ragionevole purché non divenga assolutizzante e
dispotica.
“Appunto esempio del quadro, equilibrio di
rilevanze di pensiero.”
Importante considerazione sul grado di
responsabilità dei partecipanti alla soluzione finale
“Parteciparono molte persone, a vari
livelli e in vari modi (i pianificatori, gli organizzatori e gli esecutori,
distribuiti in varie gerarchie), non ha molto senso adoperare i concetti
tradizionali di consiglio e istigazione. Ché questi reati furono commessi in
massa, non solo per ciò che riguarda il numero delle vittime, ma anche per ciò
che riguarda il numero di coloro che li commisero, e il grado in cui ciascuno
dei tanti criminali era vicino o lontano dall'uccisore materiale non significa
nulla, per quanto concerne la misura della responsabilità.
Al contrario, in generale “il grado di
responsabilità cresce quanto più ci si allontana dall'uomo che usa con le sue
mani il fatale strumento”.
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
“Ma il guaio del caso Eichmann era che di
uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né
sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista
delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità
è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica - come già
fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni - che questo
nuovo tipo di criminale, realmente “hostis generis humani”, commette i suoi crimini
in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce
male.”
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
“Se avessero vinto, qualcuno di loro si
sarebbe sentito colpevole? Tra i più grandi problemi del processo Eichmann, uno
supera per importanza tutti gli altri. Tutti i sistemi giuridici moderni
partono dal presupposto che per commettere un crimine occorre l'intenzione di
fare del male. Se c'è una cosa di cui la giurisprudenza del mondo civile si
vanta, è proprio di tener conto del fattore soggettivo. Quando manca questa
intenzione, quando per qualsiasi ragione (anche di alienazione mentale) la
capacità di distinguere il bene dal male è compromessa, noi sentiamo che non
possiamo parlare di crimine. Noi respingiamo e consideriamo barbariche le tesi
«che un delitto grave offende la natura sicché la terra stessa grida vendetta;
che il male viola un'armonia naturale che può essere risanata soltanto con la
rappresaglia; che una comunità offesa ha il dovere di punire il criminale in
nome di un ordine morale» (Yosal Rogat).
E tuttavia a noi sembra innegabile che fu
proprio in base a questi principi antiquati che Eichmann venne tradotto in
giudizio, e che questi princìpi furono la più vera ragione della sua condanna a
morte.”
La banalità del male. Eichmann a
Gerusalemme Hannah Arendt
L’accusa ad Adolf Eichmann (attribuzione
di responsabilità)
“Se è vero che «la giustizia non solo va
fatta, ma si deve anche vedere,» tutti avrebbero visto che il processo di
Gerusalemme era giusto se i giudici avessero avuto il coraggio di rivolgersi
all'imputato più o meno come segue: «Tu hai ammesso che il crimine commesso
contro il popolo ebraico nell'ultima guerra è stato il più grande crimine della
storia, ed hai ammesso di avervi partecipato. Ma tu hai detto di non aver mai
agito per bassi motivi, di non aver mai avuto tendenze omicide, di non aver mai
odiato gli ebrei, e tuttavia hai sostenuto che non potevi agire altrimenti e
che non ti senti colpevole. A nostro avviso è difficile, anche se non del tutto
impossibile, credere alle tue parole; in questo campo di motivi e di coscienza
vi sono contro di te alcuni elementi, anche se non molti, che possono essere
provati al di là di ogni ragionevole dubbio. Tu hai anche detto che la parte da
te avuta nella soluzione finale fu casuale e che, più o meno, chiunque altro
avrebbe potuto prendere il tuo posto: sicché quasi tutti i tedeschi sarebbero
ugualmente colpevoli, potenzialmente. Ma il senso del tuo discorso era che dove
tutti o quasi tutti sono colpevoli, nessuno lo è. Questa è in verità un'idea
molto comune, ma noi non siamo disposti ad accettarla. E se tu non comprendi le
nostre obiezioni, vorremmo ricordarti la storia di Sodoma e di Gomorra, di cui
parla la Bibbia: due città vicine che furono distrutte da una pioggia di fuoco
perché tutti gli abitanti erano ugualmente colpevoli.
Tutto questo, sia detto per inciso, non ha
nulla a che vedere con la nuova idea della 'colpa collettiva,' secondo la quale
gli individui sono o si sentono colpevoli di cose fatte in loro nome ma non da
loro, cose a cui non hanno partecipato e da cui non hanno tratto alcun
profitto. In altre parole, colpa e innocenza dinanzi alla legge sono due entità
oggettive, e quand'anche ottanta milioni di tedeschi avessero fatto come te,
non per questo tu potresti essere scusato. «Fortunatamente non è così.
Tu stesso hai affermato che solo in
potenza i cittadini di uno Stato che aveva eretto i crimini più inauditi a sua
principale finalità politica erano tutti ugualmente colpevoli; non in realtà. E
quali che siano stati gli accidenti esterni o interiori che ti spinsero a
divenire un criminale, c'è un abisso tra ciò che tu hai fatto realmente e ciò
che gli altri potevano fare, tra l'attuale e il potenziale.
Noi qui ci occupiamo soltanto di ciò che
tu hai fatto, e non dell'eventuale non-criminalità della tua vita interiore e
dei tuoi motivi, o della potenziale criminalità di coloro che ti circondavano.
Tu ci hai narrato la tua storia presentandocela come la storia di un uomo sfortunato,
e noi, conoscendo le circostanze, siamo disposti fino a un certo punto ad
ammettere che in circostanze più favorevoli ben difficilmente tu saresti
comparso dinanzi a noi o dinanzi a qualsiasi altro tribunale. Ma anche
supponendo che soltanto la sfortuna ti abbia trasformato in un volontario
strumento dello sterminio, resta sempre il fatto che tu hai eseguito e perciò
attivamente appoggiato una politica di sterminio. La politica non è un asilo:
in politica obbedire e appoggiare sono la stessa cosa. E come tu hai appoggiato
e messo in pratica una politica il cui senso era di non coabitare su questo
pianeta con il popolo ebraico e con varie altre razze (quasi che tu e i tuoi
superiori aveste il diritto di stabilire chi deve e chi non deve abitare la terra),
noi riteniamo che nessuno, cioè nessun essere umano desideri coabitare con te.
Per questo, e solo per questo, tu devi essere impiccato.»” La banalità del
male. Hannah Arendt
Il sistema sociale democratico garantisce
l’adeguata disponibilità ad accogliere il contributo consapevolmente
consenziente o dissenziente di idee esistenti:
Democrazia ed equilibrio di rilevanze
fattuali
Le azioni di astensione o promozione di
una idea permangono nella memoria collettiva, per questo motivo azioni attuate
successivamente, se sono discordanti rispetto alle azioni originarie vengono
percepite come originate da un soggetto incoerente. L’incoerenza è un elemento
responsabile della svalutazione collettiva del soggetto che esprime idee
incoerenti.
Connivenza e mendacio.*
Connivenza : L’essere connivente, tacito
consenso o tolleranza di azione scorretta o colpevole.
Mendàcio : Falsità nelle parole,
affermazione deliberatamente menzognera finalizzata a celare la verità.
*Visione inerente al tema : Die Welle,
2008, Regia di Dennis Gansel, dal romanzo di Todd Strasser.
È semplicemente l'eterna storia del
criminale che non si pente (nelle sue memorie Dostojevskij ricorda che in
Siberia, tra tanti assassini, ladri e violenti non ne trovò mai uno solo
disposto ad ammettere di avere agito male), del criminale che non può vedere la
realtà perché il suo crimine è divenuto una parte di essa? Eppure il caso di
Eichmann è diverso da quello del criminale comune. Questo può sentirsi ben
protetto, al riparo dalla realtà di un mondo retto, soltanto finché non esce
dagli stretti confini della sua banda. Ma ad Eichmann bastava ricordare il
passato per sentirsi sicuro di non star mentendo e di non ingannare se stesso,
e questo perché lui e il mondo in cui aveva vissuto erano stati, un tempo, in
perfetta armonia.
La falsità dello slogan: «lotta fatale»
(“der Schicksalskampf des deutschen Volkes”).
Coniato che fosse da Hitler o da Goebbels,
quello slogan serviva a convincere la gente che, innanzitutto, la guerra non
era guerra; in secondo luogo, che la guerra era venuta dal destino e non dalla
Germania.
Tutti gli ufficiali di polizia, non solo
quelli della Gestapo, ma anche quelli della polizia criminale e della polizia
dell'ordine, ricevettero nuovi titoli - i titoli in uso tra le S.S. -
corrispondenti ai gradi che avevano a quella data, fossero o non fossero
iscritti al partito: e ciò significa che da un giorno all'altro uno dei più
importanti settori dei vecchi servizi civili fu inquadrato nell'organizzazione
nazista più estremista e criminosa. Nessuno, a quanto ci consta, protestò o si
dimise. (esempio di connivenza)
Il “sadico spirito di competizione”
alimenta il consenso nei confronti di atti di delega e diffusione di
responsabilità:
“Ciascuno degli uffici centrali delle S.S.
era diviso, al tempo della guerra, in sezioni e sottosezioni, (fenomeno critico
dell’atomizzazione). Ognuno di questi gruppi costituiva una catena gerarchica
diversa, ognuna era pari alle altre e chi apparteneva a un gruppo non doveva
obbedienza ai funzionari, anche se superiori, di un altro gruppo. E’ impresa
ardua avventurarsi in questo labirinto di istituzioni parallele. (L’assenza di
dialogo impediva la comprensione di senso costituente il giudizio critico della
realtà.)
Le sezioni e le sottosezioni del meccanismo
burocratico nazista si facevano una concorrenza spietata - il che non tornava
davvero a vantaggio delle loro vittime, giacché tutti avevano la stessa
ambizione: uccidere più ebrei possibile.
Questo spirito competitivo, che
naturalmente garantiva ad ogni organismo la fedeltà più assoluta da parte dei
suoi membri, è sopravvissuto alla guerra; solo che oggi funziona per così dire
all'inverso: ognuno cerca di «scagionare» il più possibile quello che fu il
proprio organismo, a spese di tutti gli altri.”
La competizione alimenta il sistema
dispotico in quanto promuove la reiterazione delle idee fondanti e
caratterizzanti il sistema.
Lo spirito collettivo di competizione
induce ciascun individuo ad ambire alla supremazia: Vi è dunque una relazione
di reciproca influenza tra volontà di imposizione dell’ego individuale e
l’alimentazione del sistema dispotico.
Esempio di riversamento di colpa (caso
particolare di diffusione di responsabilità):
Tale circostanza si era già verificata a
Norimberga dove i vari imputati avevano offerto uno spettacolo indegno
accusandosi l'un l'altro - e guardandosi bene dall'accusare Hitler!
Esempio di riversamento di colpa (caso
particolare di diffusione di responsabilità):
Perfino la sentenza, nel valutare le
testimonianze a sfavore rese da altri criminali nazisti, tenne conto del fatto
che - come si era espresso uno dei testi della difesa - «al tempo dei processi
contro i criminali di guerra c'era la tendenza a riversare il più possibile le
colpe su coloro che erano assenti o che si credevano morti.»
Definitivo annichilimento della volontà
soggiogata dal dispotismo aggressivo del reale contingente :
“Lì per lì io non afferrai bene il
significato di quello che aveva detto, data la cura con cui aveva scelto le
parole, ma poi capii e non dissi nulla perché non c'era nulla da dire. Infatti
io non mi sarei mai immaginato una cosa simile, una soluzione così violenta.
Ora persi tutto, tutto il gusto di lavorare, tutta l'iniziativa, tutto
l'interesse.”
Eichmann Eichmann spiegò che se riuscì a tacitare
la propria coscienza fu soprattutto per la semplicissima ragione che egli non
vedeva nessuno, proprio nessuno che fosse contrario alla soluzione finale.
Il banco di sabbia e lo tsunami
Certo, coloro che avevano opposto
resistenza erano stati una minoranza, un'esigua minoranza, ma data la
situazione, il miracolo era che questa minoranza esistesse.
(Nel grafico di pagina 3 la minoranza
coincide con la curva:
Contributo difforme (Il banco di sabbia)
rispetto a molteplici idee consonanti con l’idea originale “IDEA” (tsunami).
“A Norimberga gli chiesero «Com'è
possibile che tutti voi rispettabili generali abbiate seguitato a servire un
assassino con tanta fedeltà?» rispose che non toccava a un soldato ergersi a
giudice del suo comandante supremo: «Questo tocca alla storia, o a Dio in
cielo.»
A trasformarli tutti in criminali non era
stato un ordine, ma una legge.”
Il fenomeno sociale della delega di
responsabilità fu una tra le cause prime dello sterminio degli ebrei.
Il concetto di delega di responsabilità
personale ed il pensiero di Hannah Arendt :
“La coscienza o un senso di legalità che è
riposto nel profondo della coscienza di ognuno, anche di coloro che non hanno
familiarità con i libri di diritto, dev’essere la prima voce testimone della
“manifesta illegalità” purché l’occhio non sia cieco e il cuore non sia di
pietra e corrotto. “
“Una delle più importanti questioni morali
di tutti i tempi :
Il problema della natura e della funzione
dei giudizi umani.
In quei processi, dove gli imputati erano
persone che avevano commesso crimini “autorizzati” noi abbiamo preteso che gli
esseri umani siano capaci di distinguere il bene dal male anche quando per
guidare se stessi non hanno altro che il proprio raziocinio, il quale inoltre
può essere completamente frastornato dal fatto che tutti coloro che li
circondano hanno altre idee. E il problema è tanto più grave, in quanto noi
sappiamo che quei pochi che furono abbastanza “arroganti” da confidare soltanto
nel proprio raziocinio non erano affatto persone che si attenevano ai vecchi
valori. Poiché nel Terzo Reich tutta la società “rispettabile” aveva in un modo
o nell’altro ceduto a Hitler, virtualmente erano svanite le massime morali che determinano
il comportamento sociale, e assieme ad esse erano svaniti comandamenti religiosi (“non privare della
vita”) che guidano la coscienza.
E quei pochi che sapevano distinguere il
bene dal male giudicavano completamente da soli, e lo facevano liberamente; non
potevano attenersi a norme e a criteri generali, non essendoci né norme né
criteri per fatti che non avevano precedenti. Dovevano decidere di volta in
volta.
Quanto l’uomo moderno si preoccupi di
questa questione dei giudzi umani, o, come più spesso si dice, della questione
di coloro che “osano ergersi a giudici,” l’hanno mostrato le polemiche sorte
sul presente libro.
Contrariamente a quanto ci si
aspetterebbe, non si tratta né di nihilismo né di cinismo, ma solo di un’enorme
confusione in merito alle più elementari questioni morali – quasi che in questo
campo ammettere l’esistenza di una moralità istintiva fosse completamente
assurdo, nella notra epoca.”
“L’idea che un uomo non ha il diritto di
giudicare se non è stato presente e non ha vissuto la vicenda in discussione è
condivisa, sebbene sia anche chiaro che in tal caso non sarebbe più possibile
né amministrare la giustizia né scrivere un libro di storia. “
“L’ idea che chi giudica deve essersi
trovato nelle stesse circostanze e avere sbagliato anche lui può invogliare al
perdono, ma quelli che oggi parlano di carità cristiana sembrano avere idee
stranamente confuse anche su questo punto. Così la Chiesa evangelica tedesca ha
dichiarato nel dopoguerra quanto segue: «Noi affermiamo che dinanzi al Dio di
Misericordia siamo corresponsabili del male che il nostro popolo ha fatto agli
ebrei, per avere omesso di aiutarli e avere taciuto» (citato da Aurel v. Jüchen
in “Summa Iniuria”, antologia di recensioni al dramma di Hochhuth, Rowohlt
Verlag, p. 195). A me pare che un cristiano sia colpevole di fronte al “Dio di
Misericordia” se ripaga il male col male: in altre parole, le varie Chiese
avrebbero peccato contro la misericordia se milioni di ebrei fossero stati
uccisi per rappresaglia.
Ma se le Chiese furono corresponsabili di
un crimine puro e semplice, non provocato, come esse stesse riconoscono, allora
sono colpevoli di fronte al “Dio di Giustizia”. Il nostro non è un giuoco di
parole. La giustizia, ma non la misericordia, è una questione di valutazione, e
su nulla l'opinione pubblica di tutto il mondo sembra più d'accordo come sul
fatto che nessuno ha il diritto di giudicare “un altro individuo”. L'opinione
pubblica mondiale permette che si giudichino e magari si condannino soltanto
tendenze, o collettività intere (più vaste sono meglio è), insomma soltanto
entità così grandi e generiche da escludere che si possano fare distinzioni,
che si possano far nomi. Si usa di solito dire, con aria di superiorità, che è
«da superficiali» insistere sui particolari e menzionare individui, e che
invece è segno d'intelligenza ragionare in termini generali, badare al quadro
generale.”
Esempio di generalizzazione del giudizio
(una forma di delega di responsabilità)
L’accusa contro la cristianità, non contro
un uomo facilmente identificabile.
L'accusa contro la cristianità in
generale, con i suoi duemila anni di storia, non può essere provata, e se lo
potesse, sarebbe una cosa orribile. Ma nessuno sembra preoccuparsene; ci si
preoccupa soltanto che sotto accusa non sia una sola persona, un “individuo”, e
arrivati a questo punto è facile andare un altro passo oltre e dire: «Certo, le
colpe sono gravi, ma l'imputato è l'umanità intera.» (Così Robert Weltsch nel
libro sopra citato.)
Un altro modo di evadere dal campo dei
fatti accertabili e della responsabilità personale consiste nel ricorrere a una
delle infinite teorie, basate su ipotesi astratte e non verificabili:
Teorie così generali che ogni avvenimento
e ogni azione si può giustificare con esse - tutto ciò che accade, accade
perché non c'è altra alternativa, e nessuno può agire in maniera diversa da
come agisce.
Tra questi schemi che «spiegano» tutto
senza spiegare nulla troviamo idee come quella idea di una «colpa collettiva»
dei popolo tedesco, derivata da un'interpretazione “ad hoc” della storia
tedesca, o quella non meno assurda di una specie d'«innocenza collettiva» del
popolo ebraico. Tutti questi “clichés” hanno una cosa in comune: rendono
superfluo ogni giudizio e possono essere adoperati senza alcun rischio. Noi
possiamo anche capire come mai la gente più direttamente interessata - i
tedeschi e gli ebrei - sia riluttante ad esaminare troppo da vicino la condotta
di gruppi o individui che sembravano o dovevano non esser toccati dal crollo
morale: la condotta delle Chiese cristiane, dei capi ebraici, degli uomini che
congiurarono contro Hitler nel luglio 1944; ma questa comprensibile riluttanza
non basta a spiegare la generale avversione a giudicare in termini di
responsabilità morale individuale.”
Influenza sociale e conformismo
Il conformismo è la necessaria conseguenza
dell’influenza sociale sovente finalizzata all’ esercizio del controllo sociale
ed al mantenimento dello stato di potere (controllo sociale).
Il cambiamento si esprime nella persuasione
della mentalità dell’individuo a favore di una logica di gruppo.
I concetti compiacenza e condiscendènza
Compiacenza – Desiderio di soddisfare le richieste
altrui, rispetto ostentato delle convenzioni sociali o dell’altrui volontà.
Condiscendènza – L’essere condiscendente,
facilità a concedere qualche cosa, a compiacere, o a tollerare le azioni o il
comportamento di altri.
L’influenza sociale è distribuita in modo
disuguale e viene esercitata secondo una modalità unilaterale.
Lo scritto “La banalità del male. Eichmann
a Gerusalemme”, di Hannah Arendt esemplifica adeguatamente
la dinamica di disquilibrio di rilevanze
fattuali (grafico di pagina 3). Tale contingenza sociale è la principale
conseguenza della delega di responsabilità di una molteplicità di individui e
comporta l’esercizio di potere della maggioranza sulla minoranza :
L’esercizio di potere si identifica nella
possibilità della maggioranza di indurre la minoranza a mettere in atto dei
comportamenti che la maggioranza si attende.
Il valore della minoranza (entità priva di
potere): Artefice di creatività e di I n n o v a z i o n e
“NERO I poveri non buttano mai via niente.
Allora quand'è che si fanno queste
innovazioni?
BIANCO Quando uno non ha quello che vuole.
NERO Bravo, di questo passo ti becchi un
dieci e lode. E chi è che le fa, le innovazioni? Chi è che non ha quello che
vuole?
BIANCO I poveri.
NERO Quanto lo adoro quest'uomo !”
Sunset
Limited, Cormac McCarthy
L’influenza sociale
Per influenza sociale si intende un cambiamento
che si verifica nei giudizi, nelle opinioni, negli atteggiamenti di un
individuo in seguito all’esposizione ai giudizi, alle opinioni e agli
atteggiamenti di altri individui ( fonti d’influenza).
L'esperimento di Asch
L'esperimento di Asch è stato un
esperimento di psicologia sociale condotto nel 1956 dallo psicologo polacco
Solomon Asch. L'esperimento di Asch è un esempio di influenza sociale
normativa.
L'esperimento di Asch esemplifica le
condizioni sociali e personali che inducono l’individuo a resistere o a
conformarsi alle pressioni del gruppo, quando tale gruppo esprime un parere
contrario all'evidenza percettiva.
Con le sue ricerche ha dimostrato quanto
possono essere influenti le influenze sociali persino in presenza di una realtà
oggettiva evidente (e non ambigua).
Asch chiese a gruppi di 8 studenti di
stimare la lunghezza di linee rette. Il compito era di indicare quale delle tre
linee presentate avesse la stessa lunghezza della linea campione (compito di
comparazione di lunghezze). In ogni gruppo c’era solo un vero studente, mentre
gli altri 7 erano collaboratori dello sperimentatore. (I complici del
ricercatore avevano il compito di fornire giudizi palesemente contrari
all’evidenza percettiva. )
Nelle prime prove tutti fornivano una
risposta corretta, nelle successive tutti i collaboratori davano una risposta
sbagliata e l’ultimo studente si trovava a dare una risposta in cui tutto il
gruppo contraddiceva l’evidenza percettiva.
Alla fine della prova alcune persone
avevano realmente pensato di essersi sbagliate, altre affermavano che
nonostante credessero nelle loro capacità si erano conformate al giudizio
scorretto per non essere ridicoli.
Se 6 dei “soggetti critici” mantennero
sempre ferma la propria posizione, nell’insieme 25 persone sulle 31 coinvolte
si adeguarono almeno una volta alla pressione della maggioranza.
Tutti avevano sperimentato ansia e disagio
di fronte a una maggioranza che contraddiceva l’evidenza percettiva.
La spinta a rendere conforme il proprio
giudizio a quello degli altri è dovuta a un processo di ragionamento e non più
di suggestione, è un processo cosciente, determinato dalle informazioni che si
hanno sulla realtà, finalizzato a procurare agli individui una visione
oggettiva del mondo.
I soggetti hanno bisogno di essere graditi
e accettati dagli altri e tendono a conformarsi con opinioni e comportamenti al
modo di agire delle persone che stanno a loro intorno.
A differenza dell’influenza informativa la
pressione normativa porta a un’acquiescenza pubblica ma non a un conformismo a
livello privato. Si dà in pubblico una risposta della maggioranza ma in privato
si hanno le proprie idee.
Influenza normativa e informativa
L’esperimento di Asch è stato ripetuto da
Deutsch e Gerard: la loro ipotesi era che un’influenza sociale di tipo
normativo dovesse essere più rilevante che un’influenza sociale di tipo
informativo.
I risultati dimostrano la tendenza al
conformismo dei soggetti, quando sperimentano il conflitto cognitivo, e il
conformismo è maggiore quando il soggetto esprime i suoi giudizi di fronte agli
altri (come membro di un gruppo) rispetto a quando è isolato.
Se per gli studi di Asch possiamo parlare
di un “conformismo a parole”, le ricerche condotte da Milgram (1974) descrivono
come la conformità giunga a coinvolgere la condotta.
L’esperimento di Milgram (1961)
L'esperimento cominciò tre mesi dopo
l'inizio del processo a Gerusalemme contro il criminale di guerra nazista Adolf
Eichmann. Milgram concepiva l'esperimento come un tentativo di risposta alla
domanda: "È possibile che Eichmann e i suoi milioni di complici stessero
semplicemente eseguendo degli ordini?"
Milgram, Stanley. (1974), Obedience to
Authority; An Experimental View. Harpercollins
“Cerchiamo cinquecento residenti di New
Haven per aiutarci a completare una ricerca scientifica sulla memoria e
sull’apprendimento. Non si richiedono qualifiche, titoli o esperienza nel
campo”
Coloro che avevano risposto all’annuncio
furono invitati in un laboratorio per compiere azioni che, in modo crescente,
contrastavano con la loro coscienza morale. Fino a che punto i soggetti
avrebbero obbedito agli ordini?
A due soggetti venivano assegnati i ruoli
di insegnante ed allievo per indagare il ruolo delle punizioni
sull’apprendimento :
Il ricercatore (V) ordina al soggetto (L -
insegnante) di punire con scosse elettriche, che quest'ultimo crede siano
dolorose, un altro soggetto (S - allievo), che in realtà è un attore e
complice. Molti soggetti hanno continuato a dare scosse elettriche nonostante
le suppliche di misericordia da parte degli attori.
Pur manifestando tensione e protestando
energicamente, i soggetti sperimentali hanno continuato, in percentuale
considerevole, a punire l’allievo.
Lo sperimentatore aveva il compito,
durante la prova, di esortare in modo pressante l'insegnante:
"l'esperimento richiede che lei continui", "è assolutamente
indispensabile che lei continui", "non ha altra scelta, deve
proseguire". Il grado di obbedienza fu misurato in base al numero dell'ultimo
interruttore premuto da ogni soggetto prima che quest'ultimo interrompesse
autonomamente la prova oppure, nel caso il soggetto avesse deciso di continuare
fino alla fine, al trentesimo interruttore. Soltanto al termine
dell'esperimento i soggetti vennero informati che la vittima non aveva subito
alcun tipo di scossa.
Milgram spiegò questo risultato con il
concetto di “stato eteronomico”:
Il concetto di eteronomia:
Nell’etica, la condizione in cui un
soggetto agente riceve da fuori di sé la norma della propria azione. Il termine
è usato in contrapposizione ad autonomia.
Una persona inserita in un sistema
autoritario passa da uno stato autonomo a uno stato in cui non si sente più
libera di agire, poiché deve soddisfare le esigenze di altri.
La radice dei comportamenti di obbedienza
è collocata, da Milgram, al di fuori del contesto sperimentale, nei processi di
socializzazione.
Alla creazione del suddetto stato
eteronomico concorrono tre fattori:
- Percezione
di legittimità dell'autorità
- Adesione
al sistema di autorità (l'educazione all'obbedienza fa parte dei processi di
socializzazione)
- Le
pressioni sociali (disobbedire allo sperimentatore avrebbe significato metterne
in discussione le qualità oppure rompere l'accordo fatto con lui).
La visione secondo cui i membri di un
gruppo tenderebbero “sempre” a conformarsi alla visione della maggioranza è
stata messa in discussione in modo particolare da Serge Moscovici (1976).
L’influenza delle minoranze: Le minoranze attive
I membri di un gruppo non sono solo
bersaglio di influenza, ma, indipendentemente dal loro status e potere, sono
artefici di influenza e quindi in grado di incidere sulla collettività di
appartenenza.
Al contrario di una maggioranza, una
minoranza non dispone di un numero considerevole di sostenitori e nemmeno di status e di autorevolezza
riconosciuti.
Allora, che cosa le permette di esercitare
influenza?
Secondo Moscovici (1976) il nocciolo del
problema va ricercato nello stile di comportamento:
“Una minoranza deve enunciare una
posizione ben definita sul problema in questione e rimanervi saldamente fedele
opponendosi per tutto il tempo alle pressioni esercitate dalla maggioranza”
Lo “stile di comportamento” deve essere
basato su:
Conservazione della posizione nel
tempo (costante, coinvolta, coerente)
Conservazione dell’accordo tra i membri
(costante, compatta, autonoma)
Il caso Genovese
Sono le tre del mattino del 13 marzo 1964
quando la ventottenne Kitty Genovese sta tornando, verso casa a Kew Gardens,
nel Queens, un tranquillo quartiere residenziale di New York. Viene notata da
un uomo, Winston Moseley, che la insegue e la aggredisce colpendola più volte
con un coltello. La ragazza grida e chiede aiuto. Si ode una voce dai palazzi
che intima all’aggressore di lasciare in pace Kitty. Moseley si allontana, ma
dopo poco torna sul luogo dell’aggressione. Kitty, gravemente ferita, si è
trascinata nel frattempo fin sul retro del suo palazzo. Moseley la trova e la
colpisce ancora ripetutamente, lasciandola in fin di vita. È passata più di
mezz’ora dalla prima aggressione. Un vicino chiama finalmente la polizia, ma la
ragazza muore durante il viaggio in ambulanza verso l’ospedale.
Il caso si guadagna solo qualche riga
sulla cronaca dei quotidiani. Ma due settimane dopo un’inchiesta del New York
Times firmata da Martin Gansberg scatena un moto di sconcerto e indignazione in
tutto il paese: un’intera comunità, quella dei palazzi intorno all’abitazione
di Kitty Genovese, finisce sotto accusa. Almeno 38 persone, nella ricostruzione
fatta dal giornalista dell’autorevole quotidiano newyorkese, avrebbero
assistito dalle loro finestre alla violenza e alle grida disperate di aiuto
della vittima, senza intervenire o chiamare la polizia. Il caso Genovese diventa
subito la metafora dei mali della civiltà urbana contemporanea, che genera
indifferenza e un apatico distacco rispetto alle sorti degli altri.
L’effetto spettatore (bystander effect)
La vicenda di Kitty Genovese diventa ben
presto materia di studio per gli psicologi, che cercano di spiegare il
comportamento delle persone che assistettero all’omicidio. Gli psicologi
statunitensi John Darley e Bibb Latané conducono negli anni successivi una
serie di esperimenti per verificare le reazioni delle persone in condizioni di
emergenza. Si verificano reazioni apatiche, di assenza di intervento, dettate
dalla presenza di altre persone sulla scena: ciascuno nota che gli altri non
intervengono, e si convince che non ve ne sia la necessità. I due psicologi
coniano il termine “effetto spettatore” (bystander effect) per descrivere
questo tipo di reazioni, e introducono concetti come l’ignoranza pluralistica e
la diffusione di responsabilità.
Esempio di bystander effect :
In classe, un gruppo di studenti espone un
compito. Il professore chiede alla platea di studenti di criticare in modo
costruttivo il lavoro dei compagni o di esporre parole di lode. Ciascun singolo
studente tace.
Ciascun singolo delega la propria
responsabilità al prossimo pensando:
“Certamente qualcuno farà qualcosa, dirà
qualcosa.”
In fine nessuno pronunciò parola alcuna.
II
Delega di responsabilità relazionale
Lettura consigliata: Creatività complessa
e intuitiva
Sensibilizzazione e responsabilizzazione
relazionale
“I miei nemici mi augurano del male,
dicendo:
Quando morrà? e quando perirà il suo nome?
E se un di loro viene a vedermi, dice il
falso:
Il suo cuore intanto cova iniquità; appena
uscito, egli maledice.
Tutti quelli che m’odiano bisbiglian fra
loro contro a me; contro a me macchinano del male.
Un male incurabile, essi dicono, gli s’è
attaccato addosso; ed ora che giace, non si rileverà mai più. Perfino l’uomo
col quale vivevo in pace, nel quale confidavo, che mangiava il mio pane, alza
il suo piede contro a me.
Ma tu, o Eterno, abbi pietà di me e
rialzami.
Quanto a me, tu mi sostieni nella mia
integrità e mi stabilisci nel tuo cospetto in perpetuo.”
Salmo 41
Reduce da un sistematico e definitivo
abbandono, non avendo alcuna possibilità di sostegno umano si vuole ora
delegare alla fede del fratello la quotidiana resilienza alla vita, consapevole
del fatto che essa è un’esistenza segnata dalla perfetta solitudine e divenuta
corrotta dalle maldicenze che imperversano sul suo nome? E se la sua fede fosse
labile?.
“La religione è per i vivi. Ecco perché
siamo responsabili dei nostri fratelli. Perché quando smettono di respirare,
non li possiamo più aiutare. Da quel momento in poi, sono nelle mani di qualcun
altro. Quindi bisogna che gli stiamo dietro adesso.”
Sunset Limited, Cormac Mccarthy
Le implicazioni sociali contemporanee
della delega di responsabilità personale
Argomento concernente l’ipotesi della
relazione esistente tra il fenomeno di delega di responsabilità personale
relazionale ed il fenomeno critico dell’atomizzazione sociale.
Una relazione è per definizione reciproca,
ovvero essa per esistere necessita del contributo di entrambi i singoli. È ovvio che il dono e non la delega alimenta
la relazione.
La delega di responsabilità relazionale
può implicare la predisposizione a gravare d’un pregiudizio (La cui veridicità
sovente non viene appurata) il prossimo. Tale pregiudizio avrebbe come sostegno
la concezione ipotetica secondo cui il prossimo sarebbe (con valore
temporalmente illimitato) autonomo e resiliente nel senso perentorio (che non
ammette eccezioni) dei termini.
Il concetto di autonomia :
autonomìa: In senso ampio, capacità e
facoltà di governarsi e reggersi da sé.
Con il termine autonomia (dal greco antico
"legge propria") si intende la possibilità di svolgere le proprie
funzioni senza ausilio da parte di altre persone.
Un individuo è dotato di autonomia se le
relazioni e interazioni che lo definiscono nel suo complesso sono determinate
solamente da lui stesso.
La concezione “perentoria” dell’autonomia
e della resilienza individuale
Il concetto di resilienza :
In psicologia, la capacità di reagire di
fronte a traumi, difficoltà.
La concezione “perentoria” dell’autonomia
e della resilienza individuale favorisce dinamiche sociali egoistiche
(abilitanti il fenomeno dell’atomizzazione sociale ed il fenomeno
dell’abbandono) e determina l’univocità della relazione compromettendone
l’origine e l’integrità.
Lo scritto di cui si consiglia la lettura
dimostra con argomenti logici la tesi secondo cui l’atomizzazione sociale sia,
secondo logica, un fenomeno contro la natura umana.
Si vuole sostenere che il pregiudizio di
“perentoria” autonomia e di “perentoria” resilienza individuale attribuito al
prossimo (in assenza di accertamento) sia fonte d’iniquità:
Per il dilagante dell'iniquità, si
raffredderà l'amore di molti. (Mt 24,12)
“C’è un lato oscuro di tutta questa
interconnessione della contemporanea società “social – mediale”. Invece di
avvicinarci, potrebbe avere l’effetto opposto, facendoci disconnettere
maggiormente da noi stessi, dagli altri e dal mondo intorno a noi.”
Hrund Gunnsteinsdottir
La delega di responsabilità prescrive
l’indisponibilità del singolo a ridefinire il giudizio nei confronti del
prossimo, tale delega rischia di tradursi in un preconcetto ed una mera
ratifica della natura dell’Altro, l’io si nega a priori la possibilità di
approfondire la relazione con L’Altro (assenza di iniziativa) escludendo così
la possibilità di un approfondimento esperienziale e critico tra l’io e l’Altro
compromettendo la biunivocità e la reciprocità della relazione.
La ridefinizione del giudizio implica la
ridefinizione e la tempra della relazione
“Sostenere che l’identità non c’è ancora,
non equivale a dire che è impossibile definirla concettualmente nella sua
concretezza storica, ma che la cifra essenziale dell’ identità risiede nella
sua processualità storica. L’identificazione
formale e concettuale, nel momento in cui circoscrive e delimita un
oggetto deve anche creare le condizioni per cui diventi altro rispetto a ciò
che è. Si potrebbe sostenere che la teoria Adorniana dell’identificazione sia
tutt’uno con una teoria del Nuovo, ovvero con una teoria della creatività,
ovvero una teoria delle condizioni di possibilità dell’insorgere del Nuovo e
del Non Ancora.
Nei processi costitutivi
dell’individualità, l’istanza di ridefinizione si traduce nella negazione di
tutte quelle pratiche di identificazione che, nello stabilire ciò che il
soggetto è in un dato momento, pongono vincoli e limiti a ciò ce il soggetto
potrà diventare.
Il Nuovo, ovvero il semplice mutamento di
una situazione attuale è necessario ma non sufficiente: Cosa altrettanto fondamentale è che la Novità
diventi trasformazione, sia cioè anche argomentabile. Il Nuovo, per esser
veramente tale deve poter essere valutato e considerato più giusto rispetto a
ciò che lo ha preceduto. “
Theodor Adorno
Meraviglia, curiosità e la sorpresa d’un
dono (non di una richiesta) di amicizia:
(La
curiosità, implica la domanda, ovvero la disponibilità del singolo ad
accogliere la risposta del prossimo e dunque a ridefinirne il giudizio.)
agàpe (in latino caritas), fraternità,
accoglienza, affabilità, affetto, carità, amore di protezione, cura,
benevolenza.
Amerai il prossimo tuo come te stesso
Tommaso d'Aquino:
"volere il bene di un altro"
(Summa I-II, 26, 4), il cristòlogo identifica Dono, gratuità e fedeltà.
Il dono, la gratuità e la fedeltà sono
valori fondanti “il Nuovo” secondo la concezione adorniana.
L'umanità di una persona si esprime nella
misura in cui essa dona a coloro che non possono o non vogliono donare :
“C'è da dire che l'introversione non
equivale alla timidezza : La timidezza è la paura della disapprovazione sociale
od Umiliazione, mentre l'introversione è la naturale autoreferenziale
emarginazione da ambienti ‘inabilitanti’.“
Susan Cain.
L'umanità di una persona concorrendo a
sanare contesti di disapprovazione sociale, umiliazione, introversione, noia;
stimolando la relazione interpersonale.
“Siamo angeli con un'alta soltanto e
possiamo volare solo restando abbracciati.”
Luciano De Crescenzo
La delega d’iniziativa
Non hai idea di cosa significhi l’esser
abbandonati!
{Principio di delega di responsabilità:
Indisponibilità del singolo a ridefinire i termini della relazione che implica
carenza di dono e univocità della relazione.}
Significa abbandonare coloro che han
abbandonato.
Sei artefice di ciò che stai soffrendo.
{Negazione del principio di delega di
responsabilità. Consiglio alla disponibilità a cogliere l’iniziativa al fine di
ridefinire la relazione.}
Michele Mari scrisse:
“Fedeli al duro accordo
non
ci cerchiamo più.
Così i bambini giocano
a non ridere per primi
guardandosi
negli occhi.
E alcuni sono così bravi
che diventano tristi
per la
vita intera. ”
Gudizio critico relativo alle proposizioni
:
“If i do not change myself nothing
changes.”
“Ad ogni azione corrisponde sempre una
uguale ed opposta reazione.”
Newton
La teoria sociale dello “specchio”
presuppone che il contributo (inteso come valore aggiunto) all’ azione di un
singolo nei confronti di un fratello sia irrisorio o nei casi estremi, nullo.
Se ad ogni azione corrisponde sempre una uguale ed opposta reazione in una
relazione si esclude categoricamente la creatività e la nuova conoscenza (La
percezione della differenza è garante della conoscenza), il dono e la sorpresa.
(Ricordiamo che il dono, la gratuità, la
sorpresa sono valori fondanti “il Nuovo” secondo la concezione adorniana che
alimenta la fiamma della relazione).
La sorpresa può aver luogo solo in un
contesto sociale in cui un singolo dona ad un suo fratello in assenza della sua
iniziativa:
Il principio etico “Ad ogni azione
corrisponde sempre una uguale ed opposta reazione”, illuminato del lume della
sorpresa diverrebbe diverso:
A : Uomo o donna di età indefinita
(dinamica di relazione duale), o una molteplicità di persone (dinamica di
relazione plurale)
B : Uomo o donna di età indefinita
(dinamica di relazione duale), o una molteplicità di persone (dinamica di
relazione plurale)
A è in silenzio, B non conosce il motivo
per cui A è in silenzio, il motivo per cui A dimostra di non essere disposto a
cercare B . B ne è curioso e, decidendo di non restare parimenti in
silenzio, B coglie l’iniziativa per
donare ad A (Il suo tempo, il suo ascolto, la sua parola . . . ).
A non ha mai dimostrato a priori di
chiedere l’iniziativa a B : A è sorpreso, felice accoglie affabilmente B. B
riconosce in A qualità che non avrebbe potuto conoscere se fosse rimasto in
silenzio.
Si attrbuisce a B il ruolo di protagonista
della vicenda ché B dimostra d’andare oltre il principio etico ostacolante la
relazione : Ad ogni azione corrisponde sempre una uguale ed opposta reazione.
“BIANCO Non significa nulla. Capita di
incontrare delle persone e capita che qualcuna di queste sia nei guai per un
motivo o per l'altro, ma non significa che dobbiamo assumercene la
responsabilità.
NERO Mm hm.”
S u n s e t L i m i t e d, C o r m a c M c C a r t h y
Il principio di equilibrio relazionale
Vi sono situazioni in cui un singolo
dimostra di delegare l’iniziativa relazionale (A). Il secondo in questo caso
dovrebbe comprendere quanto possa essere importante e decisivo il suo
comportamento in tale periodo della relazione.
Il principio etico precedentemente
esemplificato, se si reitera nel tempo e se si varia qualitativamente e
quantitativamente lo “spirito” d’iniziativa e di dono contribuisce
positivamente all’origine ed alla tempra della relazione.
Si vuole rifuggire la teoria sociale dello
“specchio” in una relazione ché determina l’affievolirsi non il ravvivarsi
della relazione umana “esaltando” la noia e la monotonia come principi etici e
privilegiando azioni egoistiche, volte a mettere alla prova, pretendere; non
altruistiche, volte a donare.
“Non vuole sostenere che si sarebbero
potuti voler bene di più.
Un amore disinteressato:
Le domande che torturano le coppie umane:
Mi ama? Ha mai amato qualcuna più di me? mi ama più di quanto lo ami io? Forse
tutte queste domande rivolte all’amore, che lo misurano, lo indagano, lo
esaminano, lo sottopongono a interrogatorio, riescono anche a distruggerlo sul
nascere. Forse non siamo capaci di amare proprio perché desideriamo essere
amati, vale a dire vogliamo qualcosa (l’amore) dall’altro invece di avvicinarci
a lui senza pretese e volere solo la sua semplice presenza.
Accettare il prossimo così com’è, non
voler cambiarlo a propria immagine e somiglianza, accettare in partenza il suo
universo, non sottrarglielo. Vegliare ma solo per insegnare una lingua
elementare che avrebbe permesso di capirsi e di vivere insieme.
Un amore volontario, libero d’ogni
obbligo, libero dall’“Es muss sein!” “
L ‘ insostenibile leggerezza dell’essere,
Milan Kundera
"Quei giorni, i giorni di una domanda
mai pronunciata, i giorni di una domanda inascoltata.
Io sto andando, non restare indifferente,
di' qualche cosa affinché ciò non accada !
Non udii alcuna voce, raggelai e soffrii
ma rimasi in silenzio.
Mi volsi, Iniziai a camminare e mi allontanai,
mi arresi alla delusione e alla noia che mi spinse al rifiuto della realtà. “
L ’eredità d’un diario, il diario ed il
bambino dagli occhi color liquirizia , Michele Vitti
“La silenziosa noia, il dubbio e la
sfiducia che il bambino riponeva nella persona spensero la sua curiosità.”
“La curiosità sarà la lanterna del cielo
che cingerà d'un'aura luminosa te che hai illuminato la mia noia.
E la curiosità sarà la tua unicità.
Ora vai donando. Ora vai illuminando della
tua aura coloro che hanno rinunciato a camminare. ”
Anime, Michele Vitti
“Coloro che hanno imparato a stare soli,
nell'incontro con un'altra persona, cercano una autentica relazione
interpersonale alimentata dall'altruismo inteso come creatività e reciproco
dono. Essi, nell'incontro con l'altra
persona, diffidano di relazioni di circostanza ed utilitaristiche in cui
l'assenza di dono reciproco si traduce in stasi della creatività e della
curiosità, in reciproca svalutazione. In noia o danno.”
“L’accademismo, il quale è il principale
nemico della filosofia e dunque della felicità : l’affetto a partire dal quale
riconoscere infallibilmente il discorso accademico è infatti la noia. E sono
loro, i grandi scrittori, a insegnarci che tutto ciò che possiede un vero valore
si ottiene non attraverso il sentiero degli usi ordinari e l’assunzione delle
idee dominanti, bensì attraverso l’effetto, esistenzialmente provato, di una
rottura con il corso del mondo.”
metaphysique du bonheur réel, Alain Badiou
Lettura inerente : Alberto Moravia. La
noia.
“Correvano insieme per le strade,
sviscerando le cose in quel modo di allora che poi diventò tanto più triste e
acuto e vuoto.
E io li inseguivo a fatica come ho fatto
tutta la vita con le persone che mi interessano, i pazzi, i pazzi di voglia di
vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non
sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come
favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle
e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno “Oooooh!”.”
Jack Kerouac, Sulla Strada
Ignoranza etica : Il fenomeno della
spietatezza relazionale e della labilità relazionale.
La reciproca indisponibilità alla
ridefinizione la relazione implica labilità relazionale ed infine spietatezza
relazionale determinante il termine della relazione stessa. La contemporanea
iniquità segna indissolubilmente l’intemperante disponibilità a porre il punto
alle relazioni senza alcuna pietà nei confronti del prossimo.
Il dono, la sorpresa, la curiosità e la
fiducia sono gli strumenti dell'approfondimento della reciproca conoscenza.
L’assenza di approfondimento implica
superficialità (una delle cause prime della labilità relazionale e della stasi
relazionale.)
Talvolta si può avere la percezione che il
dialogo con il prossimo sia vano; che non serva ad instaurare alcuna relazione
se non di circostanza.
Ogni volta che la vita decide di colpirti
lo fa con durezza, non fa sconti a nessuno.
L'uomo non vive da solo in questo mondo,
ciò è motivo di grande gioia, ma anche di enormi responsabilità. Il
nostro dovere non è agire egoisticamente ma piuttosto condividere le esigenze e
gli obiettivi degli altri. Impara l'umiltà. Quando reputi che una cosa sia
giusta, sii determinata al punto di
lottare, addirittura morire per
essa. Non dispiacerti per me. Ho avuto
una vita meravigliosa. Accetto umilmente la mia punizione. Ho la coscienza pulita. Credo o meglio prego
di riuscire a superare il giudizio della corte suprema. Quella di Dio. Corri sui prati, sui campi,
nei boschi, là, nel profumo dei boccioli in fiore, troverai una parte di me.
Milada
Poesia Nihil:
Il foglio bianco, simbolo del non-sense
del nihil, si pone come primo ineluttabile ostacolo alla creativa realizzazione
di un'opera creativa (nel caso specifico, la realtà relazionale) e come radice
d'infinite possibilità.
Il coraggio e la forza di volontà sono le
fonti dello spirito d'iniziativa che, scegliendo di oltrepassare l'ostacolo di
una realtà ancora incerta, nebulosa, sfuggente (la bianca tela) ; traduce in
fatto creativo l'identità dei singoli che compartecipano alla relazione.
“You do not belong to you. You belong to
te universe. Your significance will remain forever obscure to you, but you may
assume that you are fulfilling your role if you apply yourself to converting
your experiences to the highest advantage of others. ”
Richard Buckminster Fuller
the art of being fragile
Alessandro D'Avenia
“
Altresì siamo le storie che ricordiamo.
Le storie che attraversano il tempo e lo
spazio sono le storie che ci definiscono. Questa storia comincia in mare; è un
mare mosso, c’è una nave che lo sta solcando, i marinai remano a fatica, sanno
che il mare è morte. Perché nell’Odissea il mare è morte, è attraversamento
dell’ignoto e definizione del mondo e di sé stessi. Legato all’albero di questa
nave c’è l’eroe che tutti conosciamo. Ulisse. A un certo punto,
improvvisamente, in questo mare mosso, si fa calma piatta; la paura coglie
qualsiasi marinaio che sa che se non vi è un filo di vento, approdare al porto
diventa difficile. E in questo silenzio quasi mistico, si sente un sussurro,
sono voci di donne dolcissime. E promettono di raccontare ai marinai di questa
barca, che cosa succede sulla terra e in particolare, che cosa è successo
durante la guerra di Troia. Le sirene seducono Ulisse con un’inconsueta
tentazione : Le sirene tentano colui che ritorna dalla terra di Troia
promettendo di raccontare ciò che Ulisse ha già vissuto.
Ma perché Ulisse vuole ascoltare
esattamente questo canto che riguarda la storia da cui lui sta venendo?
Per sapere se quella storia è entrata
nella storia.
Nel mondo greco entrare nel racconto epico
significa avere finalmente una identità. Ogni cultura si struttura attorno a questa
colonna etica: Affinché il nostro nome non cada nel nulla, come agire? La
nascita è un accadere che non abbiamo scelto e la nostra più grande paura è che
ritorneremo nel nulla da cui siamo venuti. Ulisse vuole sapere se il suo nome è
finalmente entrato nella storia e questa consapevolezza vale la pena d’ una
tentazione d’una sirena. Ma quando la nave affianca l’isola delle sirene quello
che c’è attorno agli scogli sono solo ossa di uomini. Tutti noi abbiamo questo
stesso problema. La mattina ci alziamo e cerchiamo, una ragione, una
prestazione, attraverso la quale, finalmente, possiamo essere qualcuno. E
questo genera in noi la paura di vivere, la stanchezza di vivere, come la
chiama un filosofo, perché abbiamo frammentato il nostro io in molteplici prestazioni;
le nostre identità somigliano a matrioske : abbiamo tanti strati con cui
cerchiamo di definire la nostra identità, ma il nucleo profondo si è perduto;
io possiedo questo lavoro, io possiedo . . .
E cerchiamo di costruire sulla periferia del nostro io molteplici
effigi, identità sovra - strutturate, in modo che il nostro essere non cada nel
nulla, ma il nucleo profondo, fondamentalmente, il nostro essere
originariamente ed originalmente unico non viene in tal modo riscoperto, bensì
nuovamente velato.
Le molteplici identità sovra-strutturate
orientano la consapevolezza di sé a tal punto che si giudicano, erroneamente,
le labili, transitorie e caduche identità sovra - strutture coincidenti con lo
stabile e perpetuo nucleo fondamento dell’ io, l’essere.
Approfondimento del significato del
termine: erroneamente:
Il giudizio: “Le labili, transitorie e
caduche identità sovra - strutture coincidono con lo stabile e perpetuo nucleo,
fondamento dell’ io, l’essere”, è secondo logica non corretto:
I concetti di labilità e transitorietà
sono i contrari logici dei concetti di stabilità e perpetuità; i contrari
logici non possono essere entità coincidenti.
Questo giudizio, logicamente erroneo, nel
caso in cui sia stimato degno di valore e considerazione implica il sacrificio
dell’autentica identità, dell’essere, il cader nel nulla del nome in favore
delle decidue proprietà, le molteplici identità sovra – strutturate; implica il
sacrificio del tempo in favore dello spazio.
Il tempo è superiore allo spazio. Evangelii
Gaudium.
Avere o Essere. Erich Fromm.
I figli non somigliano a ciascuno dei
genitori preso singolarmente, somigliano alla relazione che c’è fra voi. Perché
l’unico modo che ha l’uomo di nascere e di rinascere sempre è essere generato.
Solo quando esiste una relazione, esiste un principio che fa nascere nuovo quel
nucleo di essere che ci consente quella permanenza nell’esistenza che non
dipende da cose che continuamente ci sfuggono. E finalmente potremmo tirare un
sospiro di sollievo.
Per questo è importante l’appello al
mattino. Io credo che la più grande rivoluzione nella scuola contemporanea
dipenda da come facciamo l’appello. L’atto di nominare assume il significato
del riconoscimento di un’identità; tale riconoscimento implica che l’identità
nominata non cada in oblio, in amnesia, il nulla.
La natura per gli animali provvede al
fatto che tirino fuori corazze, artigli, zanne, per potere sopravvivere
nell’ambiente in cui il cucciolo di animale deve arrangiarcisi. Perché, invece,
il cucciolo d’uomo impiega così tanto tempo ad arrangiarsi. Perché il cucciolo
di uomo è
contro - evolutivo. Mantiene la sua
fragilità, perché la fragilità obbliga gli altri uomini alla cura. Questo ci
differenzia dagli animali. I nostri artigli, le nostre corazze, le nostre zanne
risiedono nel cuore e nella mente.
La relazione
La relazione è dare all’altro ciò di cui
l’altro ha bisogno. Quando bevete un bicchiere d’acqua vi dissetate, siete
entrati in contatto con una relazione: H2o. Due atomi di idrogeno e uno di
ossigeno, è una relazione, ciascuno da all’altro ciò che l’altro ha bisogno. Ed
è solo la relazione che genera e rigenera una persona. In un’epoca in cui ci
illudiamo di poter guadagnare il tempo e lottiamo per guadagnare il tempo.
Questa è una espressione assurda, come se noi non fossimo parte del tempo. Noi
non abbiamo a disposizione del tempo, noi siamo a disposizione del tempo.
L’unica maniera di guadagnare tempo è crescere, e l’unica maniera di crescere è
nascere sempre nuovi. Allora io mi sono divertito a ridefinire le età della
vita, nell’ “Arte di essere fragili”, a partire proprio da questo elemento, è
invalso ormai questa idea, che le tappe della vita siano su una linea retta,
c’è un inizio e poi, per un principio quasi inerziale, arriveremo ai titoli di
coda. Allora lottiamo per conquistare quella permanenza, per sapere se siamo
entrati nel grande racconto. E se ci fosse un’altra soluzione? Se potessimo
veramente essere felici senza doverlo dimostrare a nessuno? Non sarà che
l’essere vivente vive nella misura in cui è generato e rigenerato. Allora,
generare i figli, generare una persona non avviene una volta per tutte. Avviene
ogni santo giorno in cui qualcuno decide di mettere di nuovo al mondo quella
persona. Soltanto così guadagniamo tempo e facciamo guadagnare tempo agli
altri. Perché non smettiamo di crescere e di farli crescere. La vita non
somiglia ad una linea retta, somiglia ad una spirale. Tutte le volte che noi
siamo vicini al centro che genera questo nucleo di novità che ciascuno di noi
è, perché nascere è essere un inedito al mondo: Nessuno di noi ha le impronte
digitali uguali, nessuno di noi ha l’iride degli occhi uguale.
Guardiamo, in media, lo screen duecento
volte al giorno. Immaginate di guardare duecento volte al giorno vostro figlio
o vostra figlia.
Colui o colei è importante, non c’è stato
mai niente come te sulla faccia della terra; è esattamente ciò che noi
cerchiamo da tali oggetti, che sia riconosciuto che noi siamo unici. Ma non c’è
un altro modo di saperlo? Sì, ma è faticoso.
La vita è una spirale:
Più siamo vicini a questo centro, mentre
avanza, più la nostra vita vive e si amplia.
Più ci allontaniamo, più la nostra vita si
disgrega.
Qual è il modo in cui le tappe della vita
si realizzano? Le tappe della vita non hanno alcuna relazione con l’immagine
della linea retta.
Cosa dell’adolescenza dobbiamo mantenere
per tutta la vita?
Cosa della maturità dobbiamo mantenere per
tutta la vita?
Ho ridefinito la vita in questo modo :
L’adolescenza come arte di sperare.
La maturità come arte di morire.
La terza età, o riparazione, come arte di
essere fragili.
E l’ultima, morire, o arte di rinascere.
Nell’adolescenza, quello che accade,
perché è l’arte di sperare?
Perché per la prima volta emerge il
copione inedito che ciascuno di questi ragazzi è venuto a raccontare.
E non c’è più la facile soluzione dettata
dal piacere o dall’obbligo che è tipica del bambino che tutto ciò che vuole lo
ottiene con il pianto. L’inedito finalmente viene alla luce ed è il motivo per
cui un ragazzo o una ragazza sente per la prima volta che la libertà è nelle
sue mani ed è pronto a rompere qualsiasi muro purché quell’inedito si realizzi;
è pronta a rompere qualsiasi muro purché quell’inedito si realizzi. Ed è questo
che rende un giovane protagonista della sua vita.
Protagonista è una parola bellissima,
antica, che indica colui che combatte in prima fila, colui che combatte per
primo. Ma nessuno combatte se non ha un motivo per cui combattere.
E l’adolescenza è il momento in cui
quell’ardore, che si compie nella vocazione, nella passione; finalmente entra
nell’esistenza attraverso la relazione con il mondo noi capiamo che cosa siamo
venuti a portare.
Ricordo quando il mio insegnante di
lettere mi chiamò a tu per tu e mi disse :
Questo è il mio libro di poesie preferito,
te lo presto. Fra due settimane me lo restituisci.
Io quel giorno sono diventato insegnante.
Perché quell’insegnante mi confidava il
suo segreto, vedeva in me ciò che io davanti allo specchio non potevo vedere.
Ciò è dunque l’appello : Il fatto che nel
mio sguardo quando nomino quel nome, loro devono vedere che io intuisco
amorevolmente già la storia che si compirà. Non la conosco, ma sono consapevole
che il mio credo ha come argomenti di fede, professore vuol dire professare, i
nomi di quei ragazzi. Per questo i nomi e l’atto di nominare sono importanti,
quanto la lezione stessa.
Saturi di questo ardore, di questo slancio
vocazionale, pensiamo che il mondo ci stia aspettando e la maturità è l’arte di
morire perché una dopo l’altra invece accadrà che verranno smontate tutte le
cose che pensiamo di dover portare in questo mondo e che nessuno, ci sta
aspettando.
Poiché ci siamo svincolati dal principio
di piacere del bambino, sappiamo e impariamo che quel fuoco si nutre degli
ostacoli che incontra :
Immaginate Michelangelo che di fronte a un
bocco di marmo osasse pensare : Che noia questo marmo di carrara, è così duro e
resistente.
Invece è proprio la medesima resistenza di
Michelangelo che ci consegna i capolavori dello scultore.
Si comprende che questo libera un
adolescente da quella pretesa, quel delirio narcisistico che affievolisce la
curiosità, di non esplorare il mondo perché si ritiene che non vi sia nulla da
esplorare. Ma di usare il mondo semplicemente per una propria conferma. Esplora
il mondo solo chi ha trovato una ragione per morire al mondo: allora la
maturità è arte di morire, senza perdere quell’ ardore dell’adolescenza. La
riparazione o arte di essere fragili dipende solamente dalla qualità delle
relazioni che noi abbiamo con il mondo e con gli altri.
Scrivere ti amo a una persona ormai è
diventato troppo semplice :
Ormai, troppo spesso, la celere scrittura
di brevi, monotoni, aforismi, sovente non autografi, ha sostituito il
sentimento che solo la parola e la melodia della voce può avverare.
Provate a scrivere al posto di ti amo:
“Tu non devi morire ed io mi impegnerò
affinché questo non accada.”
Lo ripeto:
“Tu non devi morire ed io mi impegnerò
affinché questo non accada.”
Amare una persona è farsi custode del suo
destino come quell’insegnante che mi prestò il libro quel giorno. Perché quella
mattina quell’insegnante non stava pensando all’ennesima giornata di scuola
noiosa da affrontare e a degli alunni da sopportare. Nella sua biblioteca colse
il libro che poteva servire al suo alunno. Perché la relazione sicura è quando
si dà all’altro ciò di cui l’altro ha bisogno. E ci si prende cura del mondo
così solo quando si ha qualche cosa da portare nel mondo. Se io oggi sono un
insegnante felice, è perché a diciassette anni un uomo mi ha donato la lettura
di poesie del suo libro preferito.
Sembra che io stia raccontando l’acqua, la
cosa più semplice.
Ma l’ acqua è una relazione :
H2o.
Due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, è
una relazione, ciascuno da all’altro ciò che l’altro ha bisogno.
Potremmo dunque permetterci di entrare
nella fase finale della vita. In realtà non è quella finale, morire o arte di
rinascere; è proprio questo, quando una persona sa quale sia l’inedito che è
venuto a scrivere su questa terra. La lotta che fa ogni giorno, per realizzarlo
negli altri prima che in sé stesso, è ciò che gli garantisce di aver fatto
qualcosa di bello al mondo, che sia conosciuta o no dagli altri non importa.
Allora tutte le volte che faccio
l’appello, quello che dovrei fare di fronte a quei venti volti, che sono
proprio il mondo che mi viene affidato.
La prima volta che Ulisse entra in scena
nell’Odissea, sta piangendo, perché gli eroi veri, hanno le lacrime.
E perché sta piangendo?
Perché ha nostalgia di Itaca, di sua
moglie, di suo figlio, di suo padre.
Calipso, la Dea, immortale e bellissima,
se ne stupisce e gli chiede:
“ Perché piangi? Perché sei fragile ?
Perché sei mortale ? “
Ulisse risponde : “Perché casa mia è oltre
questo mare. ”
Calipso disse dunque :
“Rimani con me, io ti renderò immortale;
inoltre, io sono molto più bella di Penelope. ”
Gentile Calipso, queste Dee che non sanno
cos’è la morte e non sanno nemmeno cosa sia amare.
Ulisse rispose :
“è vero, tu sei più bella di Penelope, ma
lei è mia moglie, è lei che ho scelto.”
E per questo, Ulisse sceglie la mortalità,
sceglie la fragilità, sceglie un’isola piccola e abbastanza inospitale perché
lì lo aspettano il figlio, il padre e la moglie. E per questo lo ricorderemo
nei secoli dei secoli.
Perché ciò che definisce la nostra vita è
ciò che noi sappiamo amare.
Ricordo i versi di un poeta, che ha voluto
che sulla sua tomba ci fosse scritto quello che aveva vergato nei versi della
sua ultima poesia.
- Hai
avuto quello che volevi dalla vita nonostante tutto?
- Sì.
- E
che cosa volevi?
- Volevo
potermi dire amato, volevo sentirmi amato sulla terra.
Ciò che sappiamo amare, è ciò che non ci
sarà strappato.
Ciò che sappiamo amare, è la nostra
eredità.
Il resto è scoria.
Ciò che sappiamo amare è, la nostra
storia.
”
Alessandro D'Avenia
C h i e d i t i c h e
c o s a p u o i f a r e .
Bibliografia :
La banalità del male, Eichmann in
Jerusalem, Hannah Arendt, Feltrinelli,
Milano 1964.
Sunset Limited, Cormac Mccarthy, Einaudi
La Bibbia di Gerusalemme, EDB (edizioni
Dehoniane Bologna) Salmo 41, Preghiera del malato abbandonato.
L ‘ insostenibile leggerezza dell’essere,
Milan Kundera
colourfulshare, mosaico di opere
artistiche e letterarie, Michele Vitti
Metaphysique du bonheur réel, Alain Badiou
Jack Kerouac, Sulla Strada, Oscar
Mondadori
Sitografia :
https://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_di_Milgram
http://aulalettere.scuola.zanichelli.it/come-te-lo-spiego/2014/04/11/quando-lindifferenza-prevale-leffetto-spettatore/
http://www.treccani.it/
https://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_di_Asch
https://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_carcerario_di_Stanford
https://it.wikipedia.org/wiki/Deindividuazione
https://www.youtube.com/watch?time_continue=1075&v=izHbS7rETVg
MIRROR
A n d n o w
a l o n g y o u r w a y
y o u m e e t m e,
y o u r l i f e
m e n t o r.
W h a t k i n d
o f b e h a v i o r w i l l
I s h o w y o u?
W h a t k i n d
o f m o d e l w i l l
I t e a c h y o u?
____________________________________________________________
A n d n o w
a l o n g m y w a y
I m e e t y o u,
m y l i f e
m e n t o r.
W h a t k i n d
o f b e h a v i o r w i l l
y o u s h o w m e?
W h a t k i n d
o f m o d e l w i l l
y o u t e a c h m e?
VEILED HOPES
Come può influenzarti così tanto ciò che non esiste o che non è mai esistito?
Perché in ciò che non esiste o che non è mai esistito risiede il profondo, ciò che non è evidente e immediatamente accessibile, il sogno, lo spirito fiducioso nella nascita, nel ritorno, nel cambiamento, affinché le opere creative non siano fine a se stesse, vane, statiche, monotone rispetto all’immagine di ciò che è, di ciò che esiste, sia allora il nostro vivere esempio, origine e eredità di nuove relazioni che risolvono la carenza di ciò che ancora non è.
SERENDIPITA'
Serendipità {Ingl. serendipity, da
Serendip, antico nome dell’isola di Ceylon: voce coniata da H. Walpole nei Tre
principi di Serendip pubblicato nel 1754.}
Il trovare una cosa non cercata e imprevista
mentre se ne cerca un’altra.
"Quando qualcuno cerca, "
rispose Siddhartha "allora accade facilmente che il suo occhio perda la
capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli non
riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla, in sé, perché pensa sempre
unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo
scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: esser libero,
restare aperto, non aver scopo. Tu, venerabile, sei forse di fatto uno che
cerca, poiché, perseguendo il tuo scopo, non vedi tante cose che ti stanno
davanti agli occhi."
Hermann Hesse
"Accade a volte che un sognatore o un
bambino si rompano gli occhi nell'intento di vedere con precisione, di
sorprendere nel cielo crepuscolare il momento in cui compare ciascuna delle
prime stelle. Ben tesa è la curiosità, allora; ben vigile, l'attenzione; in uno
stato come di ossessione le pupille.
Mai però si raggiungerà il risultato
desiderato. Una livida solitudine permane nel punto preciso dove con tanta
ansia si guarda. In cambio, un poco più lontano, qualche cosa è successo.
Niente ivi c'era prima; ma ora, ma adesso, rispende la più brillante delle
stelle. Senza volerlo il nostro sguardo si rapprende nella luce."
E. D'Ors, Diario Europeo, 1946
I MAI MALCONTÈNTI
Affinché non si possa realizzare i più
flebile lume della idea del ‘Non’, abbracciamo la stasi, adottiamo talvolta
impedimenti dinanzi ai principi di creatività e rivoluzione, al bivio ci
fermiamo, talvolta per più di una scelta, talvolta nel continuum di anni di
tempo, ciò che evitiamo non smette di esistere come conseguenza dell’atto
dell’eludere e così scegliendo ostacoliamo altresì il naturale germogliare
dell’idea del bene. Poiché noi siamo immagine e somiglianza del nostro prossimo
nella qualità in cui non scorgiamo in alcun specchio di anime il flebile lume
del cambiamento in ottemperanza di un nostro atto, come effetto di una nostra
iniziativa che ne sarebbe causa, semplicemente ci annoiamo, e nel peggiore dei
casi ci paralizziamo – possiamo nominare questa implicazione caratteriale.
Timidezza, tuttavia più precisamente questa identica nostra risposta è una
naturale e umana implicazione di una dissonanza cognitiva indotta dalla non
realizzazione della naturalezza dell’avverarsi del principio: Ad una nostra
azione corrisponde una reazione uguale e contraria – In realtà se non accade
questo talvolta può accadere: “Ad una nostra azione corrisponde il nulla,
l’assenza di una iniziativa.” La nostra profonda essenza percepisce questa
anomalia relazionale e questa percezione può implicare un nostro cortocircuito
emozionale nel nostro profondo che superficialmente adottiamo comunitariamente
come ‘normalità’ e giustezza. È di moda il pensiero: “Puoi dire quello che
vuoi, ma ti so, ti definisco e ti delimito sulla base della mia percezione,
interpretazione o idea inesorabile, sei e resti quello che fai.” Questa
mentalità è aggressivamente vincolante e veicolante, dimostra l’indisponibilità
di un mindset di vedere oltre – Questo mindset è avverso ai più basilari
principi di libertà nel contesto del giudizio del prossimo poiché elude ogni
possibile movimento di crescita, di miglioramento, di autoriflessione del
prossimo giudicato, dovrebbe essere riconosciuto che in questo contesto il
giudicante, non il prossimo è il peggiore malfattore: Posto in primo piano che
non esiste alcuna inesorabilità in ciò che una persona è – l’essere custodisce
il potere divenire – Ovvero è un nonsense l’assumere a priori che una persona
sia (tale ______ = Attributo di giudizio) e che non possa divenire diversa,
migliore, secondo la sfumatura contestuale presa in esame – Abbiamo allora
imparato a dire con prudenza lui/lei è _____ e. Si introduce qui un secondo
argomento, ovvero il bilanciamento del nostro sguardo, verso noi stessi e verso
il prossimo/a – Sovente tendiamo in qualità e in misura maggiori a vedere in
taluni casi ‘solamente’ il prossimo/a.
Allora in molti pronunceremmo: “Io non
sono _____, ma tu mi realizzi tale, allora devo avversarmi a tale realtà creata
se è incoerente con la verità che nella nostra anima percepiamo non in essere,
non possibile, incoerente con Noi, fuori dal nostro tempo e dal nostro luogo.
Allora inesorabilità può essere la noia di un giudizio esterno che vuol
cristallizzarci in un nostro atto o un essere stato/a talvolta sulla base di
superficialità comunitariamente condivise, e per sempre? Quanti secondi sono
custoditi nel sempre, l’individuo giudicante è responsabile del sostenerne il
peso – Quali e quante qualità potremmo realizzare se non ci rallentassimo?
Dimodoché ostacoliamo il nostro crescere naturale – I giudizi sono fatti ad
arte – non sono naturali – sono artefatti, nei significati negativi dei
termini. Allora riflettiamo sulla realtà che sovente giudicare implichi il
limitare e il depauperare. Il giudicante perpetuando l’atto del giudizio
perpetua il suo potere decisionale sul prossimo – Si riconosce che questa
dialettica impone la dissimilarità vitale e essenziale tra due persone, il che
è una delle principali attitudini verso le quali le illustri scienze e
religioni si avversano.
In secondo luogo se mi dicessero di
credere solamente ai fatti e non alle parole, io risponderei loro che altresì
le parole, che siano scritte, dette, o taciute, sono fatti. Pertanto le parole
non hanno motivo di non essere stimate rilevanti e concorrenti all’evolversi
del nostro divenire.
Queste parole consegnate in un clima di
apertura dialogica e di disponibilità di correzione e di ridimensionamento,
aiutiamoci a migliorare.
Questi esempi di nonsense possono decadere
le nostre energie creative e implicare la non resilienza attitudinale verso
nuove fiduciose creatività e gratuità.
Queste parole lasciate a tutti noi
nell’augurio di giungere a
riconoscere nuove prospettive
allorquando ci si fermerebbe, poiché allo sguardo che non può riconoscere in un
verde prato il quadrifoglio, intanto sono accessibili miriadi di trifogli:
Esistono ‘Underneath realities’ non immediatamente riconoscibili, siamo il
nostro tempo, se non ci dedichiamo il tempo che meritiamo, non dedichiamo la
nostra fiducia in realtà che realmente potrebbero rivitalizzare le nostre
quotidianità, ed allora eleveremmo il livello della nostra coscienza divenendo
colmi di possibilità, reinventando il nostro respirare sulla base
dell’ampliamento del nostro luogo di vivere – la speranza in noi stessi e nel
prossimo garanti del non assopire delle nostre vitalità.
L’onestà dinanzi al nostro reale stato
d’animo è opportunità relazionale di conforto, di coesistenza e di
cosentimento.
L’ottimizzazione del rendimento e la
onnipresenza della resilienza sono contesti concettuali assimilabili alla
realtà delle macchine, non delle persone.
LIMITI DEL VEDERE
I n d i c e c o n c e t t u a l e
Letture di approfondimento
L’ occhio della mente, Oliver Sacks,
ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO, 2011
José Saramago, Cecità, Einaudi, Torino,
1966
The art of unveiling the unseen side. A
cura di Tommaso Spazzini Villa
limiti strumentali : la percezione visiva
I
LIMITI BIOLOGICI DEL SISTEMA VISIVO UMANO E IL CANNOCCHIALE DI GALILEO GALILEI
Limiti strumentali biologici
Il telescopio
IL LIMITE DI RISOLUZIONE VISIVA E I
MICROSCOPI
Il limite di risoluzione visiva
I microscopi
limiti esperienziali oggettivi
IL DETERMINISMO CONOSCITIVO DAL
PUNTO DI VISTA FISICO
IL PROBABILISMO CONOSCITIVO DAL
PUNTO DI VISTA FISICO
E LA SOGGETTIVITA’ DELLA
CONOSCENZA
limiti esperienziali soggettivi
IL DETERMINISMO CONOSCITIVO DAL
PUNTO DI VISTA FILOSOFICO,
RAZIONALISMO ED OTTIMISMO
IL PROBABILISMO CONOSCITIVO DAL
PUNTO DI VISTA FILOSOFICO,
PESSIMISMO ED IRRAZIONALISMO
problematiche relative all’arbitrarietà
umana
CAUSE RAZIONALI
Mancanza di coraggio
Interesse nella ‘falsificazione’
consapevole della realtà
Letture di approfondimento :
LA BANALITÀ DEL MALE, Eichmann in
Jerusalem Hannah Arendt, Feltrinelli,
Milano 1964
Delega di responsabilità
CAUSE INDIPENDENTI DALLA RAZIONALITA’
UMANA
Il subconscio: Falsificazione
inconsapevole
limiti strumentali : la percezione visiva
L’atto del conoscere è condizionato dalle
possibilità strumentali umane
I LIMITI BIOLOGICI DEL SISTEMA VISIVO
UMANO E IL CANNOCCHIALE DI GALILEO GALILEI
Limiti strumentali biologici
La luce è la radiazione elettromagnetica
visibile ai nostri occhi. La radiazione elettromagnetica può essere descritta
come un’onda di energia.
Solo una piccola parte dello spettro
elettromagnetico può essere rilevato dal nostro sistema visivo; la luce visibile
è costituita dalle lunghezze d’onda comprese tra i 400 ed i 700 nm.
La rifrazione è una proprietà fisica
necessaria per la percezione di un’immagine; quando la luce passa attraverso un
mezzo in cui la sua velocità è rallentata, devia con una direzione
perpendicolare al confine tra i due mezzi.
Questo è proprio il caso della luce che
colpisce la cornea e passa dall’aria all’umor acqueo. Nonostante la cornea
esegua la maggior parte del processo di rifrazione, anche il cristallino
contribuisce alla formazione di un’immagine ancora più nitida.
Quando gli oggetti si avvicinano, i raggi
di luce originati su un determinato punto non possono più essere considerati
paralleli bensì divergenti, per questo motivo diventa necessario un maggiore
potere di rifrazione per metterli a fuoco sulla retina. Questo ulteriore potere
di messa a fuoco viene ottenuto grazie all’accomodamento del cristallino che
assume una forma più tondeggiante aumentandone quindi il potere di rifrazione.
Se avviciniamo troppo l'oggetto, questo
meccanismo automatico dell'occhio non basta più, per questo motivo l’uomo per
vedere più nitidamente necessita di strumenti tra cui il telescopio.
Secondo il medico olandese Hermann Snellen
(1834-1908) due tratti per essere percepiti dall’occhio umano distinti devono
essere separati da un primo d'arco, ovvero 1\60 di grado di angolo visivo.
La luna sottende un angolo visivo di circa
0,5 gradi per questo viene percepita come un corpo celeste perfettamente
sferico.
Tuttavia lo scienziato Galileo Galilei
utilizzando per la prima volta il telescopio provò empiricamente che tale
percezione non era veritiera.
Grazie all’utilizzo del microscopio
Galileo Galilei non solo scoprì che la superficie della Luna è irregolare ma
conobbe anche altre proprietà del sistema solare tra cui le fasi di Venere ed i
satelliti di Giove. Tali verità portarono Galileo a confutare il dualismo
aristotelico che prevedeva l’esistenza del mondo sublunare imperfetto e del
mondo celeste formato dalla sostanza Etere, perfetto.
Queste scoperte permisero inoltre a
Galileo di provare la validità delle ipotesi di Copernico che prevedevano la
sostituzione del modello antropocentrico con quello eliocentrico.
“In quel momento capii che l’evo antico
era finito e cominciava la nuova era; dove per mille anni ha dominato la fede,
ora domina il dubbio. Tutto il mondo dice: d’accordo, sta scritto nei libri, ma
adesso lasciate un po’ che vediamo noi stessi. Quello di cui non si era mai
dubitato, oggi è posto in dubbio.”
“La verità riesce ad imporsi solo nella
misura in cui noi non la celiamo”
(Citazioni dal libro di BERTOLT BRECHT
Vita di Galileo)
Il telescopio
Il temine ‘Telescopio’ deriva dal greco:
«lontano» e (skopein) che significa «guardare, vedere»; tale strumento
raccoglie infatti la luce proveniente da un oggetto lontano, la concentra in un
punto (detto fuoco) e ne produce un'immagine ingrandita.
I telescopi ottici si dividono
principalmente in due classi in base al tipo di elementi ottici utilizzati: i
rifrattori e i riflettori.
Il telescopio rifrattore, grazie ad un
insieme di lenti, sfrutta il fenomeno della rifrazione per focalizzare
l'immagine mentre il telescopio riflettore, grazie ad un insieme di specchi,
sfrutta il fenomeno della riflessione per focalizzare l'immagine.
In ogni sistema telescopico l’obiettivo
anche se costituito da più elementi, sia convergenti che divergenti, deve
sempre essere complessivamente convergente.
IL TELESCOPIO DI GALILEO GALILEI
(Realizzato da Hans e Zaccharias Jansen in
Olanda ed importato in Italia da Galileo Galilei)
Il cannocchiale galileiano consta di una
lente convergente, con funzione di obiettivo, e da una lente divergente in
funzione di oculare. L’oculare viene a trovarsi prima del fuoco dell’obiettivo.
L’oculare intercetta i raggi convergenti provenienti dall’obiettivo rendendoli
paralleli e formando così un’immagine virtuale diritta. L’immagine formata
dall’obiettivo è molto più piccola dell’oggetto osservato, lo scopo
dell’obiettivo non è infatti di ingrandire l’oggetto, ma di produrne
un’immagine molto più vicina.
Proprietà del telescopio ottico
galileiano:
La distanza tra obiettivo e oculare è pari
alla somma algebrica delle loro distanze focali.
L'ingrandimento è dato dal rapporto tra la
distanza focale dell'obiettivo e quella dell'oculare.
IL LIMITE DI RISOLUZIONE VISIVA E I
MICROSCOPI
Il limite di risoluzione visiva
Indica il minimo angolo visivo entro il
quale l’occhio riesce a conservare la capacità di percepire due punti distinti
e separati:
(angolo minimo risolubile o angolo di
separazione) = 1,22 lambda/D
Al diminuire di angolo minimo risolubile,
aumenta la sovrapposizione tra le due figure di diffrazione, e diventa
difficile distinguere tra loro le due sorgenti.
Caso a: angolo minimo risolubile molto
maggiore di 1,22 lambda/D
Caso b: (limite di risoluzione) angolo di
separazione = 1,22 lambda/D
Il potere risolvente di uno strumento
ottico determina la capacità di uno strumento di distinguere due oggetti. Si
può aumentare il potere risolutivo diminuendo lambda della radiazione luminosa
o del fascio di particelle.
La capacità di risoluzione di un oggetto
di piccole dimensioni dipende dall’utilizzo di una lambda più piccola
dell’oggetto studiato.
Per vedere nitidamente distinti due
oggetti distanti D, posso utilizzare una radiazione elettromagnetica o un
flusso di particelle di lunghezza d’onda tale che
lambda = angolo di separazione D / 1,22.
In questo modo posso superare i limiti
dello spettro del visibile.
Utilizzando tali strumenti ottici cambia
il concetto stesso del “vedere”:
Strumenti ottici con queste determinate
caratteristiche (I microscopi) necessitano infatti di dispositivi che possano
tradurre l’informazione in immagine.
I microscopi
XRD (rifrattometro a raggi X)
Grazie allo strumento ottico XRD nacque la
cristallografia, ovvero lo studio dei cristalli per mezzo della diffrazione dei
raggi X (Il fenomeno della diffrazione è il risultato dell’interferenza
costruttiva della radiazione uscente dal cristallo).
In seguito alle ricerche sperimentali de
Max von Laue si dimostrò che se correttamente interpretate, le figure di
diffrazione risultanti dall’interazione tra una radiazione elettromagnetica ed
un cristallo possono fornire dettagliate informazioni sulla sua struttura.
Analogamente a quanto accaduto a Galileo,
questo è un esempio di come l’aumento del potere risolutivo della visione
permetta all’uomo di pervenire a nuove conoscenze.
Il microscopio elettronico
Il microscopio elettronico funziona in
modo del tutto analogo ad un microscopio ottico.
Dobbiamo però introdurre il concetto
secondo il quale agli elettroni viene attribuita anche natura ondulatoria.
L’onda di materia associata ha lunghezza
d’onda data dalla legge di De Broglie:
lambda(elettroni) =h/mv
Quindi nei microscopi elettronici non
viene utilizzata la luce come mediatrice del messaggio visivo (come avviene per
il microscopio ottico) bensì un fascio di elettroni il quale ha un potere di
risoluzione altamente elevato poiché attraverso l’utilizzo di appositi
strumenti si può determinare lambda mediante il controllo sulla velocità degli
elettroni.
lambda (angolo minimo risolubile o angolo
di separazione) = 1,22 lambda
(elettroni)/D
Pertanto la lambda degli elettroni può
essere tanto più piccola rispetto alla lambda della luce visibile (blu 380 nm)
infatti l’elettrone grazie al moderno potenziale del microscopio elettronico
può raggiungere una lunghezza d’onda dell’ordine dei 10^(-13) m.
Particolari tecnici: il funzionamento del
microscopio elettronico
Una sorgente rilascia un fascio di
elettroni che colpiscono l’oggetto studiato che emette numerose particelle fra
le quali gli elettroni secondari. Questi elettroni vengono rilevati da uno
speciale rivelatore e convertiti in impulsi elettrici.
Il messaggio degli elettroni secondari
viene mandato ad uno schermo (un monitor) che traduce il messaggio in immagine.
L'immagine in bianco e nero risultante ha caratteristiche simili a quelle di
una normale immagine fotografica.
Il potere di risoluzione di un normale
microscopio elettronico si aggira intorno ai 5 nm, ma alcuni modelli arrivano a
1 nm che corrisponde a 0,001 um. Il potere risolutivo dell'occhio umano è
invece di circa 100 um
limiti esperienziali oggettivi
L’atto del conoscere è condizionato
dall’oggetto della conoscenza
Ci sono limiti oggettivi relativi
all’osservazione della realtà fenomenologica descritti nell’ interpretazione
ortodossa della meccanica quantistica che sostituisce una interpretazione
deterministica della realtà con una interpretazione probabilistica.
1.1 IL
DETERMINISMO CONOSCITIVO DAL PUNTO DI VISTA FISICO
DI GALILEO GALILEI:
Galileo Galilei, padre della scienza
moderna e fondatore del metodo scientifico sperimentale sostiene che ciò che è
conoscibile scientificamente, coincidendo con la realtà, può essere conosciuto
in modo oggettivo e determinato; ovvero la scienza permette la conoscenza vera
della realtà (che secondo lo scienziato segue leggi meccaniche e
deterministiche).
DI LAPLACE (1749 - 1827) Matematico e
fisico francese:
“Dobbiamo dunque considerare lo stato
presente dell’universo come l’effetto del suo stato anteriore e come la causa
del suo stato futuro.”
Laplace ritiene che la matematica sia
l’unico limite strumentale che ostacoli la conoscenza della realtà che segue
leggi deterministiche; Laplace è convinto che l’uomo in futuro acquisirà
capacità intellettive tali da permettergli di conoscere e prevedere con
esattezza la realtà.
“Nulla sarebbe incerto per tale
intelligenza e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi”
DI ALBERT EINSTEIN ( 1879-1955) Fisico e filosofo tedesco
“Tu, Born, ritieni che Dio giochi a dadi col
mondo; io credo invece che tutto obbedisca ad una legge, in un mondo di realtà
obiettive che io cerco di cogliere. Lo credo fermamente; spero che qualcuno scopra
una strada più realistica – o meglio un fondamento più tangibile – di quanto
non abbia saputo fare io”
2.2 IL PROBABILISMO CONOSCITIVO DAL PUNTO
DI VISTA FISICO E LA SOGGETTIVITA’ DELLA CONOSCENZA
Principio di non determinismo o
probabilismo (di causalità debole, Born)
Date tutte le condizioni al contorno di un
fenomeno noi non possiamo prevedere con certezza quale sarà il fenomeno
successivo.
Principio di complementarietà di Bohr
La particella ed il fotone sono in sé un
connubio indistricabile di due nature. La volontà dello sperimentatore, che
sceglie di svolgere un determinato esperimento, determina la manifestazione di
una sola delle due nature che a priori sono indefinibili, non differenziate.
Principio di indeterminazione di
Heisemberg
Soggettività della conoscenza: lo
sperimentatore deve scegliere quale tra le due osservabili studiare con
maggiore precisione.
Limite teorico sull’apparato sperimentale:
Se
lo sperimentatore migliora la precisione sulla misura della prima osservabile
perde precisione sulla misura della seconda osservabile.
La sperimentazione:
Osservo il fenomeno
Individuo le grandezze da misurare
Raccolgo i dati
Cerco una legge che leghi le grandezze
individuate
Riproduco il fenomeno
Condizioni: Il fenomeno deve essere ripetibile,
controllabile e misurabile
limiti esperienziali soggettivi
IL DETERMINISMO CONOSCITIVO DAL PUNTO DI
VISTA FILOSOFICO, RAZIONALISMO ED OTTIMISMO
“L’uomo ha bisogno di un mondo prevedibile
e stabile per poter agire in esso”
David Hume (1711- 1776)
Il razionalismo ottocentesco:
La concezione filosofica razionalista e
positivista sostiene l’ipotesi secondo cui la realtà sia per natura ordinata o
comunque ordinabile: essa può essere razionalizzata per mezzo di leggi
determinate di natura dialettica secondo le filosofie di Fichte e di Hegel,
economica, secondo la filosofia di Marx e fisica | fisico-sociale secondo la
filosofia positivista.
“Il fondamento della realtà è l’io (che è
libero) il quale opera un’azione ordinatrice della realtà traendola in tal modo
dal caos, l’attività umana viene ad essere secondo tale concezione mediatrice
tra l’ideale dover essere ed il reale essere. La stessa dinamica intercorre nel
rapporto tra gli individui: ciascuno di noi influenza gli altri (Essere
individuale => dover essere collettivo)”
Johann Fichte: (1762 - 1814)
Wilhelm Hegel: (1770 - 1831) sostiene che
realtà e razionalità coincidono. L’uomo razionale può leggere la realtà storica
che viene concepita dal filosofo come una processualità di eventi in
contraddizione tra di loro; secondo la legge dialettica tali contraddizioni
devono necessariamente risolversi in quanto sono singole realtà parte di un
intero compiuto.
IL PROBABILISMO CONOSCITIVO DAL PUNTO DI
VISTA FILOSOFICO, PESSIMISMO ED IRRAZIONALISMO
Il filosofo empirista David Hume (1711-76)
ed Immanuel Kant (1724-1804), uno dei più importanti filosofi esponenti
dell'illuminismo tedesco, fondano la propria filosofia sul presupposto che il
principio scientifico di causalità non abbia fondamento: secondo il filosofo
empirista David Hume (1711-76) a partire dall’esperienza è impossibile ricavare
proposizioni universali e necessarie; si possono invece ricavare proposizioni
possibili. Non c’è in verità alcun rapporto determinato tra causa ed effetto,
l’uomo ritiene che tale rapporto esista perché è abituato a vedere una realtà
scandita da una successione di eventi determinata ed invariabile; l’esperienza
visiva non può essere per questo motivo considerata un criterio veritiero
nell’ambito del conoscere e del pre-vedere.
Definizione di conoscenza di Immanuel
Kant: Rapporto tra soggetto ed oggetto che non mantiene invariata la realtà.
L’oggetto si adatta al nostro modo di
conoscerlo: Il soggetto può limitarsi a conoscere il fenomeno (oggetto in
rapporto con il soggetto), non il noumeno (l’oggetto indipendente dalla nostra
percezione). Kant riconosce che il mondo reale non è conoscibile in quanto in
mancanza dell’osservatore non può in alcun modo essere dimostrata l’esistenza
della realtà osservata.
"Egli sa con chiara certezza di non
poter conoscere, ma ha soltanto occhi che vedono, egli sa che il mondo
circostante non esiste se non come rappresentazione, cioè sempre e soltanto in
relazione con un altro essere, con il percipiente, con lui medesimo"
(Il
mondo come volontà e rappresentazione, Arthur Schopenhauer)
La Demistificazione dell’ottimismo di
Arthur Schopenhauer (1788-1860)
“Chi vede tutto nero e teme sempre il
peggio e prende le sue misure in questo senso, non si sarà sbagliato tanto
spesso quanto colui che dà alle cose un colore e una previsione serena.”
Il mondo come volontà e rappresentazione
(anno di pubblicazione: 1818)
Secondo il pensiero di Arthur Schopenhauer
la realtà è caotica, tutto è ombra, timore, incertezza ed esposizione alla
sofferenza, la vita è una forma di esistenza incapace di realizzare una
pienezza di senso; per questo l’uomo altera la realtà, le impone un significato
ingannando se stesso e gli altri.
La
verità non ha dunque solo la funzione di rendere visibile ma anche di
nascondere.
Kant sostiene che il noumeno sia
invisibile, Schopenhauer ritiene invece che sia inguardabile perché è privo di
ogni legge e ordine. La realtà comporta sofferenza; la possibilità di approdare
all’autentica conoscenza di essa dipende dal coraggio, dalla forza psicologica
di sopportare la verità conosciuta e le conseguenze dell’azione conoscitiva.
La passione dei “singoli”
“Quel singolo!”, Soren Kierkegaard (1813 -
1855), filosofo irrazionalista, teologo e scrittore danese, avrebbe voluto che
si scrivesse sulla sua tomba; il singolo, ciascuno lo realizza se ritorna nella
propria interiorità, se ”l’interno diviene più importate dell’esterno”. “Se ci
si perde nella folla, se si perde se stessi, che cosa ti resta da dare a colui
che ti chiede di essere un punto di riferimento riconoscibile? La soggettività
come singolo diventa anche responsabilità, interesse, capacità di decisione, in
una parola, possibilità, l’iniziativa dell’incontro verso l’altro singolo, lo
stupore per ciò che può nascere di nuovo”.
Marcello Farina
L’Adige 12 novembre 2005
“Il dinamismo incessante della società
sconvolge le leggi con cui l’intelletto umano tenta di darle un significato”
Johann Paul Friedrich Richter (1763 –
1825, scrittore e pedagogista tedesco)
problematiche relative all’arbitrarietà
umana
IL SOGGETTO AL CENTRO DI UNA NUOVA
GNOSEOLOGIA:
Possibilità umana di mentire, ignorare la
realtà, voltare il proprio sguardo di fronte alla verità conosciuta o
falsificarla; ordinare (consapevolmente o inconsapevolmente) la realtà ingannando
se stessi e gli altri.
CAUSE RAZIONALI
L’atto del conoscere è condizionato
dall’integrità, dalla volontà, dalla forza psicologica e dal coraggio del
soggetto (Limite di sopportazione).
Mancanza di coraggio
“L’occhio vede solo ciò che la mente è preparata
ad affrontare”
Henri Bergson (1859 - 1941)
“L’io non deve temere la realtà, la
solitudine (l’uomo d’eccezione verrà sempre denigrato a malvagio) e la paura.
Non deve per vantaggio egoistico, facilità o agiatezza vedere (secondo la
propria volontà) diversamente, distrattamente e disinteressatamente. Bisogna
aver del coraggio per sopportare l’idea che tutte le cose di cui questa epoca
va orgogliosa vengano sentite come contraddizione; ritengo che solo nei termini
in cui il coraggio possa spingersi lontano, esattamente nella misura della
propria forza, ci si possa avvicinare alla verità. L’io deve trasvalutare tutti
i valori morali, dire di si ed aver fiducia in tutto ciò che fino ad adesso è
stato interdetto, maledetto.
Non
deve ignorare, non deve sopportare semplicemente la realtà e meno ancora
dissimularla, bensì amarla; non deve cercare di sopravvivere, deve impegnarsi a
vivere. Deve negare le false verità accomodanti riconoscendo che nell’oscurità,
celata dalla luce della menzogna, sia presente la giusta verità. L’io deve
smascherare le verità superficiali che conducono l’uomo all’autoinganno, al
bisogno di illusioni, sulla base dell’effimera esigenza di sopravvivenza,
sicurezza, stabilità, ordine e quiete. L’io deve esporsi, imparare a vedere nel
buio, soltanto allora potrà vivere.”
Ecce homo
Friedrich Nietzsche (1844 - 1900 )
Interesse nella ‘falsificazione’
consapevole della realtà
Karl Marx (1818-1883), filosofo ed
economista tedesco, ipotizzò che alla base delle teorie economiche, giuridiche
e filosofiche fondanti determinate ideologie politiche, vi fosse un occulto
interesse della classe dominante che le formulava spacciandole per oggettive ed
eterne; Karl Marx sospettò di queste teorie sostenendo che esse non fossero
altro che il prodotto di un determinato periodo storico.
Tali forme di pensiero erano in realtà il
risultato di una falsificazione consapevole della realtà ma venivano divulgate
e presentate come concrete e rassicuranti Verità.
CAUSE INDIPENDENTI DALLA RAZIONALITA’
UMANA
L’irrazionalità e la razionalità
costituiscono il fondamento di ogni agire umano.
Secondo tale premessa la volontà può
essere sia il risultato di un determinato ragionamento consapevole sia la
manifestazione inconsapevole del subconscio; inoltre si capisce che l’atto del
conoscere è determinato non solo dall’intelletto bensì anche dalle pulsioni
istintuali le quali, seppure a livello inconscio, motivano il comportamento.
Il subconscio: Falsificazione
inconsapevole
Secondo la filosofia di Sigismund Freud (1856-1939)
neurologo e psicoanalista austriaco, fondatore della psicoanalisi, la coscienza
nell’atto della conoscenza viene influenzata dal subconscio che è parte
integrante della psiche umana.
IL CAPITALE DI AMISTÀ E LE MONETE DELL’AFFETTIVITÀ
IL GIOCO
Pensiamo a ciascuna nostra relazione, che
esse siano superficiali o profonde, che esse siano in bilico o ben salde sulla
nostra reciproca conoscenza, che esse siano incerte, aleatorie o velate, o
palesate e definite, crediamo comunque che possano migliorare, temprarsi, o
ristabilirsi o riassettarsi per ricominciare da principi di relazione diversi
rispetto a tali che le hanno originate.
Affinché il miglioramento sia concreto,
ovvero che esista la possibilità di nuovi inizi e cammini insieme, deve
esistere una scintilla che possa far nascere la fiamma o che ravvivi una fiamma
che si sta spegnendo, e che nel peggiore dei casi si sia spenta – esiste un
silenzio che rescinde le relazioni troppo a lungo ed in questi casi non è
nemmeno più sufficiente raccontarsi che “fin che c’è vita c’è speranza” per
ravvivare e dare voce e senso a questo silenzio.
Allora partiamo da questa domanda: “Come è
una scintilla?” Una scintilla è gioconda.
Un
gioco potrebbe allora essere l’artefice con noi di quello spirito che
può alimentare il nostro legame.
Allora sorge spontanea una seconda
domanda: “Quale gioco?”
Premettiamo che qualunque gioco possa
essere salvifico la relazione, tuttavia nella misura in cui questo gioco vada
al punto della relazione, che faccia riflettere sulla qualità di essa, che
trascuri il procrastinare il parlare di come stiamo insieme, allora ci gioverà.
Allora potrebbe esistere un gioco che
racconta del nostro capitale relazionale – tutti noi coltiviamo relazioni e
ciascuno di noi inconsciamente possiede insieme al prossimo un capitale
affettivo, di amicizia, di amore, di solidarietà.
Purtroppo i nostro inconscio con il tempo
ci rende dimentichi del “Ciò che resta” con il prossimo, la relazione non è più
sostenuta se non dal nulla e un pacifico silenzio ne prende il posto, lo stesso
silenzio che gradualmente accompagna affievolendo le amicizie più vivide.
Allora strutturiamo insieme le nuove
regole del gioco a cui potremmo assegnare il titolo di “Il gioco del capitale
d’amistà”.
In economia uno delle entità che
caratterizzano il capitale è il denaro. Ma questo gioco non può fondarsi sul
denaro perché crea discriminazioni e disquilibri relazionali. Tuttavia potremmo
pensare a una moneta che tutti possiedono, sarebbe una moneta che se non esiste
dovremmo crearla.
Ed è questa una prima regola noi con la
persona con cui ci relazioniamo creiamo quotidianamente una moneta astratta,
psicologica affinché possa garantire l’esistenza del nostro capitale
dell’amicizia.
Potremmo nominare questa moneta: “La
moneta dell’affettività.”
Le monete dell'affettività sono garanti il
nostro conoscerci, il nostro essere oltre l'essere sconosciuti.
Ché di capisce che l'essere sconosciuti
non sia il problema e i limite invalicabile, bensì il nostro luogo vasto di
possibilità di conoscenza, poiché chi crede di conoscere e di sapere tutto
dell'altro ha ben pochi spunti di conversazione. Le monete dell'affettività e
l'onestà del loro essere contate e aggiornate sono testimoni della nostra
reciproca fiducia e accordo relazionale. Le monete dell'affettività fungono da
paciere, sono garanti della resilienza relazionale della rivitalizzazione della
relazione, ovvero sono garanti del rispetto reciproco, del perdono, del
chiarirsi, del ritorno, del nuovo incontro, della possibilità di nuove
iniziative tra di noi, fungono da monito al non lasciarci soli, da salvaguardia
delle nostre libertà e da garanti del 'non menefreghismo' tra di noi, hanno
nome affettività per valorizzare l'affetto reciproco in direzione di una relazione
di empatia.
Le monete dell'affettività non sono una
gioconda invenzione, bensì hanno ragione di esistere in nome della loro utilità
qui descritta, della loro sensata ragione di origine in base al codice binario
la cui qualità della successione alternata è scelta da noi stessi.
Un secondo principio di questo gioco deve
essere la flessibilità – motivo per cui le regole dell’accrescimento delle
monete dell’affettività le decidiamo insieme, non qui, parlando con il prossimo
con cui intra prendiamo questo gioco. Ci limiteremmo a consigliare che
l’accrescimento delle monete dell’amistà dipenda da una variabile quotidiana
individuale, che appartiene solo a noi, da una variazione che riconosciamo
nostra, può essere semplicemente il passare del tempo trascorso insieme, così
se accadesse di separarci ritorneremo per le monete che possiamo spendere
quando le abbiamo risparmiate nel tempo insieme.
Un terzo principio deve essere la
esclusività, il capitale relazionale è dualistico, è relativo alle relazioni vis
a vis ed un certo capitale relazionale non è miscelabile con capitali
relazionali diversi.
Si intende il creare insieme un codice di
dialogo solo nostro, solo noi sappiamo come aumenta il nostro numero di monete
dell’affettività +1.
Un quarto principio è la non
discriminazione: “Il numero di monete dell’affettività” che abbiamo con una
persona non è paragonabile con il numero di monete dell’affettività” che
abbiamo con una altra persona perché si fonda su basi dualistiche, che
riguardano il me e il te. Questo gioco non deve implicare la selezione e la
misura reazionale sulla base del numero di monete dell’affettività.
Non esiste il dire – Prediligo la
relazione con, perché con lui/lei ho più monete dell’affettività.
Le monete non misurano la qualità di amicizia
in paragone con altre amicizie, ma strutturano la esistenza di ciascuna di
esse.
La reciprocità è importante, entrambi
dovremmo credere al gioco e parteciparvi insieme, questo gioco non può essere
giocato solitariamente. L’aumento del numero di monete non dipende
esclusivamente dalla bilateralità, ad esempio altresì il semplice trascorrere
del tempo può essere garante dell’aumento – così il capitale relazionale delle
monete dell’affettività sarebbe pretesto utilizzabile per ritrovarsi.
Inclusività e non esclusività. Queste
regole non limitano altri affetti , semplicemente include il nostro.
Aggiornare il nostro surplus di capitale
di affettività:
La coppia trova un simbolo da attribuire
alle monete dell’amistà, ad esempio i cuori colorati e saltuariamente tiene
nota del valore sulla base della esistenza della variazione relazionale
quotidiana e le comunica al partner. “Noi abbiamo n monete dell’affettività.”
La regola della percezione di una
variazione: L’aumento delle monete dell’affettività.
Stabiliamo che ad ogni variazione aumenta
di n(˜1) il numero di monete di affettività.
Stabiliamo insieme quale realtà indica lo
0 e quale realtà indica l’1.
Codice binario 0 (NO) e 1(SI)
Ad esempio
La successione binaria 00000000, può implicare la fine della crescita del
numero delle monete della affettività.
La successione binaria 11111111 può
implicarne la crescita rapida.
Il numero di cuori è il surplus di
affettività che abbiamo, per diminuire il numero rispettiamo e agiamo secondo
le nostre richieste.
Come spendere le monete dell’affettività
Le due liste e la regola della libertà
Ci sono due liste che concordiamo insieme
e che possiamo modificare quando vogliamo, non siamo obbligati ad assolvere a
quello che ciascuno di noi ci chiede, semplicemente se non rispettiamo la
richiesta aumenta di n il nostro surplus di affettività.
Lista 1: lista degli "arrivati
a" che possiamo modificare insieme:
Arrivati a n monete di affettività
___________
Ad esempio
Arrivati a 10 cuori partecipi al gioco del
capitale di affettività
Arrivati a 30 cuori mi regali i fiori
Potremmo dirci spendiamo 30 monete
dell’affettività ed io vado a regalarti i fiori.
Lista dei "vale" che possiamo
modificare insieme:
Potremmo dire, diminuiamo di 20 il nostro
surplus di affettività, ed io vado a regalarti il braccialetto con il pendolo)
Ad esempio
Una carezza vale 2 cuori
Un abbraccio vale 5 cuori
Una camminata insieme vale 10 cuori
Una cena insieme vale 20 cuori
PENSIERI
La vita è la ricompensa a coloro che sanno riconoscerla.
Chi ha una memoria illuminata può aver visto che la vita è un ripetersi costante di simili circostanze, le coincidenze: Le stesse persone, stessi luoghi, stessi temi dialogici, comportamenti attitudinali simili. E siamo lì, una volta; e poco dopo la vita ci dona un'altra possibilità di comportarci in modo simile o diverso - le persone che non pensano alle esperienze torneranno al secondo livello della possibilità con lo stesso comportamento - diversamente gli altri attraverso la memoria, le riflessioni e la disposizione interiore a non essere distratti e attenti all'adesso, allineeranno la loro volontà al loro comportamento DIVERSO nel secondo livello della possibilità. Ci possono essere più di due fasi di possibilità. 'Il numero di livelli possibili dipende dal nostro spirito di gratuità nel donare possibilità relazionali.
Le possibilità non sono infinite, potresti perdere per sempre una partita della tua vita, comunque non tutta la partita. Questa singolarità del tempo riguarda la nostra possibilità di migliorarci, non tutto dipende da noi, ma da noi e dalle persone con cui ci relazioniamo. Pensaci, potresti migliorare la tua vita.
Dai importanza alla mentalità: "se avessi.. se potessi essere più.." INCONTRERAI IL TUO PASSATO PRESTO, NEL PROSSIMO ADESSO.
E l'amore? Che dire del sentimento malinconico... Riguardano le parole sincronicità, coincidenze, connessioni: Arriva il tempo del secondo, terzo, livello della possibilità ma le due persone non sono vis a vis nel luogo dove inizialmente si erano relazionati, questa dissonanza, il vedere e il sentire il vuoto ci fa pensare alla persona con cui ci siamo relazionati inizialmente.
POSSIBILITY MINDSET AGAINST INHEXORABILITY MINDSET
La precarietà di sorpresa, iniziativa interpersonale reciproche in ciascuna nostra relazione implica l’incedere della monotonia, la variabilità implica diversamente il nuovo, ovvero la creatività di nuove variabili che confondono il flusso coerente e costante di monotonia e reiterazione delle medesime circostanze. La monotonia, I'assenza di ritorno interpersonale, di staticità, inerzia interpersonali implicano la tempra del mindset di inesorabilità, ovvero il reciproco convincersi che è cosi e che non può essere diversamente, lo status di inesorabilità è definitivo solo in misura in cui coloro che si relazionano credono che lo sia, diversamente l'inesorabilità è reversibile nella misura delle nostre iniziative a innestare lo spirito di vitalità, cambiamento, confronto, perdono, curiosità, empatia, co-sentire, altruismo, comprensione nelle relazioni che sentiamo ancora appartenenti a noi.
COLOURFULSHARE DIARY IS THE EMBLEM OF THE IDEA: THE INNER MINDSET SINGULARITY OF EVERYONE OF US HAS THE POTENTIAL OF THE UNIVERSE.
LA MENTALITÀ INTERIORE DI OGNUNO DI NOI HA IL POTENZIALE DELL'UNIVERSO.
Puoi rinascere in qualsiasi momento tu scelga di essere.
Perdonate, siate grati e dimenticate tutti i vostri sé per rinascere
Sei ovunque e in ogni momento della tua vita non legato al tuo vecchio io, sei sempre nuovo, questo è il dono della vita. In questo modo tutti noi siamo infiniti, perché attraverso la nostra vita sorgiamo noi stessi infiniti. Quindi non importa l'ambiente in cui viviamo, possiamo vedere l'ambiente intorno a noi sfavorevole e ostile. Caratterizziamo cioè l'ambiente come l'intero sistema di circostanze alimentate da altri comportamenti e relazioni naturali, virtuali...La barca può essere portata via dallo tsunami, ma non delegare la tua responsabilità, puoi sempre scegliere se essere barca o tsunami, la possibilità di scelta è questione di responsabilità, i tuoi nuovi io sono liberi, nuovi e diversi, riarsi dal passato di voi stessi: avete un posto qui - è un fatto, una prova, questa è la questione profonda di tutti noi, e l'importanza del valore fattuale di ognuno di noi. Non abbiamo bisogno di dimostrare valore perché siamo un valore a priori. Quindi il secondo fatto è che meritiamo di prenderci cura l'uno dell'altro a priori.
Essere dipendenti dall’ambiente è una cecità - in verità riconosceremo che la verità di noi stessi è completamente nella nostra anima - potremmo vedere l'ambiente come un luogo limitato e la mentalità interiore come la singolarità illimitata di un universo.
Credi nel tuo universo interiore e sarai in grado di affrontare facilmente ogni ambiente ostile.
Smetti di cercare la tua casa nelle circostanze esterne e nell'ambiente esterno e in tempi migliori futuri.
Non è importante dove sei se sei te stesso/a la tua casa.
I COLORI
Un bambino mi domandò che cosa sono per me
i colori.
Tra me e me pensai: “I colori sono il
cambiamento, sono le iridescenze arcobaleno di una bolla sulla neve e la forma
degli argentei cristalli che la rendono statua. I colori sono l'avventura
perché permettono di scoprire con curiosità realtà diverse. Essi sono la
natura, i suoi fiori, i suoi orizzonti, i suoi arcobaleni. Sono il freddo e il
caldo, il bianco del ghiaccio e il rosso della lava. I colori che sono opachi
permettono di scoprire la rarità della trasparenza. I colori sono le sfumature,
lo possiamo imparare dalle opalescenze delle madreperle. Sono la nostra bussola
poiché di essi ci possiamo orientare rivolgendo il nostro passo verso le realtà
che somigliano al colore dell'aura della nostra anima. I colori sono la
possibilità di imparare l'umiltà nel riconoscere il cristallo così somigliante
al diamante. I colori insieme sono il bianco, e l'insegnamento che ne consegue:
"Insieme siamo luce". I colori sono le parole se il silenzio è nero.
I colori sono le ombre che ci sono amiche accompagnandoci ovunque andiamo.
I colori sono il riposo e la veglia, il
blu ci lascia svegli e ci stanca, il rosso ci riposa.
I
colori non sono la melodia di un violino così rassicurandoci che se dovessero
mancare oltre loro esistono altri ponti verso la vita.
I colori sono la possibilità di rendere
più vivace un foglio bianco, sono l'illuminare il buio con fluorescenti
disegni. I colori sono il movimento così ci meraviglia o del saettare di una
stella cadente. Ritornando ai nostri colori, possiamo ritrovarci. I colori sono
la possibilità del gioco, così i bambini giocano a nascondino riaprendo gli
occhi per cercare i compagni dopo averli chiusi mentre stavano contando.
I colori sono il bianco e il nero e le
parole fermate nello scrigno di un libro. I colori siamo noi che riflettiamo i
nostri universi colorati. I colori sono il nostro riconoscerci. I colori ci
insegnano l'infinito. I colori sono la possibilità di condivisione di
variopinte realtà:
Se fosse solo bianco o se fosse solo nero,
potremmo ancora scegliere per noi la luce o il buio, ma non questi colori. I
colori sono di loro i nomi delle sfumature che non conosciamo – I colori
ridestano la nostra curiosità. I colori permettono la creatività.
In queste poche parole racconto solamente
di una sfumatura dei colori, non sarebbero sufficienti diecimila libri per
raccontare tutti i colori e tuttavia l’anima di diecimila libri è custodita
nella percezione di ciascuna sfumatura colorata, le nostre percezioni che
possono essere comunicate ma non insegnate, una percezione non è sbagliata, i
colori ci insegnano che entrambi abbiamo ragione, che insieme aggiungiamo le
nostre prospettive del colore che stiamo conoscendo, così impariamo che insieme
si può conoscere meglio. Impariamo allora che le parole sono come i colori,
ciascun colore ne richiama un altro come ciascuna parola è un simbolo, il
tronco di un albero i cui rami sono gli altri significati e spunti di
riflessione che quella stessa parola risveglia in noi, allora parlando con il
bambino mi accorsi di dipingere una foresta. Allora i colori sono la fantasia.”
Non dissi questi pensieri al bambino, ma
li scrissi su un foglio consegnandolo a lui in un secondo momento, in verità in
quell’occasione risposi in modo creativo alla sua domanda:
Allora raccolsi una tavolozza di colori e
raccontai al bambino quali sentimenti mi suscitasse ciascun colore delle
piastrine colorate che la tavolozza custodiva.
Poi presi una matita e disegnai una
geometria astratta su un foglio bianco facendo notare al bambino che ciascun
tratto era una linea che separava due spazi bianchi, intrisi d’acquarelli
colorati la figura così da mescolare le linee di grafite con le sfumature di
colori per provare a comunicare che i colori oltrepassano ogni separazione e
fanno di ciascun muro un ponte.
Poi rivolsi al bambino la stessa domanda
che mi ebbe domandato, per imparare anche io da lui i colori, egli mi elencò i
nomi dei colori che sapeva, paragonandoli alle realtà più semplici normalmente
tinte del colore che sceglieva di raccontarmi.
Presto ci accorgemmo che in modi diversi
dicevamo le stesse cose.
ISTANTI PRIORITARI
Esistono istanti di vita prioritari?
Sarebbero quei secondi che impieghi una vita per agirvi giustamente e che
rimpiangeresti la vita se non riuscissi a gestire quei secondi adeguatamente. È
vero che quei secondi definiscono inesorabilmente una direzione? È vero che il
battito d'ali di una farfalla implica un tornado lontano?
Amo credere che la direzione sia
reversibile, c'è una possibilità alternativa all'inesorabilità.
Tuttavia occhi più umani perdonerebbero
l'incertezza del trovarvisi li impreparati e si riconoscerebbe in verità che
ciascun istante della vita possa cambiare un destino inesorabile che sembra un
muro e che è in verità un ponte. Ciascun istante può essere un istante
prioritario.
C'è chi ha voluto nuotare l'oceano
dell'improbabilità ed ivi vi ha trovato la sua nave di possibilità:
Un gruppo consuetudinario di giovani si
incontrò per anni, un appartenente al
gruppo si separò da loro per molto tempo, tuttavia il suo allontanamento non fu
definitivo, egli ritornò - non fu rifiutato e fu accolto come prima. Si
riconoscono gli istanti prioritari nell'esempio del perdono, in verità quando
nell'occasione del primo incontro insieme seduti intorno al tavolo, un amico
tra i presenti si assentò per alcuni secondi dalla stanza, egli voleva
comunicare a colui che era ritornato. "Vedi? Come me, ci siamo lasciati
per un attimo, e adesso siamo nuovamente
insieme, va tutto bene."
ENLIVENING BEHAVIOURS
Empathy without reciprocity is
selfdestructive, but the void of caring and humanity belongs to who does not
respond with empathy. The empathetic person is right.
The unempathetic is wrong in the quality
of creating a void that is the lack of response.
So the responsability of reinstating the
relational equilibrium, so the one who has to do something actively to refill
the void he/she created, it is unempathetic person.
A simple and actual example may be the
text messaging dialectic.
We esteem an empathetic person who writes
a message to another one person.
We actually consider an unempathetic
person who does never respond to this message.
This is the similar case of meeting a
person to donate our present vitality in donating a gift, for example a marble,
to one whose arms are aimed to receive the gift, but in the instant when the
marble falls, these arms divide themselves, imagine there's no ground, immagine
that marble falling forever, into an infinity profoundness. We all deduce that
the cause of the marble falling had been the hands separation, so the text
messaging no response. The only one who can refill the void she/he created is
the one who did not respond.
A last example of radical void dialectic
may be the persistente silence between two persons, in this case both of them
are unempathetic, this is for definition and for logic. In this case both have
the responsability and the opportunity of refilling the void they create
through empathetic behaviours.
L'empatia senza reciprocità è
autodistruttiva, ma la lacuna di cura e di umanità appartiene a chi non
risponde con empatia. La persona empatica è giusta ed è nel bene. Non è buono e
non è umano nella qualità in cui si crea un vuoto che è la mancanza di risposta
ad una vitalità.
Ogni assenza di risposta ad ogni
iniziativa vitale è mortificante la persona intraprendente. Quindi la
responsabilità di ripristinare l'equilibrio relazionale, quindi chi deve fare
qualcosa in modo attivo per riempire il vuoto che ha creato, è la persona che
non ha risposto alla vitalità a lei dedicata .Un esempio semplice e attuale
potrebbe essere la dialettica dei messaggi di testo. Stimiamo una persona empatica
colei che scrive un messaggio a un'altra persona, la scrittura di un messaggio
è movimento, è attività vitale, è iniziativa relazionale. In realtà
consideriamo una persona egoica e non empatica colei che non risponde mai a
questo messaggio. Questa similitudine può essere un esempio chiarificante: una
persona ne incontra una seconda per donarle la sua vitalità nella effige di un
dono, ad esempio una biglia, a questa le braccia del prossimo sono tese a
ricevere il dono, ma nell'istante in cui la biglia cade, le mani del ricevente
si dividono, immaginate non esistere alcun pavimento, immaginate quella biglia
cadere per sempre, in una profondità infinita. Tutti deduciamo che la causa
della caduta della biglia sia stata la separazione delle mani del ricevente, in
analogia nel caso in origine, la dialettica reciproca della messaggistica, il
messaggio di testo di risposta che non è stato inviato. L'unica persona che può
riempire il vuoto che lei medesima ha creato è la persona che non ha risposto,
poiché se fosse l'altra persona a scrivere nuovamente il disequilibrio
relazionale aumenterebbe. Tuttavia. Non debilitiamo questa condizione: La
persona empatica che scrive in assenza di numerose risposta si fa carico lei
stessa del vuoto relazionale che si crea, badate a coloro compiono questo
sacrificio poiché tali persone dimostrano di avere premura della relazione con
coloro che non rispondono in quanto dediti e consapevoli del puro valore
aggiunto di cui sono artefici.
Un ultimo esempio di dialettica del vuoto
può essere il silenzio persistente tra due persone, in questo caso entrambe
dimostrano di non essere empatiche, sia per definizione di non empatia che per
logica. In questo caso è proprio la reciproca delega di responsabilità
relazionale che fa persistere lo stato di vuoto relazionale.
Entrambi hanno la responsabilità e
l'opportunità di riempire il vuoto che creano attraverso comportamenti
empatici. Credo che alcuna persona confuterebbe l'idea relativa all'urgenza di
colmare le mancanze e le irrisolutezze di noi. Per quanto siamo soli,
individualisti, autonomi, autoreferenziali, egoisti a noi non è possibile non
vedere i nostri prossimi, e la qualità delle relazioni con loro, per ovvietà e
conseguenza non possono che essere sensibili ai vuoti relazionali, ed agire per
colmarli.
UN CONOSCERSI PROCRASTINATO
Non perdiamo noi stessi nei veli
dell'apparire, ripartiamo da qui. Vidi il tuo velo, non mi concedesti di vedere
te,
Poiché velare se stessi è l'immagine del
nascondersi:
Ed il prezzo del nascondersi è un esistere
diluito dal silenzio, forse è per questo che alcuni sentono di conoscersi
nonostante i pochi giorni del loro incontro, mentre altri diversamente
dichiarano con inesorabile intransigenza: "Chi sei? Non ho sentimento, né
fiducia in te. Non ti conosco." O perlomeno dimostrano attitudini
coincidenti con questo pensiero. Nonostante sia di anni, il tempo del loro
incontro.
Dunque alcuni credono che siano
sufficienti la parola, lo sguardo, l'incontro per conoscersi, altri più
severamente esigenti giudicano che non sia sufficiente quasi nulla per
relazionarsi, questi ultimi dopo un decennio che si relazionano si direbbero
ancora di non conoscersi bene. Io vedo semplicemente che i primi sono empatici
e propositivi, mentre i secondi inesorabilmente dirimenti.
Non volere conoscere a priori è non volere
amare.
Appare forte chi è forte di sé stesso e
chi dimostra l'apatia del blindarsi a sé stessi? Ciò a cui blindiamo noi stessi
ci incatena, non dimentichiamolo, potremmo comprendere prima o poi che le
opportunità di relazionarsi, al fine di vivere noi, i nostri conforti e
affetti, sono in verità esigue, e purtroppo se lo sono è responsabilità nostra,
non solo del caso.
Crediamo che le persone cambino, forse.
Dubito del finto, non vedo maschere, quando guardo ad una persona vedo un
prisma con miriadi di geometrie variopinte, alcune traslucenti, alcune opache,
alcune riflettenti, alcune curvilinee, altre più ispide, ed in verità siamo
prismi velati, e secondo natura, indole, necessità, istintività, casualità,
riveliamo e disveliamo alcune delle nostre variopinte singolarità mantenendo
quiescenti altre nostre sfumature, per il momento. Pertanto può non essere raro
il nostro non riconoscerci, il sorprenderci di vedere ciò che non è visto del
prossimo; tuttavia il valore della variabile del disvelamento delle nostre
singolarità risiede nella facoltà della sorpresa in divenire, una iridescenza,
un riconoscimento sempre vivido che in nome del nostro rinnovato potere essere
inaugura la fine d'ogni termine inesorabile: alla nostra partita terminata
dichiareremmo: Io conosco te poiché ti ho visto, pertanto prendo i miei
provvedimenti nei tuoi confronti sulla base di ciò che ho visto di te. Sì
limitiamo noi stessi e ci concediamo scialbamente inesorabili vincoli di
crescita relazionale, rasenta il ridicolo il contestuale lemma che talvolta ci
dedichiamo: "È così. Non è e non sarà diversamente. Punto. " Siamo
poveri osservatori poiché crediamo di sapere l'universo, al nostro osservare la
polvere volitare a terra.
Ma la nostra povertà è soprattutto nel
credere di avere visto, e che non vi sia altro da vedere; la prima nostra
povertà è il non credere, la sfiducia di pregiudicare, di dichiarare ed agire
in causa ed onore di una consapevolezza precaria che sospendiamo sin dalle
prime origini del nostro percorso conoscitivo: ovvero compiamo un passo,
vediamo la polvere, pensiamo di avere l'universo ed agiamo in base alla miseria
di cui aneliamo affinché sia lestamente intercambiabile con nuova polvere: così
scegliemmo la polvere e sacrificammo gli universi del poter essere e del potere
divenire.
Quante volte la vita ci dedicò nuovi dadi,
e li gettammo al nulla? No, la 'vita' è una astrazione, una delega di
responsabilità, a Noi è il dono e la responsabilità di dedicare al nostro
prossimo nuovi dadi, e di custodirli quando il nostro prossimo li dona a noi.
Affinché la vita si riveli in grazia di noi.
an added value for you
Never loved drawing, never liked writing,
never liked studying to find a good job, money are nothing to me in spite of
relations, more materialism than I have, leave me as void as I am. Because am I
void? Because everything I did in my life had been not for me, I should have
done nothing, and for me had been the same. My whole life had been a search for
being an added value for you. But as you let me see this meaning has not
arrived to you. And without you, who am I? Art? Literature? In a world whose
whole significante is human relation. So we joined materialism but we lost us.
No beginning for us. We began to study to achieve a good job and finally money
and materialism.
So persons are an obstacle to the dream of
materialism? We have no time for us but we have all the time for money? We had
been so blind to permit the dream of the system to coincide to our dream. So
the system sacrifices us, we sacrifice us, to the dream of the system,
obviously to permit the system to increase politically, economically,
commercially and to decrease our humanity spirit, our inner true relational
essence. We may be aware that money are at the service of people. Not people at
the service of money.
We all say I had to be in conformity to
the rule of materialism that it is imposed by societies, that in the evidence
it is imposed to us since our young times by all the institutions and by the
people who believe in them, for example our parents.
But
noone had ever thought that every institutions rules to improve itself and not
to do our human best? The primary Rule, the only rule that i see, it is the
RELATIONAL RULE. We actively have to search us like we actively open a book to
study to achieve money. We have to respond to a person of our life who's
searching us like we respond to our Materialistic mindset. You look! You joined
the end of a relation? And you're happy? Cause you have more time to dedicate
money, to buy what you want? You radically decrease the number of your
relations? Because you say there's no place for all? But there's whole place
for 1, two persons? And for you others there aren’t, while they' re still near
thou? This mindset is an example about our choice of leaving in the last level
of value US.
You never mind to resuscitate a relation
that you never revived? You've said yes to death and no to life. No beginning
for us - we joined materialism? Money? but we never joined us. We all say we
need time to meet us, to know us. But this words are not propositive.
It's a cowdard way to legitimate our
ignorance to us. Everything it's in return and the evidence is that human in
the end are alive, not money. Persons can choice. Not money. So if human threat
themselves well they will receive themselves the good they gave, differently
they, ll receive the hate they dedicated.
At the end of our career way we may meet
the true sense of what I tried to say.
Il miraggio della
presunzione
Ingiuste inconsapevolezze sono i frutti
della assenza di curiosità. Amiamo le certezze, la domanda non fa più per noi.
Se non sappiamo, presumiamo, inventiamo, o lasciamo perdere. E presto che
l'indifferenza non ammette malinconie, non sia mai che ci siano ripensamenti.
Non siamo curiosi e tuttavia dubitiamo. Mi raccomando non fidiamoci, non si sa
mai! E annunciamo l'alba della sfiducia, della delusione, della disistima ed il
tramonto del ritorno, della pazienza, del perdono. Le voci della coscienza si sono affievolite e
sono emarginate le anime confidenti. Il nostro scetticismo è il riflesso d'un
cieco fideismo in noi stessi: Inventiamo urgenti forse, e convinciamo noi
stessi che siano verità, l'ozio del non muovere un solo passo per comprovare le
nostre supposizioni è un nodo che presto o tardi avremo il dovere di
sciogliere.
Il corriere svogliato
Il corriere che oziò nel tempo che avrebbe
dovuto dedicare al carreggio dei beni,
dovette rimettersi in cammino, per
ritornare,
per intraprendere il carreggio del doppio
dei beni che avrebbe dovuto trasportare in origine.
Adiafore conoscenze
Vita di persone e esperienze,
Ma se niente resta, la vita è una pioggia
eterna perché non giunge mai alla meta del suolo.
Gocce che scivolano sulla piana lastra
vitrea della coscienza e la lascia tersa, cristallina, adiafora.
Dell'incontrarsi e fluire altrove, solo il
ricordo dello scròscio, questa voce è un richiamo al ritorno?
E delle nostre esperienze? Fossimo come
grandine! Saremmo rincuorati dei nostri segni.
Fossimo fuoco! La lastra della nostra
coscienza si plasmerebbe a noi.
Fossimo tuono, avremmo la possibilità di
restaurarne ordinatamente i frammenti.
Ma siamo acqua, talvolta un glaciale manto
esempio d'ibernazione,
invero siamo ciò che vogliamo, e agiamo in
ciò che crediamo, ma non tempriamo noi stessi a non sentirci più .
THE GROUP SYSTEM
Don't hide behind the group. It had always
been me and you, the group is not me and the group is not you, so if you leave
the group you're not leaving me, and if I leave the group I'm not leaving you.
The singular relational groups dynamic may homologate our singularities losing
us into them. Groups delete differences, so we may loose the real me and the
real you, in what way? Be careful about it: our dialogues may become less
profund and more superficial, the me and the you may talk about what is not
about us and about what we don't want to talk about, this way we'll little by
little choose without awareness the system of the group, and we'll gain the
system, but we'll loose the me and the you, not the relationships with the all
true of us. The system of the group may initially be relationally creative
because of the feeling of belonging, but this feeling may be silence by people
normalization, "we're all the same" We said, and it may cause
monotony.
The true key is in finding the feeling of
belonging into vis a vis meeting, so the creativity margin is not limited by
groups standard, but it is about our capability of behaving we're a priori
unknown people, that the belonging to a same group does not mean necessarily
our affinity and our being known: there have to be an inner change, a mindset
change: The capability of seeing that ewery unknown it's a large unlimited
relational space so we may grow all together because our creativity relational
spirit, the relational motivation is in everyone of us - so one in search, in
caring for another one - not into an eternal situation or environment, or
social system, because may happen to live for years with group of people
reciprocally feeling cared and well knowed, but in one second never one more
word, no care, no return, ghosting, lonelyness, no relational initiatives, just the same as we had not ever
met us, and that HAPPENED because we fouded, we structure our relationship not
on me and you but on the esternal group system.
IL SISTEMA DI GRUPPO
Non nasconderti dietro il gruppo. Siamo
sempre stati io e te, il gruppo non sono io e il gruppo non sei tu, quindi se
lasci il gruppo non lasci me, e se lascio il gruppo non lascio te. La dinamica
dei gruppi relazionali singolari può omologare le nostre singolarità perdendoci
in esse. I gruppi eliminano le differenze, quindi potremmo perdere il me e il
te, in che modo? Attenzione: i nostri dialoghi potrebbero diventare meno
profondi e più superficiali, potremmo giungere a parlare di ciò che non
riguarda noi e di ciò di cui non vogliamo parlare, così a poco a poco
sceglieremmo senza accorgerci e senza consapevolezza il sistema del gruppo, il
suo standard, il suo mindset, e guadagneremo il sistema, ma perderemo il me e
il te, perderemo i rapporti con tutto ciò che è vero per noi, essendo
disponibili a dedicare il tempo alle idee del gruppo e non alle mie e alle tue.
Il sistema del gruppo può inizialmente essere relazionalmente creativo a causa
del sentimento di appartenenza, ma è proprio questo sentimento che può
implicare la normalizzazione delle persone, "siamo tutti uguali",
abbiamo detto, e può causare monotonia, noia relazionale, con una conseguente
sottovalutazione degli appartenenti al gruppo, la domanda sorgerebbe spontanea,
è in verità un pregiudizio, verso il prossimo appartenente alle dinamiche di
gruppo: sei solamente questo, non hai molto altro da offrire -
Sì quella persona avrebbe molto più da
offrire, tuttavia la persona viene limitata dal sistema di gruppo? Si è No,
perché alla fine comprendete che il sistema di gruppo siamo sempre e solo noi
persone. L'errore di giudizio più grave risiede proprio nel non riuscire a vedere
oltre-in una dinamica sociale diversa, vis a vis, la medesima persona liberata
dai limiti di gruppo risulterebbe più empatica e creativa, certamente nuova,
diversa.
La vera chiave è trovare il sentimento di
appartenenza in noi stessi, nel prossimo, non in un sistema esterno, e
soprattutto nell'incontro vis a vis, quindi il margine di creatività non è
limitato dallo standard dei gruppi, ma riguarda la nostra capacità di
comportarci come persone sconosciute a priori, l'appartenenza a uno stesso
gruppo non significa necessariamente la nostra affinità e il nostro essere
conosciuti: deve esserci un cambiamento interiore, un cambiamento di mentalità:
la capacità di vedere che il nostro essere profondamente sconosciuti non è un
limite ma una possibilità di lasciare che ciascuno di noi brilli di luce
propria dei colori delle sue singolari differenze, il non conoscersi è un
grande spazio relazionale illimitato quindi possiamo crescere tutti insieme
perché la nostra diversità, antipatia, silenzio, lontananza, scetticismo, sono
in verità creatività fondanti lo spirito relazionale in noi, allora che ci
conduce a conoscere, a incontrare, a dialogare, a comunicare, a restaurare, a
chiarire, a risolvere, a rinnovare, a perdonare.
Oggi sembra essere abitudine proibire qualunque
possibilità relazionale con gli sconosciuti, se non è un lemma che ha evidenza
assoluta, questa sembra essere la direzione ad esempio dell'iconico non
salutare gli sconosciuti. Le porte che chiudiamo saranno a noi chiuse, la
persona che è causa del suo mal pianga se stessa.
Lo spirito relazionale la motivazione è IN
ognuno di noi - quindi uno in CERCA del prossimo, nel prendersi cura di un
altro - non a causa di una situazione o ambiente eterno, o sistema sociale,
perché può capitare di vivere per anni con un gruppo di persone in cui ci
sentiamo reciprocamente curati e ben conosciuti, ma in un secondo mai più una
parola, nessuna cura, nessun ritorno, la proibizione relazionale,
Inesorabilità, ghosting, solitudine, nessuna iniziativa relazionale, proprio
come se non ci fossimo mai incontrati, e questo è SUCCESSO perché abbiamo
fondato, strutturiamo il nostro rapporto non su di me e te ma sull'esterno
sistema di gruppo.
Un' è andata così ' non è sufficiente per
legittimare come è andata, come va e come può ancora andare.
LA COPIATURA
La creatività della copiatura come spirito
di collaborazione finalizzato alla 'messa a fuoco' e alla condivisione della
consapevolezza:
Iniziativa che vuole portare alla luce il
valore della copiatura. La copiatura può celare in sé un arricchimento
reciproco tra l'artefice dell'opera originaria e l'autore dell'opera simile o
uguale ad essa (Le opere sono entrambi originali e degne di riconoscimento): ln
un primo momento vi è lo spirito creativo di colui/colei che idea l'opera, in
un secondo momento vi è l'analisi, lo studio, la rielaborazione e la
comprensione di colui/colei che attua la copiatura; il medesimo tema o soggetto
sarà intensamente conosciuto da entrambi, i quali avranno di esso prospettive e
consapevolezze diverse: Nel dialogo costruttivo dei due artefici risiede
l'arricchimento reciproco favorito dalla copiatura.
La creatività della copiatura come spirito
di associazione:
Inoltre la copiatura è l'iniziativa
mediante cui l'autore si pone come intermediario tra passato e presente,
riportando nell'adesso ciò che sarebbe dimendcato, per questo motivo l'autore
condividendo analogamente «similmente l'idea è l'opera originale ricorda e loda
l'artefice originario per il suo spirito creativo.
La prospettiva della copiatura può
diventare controproducente se questa tecnica diventa costante nel tempo poiché
comporta la stasi sistematica della creatività come origine di nuove idee fonti
di cambiamento.
https://en.uiklpedia.org/wikl/Derivative_work
LE GRAVITÀ INVERSE TRA
NOI
Il fenomeno astronomico del "Sole
nero" utilizzato come simbolo dalla scuola di Kemò - vad Sole Nero che
propone l'arte della meditazione dinamica. All'interno è disegnato il
"Notah", il gesto rituale e interiorizzante eseguito congiungendo le mani
sul petto a simboleggiare l'unione del "vuoto" e del
"pieno" dell'armonia dello "Shan", il nome dato dagli
antichi alla Natura.
Sullo sfondo: Una spirale il cui
significato sin nella magia primitiva rimanda all'analogia tra macrocosmo e
microcosmo, in accordo con la cosmologia frattale.
!
Se definiamo il sincronismo - sincronicità
come “Realtà sullo stesso piano nel livello del tempo ma diverso sul piano nel
livello dello spazio.”
Possiamo addurre la speculare analogia con
il termine frattalismo – frattalità come “Realtà sullo stesso piano nel livello
dello spazio ma diverso sul piano nel livello del tempo.” In quanto ad olismo
che risolve in unità essenziale la dicotomia tra macrocosmo e microcosmo – TALE
TESI E’ GARANTE E COSTITUTIVA DELLA VERITA’ SECONDO CUI LA LONTANANZA
RELAZIONALE PUO’ ESSERE CONCEPITA COME RELAZIONALITA’ VICINA, QUI PRESENTE.
L'utilizzo di questi due termini serve a
chiarificare, sul piano filosofico, il tipo di relazione intercorrente tra
l'Uno e i molti, che non è di semplice alterità o diversità, cioè di differenza
quantitativa, ma di sostanziale identità, vigendo un'analogia qualitativa tra
il macrocosmo, contenente in sé ogni parte, e il microcosmo, che a sua volta
contiene in piccolo il tutto.
In astrofisica la cosmologia frattale è
una classe di teorie cosmologiche in cui la distribuzione della materia
nell'Universo o la sua stessa struttura è frattale.
Questione centrale in questo campo è
l'identica distribuzione della materia misurata a grandi o piccole scale.
L'alternanza di pieni e vuoti è esempio di
universo frattale.
Sincronicità, frattalità, simpatia,
contiguità (Due oggetti rimasti a lungo in contatto continuano a interagire
anche a distanza).
Materia oscura? Energia oscura?
Segno della carica elettrica delle particelle
elettrone, protone e neutrone (a sinistra), e delle rispettive antiparticelle
(a destra).
Ipotesi della gravità inversa: Nel mondo
scientifico si ritiene possibile anche un'altra ipotesi: la gravità inversa.
Secondo alcune teorie la quantità di materia e di antimateria prodotta
all'origine dell'universo era perfettamente bilanciata, ma la materia e
l'antimateria presto si allontanarono a causa di una sorta di “repulsione
gravitazionale” (vedi Interazione gravitazionale dell'antimateria). Per
comprendere questo fenomeno possiamo prendere una formula di fisica classica
ben nota, la legge della gravitazione universale di Newton. Se assumiamo che
l'antimateria possieda una massa negativa e la materia una massa positiva si
capisce come nel caso di gravitazione tra due corpi o due anti-corpi la forza
gravitazionale risulti positiva, ossia attrattiva, ma quando si ha una
gravitazione tra un corpo e un anti-corpo il prodotto tra le due masse sarà
negativo e dunque la forza gravitazionale provocherà una repulsione reciproca.
UNA RIFLESSIONE PERSONALE,
secondo frattalità, sincronia,
sincronicità, coincidenza tra microcosmi e macrocosmi
Causalità — materia
Sincronicità — antimateria.
L’inconscio e l’interiorità sono in
relazione alla sincronicità.
Le relazioni tra noi potrebbero seguire le
leggi di gravità inversa poiché gli enti che compartecipano alla relazione sono
la realtà materica dell’attitudine manifesta e il velato pensiero, subconscio
velati dell’osservatore.
Relazione tra alfa e Ω
Relazione Matericità - introspezione
Azione manifesta di alfa – Osservazione e
intima rielaborazione di Ω - reazione riflessiva o istintiva di Ω
La matericità dell’attitudine manifesta,
si relazione con l’antimatericità del subconscio, dell’istintività, della voce
intuitiva.
Due esempi:
Ad esempio il manifestamente proibito non
implica in noi indifferenza, bensì attrazione.
“Chi è troppo amato amore non dà.” Teorema
- Marco Ferradini
«Il fenomeno della sincronicità è quindi
la risultante di due fattori:
1) un'immagine inconscia si presenta
direttamente (letteralmente) o indirettamente (simboleggiata o accennata) alla
coscienza come sogno, idea improvvisa o presentimento;
2) un dato di fatto obiettivo coincide con
questo contenuto.»
C.G. Jung, La sincronicità come principio
di nessi acausali.
La sincronicità si rivelava così essere il
modello ideale per sciogliere molti dei dubbi innescati anche nel modello di
triade in fisica classica: Tempo, spazio, causalità; al "quarto
escluso" è stato appunto dato il nome di sincronicità.
In analogia alla causalità che agisce in
direzione della progressione del tempo e mette in connessione fenomeni che
accadono nello stesso spazio ma in istanti diversi, viene ipotizzata
l'esistenza di un principio che mette in connessione fenomeni che accadono
nello stesso tempo ma in spazi diversi. Viene cioè ipotizzato che oltre lo
svolgimento di un atto conforme al principio in cui in tempi diversi accadono
avvenimenti provocati da una medesima causa, ne esista un altro in cui accadono
avvenimenti nello stesso tempo ma in due spazi differenti perché, essendo
casuali, non sono direttamente provocati da un effetto, risultando così
aderenti a un principio di a-temporalità.
La coincidenza.
Per Jung, il fenomeno della sincronicità
spiega le pratiche rituali ancestrali come primo il metodo di consultazione de
I Ching che si basa su questa ipotesi di una corrispondenza tra interno ed
esterno, tra psiche e materiale.
«L'Oriente fonda il suo pensiero e la sua
valutazione dei fatti su un altro principio. Non c'è nemmeno una parola che
rifletta questo principio. L'Oriente ha certo una parola per questo, ma noi non
la comprendiamo. La parola orientale è Tao... Io utilizzo un'altra parola per
nominarla ma è abbastanza povera. Io la chiamo sincronicità.»
IL SOGNO LUCIDO
Per sogno lucido si intende quel sogno
avuto in coscienza del fatto di stare dormendo, onde la capacità di muoversi in
maniera deliberata entro di esso. Con la pratica, il sognatore «lucido»[1] può
arrivare ad esplorare e modificare le situazioni del sogno a proprio
piacimento.
Secondo gli analisti junghiani, i sogni
forniscono immagini e scenari che sono fondamentali nella ricerca
dell'inconscio. Prestare attenzione ai sogni e incoraggiare l'attenzione
mentale per i dettagli della loro esistenza aiuta a integrare i messaggi
inconsci col vissuto consciente[42], e quindi favorisce l'attenzione alle
coincidenze e sincronicità. Si tratta di una consapevolezza legata alla nozione
junghiana d'individuazione.
Nel 1916 Carl Jung pubblica Allgemeine
Gesichtspunkte zur Psicologia Traumes (Punti di vista generali della psicologia
del sogno), dove ha sviluppato la sua propria comprensione dei sogni che
differiscono molto da quella di Freud. Per lui, i sogni sono anche un portale
per l'inconscio, ma allarga le loro funzioni in relazione a Freud. Secondo
Jung, una delle principali funzioni del sogno è quello di contribuire
all'equilibrio mentale. Lavorando sui suoi sogni così si promuoverebbero le
sincronicità. (Tavistock Lectures del 1935[63])
Sitografia
https://it.wikipedia.org/wiki/Sogno_lucido
https://it.wikipedia.org/wiki/Sincronicit%C3%A0
https://it.wikipedia.org/wiki/Pensiero_magico
https://it.wikipedia.org/wiki/Macrocosmo_e_microcosmo
https://it.wikipedia.org/wiki/Cosmologia_frattale
https://it.wikipedia.org/wiki/Antimateria
UN SECONDO IN PIU
La desuetudine del
giudizio
UN FATTO
Una persona A stava dinanzi al suo
bicchiere e ad una caraffa ricolma di vino rosso, lei accennò a prendere la
caraffa e subito, non appena una seconda persona B vide il gesto, la fermò
dicendole: "No! Non versarlo nel tuo bicchiere, non è buon vino, è vino
stantio!"
La prima persona, a priori consapevole del
lungo periodo di quiescenza della bevanda riconobbe tra sé e sé che non avrebbe
mai avuto intenzione di bere il vino della caraffa, allora colse la caraffa e
ne versò il vino rosso in una acetiera vitrea affinché potesse fermentare e
diventare aceto.
UNA BREVE RIFLESSIONE
La seconda persona dipinse alla prima una
intenzione diversa rispettivamente al suo gesto del prendere la caraffa di vino
e in relazione ai suoi reali propositi e orientamento d'animo. Il suo
pregiudizio fu il frutto di una sua bontà poiché B non avrebbe voluto che A
bevesse il vino stantio che avrebbe potuto avvelenarlo.
La desuetudine al pregiudizio
Il prevedere di B , possibilmente non vero
ed ingiusto, potrebbe dipingere del prossimo singolarità che in lui ancora non
esistono e intenzionalità che ancora non gli appartengono e che tuttavia
divengono reali esclusivamente per il pregiudicare di B. Allora B realizza del
suo prossimo ciò che desidera gli sia identità e comunicandolo alle persone
accanto B, la persona che idealizza e pregiudica secondo un tipo, misurato e
limitato dai limiti qualitativi del suo mindset, Innesta nuove sovrastrutture
di identità - prospettive soggettive pregiudicanti, sovente ingiuste e non
vere, tuttavia pur sempre prospettive pericolose, giudizi prima del tempo, che
pregiudicano, appunto la realtà dell'osservato:
L'attitudine del pregiudicato è
influenzata dal pregiudizio, il nome che ci è predetto è oracolo di ciò che
saremmo: nella misura in cui sia più temprato il nostro carattere delle
circostanze esteriori, il lieve zeflro non sfiorerà il maestoso vascello;
diversamente le circostanze esteriori saranno per il carattere gracile come il
mulinello che implode la leggera barca a vela.
Solo un secondo in più, l'attesa al
giudicare, è l'oro del vedere la realtà di coloro che stanno dinanzi a noi,
nella misura in cui poniamo in secondo livello conoscitivo il nostro IO, Ego
giudicante possiamo accedere alla verità del prossimo.
La domanda: Vogliamo conoscere l'essere
del prossimo o la nostra idea di lui/lei. Consapevoli del fatto che il nostro
pregiudicare può compromettere, limitare, falsificare, velare d' ideali
sovrastrutture la vera realtà dell'essere del prossimo.
Gli occhi che videro oltre sanno quanto
sia importante guardare con prudenza, attesa e misura. Non credere a coloro che
sostengono di averti già visto, essi sono coloro che non sanno vedere nulla d'altro
rispetto a loro stessi.
QUESTO ESEMPIO E' CARATTERIZZANTE LA
REALTA' DEL SINCRONISMO - In quanto a relazione con l'esempio del litigio
nell'esempio della persona che tornando per scusarsi trova la prima persona che
non la lascia accedere chiudendo la porta a chiave.
CHANGE WITH BETTER COLORS
Things that are happening are meant to happen.
The path, the fate, isn’t a straight line; it’s a spiral. You
continually come back to things you thought you understood and see deeper
truths about these same realities.
We see the same days over and over again:
The iterative relations of coincidences has the shape of the Maori
symbol Koru, and the spiral is the image of the return: the limit of
circumstances.
We can overcome this limit digging deep within ourselves cause our
imagination, our sentiments, our memories, and reflections are chaotic,
subjective, limitless, creative and jocund with space and time:
Through our memory and our ideas we can see the reiterative
realities with different and more intelligent and conscious eyes, and change
with better colors the spiral of our life and the reality of creatures.
Divenire con colori migliori
Le cose che stanno accadendo erano destinate ad accadere.
Il percorso, il destino, non è una linea retta; è una spirale.
Ritorniamo continuamente alle cose che credevamo di aver capito e riconosciamo
verità più profonde su queste stesse realtà.
Vediamo gli stessi giorni più e più volte:
Le relazioni iterative delle coincidenze hanno la forma del
simbolo Maori Koru, e la spirale è l'immagine del ritorno: il limite delle
circostanze.
Possiamo superare questo limite riflettendo nel profondo di noi
stessi perché la nostra immaginazione, i nostri sentimenti, i nostri ricordi e
le nostre riflessioni sono caotici, soggettivi, senza limiti, creativi e
giocosi con lo spazio e il tempo:
Attraverso la nostra memoria e le nostre idee possiamo vedere le
realtà ripetitive con occhi diversi e più intelligenti e consapevoli, e
cambiare con colori migliori la spirale della nostra vita e la realtà delle
creature.
LE TELE DELLA LIBERTA'
Se la tela è la libertà, il suo disegno è la volontà e la grafite è la intenzionalità,
ovvero le attitudini che permettono alla volontà di rendersi manifesta. Proprio
come la grafite è garante della possibilità e della qualità del disegno.
Il dono di libertà è il più elevato livello di altruismo.
La domanda "Che cosa vuoi?" resta importante poiché sposta il nostro
sguardo da noi stessi al prossimo.
Ora si comprende che nella relazionalità dialogano vicendevolmente
attività e passività - proprio come nell'esempio del pittore che attivamente
screzia la tela che si lascia imporporire di sfumature di grafite.
Tuttavia è bene chiarire che nella relazione tra due persone non
dovrebbe esistere solamente una attività e una passività, otterremmo che una
persona sia solamente attiva (iniziativa) e che la seconda sia solamente
passiva (indolente) creando un disequilibrio di creatività, di volontà e di
responsabilità.
Il "Va bene così"
Se da una parte implica attitudini passive e remissive dall'altra
sono proprio questi 'sacrifici' ad essere garanti della libertà del prossimo
nella misura in cui l'adempimento di un carattere riconosciuto e interpretato
sia coerente e conciliante con la onesta volontà del prossimo.
Tuttavia questo 'andar bene così' non è sano se adempie al
compimento di una sola delle due volontà.
Allora il 'va bene così' deve essere il risultato delle due
curiosità reciproche, del vicendevole ascolto e chiarimento e soprattutto deve
essere il risultato di un impegno attivo e creativo di entrambi al fine della
realizzazione delle due volontà - solo in tal modo è possibile che entrambe le
persone abbiano il sentimento di riconoscenza reciproca che da senso alle loro
parole pronunciate con sincronicità:'Va tutto bene'
Allora l'andar bene è un impegno biunivoco, non un sacrificio
univoco.
Se questo mindset 'altruistico' non è unilaterale, bensì reciproco
vi è creatività relazionale, due candele che alimentano vicendevolmente le loro
fiamme.
La reciprocità agevola il dialogo e dunque il chiarimento,
pertanto implicando realizzazione reciproca delle volontà di benessere.
Tuttavia il 'sacrificio' parziale della volontà individuale in
onore del conformarsi della volontà del prossimo se non è la meta è strumentale
alla meta in quanto compartecipa all'aiuto, ovvero alla realizzazione della
volontà del prossimo in grazia del contributo di una persona diversa dal
prossimo.
La chiave della riflessione é il confronto,
Poiché il confronto è garante dell'equilibrio di misura tra
egoismo ed altruismo individuali e relazionali - Il confronto appunto risolve
il possibile instaurarsi di una relazionalità bianconera in cui una prima
persona 'vince' e la seconda 'perde'.
Una relazionalità bianconera sbilanciata può essere esemplificata
dalla delega di responsabilità.
Allora è evidente in primo luogo l'impasse del non dialogo,
dell'incomprensione e del non chiarimento ed in secondo luogo la eventualità
che una delle due persone abbia elevato eccessivamente la sua disposizione
all'altruismo, annichilendo la sua volontà.
Avresti desiderato diversamente?
Avresti agito diversamente.
Che io stesso ho dedicato ciò che hai dimostrato di desiderare.
Una relazionalità bilanciata prevede l'equilibrio tra domanda e
dono. Non inventiamo il pensiero altrui poiché è sovente dissimile dalla nostra
interpretazione. Tra ascolto (Silenzio) e parola. Tra dono di libertà e
sacrificio di libertà.
Tra attività e passività, tra egoismo e altruismo, queste
relazioni dovrebbero essere individuali (Ovvero singlolarità caratteriali
gemelle che coesistono in noi e che intimamente dobbiamo ridimensionare,
equilibrare)ed insieme equilibrate proiezioni verso il prossimo (Le attitudini
che coincidono con il risultato del bilanciamento delle nostre singolarità
caratteriali) così da garantire l'equilibrio relazionale.
(Vi sono la 'libertà di' e la 'libertà da')
Sarebbe importante non assolutizzare il valore della Libertà.
Poiché così facendo realizzeremmo uno sbilanciamento: I valori di libertà da
(ostacolo,altresì persone) e di libertà di (meta,fine attitudinale)andrebbero a
annichilire mediante il nostro egoismo l'intenzionalità della persona che si
relaziona insieme a noi, creando unilateralità e fine relazionale.
Ho già osservato che il dono di libertà possa essere il più
elevato livello di altruismo nel senso di dono e realizzazione della felicità
del prossimo. Tuttavia è importante non promuovere la solitudine come prima
garante di felicità. Affinché la relazionalità e la socialità non decadano in
solitudini e separazioni è bene attribuire misura alla nostra intenzionalità di
volontà libera dosandola grazie al riconoscimento che altresì il prossimo
parimenti a noi ha il diritto di avere degli spazi di volontà libera che boi stessi
dobbiamo rispettare e promuovere.
Il 'no' radicale ed immotivato è un impasse grave che decade la
relazione verso l' unilateralità.
Il 'no' contestuale, motivato,misurato e reversibile può garantire
la bidirezionalità della relazione in quanto manifestazione della volontà
individuale.
Unilateralità relazionale è il ponte verso la fine della
relazione, Inesorabilmente? Forse.
Tuttavia riconosciamo che l’inesorabilità iberna il tempo, ovvero
che l’inesorabilità sia somigliante all’idea di fine, la fine non ha orizzonti,
è un muro vincolante che non diviene, resta e punto. La libertà ha dinanzi a se
la vastità di praterie e di orizzonti marini, possiamo concludele che la
libertà è essenzialmente libera fin quando non è finita e inesorabile, il
viandante è libero nella vastità dei prati e non è libero ché il vasto prato è
finito, limitato, definitivamente delimitato,allora: Inesorabile. Lo sconforto
del viandante giunge quando incontra non la libertà di pellegrinare nei vasti
prati, bensì egli è triste quando incontra l’inesorabilità di non potere
procedere il suo passo, la tristezza nell’incontro con la stasi.
Allora confutiamo l'esempio del pittore e della sua tela in quanto
esempio di attività - passività univoche che implicano unilateralità e rischio
di fine relazionale.
E adottiamo l'esempio di due persone che dipingono ognuno la tela
dell'altro - costantemente dialogando ad
ogni tratto di grafite sul come il prossimo volesse che divenisse il dipinto
finale.
+
THE EMBLEM OF LIFE
The symbols (0) and ( - ) are the veiled manifestation of the
symbol ( + ), is it always true? Maybe it isn’t always true. But anyway the
self-deception that is well-fouded on the faith that the symbols (0) and ( - )
are always the veiled manifestation of the symbol ( + ), eases our capability
of disregarding the revenge attitudes; so when we’ll have to live and be
subjected to belittling contingences (The manifestations of the symbols -, 0
and ÷) we’ll purify them and we’ll be able to recognize the veiled symbol (+) hided
by the negative or by the stagnant behaviours.
The knowledge of the reality of nonsense and of his
characteristics let you gain a rare level of mindset, the highest levels of
mindset aren’t simply achievable, (Resilient thought structures, immune to debilitation,
free from alterations in their natural consistency. They are also refractory to
any attempt of corruption, characterized by the values of justice, honesty,
integrity.) These mindset all are about depth, about the voyages in the dark
abyss, about the undying researches carried by the winds of curiosity,
patience, freedom, humility, gratuity, magnanimity, persistence, dedication,
the evidence is that who will see the limit of an abysmal nightmare, the
infinite and perfect night of this reality and who will survive to it will be
able to love of an immense love every infinitesimal light of this reality, to
dedicate confidence in the growth of apparently hopeless realities *;
the value of every now of the life is assimilable to the diamond
Koh-i-Noor; will be able to see the
invisible, to perceive veiled truth focalizing their existence, (The allusion
is a focalization indeed), will be able to go beyond with serenity to every
diriment impediment of the outward appearance, the surface walls will be recognized
like a nothingness in front of the impasse of the nightmare that had been
overcome.
The future will be seen as the infinite generosity of life that
give us opportunities to change and to actualize a ieratic and irenic daily
reality for everyone; because the time of life, it is the time of the symbol (
+ ); the time of reality is not an eternal now, the symbol of virtual
abstraction, of the inesorability of maybe, of the alienation of reality, may
be not the circle of reiteration where we all return to care about the
realities we had chosen to avoid, if we act well, we’ll not spare time in
correcting us, and we’ll live the miracle of the rainbow of variability; may be
not a burial mind-surface where lay the syncopated lines or our abandoned relations.
The time of life is the opportunity to become yourself the human fulfillment of
the symbol (+), when you choose to behave in the name of the symbols ( -,0, ÷)
in your relations, you are an example of them that reflect itself into others
behaviour, so you're asphyxiating not only your spirit of creativity, but the
course of becoming of the people you are in relation with and the realization
of the whole reality. The whole nature is an example of the increase of
vitality, but we're able to choose differently, the choice of denying the
creativity is a deviance by our nature and by our responsabilities. So the
human ego is converting the ancestral rule of creativity: we can simply see it
in the contingence of the relation between two or more egoes; every one of them
will deceive the others to increase the value of himself; the result is the
common denigration and the general decrease of the latent creativities of all
the egoes. The truth is that everyone cares about the mirror of the ones who
stands in front of them, we call it identification, this is agood property if
we intend it through the perspective of the magnanimity: “put yourself in
somebody else's shoes.” But the attitude of identification could become
hazardous when it degenerate in homogenisation ( that impoverish the individual
rarity) or in conformism, the power of attorney the thought.
A priori we deny the contamination of thought in honor of the
mindset of non-violence, in this way we annihilate the differences in thought,
we disaccustom us to the variety, to the creative variability and to the
attitudes of ‘change mind’ and of ‘think twice’.
We're all influenceable, like a little plant is dying because
you're not giving her water, the people you'll not care will leave you, but
think about it: The plant that died because of carelessness had been isolated
by her natural atmosphere and inset in a vase. The Natural atmosphere provides
to the reciprocal nutriment, to the autonomous safety, cure and survival course
of every creature that live in the biosystem. What could we learn by the
imagine of the ‘dead nature’ and generally by Nature?
We should not forcefully tear anyone from his environment to adapt
it to ours if we do not plan to take care of it.
The act of caring is always compensated: If we daily donate a
little plant some drops of water and if we let her receive the rays of
sunlight, this plant will donate the beauty of her flowers shapes, the shades
of her colors and te nuances of her scents.
We may remember that that the growth and the vitality of plant is
in change of only daily drops of water and rays of sunlight: we should not
demand more of what is vital for us, we are destined to be subject to our
excesses.
The symbols (0, -, ÷) are not the responsibility of life, these
inexorable symbols are immensely outside our human right, they are affairs of
death, however we are responsible for them if we choose to act in their name
and if men in life choose these symbols (0, -, ÷) for their life or for te life
of others they will pay the consequences.
*
Cause - Effect
Perspectives that confute the principle of causality.
The ideas, and the prejudices, according to which a defined past
necessarily follow a defined present and a defined future can imply a habitual
attitude towards inexorability; these severe attitudes unaccustomed to the
belief in the possibility of a present being and a future becoming better or
anyway different from the past observed.
Similarly, the presumption of judging a reality accomplished and
the result of a fully knowledge,
can imply the stasis of curiosity and therefore the
underestimation of the observed reality resulting from partial knowledge of it.
(The will to blindness).
According to this perspective, the faith in the possibility of the
fulfillment of the aim, not the cause, is the spirit of initiative, it is the
first engine.
Il due è più vicino dell’uno all’infinito e il cuore dorato
Un famoso artista spagnolo realizzò un’opera eccentrica,
misteriosa, certamente degna di considerazione, il titolo di questa opera è
‘Espansione’; in questa opera il momento del compimento dell’opera assume pari
rilevanza rispetto all’opera stessa. In origine l’artista Mareo Rodriguez
decorò una tela di lino avoriata con un motivo geometrico regolare: Furono rispettivamente
dipinti con precisione millimetrica due rettangoli concentrici, un rettangolo
fu dipinto con la tempera ad olio nera, uno dorato.
Questa è l’opera originaria:
Successivamente l’artista Mareo Rodriguez colse della vernice
acrilica nera e la scagliò sulLa tela “geometricamente perfetta”.
Questa opera artistica potrebbe esemplificare una idea: Vada in
cenere ogni attesa e aspettativa di perfezione, ogni congettura di eccellenza,
che divampi il rogo dei giudizi mendicanti di volontà egoistiche, di valenze
superne, di esigenze di qualità superiori rispetto alle attuali realtà, siano
le braci i pregiudizi, gli inesorabili negativi congedi, i no, poiché non è
eccellente, poiché non va mai bene, poiché non è sufficiente è non potrà esser
diversamente! Guardiamo con sguardi umili, misuriamo le pretese di qualità.
L’abitudine del cieco sacrificio del poco e del meno (poiché, si desidera, si
ambisce, si presuppone il tutto, il più, il perfetto, il matematico, il divino)
non può che risolversi in una miriade di vittime non accolte da un sistema che
di umano non ha nulla, in verità un sistema che è il Noi che accoglie le regole
di questo sistema, talvolta delegando la responsabilità ad una idea di realtà.
Quante volte pronunciamo le parole, “Così è, ed è quel che è, rendiamone
ragione!”. Se dunque insieme giungiamo alla conclusione che una definita realtà
“è quel che è”, ovvero lontana da noi e dal nostro sogno, abbiamo la pazienza
di stravolgere i dadi della casualità?
Il cambiamento buono è difficile, è in verità impossibile se la
nostra mano nemmeno sfiora i dadi della casualità.
Il sistema del “negare” del “sacrificare” del “rinunciare” è
evidentemente un sistema privo di intelligenza in misura ed in qualità in cui
pone come meta:
A livello interpersonale la volontà egoistica, che secondo scelte
di inesorabilità nega la reciprocità relazionale, la relazione diviene univoca,
ovvero non relazione.
A livello sociale l’ottimizzazione del rendimento del sistema
premettendo talvolta come metodi per giungervi, non la collaborazione e la
valorizzazione di ciascun singolo, bensì la perdita aprioristica di potenziale
creativo di molti che non dimostrano i requisiti di creatività standardizzata
richiesti, e l’inflessibilità, (poiché si dimostra in evidenza statico e
inesorabile, ovvero estraneo all’accoglimento del meno, del divenire, del
diverso e del cambiamento. La limitatezza del sistema riguarda la cecità del
riconoscimento che vi possano essere forme di intelligenza creative alternative
rispetto a tale presupposte, e che queste dissimili forme di creatività e
coloro che le possiedono porterebbero al sistema stesso frutti similmente o
maggiormente buoni, se solo il sistema li accogliesse e li sostenesse); un
sistema che in verità può plasmarsi soggettivamente in ciascun individuo in
iconiche realtà caratteriali e attitudinali caratterizzate da severità,
inesorabilità, inflessibilità, diniego,
ghosting, relentless
apriori blocking.
Il sistema “purista” esige che la tela sia di lino avoriata con
due motivi geometrici regolari e che mai divenga diversa, nessun bambino, alcun
uomo o donna osi cambiarla: due rettangoli concentrici, un rettangolo nero, uno
dorato.
È palese che questo sistema
è radicale e dispotico, antidemocratico e nichilista in quanto annienta ed
elimina spietatamente ogni possibilità di voce alternativa e creativa rispetto
alla pretesa ‘perfezione’ già data, questo sistema assume che una volta che si
giunge all’ottenimento di un dato livello di bontà o di perfezione, ciascuna
realtà dissimile e avversa a questa debba essere allontanata e eliminata;
altresì nel mentre del processo di realizzazione di realtà coerenti al sistema
esso si dimostra dispotico poiché esige che ciascun artefice della realtà
desiderata compia esattamente la sua parte utile al raggiungimento della meta
perfetta; il sistema dunque non ammette nessuna devianza di pensiero, nessuno
spirito di originalità individuale.
In tal modo imperversa la stasi eterna, un’immobilità più forte di
noi stessi che abitua al sacrificio della diversità alternativa al modello di
perfezione, del modello di movimento e di cambiamento esteriore strutturante il
pensiero, la stasi che purtroppo talvolta assume il nome di inesorabilità. La
parola ‘inesorabilità’ assume senso logico in gemellanza con la parola ‘fine’,
non dimentichiamo che la vera fine della vita altresì relazionale e
interpersonale non può che esistere una sola volta.
La mentalità purista può degenerare in una forma di psicosi di non
contaminazione del pensiero, del sentimento, dell’affettività questa struttura
mentale ha come strumenti la severa selettività, l’atto del diniego a priori,
ovvero in assenza di rilevanti cause, talvolta accompagnati dal mood
caratteriale di ‘essere sulla difensiva ‘ e la ‘nonviolenza a priori’ con inclinazioni
di egocentrismo e autocommiserazione a priori e paura ingiustificate, maligne
poiché sconvolgono e travolgono l’equilibrio di reciprocità relazionale ponendo
come polo positivo estremo sé stessi e come estremo polo negativo il prossimo,
talvolta in mancanza di provate e consistenti premesse, la mentalità di
‘nonviolenza’ implica assenza di
creatività relazionale, di curiosità e di iniziativa verso il prossimo, queste
attitudini si rifrangono in coloro in cui è ancora vivido lo spirito creativo di
apertura interpersonale a poco a poco affievolendolo.
La mentalità purista può implicare precarietà culturale e
interpersonale in quanto inflessibilità, staticità, indisponibilità di
arricchire se stessi in grazia della relazione con realtà devianti rispetto
alla mentalità personale: La presunzione di unicità di pensiero e di
coincidenza del proprio pensiero con la verità (Che talvolta può ritenersi
coincidente con la verità ‘perfetta’ proposta o imposta dal sistema purista) è
inesorabile, è cieca di sé stessa, e dispotica nella misura in cui soffoca
prospettive più umili, essa inoltre è sterile, non può che fermarsi a sé stessa
poiché non ha confronto, non ha relazione.
Ne possiamo riconoscere due chiavi di volta e di lettura nello
spirito di originalità individuale e nel confronto interpersonale.
“È probabilmente vero in linea di massima che nella storia del
pensiero umano gli sviluppi più fruttuosi si verificano spesso ai punti di
interferenza tra due diverse linee di pensiero. Queste linee possono avere le
loro radici in parti assolutamente diverse della cultura umana, in tempi
diversi e in ambienti culturali diversi o di diverse tradizioni religiose;
perciò, se esse veramente si incontrano, cioè se vengono a trovarsi in rapporti
sufficientemente stretti da dare origine a un’effettiva interazione, si può
allora sperare che possano seguirne nuovi e interessanti sviluppi.”
Werner Heisenberg
I nostri limiti sono la nostra opportunità di vivere in questi
limiti e di rivalutare noi stessi per cambiarli in meglio o per abbracciarli.
Perché abbracciare i nostri limiti o differenze (anche di pensiero) è
l'opportunità di abbracciarci e soprattutto di elevarci reciprocamente
attraverso diverse conoscenze e realtà. L’imperfezione di una realtà può velare
la sua perfezione e compiutezza, così come la devianza può velare la normalità.
“Se la devianza è il prodotto della tensione tra autonomia
dell'individuo e la costruzione sociale, ne consegue che per Durkheim.
Non ci sarà mai una società senza devianza. Anche laddove la
costrizione è più forte, ci sarà sempre qualcuno che si comporterà in modo
difforme rispetto alle regole socialmente condivise, proprio perché non
potranno mai essere cancellate le duplicità della coscienza (individuale -
collettiva. Intima e esteriore. Autoreferenziale e relazionale. Attiva, libera
e passiva, autoritariamente subita). Inoltre, la devianza, oltre ad essere un
fenomeno ineliminabile e quindi normale, può essere utile alla società: Senza
devianza infatti, non ci sarebbe cambiamento sociale. Se tutti si comportassero
sempre in modo conforme, le rappresentazioni collettive non subirebbero alcun
cambiamento. Ma perché ciò non avvenga, occorre che l'originalità individuale
abbia la possibilità di emergere.”
Alla fine la premessa è quella di avere la pazienza di conoscere
la verità della realtà con cui siamo in relazione, questa non è un'aspettativa
passiva ma deve essere un'iniziativa attiva di incontro, di domanda e
curiosità; mai definire le realtà che incontriamo, non pensiamo mai "è
così" e "non può cambiare", o "Non può essere diverso
rispetto al mio modo di vedere", non crediamo ciecamente ai nostri occhi,
la verità è ancora lontana; un passo in più verso di lei ci avvicinerà.
Il cuore d’oro, nella piramide di marmo, nel cubo di legno.
Disveliamo forme non comuni della realtà.
L’umiltà di non sapere è lo spirito della curiosità, la curiosità
è altruistica in quanto volontà attiva di incontro di realtà altre rispetto a
noi stessi. Riflettiamo sulle possibilità presenti e future di cambiamento, sii
come uno scultore che guardando un cubo in legno non pensa: "È un cubo, è
solo un povero cubo di legno, mi è indifferente, dunque non esiste, non
cambierò mai idea su di esso".
Uno scultore che guarda un cubo farà tutto il possibile per creare
una statua - Immagina, il processo di scultura è lento: All'inizio i materiali
saranno ispidi, lentamente lo scultore scoprirà il marmo che nasconde il legno,
quindi il marmo attraverso l'iniziativa creativa dello scultore mostrerà le sue
forme raffinate: alla fine egli potrà vedere del fu cubo di legno una piramide
di marmo in verità soltanto per la sua accogliente e plasmante volontà. Della
piramide di marmo lo scultore volle farne una sfera e nel mentre dello scolpire
scorse le venature marmoree celare una dorata luminescenza, in grazia d’uno
spirito di curiosità egli perseverò nell’atto dello scolpire, egli vide un
prezioso lingotto d’oro che foggiò nella forma di un cuore.
Vivere significa altresì non sopportare o negare la contraddizione
tra noi e la diversità, poiché ciascuna realtà che nella nostra vita è in
relazione con noi non può che essere diversità e somiglianza, mai analogia
essenziale, rispetto all’unità dell’io che vede, che ascolta, che tocca, che
sente le variopinte, cangianti e esteriori contingenze della realtà.
Abbracciamo le differenze: Non sono realtà da curare e da conformare, ma le
differenze hanno lo stesso valore delle realtà che caratterizziamo normali. La
realtà è una.
Non pronunciamo mai a priori NO alle realtà che incontriamo, non
pensiamo mai che la nostra prospettiva sia la compiuta verità della realtà, non
fermiamo noi stessi mai alla nostra prima percezione, potremmo morire
precocemente, dunque non rinunciamo né alla nostra seconda idea, né alla terza,
in questo modo nel frattempo raggiungeremo la verità della realtà che stiamo
cercando, la realtà sarà più chiara, meno confusa, meno caotica poiché la
avremo messa a fuoco.
Se la prospettiva che si vede si percepisce come flebile e sfocata
non significa che non esista! La ferma credenza della labilità altrui e la
seguente certezza della propria unicità e correttezza di pensiero è la prima
ignoranza.
Siamo umani, siamo animali, non macchine; quando ci incontriamo,
nessuno di noi risponde automaticamente a un comando: diamo il tempo di
lasciare che le nostre mentalità si abbraccino attraverso la curiosità e
l'ascolto.
Nel frattempo guardiamo il presente della realtà che sta cambiando
con noi, mentre ascoltiamo, questa realtà ci sta parlando, non può che essere
così poiché il tempo della vita è il tempo della relazione: il fiore sboccia
anche in silenzio, anche se non ne siamo a conoscenza, l’incontro è un istante
solo, tuttavia può essere la possibilità dell’irenico ritorno, la possibilità
di avvicinarsi all’eterno, poiché il due è più vicino dell’uno all’infinito.
Il dono della natura risiede altresì nella parola possibilità di
realizzare noi stessi ciò che è pensabile e ciò che non può essere pensato, le
realtà oniriche. Permettendo che la vita non può che essere onnipresente relazionalità,
L’atto del dare è l’imprescindibile premessa del vivere di ciascuno, la vita
non può che essere dono: questa idea non può che condurci a riconoscere un
velato significato della metafora del fiore che sboccia anche in silenzio: Ad
esempio l’apparenza di una attitudine di inesorabilità può celare un dono di
libertà. Siamo curiosi di ciò che non è e saremo ricchi della conoscenza di ciò
che può essere – Le realtà velate oniriche ed ireniche sono in potenza reali, e
divengono realtà nella misura in cui crediamo nella loro esistenza: La speranza
è la lente che rende le realtà invisibili, visibili e le realtà definite,
finite, inesorabili; cangianti, risorte, vive. La fede, la fiducia sono dunque
le premesse, non le conseguenze dell’avverarsi dei nostri sogni.
Tcāj e simbiosi mutualistica micorriza
s. thai
Sincere kindness and care, goodwill and a spirit of initiative and
creativity towards others, liaisons, nature,
without expecting anything
originally and without expecting anything in return.
Sincera gentilezza e premura, buona volontà e spirito d’iniziativa
e di creatività verso gli altri, verso le amistà, verso l’ambiente naturale;
senza pretendere nulla in origine e senza aspettarsi nulla in cambio.
Disapproval about the blameworthy act of delegating responsibility
and initiative:
{ ∞ • ( I’m ‘awared’ and I want
others to know that someone cares. I do not care, but someone may care.) } = {
0 Persons who care} = { Not a soul cares , stasis , decadence.}
Critica dell'atto di delega di responsabilità e di iniziativa:
{ ∞ • (Sono 'certo/a' e voglio che gli altri sappiano che qualcuno vi
dedica le sue premure. Non io, ma altre persone potrebbero averne cura.) } = {
0 Persone ne hanno cura, stasi, decadenza.}
Non crediamo che la Natura, di cui noi siamo parte, sia un mero
strumento privo di merito, di riconoscimento del suo valore. Non crediamo che
la Natura stessa non abbia alcunché da insegnarci. Ad esempio la Natura ci
insegna il valore dell’equilibrio altruistico tra l’elemento donato e il dono
ricevuto:
Le simbiosi mutualistiche sono fenomeni naturali per cui le
orchidee, le querce, i coralli portano avanti il loro ciclo vitale vivendo a
stretto contatto e traendo benefici reciproci, sia di natura nutrizionale che
di altro tipo, in questo equilibrio la misura della decadenza di un primo elemento
naturale coincide con la misura dell’impegno del secondo elemento affinché
questa povertà e limitatezza sia sanata, in questa sistema non vi è perdita:
Allorquando il secondo elemento vivrà un periodo di decadenza il
primo elemento sarà florido di vitalità e vi dedicherà le sue cure. In un
sistema egoistico – competitivo, diversamente, vi è danno e perdita: le perdite
si verificano allorquando un primo elemento sacrifica, abbandona o denigra un
secondo elemento (in onore di pregiudizi di inutilità, povertà, inabilità,
ignoranza, scarsità). La seconda prospettiva di perdita interessa la
probabilità (Questa è una probabilità ingente considerando le varietà e la
variabilità dei tipi di cure e di necessità di cui la natura è madre) del primo
elemento di necessitare in un secondo momento delle ipotetiche cure del secondo
elemento: In assenza delle passate cure del primo elemento le povertà, le
inabilità, le ignoranze, le scarsità del secondo elemento si saranno nel tempo
radicate indebolendo ed impoverendo l’ente che avrebbe potuto in futuro giovare
al primo elemento.
Anime velate
Ciascuna persona appare ai nostri occhi un nonsense nella misura
in cui non le dedichiamo le nostre gratuità e cure disinteressate, lo abbiamo
visto:
L'apertura interpersonale nei confronti di coloro che non
dimostrano la volontà di incontrare e di conoscere è sempre più rara, questa
eventualità è purtroppo definita nella relazione tra sconosciuti e dirimente e
prima causa di decadenza nella relazione tra conoscenti: Le pagine dei libri
non si disvelano a coloro che non hanno cura di sfogliarli; quanto costa caro
l'ozio dell'indifferenza!
Semplicemente sacrifichiamo gli universi del nostro prossimo
credendo nell'illusione di potere compiere il nostro universo in assenza del
valore dell'immedesimazione, il senso ultimo del riconoscimento della nostra
singolarità come identità appartenente e integrante una molteplicità. Allora
siamo assuefatti dall'assurdo miraggio secondo cui la nostra esperienza non possa
divenire un racconto fruttuoso per la vita del nostro prossimo, il racconto
della nostra esperienza è la nostra gratuità, è la nostra testimonianza, è la
nostra eredità, è il senso primo del nostro vivere insieme, non è una moneta
che uno solo può spendere, è secondo questa mentalità che la superficie della
nostra coscienza diviene opaca, si scherma dei veli del nichilismo, le anime
non si riflettono vicendevolmente ed infine non si riconoscono.
L' equilibrio della conoscenza è sensibilmente dipendente dalla
fede aprioristica che dedichiamo e dal contributo o passo di un cammino
condiviso che doniamo ed auguratamente riceviamo in dono; è inoltre
fondamentale il coraggio reciproco d'incontro con le verità che ancora si
scorgono essere in latente nebulosità, la nostra magnanimità nella
ridefinizione dei nostri valori; l' urgenza della domanda, della curiosità e
del chiarimento, nonché l'inesistenza delle intimidazioni di inesorabilità,
indifferenza, noncuranza e saccenza in quando riconoscimento della vitalità in
divenire nuova in ogni adesso della relazione. Il compimento in divenire della
vicendevole conoscenza è uno dei principi della catena della relazionalità, il
valore fondante la fraterna creatività.
Approfondimento
Principio biblico avverso alla selettività relazionale
Lc 14, 25-27
«Siccome1 molta gente andava con lui, egli si voltò e disse: «Se
uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre, la moglie,
i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio
discepolo.2 Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può
essere mio discepolo.3 Chi ha orecchi per intendere, intenda».
1 –
Molta gente seguiva il signore a priori (poiché in grazia delle
sue opere egli aveva raggiunto la ‘fama’ di colui che compie i miracoli, non
perché avessero realmente inteso il valore del suo messaggio rivolto al valore
della fede.) La parola ‘Siccome’ è immagine del fatto che egli non desidera
essere seguito per la sua attuale notorietà, bensì da coloro, i pochi che
provano ad accogliere la sua parola e con fiducia e responsabilità aiutandolo a
portarla a compimento.
Dal testo sacro si evince infatti che da questo momento in poi,
egli sarà accompagnato da un numero sempre minore di persone, egli sarà infine
solo, sulla croce. Queste interpretazioni e queste parole rivelano l’importante
tema della libertà di pensiero, egli non impone dispoticamente i suoi pensieri
e la sua persona rispetto alle altre persone, egli piuttosto consiglia di
ascoltare, di scegliere consapevolmente ed eventualmente altresì di
allontanarsi da lui.
2 -
Il tema: Equilibrio relazionale
L’identità del Signore che questo verso esprime è il suo essere
uno sconosciuto. Ed in nome della sua identità di sconosciuto egli consiglia:
Amate coloro che non sono conosciuti ancor più di coloro che sono conosciuti ed
ancor più della vostra stessa vita.
Egli è esempio di una mentalità che si rivela secondo livelli
inconsueti di consapevolezza, egli non consiglia di non amare la famiglia, e
non consiglia di non amare la vita, egli nega il pregiudizio aprioristico
secondo cui coloro che sono sconosciuti siano privi dei valori umani,
affettivi, e caritatevoli di cui si crede siano esempi la famiglia, si
riconosce che nella misura in cui si pone in rilievo l’io e le realtà che si
riconoscono come sue proprietà (La famiglia e la vita), automaticamente decade
nell’atto di giudizio, il valore dedicato alle realtà che non vi appartengono,
ovvero le persone sconosciute che secondo la logica dell’esclusività
relazionale saranno ora e sempre destinate a restare sconosciute poiché la
relazione tra persone sconosciute è labile a causa della assenza di
riconoscimento di valore umano e di apertura interpersonale.
Dunque solo nella misura in cui a priori si dedicano al prossimo
non conosciuto le opportunità del riconoscimento in lui/lei dei valori umani
che riconosciamo in noi e nella nostra famiglia, nella misura in cui
riconosciamo nel prossimo nostro, non uno sconosciuto, bensì una realtà che è
in divenire realtà di compagnia con noi, ovvero la nostra famiglia;
allora avranno in verità senso nuovo le parole: creatività
relazionale (Il margine di possibilità di conoscenza tra due sconosciuti è
diametralmente superiore rispetto al margine di possibilità di conoscenza tra
due persone che giudicano di conoscersi), novità, sorpresa, fiducia.
Che senso può avere il concetto di fiducia nella condizione in cui
esista reciproca consapevolezza e coscienza dell’agire del prossimo, potremmo
forse parlare di previsione del verificarsi di una ovvietà di cui avevamo
consapevolezza delle variabili originarie. La proprietà del dono di fiducia
assume più merito, più significato, responsabilità e valori nella misura in cui
ci relazioniamo con realtà che non sono conosciute e che sono chiamate ad
accogliere e a relazionarsi con la fiducia donata: La fiducia è un atto di fede
di gratuità e di speranza dedicato al prossimo, nell’augurio secondo cui
ammettiamo che i suoi valori ed i suoi disvalori trovino compimento in una
attitudine condivisibilmente accolta.
Vivere le relazioni secondo il valore della vicendevole libertà,
non di reciproche obbligazioni.
In una relazione compartecipano due persone:
Ad un dono di amistà e di amore non può che corrispondere la
disponibilità di accoglimento e di gestione dell’altro del dono ricevuto:
Il dono di amistà e di amore può decadere secondo le variabili
della ascendenza del tempo e della non libertà in eventualità in cui si delega
un carico di tempo, di responsabilità, di energie e vitalità, eccedente.
Tuttavia questo pensiero non deve decadere nel suo radicale
opposto: La non volontà aprioristica di dedicare o accogliere atti di amistà e
amore.
Il tema della fiducia relazionale aprioristica e non esclusiva.
UN PASSO IN PIU'
Il paradosso del nulla
Il nulla è buio ed altresì luce; poiché noi siamo i lumi che il
nulla illuminano.
“Quando guardi nell’abisso, l’abisso guarda in te.”
Friedrich Nietzsche
Nulla in essere e nulla in divenire.
Il nulla in divenire è origine, inizio, ponte di vitalità, poiché
ciascuna creatività e novità è compimento di una realtà velata o non esistente,
di cui noi stessi possiamo essere artefici; il nulla in essere è fine, stasi,
inanità, eterna e vana attesa, per il raggiungimento di un fine che non si
distingue dal principio, è per definizione nichilismo, simbolo della perdita di
ogni punto di riferimento e della risposta 'non sense' alla domanda di senso
della realtà.
Il nulla in divenire, non il nulla in essere è la meta da
raggiungere. Temere il nulla in essere o abituarsi ad esso implica le nostre
paralisi, di cui alcune manifestazioni sono l'indifferenza, l'odio,
l'inesorabilità, l'annichilimento del prossimo; e queste paralisi significano
le nostre inattività, apatie, inerzie: Le nostre paralisi implicano il nostro
non esistere nell'adesso ed il reiterarsi del nulla in essere a causa della
nostra attitudine di astensione o di delega. Tuttavia comprendiamo che il nulla
in essere è inesorabile sino al tempo limite in cui noi stessi lo cambiamo, il
nulla in essere è altresì la nostra opportunità di dare noi stessi significato
ad una realtà che percepiamo come vuota ed insensata: Dunque se l'inazione è la
scelta del nulla in essere, l'iniziativa è la nostra scelta di cangiare noi
stessi il nulla in essere affinché sia in grazia del nostro esistere attivo
nulla in divenire, la scelta della vitalità in onore del dono della vita, il
nulla può dunque manifestarsi come addio, tetro incubo d'inanità, di nonsense,
di inesorabilità mai cangianti, oppure come il lume del principio di divenire
concordi alle nostre idealità;
il lume onirico della realtà che desidereremmo vedere sostituirsi
al nulla e le nostre attitudini, il nostro esempio conseguenti al nostro
pensiero sono i ponti fondanti il significato del nostro aver luogo ed aver
tempo poiché in grazia di essi il nostro essere talvolta sospende il nulla,
talvolta si avvicenda ad esso o talvolta crea un connubio con esso.
In grazia della nostra opera il colore unico dell'aura nostra
vincerà le oscure ombre del nulla in essere tingendole e ravvivandole delle
nostre tinte che meriteranno, in grazia delle nostre illuminanti iniziative,
d'aver luogo e senso tra le ombre dell'eterno.
Essendo l'osservazione e il pensiero (memoria, immaginazione
creativi) essi stessi attività plasmanti, secondo una intima e individuale
variazione di priorità e di ordine di valore della realtà possiamo stimare una
realtà in origine riconosciuta come nulla, di valore e qualità in grado e
livello superiori nonostante fattualmente non la abbiamo noi stessi modificata
con la nostra iniziativa:
NULLA È TUTTO, CON UNA TORSIONE (= attività.)
Kurt Vonnegut
I drew the Earthling symbol for nothingness, which was This:
o
I drew the Earthling symbol for everything, which was This:
∞
APPROFONDIMENTO
Nella filosofia orientale, il caos sembra coincidere con
l’“energia primordiale” che, “causando” il movimento o la fluttuazione della
“luminosità oscura” (il black hole), origina la “visione delle forme”.
Il suono KA riporta anche al termine causa quale “causalità
dell’apparente casualità del Caos”. Inoltre i valori semantici della radice
sanscrita KA e del suono AU (O) conducono a identificare il caos come la
manifestazione infinita dell’Assoluto.
KA
Il NULLA è FONDAMENTO NECESSARIO E PRINCIPIO DELLA CREATIVITà
In sanscrito KA è rappresentato dal simbolo dell’infinito (un otto
rovesciato) aperto a destra, con una linea retta che passa perpendicolarmente
per il punto centrale dell’infinito, dividendolo idealmente in modo simmetrico.
Nella grafia della consonante troviamo quindi rappresentato il concetto di
creazione: la vibrazione che a cavallo della linea di continuità, tra fenomeno
e noumeno, guida il processo di creazione dal vuoto al manifesto. La K nello
spazio dà forma all’opera.
Questi principi sono affini al concetto espresso dal termine
ebraico [pargod] (Cortina o Velo cosmico, sipario, specchio), inteso come lo
schermo inafferrabile sul quale compaiono le forme illusorie che ingannano
l’essere. È il simbolo dello “specchio di Dio”, della sua auto-ricettività
creatrice.
Ogni creazione diviene proiezione illusoria, apparente inganno
che, nel suo duplice aspetto, conduce alla saggezza espressa nella māyā
induista, il cui significato originario era quello di “creazione” e solo in
seguito ha acquisito il significato di “illusione”.
Termini ebraici derivanti dalla radice “ka”
KAV = linea, corda, stringa, raggio, cerchio, zona; “parola che si
verifica”, voce, chiamata; “raggio di illuminazione divina”.
KOL = suono, voce, rumore,
tuono, segnale.
KHOL =muoversi in circolo, vortice, mulinello, gorgo, vuoto
primordiale; girare, rotazione, danza; verificarsi, avvenire.
KHALAL = iniziare, aprire; profanare, rompere, perforare,
penetrare, trapassare; taglio; essere vuoto, svuotare; pertugio, cavità, tana,
varco, luce, pozzo.
Vuoto Primordiale; vacuo, nullo, privo, assente; spazio,
intervallo, luogo, arco, lo spazio esterno, universo; gola, abbraccio; flauto.
Khalal è inteso come vuoto, spazio e luogo:
vuoto, in quanto in esso
non vi fu niente;
spazio, prima condizione
che segue il momento in cui esisteva solo Dio con la propria Luce;
luogo, in quanto condizione
di espressione, seppur limitata, della Creazione.
Dio permise al Khalal di formarsi, e poi vi infuse una luce limitata
attraverso una linea retta (kav) formando così la Creazione dotata di
specifiche peculiarità, gradi e livelli. Il kav in questo modo ne costituì
anche la condizione di limite e confine.
kōan
«Se intraprendete lo studio di un kōan e vi ci dedicate senza
interrompervi, scompariranno i vostri pensieri e svaniranno i bisogni dell'io.
Un abisso privo di fondo vi si aprirà davanti e nessun appiglio sarà a portata
della vostra mano e su nessun appoggio si potrà posare il vostro piede. La
morte vi è di fronte mentre il vostro cuore è incendiato. Allora,
improvvisamente sarete una sola cosa con il kōan e il corpo-mente si separerà.
... Ciò è vedere la propria natura.»
Hakuin, Orategama
Il carattere che indica il Wú! (in giapponese: Mu), ovvero la
risposta del maestro Zhàozhōu riportata nel primo caso del Bìyán lù, la cui
corretta interpretazione è il tema della meditazione sul kōan. Da notare che
questo carattere è composto dal carattere
"fuoco" posto sotto un covone di grano . Ciò indicherebbe la
non esistenza di qualcosa, ma in ambito della dottrina buddhista zen la sua più
corretta accezione è "né esistenza, né non-esistenza".
La parola “Nulla” in lingua gujarati
https://progettocoscienza.hyst.eu/dal-caos-un-percorso-verso-il-nulla-1/
https://it.m.wikipedia.org/wiki/K%C5%8Dan
VEILED TRANSCENDENCES
'' L'albero è di fronte alla finestra della sala. Lo interrogo
tutte le mattine: '' Cosa c'è di nuovo oggi?" ka risposta giunge senza esitazione,
portata da centinaia di foglie:" Tutto ".
Trascendenza, antitetico al concetto di immanenza, deriva dal
latino ("trans" + "ascendere" = salire al di là) e indica la qualità di una realtà concepita
come ulteriore, "al di là",
"esterna a...", "non riconducibile a..." rispetto ad
una realtà, al quale si contrappone una
visione dualistica.
Secondo Edmund Husserl, la coscienza è intenzionale, cioè si
rivolge a oggetti che sono trascendenti rispetto ai vissuti della coscienza
medesima, ovvero sono al di là di essi: in questo senso, trascendente è
l'oggetto, il contenuto dell'atto che compie la coscienza.
Karl Jaspers, il teorico dell'esistenzialismo assume
l'impossibilità per l'uomo di raggiungere l'essere in sé, che rimane sempre al
di là delle sue possibilità, tuttavia la coscienza della realtà è una immagine
speculare, rifratta e cangiante della realtà stessa come l'immagine di una
realtà riflessa sulle tenui e brillanti oscillazioni di uno specchio d'acqua
ravvivato dai lumi solari. La luce, i cambiamenti
ambientali come l'intensità dello zefiro che riverbera la superficie dello
specchio d'acqua, la qualità delle diverse realtà (acqua e materia) sono le
variabili che in questo esempio intervengono. Noi siamo cangianti come lo
specchio d'acqua plasmato dall'ambiente, dallo spazio, dal tempo, tuttavia in
noi intervengono altresì le singolarità della memoria, del sentimento, delle
emozioni, dei sensi...
Simultaneamente siamo
osservatori di noi stessi e di realtà esterne che non possiamo conoscere nella
qualità che è in essere, bensì nelle qualità di immagini riflesse sullo
specchio della nostra coscienza plasmate dalle nostre singolarità. La
trascendenza dell'essere si rivela per l'uomo nelle situazioni-limite (Di
profonda sensibilità) in cui le nostre singolarità, il nostro pensiero, ogni
nostro dualismo si risolvono in olismo del reale, poiché in esse esperiamo lo
scacco che subiamo nel tentativo di superarle e di comprenderle. La
trascendenza non è esistenza. L'esistenza infatti sussiste solo in quanto c'è
comunicazione e relazione; la trascendenza invece è se stessa senza bisogno
d'altro, è possibile la conoscenza della trascendenza poiché si è trascendenza.
NOSCE TE IPSVM.
Il/la Trascendente, participio presente di
"trascendere", nel significato originario latino può essere riferito
a "colui che trascende", che "passa il limite. ''
Assumere che la coscienza sia intenzionale implica che senza
volontà di coscienza, non può esservi coscienza.
Secondo questa logica assumono valore di senso i significati di
incoscienza e follia. In onore di una mentalità dualistica siamo abituati a
definire la razionalità positiva e la follia negativa, in verità al di là di
questo giudizio di valore, la follia è in verità una alternativa struttura
mentale, la follia è la seconda struttura mentale gemella della razionalità , è
un mindset alternativo, un sistema di valori dissimili e lontani rispetto ad
altri, se una possibilità di valori è dissimile rispetto ad un sistema di
valori comunitariamente accolto e strutturato, questo non implica che questi
ulteriori valori possibili siano negativi: inoltre considerando che la
possibilità di diversità dei valori è fondante la libertà di pensiero.
Coloro che viaggiano molto sia nel tempo con la lettura, sia nello
spazio (Incontro di nuove culture) hanno forse riconosciuto il limite di
pensiero locale e nella loro coscienza lo hanno superato, incrementando i loro
valori con altri dissimili sino, forse, ad ottenere l'abilità di usufruire al
bisogno di più di un unico sistema di valori, ovvero di più di una struttura
mentale.
La consapevolezza del bene agire è fortemente dipendente dalla
ricchezza di valori acquisiti e dalla loro dissimilarità in quanto nell'atto di
volontà si realizza un aumento di possibilità di confronto tra valori, di
ragionamento.
La ricchezza di valori influenza la superficie della coscienza, la
consapevolezza, tuttavia questa variazione di limite di coscienza non può che
avere altresì implicazioni più profonde, incidendo sulle qualità di subconscio
e istinto, incrementando la sensibilità del singolo.
Concludiamo che la follia, nella sua accezione di struttura
mentale caratterizzata da valori dissimili può essere utile in relazione con la
razionalità, la struttura mentale caratterizzata dai valori primari, (i valori
dell'infanzia, della tradizione familiare e comunitaria) e fonte di creatività
buona.
Abbiamo assunto che senza volontà di coscienza, non può esservi
coscienza.
Coloro che non vogliono
vedere, non vedono, coloro che non vogliono ascoltare, non odono, coloro che
non vogliono parlare, tacciono: Sé stessi e gli altri, mai una azione è
unilaterale, non possiamo che essere sempre in relazione.
La volontà è una abilità soggettiva e individuale caratterizzata
pertanto dalla responsabilità delle implicazioni della volontà.
Qualunque abilità individuale è soggettivamente e intimamente
plasmabile sin dalle sue origini a priori, nel tempo nella sua velata
elaborazione e a posteriori:
Evoluzione, stasi o involuzione di volontà.
Essendo la coscienza un atto intenzionale è il singolo a
predefinire i limiti e le qualità dei sistemi che originano la volontà.
Il bianco non è il nero, secondo la singolarità del pigmento.
In termini di frequenze di luce, il bianco è la presenza di tutti
i colori ed è quindi un colore. Il nero è al contrario la completa assenza di
colori. In termini di pigmenti invece il bianco è la completa assenza di un
qualsiasi colore mentre il nero è la somma di tutti quanti.
La possibilità di contestualizzare ogni dualismo, ovvero
caratterizzarlo secondo una singolarità o un'altra è un valore aggiunto di
utilità non indifferente. Prendiamo il caso del bianco che non è il nero.
In verità è possibile affermare che il bianco non solo sia simile
al nero, bensì che il bianco sia uguale al nero.
Prendiamo ad esempio queste due texture 2D caratterizzanti le
entità di bianco e di nero: siamo noi a definire i limiti di volontà di
coscienza.
Il giudizio è psicologicamente relativo:
Semplicemente associando al nostro giudizio di valore una
singolarità dissimile rispetto a quella del pigmento.
Come ad esempio:
Omogeneità, traslucenza, trasparenza, luminanza, metallicità,
opacità, rilievo, sensibilità alla desatuzazione, struttura spaziale 3d,
intensità e rarefazione, sfocatura, nebulosità, regolarità ...
Possiamo attribuire al bianco e al nero il giudizio di somiglianza
o analogia.
Dire che il nero è simile o uguale al bianco è vano?
Sì se arrestiamo qui il nostro passo.
Dualismo, dicotomia, antagonismo, dissidio, rivalità, implicano
attitudini in cui necessariamente una parte della realtà sarà sacrificata, con
le conseguenze che il sacrificio comporta: Nell'ideogramma jin - yang, lo jin e
lo yang coesistono.
Tuttavia generalizzando questa mentalità che è al di là del limite
del dualismo vincolato e limitato da una singolarità. Giungiamo ai primi albori
dell'olismo hòlos, cioè «totale», «globale». Il termine olismo pone come chiave
di volta il simbolo: concordia.
Quanti furono gli scrittori che in passato consigliarono a noi di
'vedere con gli occhi del cuore?' tra i molti Antoine de Saint-Exupéry.
Ken Wilber ed i teorici della Spiral Dynamics considerano l'olismo
come un particolare livello transpersonale dello sviluppo umano, conseguente al
livello sistemico o integrale. Nella teoria della Spiral Dynamics, l'olismo è
il livello più avanzato di sviluppo umano finora documentato. Wilber vede anche
livelli più elevati, mistici.
Il riconoscimento di una singolarità buona, una lente che permetta
di vedere oltre il limite del 'non può essere diversamente' è una chiave etica
che può aiutare ad affrontare con resilienza e fiducia le realtà negative della
vita in quanto abilità di riconoscere il lume del buono e del bene in ciò che
ci appare in qualità oscure. Ad esempio soffriamo di una situazione di vita in
quanto attribuiamo una misura di valore estrema ad una singolarità della
situazione, rispetto alle altre di cui sovente nemmeno riconosciamo
l'esistenza. Ritornando all'esempio del bianco e del nero, giudichiamo la
distinzione tra bianco e nero in quanto attribuiamo il 100 per cento di
rilevanza alla singolarità del pigmento e lo 0 per cento alle singolarità
alternative che inizialmente non riconosciamo.
Esemplifichiamo la mentalità olistica:
La mentalità dualistica ha implicato l'abitudine alla
competizione; poniamo attenzione a coloro i quali limitano le proprie abilità in onore delle
attitudini altrui, essi sono coloro i quali sacrificano il loro spazio di
azione affinché le altrui iniziative possano simultaneamente fiorire.
Così comprendiamo che il silenzio di una persona è la possibilità
di parola per una seconda, la timidezza di una persona è una occasione di
relazionalità per una seconda persona, l'abbaglio di una persona è
l'opportunità di una seconda di mostrarle fiducia o la sua disposizione al
giudizio e al tradimento.
Il consiglio: "Ascolta il silenzio. " non è insensato, è
in realtà una frase benefica, poiché implica il dialogo con la coscienza di sé,
ed una attività purificatrice dell'io, come accade grazie alla lettura. La
trascendenza può essere acquisita in quanto consapevolezza
autoreferenziale o "senza
pensieri" (Il potere di adesso. Eckhart Tolle)
'' If one wants to abide in the thought free state, a strugge is
inevitabile. If o è succeeds in the fight and reaches the goal, the enemy,
namely the thoughts, will all subside in the Self and e isappear entirely. ''
Ramana Maharshi
Le attitudini olistiche vanno in direzione della concordia, sono
sovente altruiste e magnanime in quanto pongono come valore principe la
relazione, insieme agli enti che la costituiscono: Olismo è pertanto volontà di
incontro e accoglienza, iniziative di apertura e curiosità.
È assolutamente rilevante l'origine e la qualità dell'oro fluido
del kintsugi affinché saldi con resilienza i frammenti della ceramica, insieme
ai singoli elementi del sistema, le scaglie di ceramica che per quanto siano
smussate, resterebbero separate e disgiunte.
In onore delle parole di Aldo Masullo si crede ad una realtà che
disapprovi l'omologazione in quanto peculiarità limitante la libertà di
pensiero e attitudinale individuale, si crede alle opportunità di relazione tra
diversità in quanto spirito attivo di creatività:
"Il sentire, il mio vissuto è costitutivamente
incomunicabile, perciò io lo dico incomunicativo, non fatto per essere
comunicato. Ma ciò che dà senso all’umano vivere, è la cultura, l’operare
insieme dei viventi, il comunicare tra loro con le opere, a cominciare dalle
lingue. Così le nostre solitudini si fanno compagne.
In un celebre testo teatrale di Sartre, l’uomo dice alla sua
donna: “vorrei proprio che fossimo uno”; e la donna risponde: “se fossimo uno,
come potremmo amarci?”. L’insuperabile solitudine fa di ognuno un individuo.
Così ci sono tante teste, tante idee, tante passioni, tante volontà, tutte
diverse. È il gioco del mondo e la condizione della libertà. Altrimenti saremmo
un tutto unico."
Aldo Masullo autore di “L’arcisenso. Dialettica della
solitudine"
La variabilità delle singolarità è la chiave per comprendere che
in verità il dualismo è una prospettiva limitata e limitante. Credete a coloro
i quali sostengono che vi sia sempre una possibilità.
Il tempo è una singolarità fondamentale, una opportunità vasta che
talvolta non sappiamo riconoscere e cogliere. Ad esempio quanti istanti di
possibilità future sono il costo di una scelta inesorabile e dualistica in
grazia della quale vincoliamo e condanniamo noi stessi e talvolta le altre
persone ad una decisione che non saremo 'mai più' disposti a confutare e
rinnovare?
La verità è fluida, cangiante secondo gradienti e forme diverse
nello spazio e nel tempo.
"La fine è l'inizio, e l'inizio è il primo passo in divenire,
il primo passo è il cangiante flusso: il passo unicamente esistente. ''
Jiddu Krishnamurti
ELOGIO DELLA FLEBILITA’
Per un mondo più umano
A poor, weary, feeble, humble, unpretentious aptitudes, up to the
compliant silence and the quiet simple existence may all be the result of an
immense inner strenght, a resiliente that is singular and subjective, in truth
self - referential, and because of it this inner aura is not comparable to
others.
Never commit the mistake to say, I'm Better than - I could do
Better than - for instance if you had to practise an activity, the same
activity of the one you're judging - but with the weight of his/her mindset and
resilience measure to memories, present circumstances, or future dreams, you
probably would not be able to walk one step, an intolerable drowsiness, or a
deviant lunary would make you behave in a worse way than the one you're
judging.
So look at these simple aptitudes, they deserve go be noticed and
evalued, not only the most impetuous, valiant, evident, pure and ideal aptitudes
deserve to be accepted and rewarded.
Un'attitudine povera, stanca, debole, umile, senza maestosità,
fino al silenzio accondiscendente e alla quieta e semplice esistenza ascetica,
libera dall’ ambizione o da volontà alcuna ; può essere il risultato di
un'immensa forza interiore, una resilienza velata, incomunicabile, che è
singolare e soggettiva, in verità autoreferenziale, ed è in motivo di questa
verità che nessuna aura interiore ed in generale nessuna persona è paragonabile
ad altre nell’ottica del rendimento individuale.
Non commettere mai l'errore di dire, sono meglio di ________
potrei fare meglio di ________, merito più di ________: Per esempio, se dovessi
praticare un'attività, la stessa attività della persona che stai giudicando _
Tuttavia in compagnia del peso della sua mentalità ed avendo in carico la sua
labilità in misura della sua resilienza ai ricordi, alle circostanze presenti o
ai sogni futuri, probabilmente non saresti in grado di fare un passo:
| In relazione a questa tematica: La premessa secondo cui, nessuno
stato di interiorità legittima una attitudine dannosa nei confronti del
prossimo. |
Un'intollerabile sonnolenza o paralisi o una deviante follia e
cieco abbaglio ti farebbero comportare in un modo peggiore di colui/colei che
stai giudicando.
Quindi dedica la tua attenzione alle semplici attitudini tue e del
tuo prossimo, meritano di essere notate e valorizzate, non solo le attitudini
più impetuose, maestose, impeccabili, valorose, evidenti, pure e ideali
meritano di essere accettate e premiate.
VEILED HOPES
Come può influenzarti così tanto ciò che non esiste o che non è
mai esistito?
Perché in ciò che non esiste o che non è mai esistito risiede il
profondo, ciò che non è evidente e immediatamente accessibile, il sogno, lo
spirito fiducioso nella nascita, nel ritorno, nel cambiamento, affinché le
opere creative non siano fine a se stesse, vane, statiche, monotone rispetto
all’immagine di ciò che è, di ciò che esiste, sia allora il nostro vivere
esempio, origine e eredità di nuove relazioni che risolvono la carenza di ciò
che ancora non è.
Le catene della libertà
Le catene della libertà esprimono una eventualità di vita,
favorevolmente accolta o subita (o accolta in seguito ad essere stata subita)
in cui il singolo è vincolato in una stasi di creatività relazionale, il fatto
stesso che i legami relazionali si scindano può al meglio implicare in lui due
meravigliose potenzialità reattive (non consideriamo in questo breve scritto le
reazioni negative conseguenti allo stato di emarginazione): la consapevolezza
olistica e la creatività originale e anticonvenzionale. Definiamo
consapevolezza olistica la capacità di scorgere il senso riassuntivo della
realtà, la consapevolezza olistica è una capacità donata a coloro il cui sguardo
è lontano dalla realtà che si osserva, ( colui che da un faro osserva
all'orizzonte le onde della realtà) così da averne una visione d'insieme
consapevole di tutte le relazioni che la compongono, il contrario di
consapevolezza olistica è la consapevolezza imminente, in questo caso
l'osservatore è egli/ lei stesso/a una delle miriadi di relazioni che
compongono quel microcosmo di realtà, (colui che vive le onde dell'oceano del
reale) secondo questa premessa non è possibile la comprensione di senso generale
necessaria all'agire consapevole. Poiché gli outsider sono carenti di
relazionalità, essi non sono dipendenti da esse, ne consegue che la loro
qualità di creatività non sia conforme ai rigidi principi dei sistemi
relazionali di cui non sono parte, la loro prospettiva, se viene riconosciuta
ed accolta, si può dunque ritenere il simbolo della fonte di possibilità del
cambiamento, in più è probabile che questo cambiamento sia in nome dei valori
della relazionalità, uguaglianza, (poiché sono state conosciute le conseguenze
della disuguaglianza) magnanimità (in grazia della consapevolezza olistica si
riconosce la propria umile limitatezza) altruismo:
È naturale che la persona emarginata senta la necessità di
divenire una utilità sociale al fine di emendare i legami che furono scissi, a
modo loro coloro che ebbero esperienza di questa realtà vi riuscirono: gli
outsider, i più memorabili scrittori, matematici, artisti ebbero consapevolezza
del significato della parola emarginazione. Inoltre nella dialettica del reale
l’emarginato emargina, questa è una tra le cause
dell’ impasse dell’istaurarsi di nuove relazionalità tra
l’emarginato e la realtà emarginante.
Outsider
Chi opera in campo letterario, artistico e sim. Al di fuori di
ogni scuola o movimento.
Emarginato
Chi, per condizioni sociali, economiche, fisiche, o per costume di
vita, è o si sente messo al margine dalla società, o escluso da una comunità,
da un gruppo, dal suo prossimo.
GIOCONDI CON I DADI DEL DESTINO
Il rassegnarsi è l'intelligenza di restare,
di non affrontare un oceano
in tempesta,
il ritornare al tranquillo porto a poche flebili onde dalla nostra
riva.
Il rassegnarsi all'ambiente non significa il rassegnarsi a sé
medesimi: il seme forte sa germogliare nel terreno avverso. Ma non siamo folli
o allucinati! Poiché dobbiamo vedere e distinguere se un luogo che ci
custodisce e circoscrivere sia buona terra o cemento al nostro germogliare!
Così in tempo vedremo i lontani tsunami o la bonaccia per le nostre vele, così
prima di morirne cambieremo la rotta al nostro porto familiare:
Così le onde che avrebbero voluto offenderci e inabissarci lì non
ci troveranno e proseguiranno il suo corso sino a umiliare i più stoltamente
audaci. Così non patiremo l'aridità della stasi senza iniziativa dell'ambiente.
Chi cerca l'oro alla riva lontana può rischiare d'affrontare l'
oceano per nulla poiché partendo
già l'oro predestinato ebbe abbandonato.
Nessun oracolo ebbe mai dichiarato che la semplicità è l'umiltà
non siano fonti di ricchezza,
O ché l'attitudine eroica e gloriosa sia unica fonte di merito!
Allora riposiamo, procrastiniamo, sogniamo, poiché non crediamo
che ai più vanagloriosi, ambiziosi ed egocentrici spetti di più che ai più
poveri e mansueti! Siamo quieti e siamo intraprendenti: Viviamo entrambe queste
realtà e potremo comprenderlo da noi. Siamo giocondi con i dadi del destino,
questo è tutto ciò che esiste! Ma dedichiamo la nostra pura essenza qualunque
essa sia poiché è già persa la partita della vita di coloro che ricevendo i
dadi dal prossimo che dice - è il tuo turno - li scaglia via lasciandoli a
terra lontano dal tavolo di gioco.
Attendere il turno è tutt'altra cosa, può essere un'attitudine
benefica - lode a chi attende con pazienza il buon zefiro e il mare calmo che
saranno garanti della curiosità profittevole ma biasimevoli siano coloro che
riconoscendo il buon momento per navigare non lo coglieranno!
Ed allora sarà il vero peccato Pronunciare loro la parola
Inesorabilità - ché siamo tutti perdonati e rincuorati nel ritorno ai viaggi
sospesi, mai abbandonati?!
Allora questo è altresì un inno ai più timidi e magnanimi affinché
essi siano rivalorizzati del loro amore per il poco o per il nulla che rende il
nulla il tutto ed il poco, il tanto:
A loro la vita dedicherà la qualità della sorpresa! Ché non
saranno loro ad andare all'oro, bensì l'oro ad andare da loro forse affrontando
per loro qualsiasi incertezza e calamità.
L'universo vede anche se noi non vediamo.
TRASFIGURAZIONI E DEREALIZZAZIONI
I creatori sono custodi in cuor loro di una sfera intensamente
implosiva e sensibilmente delicata.
Uno scrittore che scrive, ai lettori del suo libro ne risulterebbe
una voce paterna e rivolta al bene comunitario di uno sguardo che vide ciò che
non è stato benefico affinché altri occhi non debbano vedere ripetersi gli
stessi mali.
Tutto si trasforma, la manifestazione di una realtà non è
necessariamente la genesi reiterata della medesima realtà, questa realtà in
forme parallele potrebbe esistere dalla notte dei tempi, lo scrittore vive,
assimila, custodisce, purifica e ritorna al mondo la propria esperienza
affinché non sia dannosa, bensì un monito, uno spirito istitutivo di nuovi
valori o tempra di valori forse dimenticati.
Pertanto intelligenza emotiva è premura e gratuità a priori, la
parola Inesorabilità è da ricusare severamente nel nostro vocabolario
relazionale, che questa parola sia sostituita dalla parole curiosità e
sorpresa. Impariamo infine il dono del vedere oltre, non nel senso del
trascurare, dell'evitare andando oltre, bensì nel senso del Co-sentimento e
dell'immedesimazione.
LA TRASFIGURAZIONE
Io non vedo Caso, Destino, Dio, Caos, io vedo te, me stesso, e il
nostro istante di vita. (Attribuire premessa valoriale al prossimo piuttosto
che a noi stessi, lo sguardo verso noi stessi come esame coscienzioso e mai
verso il prossimo come motivo di pregiudizio)
Ogni diniego è una chiave che scegliamo di gettare in un lago dopo
averne chiuso la porta. Porte in verità metaforiche e tuttavia reali. Non
dovrebbero esistere istanti prioritari - istanti in cui è in dubbio il nostro
sereno pellegrinare. Poiché la fine non siamo che noi stesse persone a sceglierla
per noi stessi e per gli altri. Allora trasfigureremmo ogni caso, ogni destino,
ogni dio, ogni inerzia, eteronomie che vogliono decidere per noi.
Coloro che saranno bendati non potranno mai divenire le bussole
per i loro bendanti.
Coloro che saranno taciuti non parleranno in custodia e tutela dei
loro osteggianti.
UN METODO PER IL PERDONO E L’ATTO PURO
L’invariabilità percettiva relativa come forma di cecità
purificativa buona al riconoscimento una negatività subita è relazionalmente
creativa. La non influenzabilità in relazione a percezione di attitudini
negative subite.
La dinamica della purificazione attitudinale relazionale
I FOGLI RELAZIONALI
Immaginiamo la dinamica di relazione come la dinamica di scrittura
di un libro da parte di due persone.
Se il foglio è bianco – l’inizio relazionale
Ad un tratto una delle due persone fa cadere volontariamente il
calamaio d’inchiostro sulla pagina di scrittura
- La seconda persona mette nel
dimenticatoio il foglio d’inchiostro, la prova del misfatto relazionale, e la
memoria dell’atto di misfatto. Prende un foglio bianco ed invita la prima
persona a scrivere con lei nuove parole relazionali
Se il foglio non è bianco – La maturità relazionale
Ma immaginiamo – queste due persone hanno trascorso mesi di tempo
nella scrittura di un romanzo insieme – il fil rouge della loro vita
relazionale – ed una di esse come nel primo esempio fa cadere volontariamente
il calamaio d’inchiosto sul libro rovinando la unica copia del loro manoscritto
– (Il caso di attitudine radicalmente negativa e distruttiva in seguito a
costanti attitudini buone e costruttive nel lungo periodo)
La seconda persona (Che possiede il mindset purificativo
relazionale) non reagisce sulla base di uno spirito negativo – vendicativo, in
questo caso non mette nel dimenticatoio il libro d’inchiostro, in quanto
l’essenza del libro annette altresì il periodo di relazionalità buona e
creativa delle due persone che lo hanno trascritto insieme, bensì lo abbraccia,
lo porta al cuore, la istintività razionale in seguito a percepita dissonanza
cognitiva (Vasto periodo creativo/tuonante periodo distruttivo) avrebbe indotto
lei ad attribuire maggiore rilevanza essenziale e valoriale alla negatività
della essenza presente del libro, ovvero di essere un inintelligibile cumulo di
fogli neri – Ma portando al cuore l’oggetto lei comunica alla altra persona,
“questo oggetto è molto più di un cumulo di fogli neri”, allora secondo il
mindset emotivo del perdono purificativo assume maggiore valore essenziale la
essenza dell’oggetto l’esser stato loro storia relazionale intelligibile allora
mediante lo strumento della memoria – Allora la persona che ebbe abbracciato il
cumulo di fogli neri comunica alla altra persona – La storia la ricordiamo,
riscriviamola. Allora si ritorna al primo caso in cui la catena della
reciprocità buone destrutturata da attitudine negativa, viene sostituita da
nuovi fogli bianchi in connubio psicologico con la coscienza mnemonico –
relazionale, la creatività relazionale nuova, proprio in onore della reciproca
memoria, sarà più fluida e agevole – in forza altresì della tempra relazionale
conseguente a percezione di negativa si istituirà relazionalmente un flow di
positività creative.
IL METODO
Si recide la catena delle reciprocità negative nel momento
percettivo di una negatività attitudinale subita, si realizza una tabula rasa
del sistema delle reciproche negatività (Dinamica causa attitudinale negativa
implica effetto attitudinale negativo) e si istituisce una nuova catena delle
recipriocità basata sulle attitudini buone
(Negatività di A -
Negatività di B - Negatività di A - Negatività di B || Positività di A => Flow attitudinale reciproco di
positività)
– Nel momento di avvicendamento delle due catene relazionali può
accadere un nonsense relazionale – una attitudine di perdono disattesa – una
profonda rivoluzione relazionalmente impensabile – ad esempio una persona che
possiede questo mindset di purificazione potrebbe reagire con un abbraccio ad uno
schiaffo.
La positività di A nei confronti di B è un atto puro, in quanto a
non effetto di una causa attitudinale percepita. Una bianca pagina, un
reiterato inizio, allora non essendo specchio riflettente le tue eventuali
negatività non potrò mai agire a te negativamente, indifferentemente dalla tua
attitudine: allora io abbraccio il tuo abbandono, io accarezzo il tuo odio.
Resuscito la tua Inesorabilità. Allora il nostro non più esser è ora l’esistere
di Noi.
A me la trasfigurazione di realizzare l'impossibile,
l'impensabile.
Allora quando il silenzio rischia di essere parola di fine
qualunque parola diviene simbolo di resurrezione. Avrei potuto scrivere una
singola parola, qualunque semplice parola casuale insensata, ed avrei
cortocircuitato il sistema del silenzio come una goccia di rugiada che vibra
uno specchio d'acqua.
LA DEREALIZZAZIONE
Prova la vita, non fuggirla mai, stai. Ed affronta l'adesso e
tuttavia ritorna a ciò che tergiversasti. Così incontrerai che la vita ha
sempre un'infinità arduamente conoscibile. Uno spazio ed un tempo vasti per
poter credere. La vita sana non circoscrive mai nulla, fino altresì ad
abbracciare nel suo senso profondo interiore emozioni mistico-intuitive, ed
oltre ancora la spiritualità, la misticità: Derealizzazioni fuori dallo spazio,
fuori dal tempo. Sii curioso, respira, come respira la natura, poiché ogni
istante della tua vita è la vastità dell'universo, l'eternità tipica di ogni
unità, di ogni olismo. Sii riflessivo, libero! Comprenderai e incontrerai le
mie parole.
Therefore. The time of consciousness is awareness, the time of
life is limited, do not make it unconscious to a greater extent. Therefore,
deny all alcohol and drugs. Invest your time in healthy, non-virtual
relationships, in curiosity, in reading, in creativity.
You may come across some priority moments and if you know how to
manage them at best you will revolutionize the level of your future life
enormously.
LE STELLE CADENTI E LE BUGIE BIANCHE
Un gruppo di giovani ragazzi si riunirono per andare tutti in
chiesa. Terminata la celebrazione uscirono dalla chiesa. Nessuno di loro lasciò
presto la piazzetta prospiciente la umile facciata della chiesa. Tutti
restarono per condividere alcuni minuti di amistà.
Uno di loro improvvisamente chiamò con la contentezza di un
bambino: una stella cadente! Ho visto una stella cadente! Chi di voi la ha
vista?! Alcuni voltarono gli occhi al cielo.
Presto una seconda persona chiamò con gioia, "io!" e
ripeté 'Io la ho vista!".
Tutti voltato o gli occhi al cielo.
Una terza persona richiamò con sospetto questa seconda persona
dicendo lei:"Non può essere vero quello che dici, hai mentito!". Gli
istanti in cui egli vide la stella cadente te stavi parlando con me, il tuo
sguardo non era al cielo.
Con pazienza la seconda persona disse alla terza:
Hai ragione, sai; quando ero piccolo la mia nonna mi raccontò che
ogni stella cadente è missiva di un dono per tutti, anche per coloro che non la
vedevano passare. Ad esempio alcune notti, la nonna mi chiamava alla finestra
per osservare le stelle. Talvolta lei diceva, ho visto una stella cadente! - la
sua parola, la sua intonazione e il suo sguardo assorto verso il cielo
ridestava in me gli stessi sentimenti di speranza. La sua attitudine era
magnetica per me, a tal punto da invogliarmi a guardare io stesso il cielo nel
sogno di poterne vedere una io stesso. Lei mi confidava non raramente di vedere
le stelle cadenti, lo faceva sempre nella stessa maniera con la stessa gioia e sorpresa
- sicché io mi avvicinassi alla finestra per guardare il cielo.
Accadde il giorno, quando io stesso ebbi il dono di assistere al
saettare luminoso di una stella cadente. Ovviamente confidai a lei l'evento.
Quando divenni adulto e lei, anziana, mi confidò un segreto.
"Caro nipote, le mie furono per te bugie bianche. Te che sei così giovane
hai avuto il dono di vedere più di quanto io abbia mai visto. In verità io non
vidi mai alcuna stella cadente, come te mi accostai ai lumi delle stelle
nell'attesa di vederne una ma questo mai accadde. Tuttavia sono serena di
esserti stata esempio di speranza - se non avessi mai osservato il cielo, se
non avessi mai detto a te con gioia, ecco! Una stella cadente! Non avresti
avuto mai la volontà e la tenacia di osservare il cielo - Sono grata di averti
donato la mia stella cadente."
ln un mondo che obbliga all’eccellenza definita in ciascun
contesto e attitudine, dedicare spazio, tempo e valore alle realtà limitate,
mediocri e modeste è un atto rivoluzionario, riconoscendo Che questi valori,
insieme ad altri, non necessariamente appartengono in totum ad un singolo e ad
una categoria sociale; queste realtà sono variabili e variopinte nello spazio e
nel tempo: L'essere poveri di una qualità non significa esservi per la vita e
non significa essere carenti di ogni qualità. La limitatezza può caratterizzare
la vita di ciascuno in contesti e ambiti diversi in un periodo definito
dell’esistenza.
Per questo motivo dedicare valore alla magnanimità è un atto
condivisibilmente buono e avverso al sacrificio della varietà e delle qualità
peculiari del singolo.
SINCRONICITÀ
Al caldeggiare del primo sole, alla riva le onde del mare,
brillando d'iridescenti tra-sparenze, si avvicendavano ritmate dal leggiadro
vento Orchestrante. Lo scoscio del-le onde, il sibilìo del flebile vento
quietavano i caos di parole, di pensieri e di memo-rie: si la mente plasmava la
mia realtà: d'un irenico mattino tra le onde d'una riva che quiete cullavano le
candide sabbie rendeva un ammaraggio, l'oscillare tra tsuna-mi 0 1'inabissarsi
in viscose sabbie mobili. Giungendo al faro, al cospetto delle cele-sti
sfumature del cielo e del mare, la realtà si compiva nella semplice linea
dell'oriz-zonte ed il silenzio e l'immensità della realtà dinanzi a me,
quietando l'immensa cao-tica illusione dell'universo della mia mente, annichili
il mio ego donandomi una im-pensabile sensazione di serena leggerezza: Sì
decaddero i valori delle distrazioni, del-le vuote parole, delle indifferenze,
dei diabolici sentimenti d'astio, d'abbandono, d'e-goismo, di malpensiero e di
utilitarismo. Il pensiero si purificò, rischiarandosi di perlacee luminescenze
similmente ai lumi solari che si rifrangevano sul mare, dedi-cando alle magnanime
e rispettose iniziative un valore inimmaginabile. Si mi ine-briavo del profumo
dell'aiuola floreale di magnolie e lavanda che di sfumature d'a-metista
inghirlandava la base del faro; h scorsi il senso dell'essenza del mio vivere
nel vicendevole connubio tra me e la Natura.
I malinconici frammenti di memorie Or più non ledono l'animo,
bensì lo temprano e lo consolano in ogni adesso in grazia di meravigliose
sincronicità, altresì ora al quie-to cadere della prima neve.
F A C O L T À V E L A T E
Un bambino provò a leggere il brano d’un canto dimostrando i
problemi di lettura tipici della dislessia; i compagni di classe derisero la
sua esibizione. Dopo aver acquietato il tenore della classe la maestra cantò il
brano. Una volta che lei ebbe concluso il canto il bambino dislessico le chiese
di poter cantare lo stesso brano che non aveva potuto leggere.
La maestra non previde come il bambino avesse cantato, tuttavia
credette nel bambino e non gli negò la possibilità del canto.
Il bambino cantò il brano eccellentemente dimostrando una memoria
incredibile. Ora tutti videro e gli applaudirono.
03.11.2019
Argomento dei racconti
Gesù diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un
albero nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse
al vignaiolo: Ecco, sono tre anni5 che vengo a cercare frutti su questo albero,
ma non ne trovo. Taglialo dunque!1 Perché deve sfruttare il terreno? Ma quello
gli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli avrò zappato attorno
e vi avrò messo il concime2. Vedremo se3 porterà frutto per l'avvenire4; se no,
lo taglierai.» Lc 13, 7 – 9
L’ etica della selezione non è creativa poiché sacrifica al nulla
la possibilità di divenire frutto o del manifestarsi dei frutti ‘velati’. L'aura
materna di fede che non sceglie ma accoglie, poiché la scelta presuppone
l’annichilimento delle realtà non scelte.
Il frutto, assume valore poiché è creatività e simbolo della vita
di colui che si dedica alla nascita del frutto (Intima e autonoma creatività) e
della vita di coloro (il prossimo) che dedicano gratuitamente il loro conforto
e supporto affinché il frutto sia realtà compiuta. L’albero da solo, privo di
ogni contributo umano è simbolo del nonsense, il nichilismo fine a sé stesso.
L’iniziativa del prossimo (analogamente alla nostra disponibilità
alla creatività) è importante poiché è garante del nostro divenire frutto.
Riconoscimento ed accoglimento dell’aver cura di noi del nostro prossimo.
L’attesa, il dono di tempo dilatato, la fiducia e la speranza del
prossimo (e nostra) è importante poiché è garante del nostro divenire frutto.
creatività complessa e intuitiva
Tesina antìgrafo-bibliografica con
argomenti personali autografi
Indice concettuale
Il pensiero complesso ed il
ragionamento
I sistemi
I sistemi complessi adattivi CAS
Il fenomeno della co – evoluzione
La co – evoluzione sociale: il pensiero
adorniano
L’approccio sistemico – costruttivista e
la co – evoluzione:
Approfondimento: Emotional short-circuits,
the intelligence behind mistakes
I processi della conoscenza
I sistemi di memoria
La natura multisistemica della
memoria
Il ricordo: l’interazione dei sistemi di
memoria
I sistemi di memoria
Ia memoria sensoriale, la memoria a breve
termine e la memoria a lungo termine
Gli eventi e i significati: memoria
episodica e memoria semantica, ricordare e sapere
L’importanza della memoria episodica, la
sua assoluta autonomia e unicità
La memoria semantica: il ragionamento
La consapevolezza: memoria dichiarativa e
memoria procedurale
Le tre fasi del ricordo: codifica,
ritenzione e recupero
Il paradigma di identificazione
percettiva
Considerazioni pedagogiche: La reciproca
relazionalità delle discipline
Il poter “essere bene”, il pensiero
intuitivo
Il peso opprimente delle apparenze del
reale
Intuito e creatività
L’ intuito (innsaei) ed il sentimento
Il concetto di reciprocità e l’
atomizzazione sociale
“Un’etica del dialogo”
Edgar Morin
Conflitto e reciprocità
Antropologia della reciprocità
Il pensiero adorniano
Tre categorie sociali sensibili ai
contesti contemporanei
Il concetto di atomizzazione e il regime
totalitario
Il concetto di privatismo
Le possibili implicazioni dell’
atomizzazione sociale
Persona e Natura , Nédoncelle
Un nuovo paradigma: Considerazioni etiche
e pedagogiche conclusive
bibliografia, filmografia e
sitografia
Tesi
affrontate
Tesi
prima
L’atomizzazione
culturale è, secondo logica,
un fenomeno contro la natura umana.
principi
fondamentali, argomenti delle tesi:
complessità,
, assimilazione, nodo concettuale fondamentale . . .
Tesi
seconda
L’atomizzazione
sociale è, secondo logica, un fenomeno contro la natura umana.
principi
fondamentali, argomenti delle tesi:
intuito
(innsaei), reciprocità
Prologo
Gratuità, creatività, umanità, vitalità. La gratuità è pura
addizione, la pura addizione è creazione, la creazione è vitalità, la vitalità
è umanità.
del cammino del creatore
"Simile all'oro risplende lo sguardo di chi
dona. Lo splendore dell'oro conclude la pace tra il sole e la luna.
Rara ed inutile è la più alta virtù, essa risplende
e con dolce bagliore: una
virtù che dona è la virtù sublime. Ditemi, fratelli: che cosa significa per noi cattivo e pessimo? Non è
forse questa degenerazione? E noi sospettiamo la degenerazione dove manca
l'anima che dona."
Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra
La
gratuità si compie nella reciprocità del dono, l’atto di prendere senza rapire,
senza rubare; l’atto di prendere, un ricevere come dono esorta a bene – dire,
non aver parole d’ odio sulla vita poiché la vita si percepisce come dono ricevuto. L’atto di spezzare il
pane: La vita è vita donata, spezzata per gli altri, Questo crea comunione.
Un
solo pane sazia tutti se condiviso, un solo calice, fa alleanza. E infine lo
offre a tutti.
Le
azioni dell’eucarestia sono le azioni di una vita che diventa veramente umana; solo
così è umana!
onerosità
L’atto
oneroso implica logicamente assenza di gratuità, assenza di novità, ed assenza
di vitalità insita nella relazione intersoggettiva. L’onerosità si pone come
ostacolo al “ ritorno “ dell’ altro con me. L’onerosità è fondamento di
relazioni intersoggettive labili che esistono come entità scisse nel tempo
lineare.
“Potei
sperimentare che l'uomo, quando soffre, si fa una particolare idea del bene e
del male, e cioè del bene che gli altri dovrebbero fargli e a cui egli
pretende, come se dalle proprie sofferenze gli derivasse un diritto al
compenso, e del male che egli può fare a gli altri, come se parimenti dalle
proprie sofferenze vi fosse abilitato. E se gli altri non gli fanno il bene
quasi per dovere, egli li accusa, e di tutto il male ch'egli fa quasi per
diritto, facilmente si scusa. “
Luigi
Pirandello
Onerosità: definizione
Che
costituisce un peso, un obbligo gravoso. Che comporta un onere Contrapposto a
gratuito: Quello in cui il vantaggio perseguito da un soggetto è ottenuto non
gratuitamente, ma contro un equivalente.
"Non
reagire è una reazione: siamo altrettanto responsabili di ciò che non
facciamo."
Jonathan
Safran Foer
"Ci si sente cacciati via ogni volta che si
sente chiudere la porta a chiave. Perché qui si muore tranquillamente senza che
nessuno si accorga.
L'altro dov'è? Vuol
l'equivalente di quello che ti dà. E non ha mai pensato, che per esempio, dà
una cosa, e riceve in cambio amore? Questo non interessa. Dice molto bene Madre Teresa di Calcutta:
L'indifferenza è peggiore della colpevolezza. È più giustificabile l'assassino
di colui che fa finta di non vedere, di non capire e lascia morire in un
disagio d'amore, in un disagio d'ambiente, una persona che vorrebbe creare
qualcosa di bello nella vita. "
Alda Merini
“Quando era triste, diceva sempre: “Tanto
morirò, tanto morirò.” Ora penso di capire cosa intendesse dire. “Tanto
morirò.” Secondo te cosa significa? Perché sono nato?”
“Noi a cui fu donata la vita, noi, riflettiamo a
ciò che potremmo dare di meglio in cambio! "
FriedrichNietzsche,
Così parlò Zarathustra
“Non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te” è uno dei
principi etici più fondamentali. Ma sarebbe ugualmente giustificabile
asserire: tutto ciò che fai agli altri lo fai pure a te stesso”
Erich
From
L’atto gratuito è creativo e rivitalizza le
relazioni intersoggettive. La gratuità si pone come ponte al “
ritorno “ dell’ altro con me. La gratuità è fondamento di relazioni
intersoggettive non labili che co-esistono come unità, ardendo si consumano e
ri – sorgono rammendandosi ed elevandosi nel tempo reiterativo.
"La compassione è la più importante e forse
l’unica legge di vita dell’umanità intera."
Fëdor Dostoevskij
"La compassione è intelligenza etica, capacità
di fare collegamenti e conseguente desiderio di agire per alleviare la
sofferenza altrui."
Will Tuttle
“Tutte le cose sono concatenate insieme,
congiunte dall'amore. Voleste
mai che una volta venisse due volte, diceste mai «tu mi piaci, gioia! momento,
istante!» voleste allora che tutto tornasse! Tutto di nuovo, tutto eternamente, tutto
concatenato, annodato insieme, congiunto d'amore, così voi amaste il mondo,
voi eterni, e l'amate in eterno e per sempre: e voi dite pure al dolore:
passa, ma torna di nuovo: giacché ogni gioia vuole l'Eternità!"
Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra
“In questa frase è contenuta tutta la condanna dell’uomo: Il tempo
umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in linea retta. È per questo che
l’uomo non può essere Felice, perché la Felicità è desiderio di ripetizione.”
Milan Kundera
Chiamiamo tempo reiterativo il tempo umano percepito come “ritorno e
ripetizione. Chiamiamo tempo lineare percepito come “non ritorno e non
ripetizione.
In tal senso :
"I
personaggi del mio romanzo sono le mie proprie possibilità che non si sono
realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo
stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato. È proprio
questo confine superato (il
confine oltre il quale finisce il mio io) che mi attrae. Al di là di esso
incomincia il mistero sul quale il romanzo si interroga. Un romanzo non è una
confessione dell’autore, ma un’esplorazione di ciò che è la vita umana nella
trappola che il mondo è diventato."
Milan Kundera
La felicità è desiderio di ripetizione: Si intenda
ripetizione come possibilità ulteriore e nuova di realizzare ciò che si avrebbe
voluto realizzare. La possibilità di compiere ciò che non è avvenuto.
"L'uomo è qualcosa che dev'essere superata, l'uomo è un ponte"
Friedrich Nietzsche Così parlò Zarathustra
"La distinzione tra passato, presente e futuro
è solo un'illusione ostinatamente persistente."
Albert Einstein
La natura
è reiterativa:
“Generazione che va, generazione che viene
e la terra nel suo ciclo rimane.
E sorge il sole e il sole tramonta,
anelando al suo luogo dov' egli risorge.
Soffia a mezzogiorno poi gira a tramontana
e volgendo, volgendo il vento se ne va
e sopra le sue spire ritorna il vento.
Tutti i fiumi se ne vanno al mare
e il mare non si piena:
la donde scorrono i fiumi,
là essi ritornano a scorrere.”
Ecclesiaste, I, 4-7
"Sì, l'uomo
fu un tentativo. Ah,
quanta ignoranza e quanti errori divennero eredità nostra! Non soltanto la ragione dei millenni – anche
la loro follia influisce su di noi. È pericoloso essere eredi. Noi combattiamo ancora, a passo a passo, col gigante Caso, e sopra
l'intera umanità dominò finora l'assurdo e il senza senso."
Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra
L'amnesia : condanna all' eterna reiterazione
del tentativo irrisolto dell' uomo.
"Tutti coloro che dimenticano il loro passato,
sono condannati a riviverlo."
Primo Levi
La memoria :
La memoria delle relazioni causa - effetto avvenute fondano possibilità di
reagire consapevolmente ove
e quando si intuiscono presenti analogie con le relazioni causa - effetto
ricordate.
"Ogni lettore, quando legge, è il
lettore di se stesso. L'opera dello scrittore è solo una specie di strumento
ottico offerto al lettore per consentirgli di discernere ciò che forse, senza
quel libro, non avrebbe potuto intravedere in se stesso."
Marcel Proust
Chiediti
che cosa puoi fare.
"Comunque
la si voglia vedere noi siamo nati per creare ponti verso gli altri, non per
creare guerre. Non è retorica, è neurobiologia pura. "
Piero Barbanti
Neurologia -
istituto scientifico San Raffaele - Pisana , Roma
“Tutto è in
costante cambiamento. Ma il modo in cui avanziamo è molto aperto all’
interpretazione e possiamo definirlo in modi diversi, come artisti, creatori,
scrittori, pensatori, oratori. Quando si immette qualcosa nel mondo, se
abbastanza persone iniziano a credere nelle cose che immetti nel mondo, quelle
cose probabilmente si realizzeranno. D’altro canto, ci sono molte persone che
presentano visioni del futuro basate su illusioni o disgregazioni. E questa è
una visione del futuro a cui si può credere, ma allo stesso tempo si può
credere a una visione diversa e credo che sia importante radunare quante più
persone possibili che la pensino così perché contribuirà a realizzarla.”
Jonathan Harris,
Digital Artist
Il
concetto di assimilazione
assimilazióne
s. f. [dal lat. assimilatio (o assimulatio) -onis, der. di assimilare
«assimilare»]. – Processo di apprendimento, in cui ciò che è studiato diventa
parte di sé stessi, facoltà di far proprî, col ragionamento e col sentimento,
concetti, nozioni, opinioni, o anche dottrine, linguaggi, tecniche, forme
d’espressione altrui. | Processo di percezione o di appercezione in cui un
contenuto nuovo è talmente simile a un contenuto famigliare che i due sembrano
quasi identici.
Il
pensiero complesso ed il ragionamento
Tesi
prima
L’atomizzazione
culturale è, secondo logica, un fenomeno contro la natura umana.
Rilevare le incertezze:
“Nei sistemi complessi l'imprevedibilità e
il paradosso sono sempre presenti ed alcune cose rimarranno sconosciute"
Edgar Morin
Dunque, il pensiero complesso, pur sapendo
di non poter conoscere completamente tutto, di non poter essere onnisciente,
ambisce a ricollegare le tipologie di saperi e ad aiutare a pensare la
complessità seguendo tre principi:
Il
principio dialogico, permette di vedere la dualità nell’unità, unisce principi
che si contrappongono o si integrano: La saggezza, che è una delle interazioni
fondamentali (nodi concettuali fondamentali).
Il
principio ricorsivo, secondo il quale il feedback rompe l’idea di linearità e
introduce a causalità circolare, per cui le cause producono effetti e gli
effetti sono ause di altri effetti: La relazione causa – effetto, che è una
delle interazioni fondamentali (nodi concettuali fondamentali) .
Il principio ologrammatico, secondo il
quale il tutto è iscritto nella parte e la parte nel tutto, superando così la
visione riduzionistica, che vede solo le parti e la visione olistica che vede
solo il tutto: La relazione di familiarità , che è una delle interazioni
fondamentali (nodi concettuali fondamentali).
"La
complessità è una parola problema e non una parola soluzione" Edgar Morin
Definizione
di complessità :
Le
parti e il tutto, il tutto e le parti tra di loro, la complessità è perciò il
legame tra l’unità e la molteplicità.
L’ Epistemologia della complessità, branca
della Filosofia della Scienza, si occupa dei sistemi complessi e dei fenomeni
ad essi connessi, del rapporto tra le relazioni interdisciplinari tra scienze
di natura diversa; del rapporto tra scienza e filosofia; del rapporto tra
Pedagogia e scienza e delle implicazioni derivanti da questo rapporto in ambito
educativo. In realtà non esiste una teoria della complessità in senso compiuto
del termine, ma diversi sono gli approcci teorici che usano il concetto di
sistema in diversi ambiti disciplinari, perciò fondamentali divengono gli
apporti degli studi delle Scienze Umane e dell’ Educazione, come
l’Antropologia, la Psicologia, la Sociologia, la Filosofia e la Pedagogia, dato
che queste discipline hanno acquisito, ormai, scientificità, e non sono più
considerate scienze deboli, nonché gli apporti delle discipline scientifiche,
quali la Matematica, l’ingegneria, la Fisica, la Chimica, la Biologia, la
Fisiologia, la Cibernetica – termine coniato da Norbert Wiener, nel 1948,
riferito all’ambito scientifico inerente lo studio dei comandi dati ai computer
che ha introdotto il concetto di feedback, cioè retroazione, ovvero reazione
prodotta da un effetto di una causa che introduce un processo di relazione
complessa tra il tutto e i suoi componenti – e degli apporti di altre
discipline, grazie ai quali si è potuto dimostrare che dette scienze si fondano
su interazioni complesse afferenti alla Teoria del caos, fondata su criteri di
disequilibrio, di dissimmetria, di disarmonia, di disorganicità, di disordine; alla
Teoria generale dei sistemi; alla termodinamica dei sistemi dissipativi.
Tali dimostrazioni hanno avuto
principalmente due grandi effetti, quello di mettere in discussione
l’oggettività della scienza, conquistata nel Seicento con il Metodo di Cartesio,
le scoperte scientifiche di Newton, il Metodo scientifico di Galilei e
riaffermata nel periodo del Positivismo, con il primato della conoscenza
scientifica sulla conoscenza umanistica fondata su fatti evidenti e certi e
sulle leggi che regolano i fenomeni; e quello di ampliare gli ambiti
scientifici per stabilire nuovi orizzonti di ricerca, nuovi obiettivi da
raggiungere per nuove scoperte.
Secondo Morin un fenomeno complesso non
può essere compreso soltanto scomponendolo nelle sue parti essenziali, per la
sua comprensione è necessario cogliere l’interazione tra le singole parti e la
visione d’insieme del fenomeno e tra il tutto e le parti. Si deve studiare il
fenomeno o sistema come si presenta e le relazioni che i componenti
stabiliscono tra loro.
La teoria dei sistemi si è diffusa
immediatamente in Ingegneria, ambito in cui, ormai, è consolidata, infatti,
cerca di ridurre il funzionamento dei fenomeni fisici complessi alle
interazioni di sistemi più strutturati, componendo unità semplici. L’ingegnere
si interessa di sistemi fisici dinamici che descrivono molti processi e
fenomeni basandosi soprattutto sula relazione causa – effetto.
!
La relazione causa – effetto è una delle
interazioni fondamentali ( nodi
concettuali fondamentali):
La saggezza è una delle interazioni
fondamentali (nodi concettuali fondamentali) ed è il principio dialogico,
permette di vedere la dualità nell’unità, unisce principi che si contrappongono
o si integrano;
La relazione causa – effetto è una delle
interazioni fondamentali (nodi concettuali fondamentali) ed è il principio
ricorsivo, secondo il quale il feedback rompe l’idea di linearità e introduce a
causalità circolare, per cui le cause producono effetti e gli effetti sono ause
di altri effetti;
La relazione di familiarità è una delle
interazioni fondamentali (nodi concettuali fondamentali) ed è il principio
ologrammatico, secondo il quale il tutto è iscritto nella parte e la parte nel
tutto, superando così la visione riduzionistica, che vede solo le parti e la
visione olistica che vede solo il tutto.
Diversi approcci scientifici hanno
spiegato la relazione interdisciplinare non lineare tra le componenti dei
sistemi complessi, in fenomeni di auto – organizzazione ed eco –
organizzazione, come quelli viventi, dei quali molto ha scritto Morin,
considerato lo studioso che ha dato la sistemizzazione del pensiero complesso
in ambito filosofico, tra questi l’approccio sistemico – costruttivista, scuola
di pensiero filosofica ed epistemologica, sviluppatasi intorno agli anni Settanta
del Novecento, che considera i processi mentali fenomeni attivi e non passivi,
i quali permettono l’ interazione del soggetto nel sistema in cui si trova.
Il concetto introdotto dalla fisica
moderna “variabile” è simbolo del ruolo costruttivista dell’osservatore. La
parola chiave dell’ Epistemologia della
Complessità : il sistema.
i
sistemi
Insieme di oggetti, elementi o componenti,
ovvero sistemi che interagiscono tra loro e, più approssimativamente
nell’interazione, il comportamento dell’uno influenza quello dell’altro,
attraverso scambi di energia, funzionalità diverse, come in un circuito
elettronico o informazioni come nei sistemi sociali.
E
il suo aggettivo “sistemico”, cioè che concerne un sistema, termine che si rifà
alla Teoria generale dei sistemi definita tale da Von Bertalanffy, che si
occupa della costituzione e delle parti di un sistema.
Esistono sistemi non autonomi e sistemi
autonomi.
Nei sistemi non autonomi i componenti
smettono di interagire, ad esempio per mancanza di energia in un sistema elettrico,
e degenerano in insiemi. Le proprietà degli insiemi sono il risultato di
interazioni poi mantenute, come accade nei processi di miscelazione: l’acqua
colorata ne è un esempio.
La stabilità delle proprietà dei sistemi
autonomi, invece, è dovuta all’ interazione continua.
Importante: Se si deve fare un intervento in un sistema
non si può fare sugli elementi, ma si deve fare sulle interazioni per evitare
che smettano di interagire e degenerino in insiemi. I sistemi autonomi sono
dotati di sistemi cognitivi, nei quali si deve agire sull’apprendimento, sul
modello cognitivo, sulle informazioni disponibili, le rappresentazioni e la
memoria alea – dal latino, significa dado ed è riferito al lancio del dado,
perciò è inerente al calcolo applicato alla Sistemica, ovvero al calcolo delle
probabilità. La teoria dei sistemi è nata nei primi anni del XX secolo e ha
fatto nascere la scuola del pensiero organicista che si oppone a quella del
pensiero meccanicista del XIX secolo.
Ross Harrison è stato il primo a studiare
il concetto di organizzazione e ha individuato tra i componenti di un sistema:
Una configurazione, cioè una natura
gerarchica; l’esistenza di più livelli di sistemi all’interno di un sistema più
grande.
Una relazione, ad esempio l’interazione
tra gruppi formanti sistemi sociali o l’interazione tra persone.
Da questi studi è risultato evidente che
esistono diversi livelli di complessità e i fenomeni presenti ad ogni livello,
mostrano proprietà che non esistono al livello inferiore. Dette proprietà sono
state chiamate dal filosofo Broad, nei primi anni Venti del Novecento proprietà
emergenti. Queste proprietà, le proprietà emergenti, sono, nel senso che a
partire dalle interazioni tra i singoli componenti del sistema emerge un
"comportamento globale" non previsto dallo studio delle singole
parti.
La concezione organicista
La nuova concezione organicista non è più
conciliabile con l’approccio analitico degli scienziati, usato fino a quel
momento, che rimandava al paradigma cartesiano, secondo cui era possibile
studiare il comportamento del tutto dalla proprietà delle parti. Morin usa il
termine complexus, cioè ciò che è tessuto insieme per indicare il concetto di
complessità, che si ha quando sono inseparabili i differenti elementi che
costituiscono un tutto, quando vi è tessuto interdipendente, interattivo, inter
– retroattivo tra l’oggetto di conoscenza e il suo contesto.
I sistemi complessi adattivi CAS
Esistono sistemi complessi adattativi (CAS – Complex Adaptive Systems), cioè sistemi
complessi in grado di adattarsi e cambiare in seguito all'esperienza. Il
sistema umano è considerato un "sistema complesso adattativo" (CAS)
ed è definito "sistema Io-soggetto”. Di centrale importanza in questo
contesto è il concetto di linearità, che non va confuso con l'omonimo concetto
colloquiale, ma va inteso nel senso della teoria dei sistemi. In generale un
problema è lineare se lo si può scomporre in un insieme di sotto-problemi
indipendenti tra loro. Quando, invece, i vari componenti/aspetti di un problema
interagiscono gli uni con gli altri così da renderne impossibile la separazione
per risolvere il problema passo-passo e “a blocchi”, allora si parla di
non-linearità. “Il biologo americano Kauffman (2001) sostiene che i sistemi ♦ complessi adattativi ♦ si muovono in paesaggi adattabili, o
elastici, (fitness landscape), in continua deformazione per l'azione congiunta
dei sistemi stessi, di altri sistemi, e di elementi esogeni.
("Prede o ragni. Uomini e
organizzazioni nella ragnatela della complessità", De Toni e Comello
(2005))
Lo spazio delle possibilità è la
situazione in cui sistemi complessi adattativi possono scegliere tra più
comportamenti e configurazioni alternative. È in questo particolare stato,
infatti, che questi sistemi agiscono in maniera più creativa, operando
eventuali evoluzioni sfruttando le proprie peculiari capacità di apprendimento
e adattamento.
“Un CAS può essere descritto come un
instabile aggregato di agenti e connessioni, auto-organizzati per garantirsi
l'adattamento. Secondo Holland (1995), un CAS è un sistema che emerge nel tempo
in forma coerente, e si adatta ed organizza senza una qualche entità singolare
atta a gestirlo o controllarlo deliberatamente. Il fenomeno della co –
evoluzione.” ("Prede o ragni. Uomini e organizzazioni nella ragnatela
della complessità", De Toni e Comello (2005))
Il fenomeno della co – evoluzione
“L'adattamento è raggiunto mediante la
costante ridefinizione del rapporto tra il sistema e il suo ambiente.”
Prede o ragni. Uomini e organizzazioni nella
ragnatela della complessità", De Toni e Comello (2005)
“Le rocce, i campi, i boschi, i corsi
d'acqua, le case, i beni, la carne, il sangue, le ossa, i nervi – queste sono
realtà da interpretare, con caratteri essenziali che permangono a tutti i
cambiamenti, ma il mio Ego non perdura; è fabbricato di nuovo ad ogni
cambiamento di queste. E innanzitutto, contro l'accettata formula del
Materialismo moderno, "Gli uomini sono ciò che le condizioni
producono", io stabilisco un'affermazione opposta, "Le condizioni
sono ciò che gli uomini producono".
In altre parole, la mia concezione della
mente, o del carattere, non è che sia un inefficace riflesso di una momentanea
condizione di materia e forma, ma un agente modificatore attivo, che reagisce
sul suo ambiente e trasforma le condizioni qualche volta lievemente, qualche
volta molto, qualche volta, sebbene non spesso, totalmente.”
L’idea dominante, Voltarine de Cleyre
La
co – evoluzione sociale: il pensiero adorniano
Si differenzia sia dal pensiero
Heideggeriano che da quello Lévinassiana in quanto la definizione dell’identità
non coincide con un processo finalizzato all’espressione dell’autenticità
dell’io, né tantomeno con uno sbilanciamento etico in favore di un appello che
mi viene rivolto dall’esterno. Priorità: Permettere la ridefinizione del
concetto.
Premessa: Rigenerabilità delle definizioni
concettuali.
L’uomo
come ordinatore
La razionalità risiede nella capacità di
identificare e ordinare i concetti coinvolti nella riflessione. La definizione
di concetti risponde alla necessità umana di mettere ordine nel molteplice
mondo degli enti e degli eventi naturali e sociali. Chi mette ordine è colui
che stabilisce le differenze, in ultima istanza, colui che, disponendo, crea.
Il pensiero identificante è un pensiero
che pone l’identità, che definisce la stabilità di una idea, che garantisce
confini e consistenza del concetto mediante l’esclusione di ciò che il concetto
non è.
È hybris (sinonimo di ideale:http://www.treccani.it/vocabolario/hybris/)
che ci sia identità, che la cosa in sé corrisponda al suo concetto. Ma il suo
ideale non sarebbe semplicemente da gettare via: nel rimprovero che a cosa non
è identica al concetto vive anche la brama che lo possa diventare, in tal senso
la coscienza dell’identità contiene identità. Sostenere che l’identità non c’è
ancora, non equivale a dire che è impossibile definirla concettualmente nella
sua concretezza storica, ma che la cifra essenziale dell’ identità risiede
nella sua processualità storica. L’identificazione formale e concettuale, nel momento in cui
circoscrive e delimita un oggetto deve anche creare le condizioni per cui
diventi altro rispetto a ciò che è. Si potrebbe sostenere che la teoria
Adorniana dell’identificazione sia tutt’uno con una teoria del Nuovo, ovvero
con una teoria delle condizioni di possibilità dell’insorgere del Nuovo e del
Non Ancora. Nei processi costitutivi dell’individualità, l’istanza di
ridefinizione si traduce nella negazione di tutte quelle pratiche di
identificazione che, nello stabilire ciò che il soggetto è in un dato momento,
pongono vincoli e limiti a ciò ce il soggetto potrà diventare. Il Nuovo, ovvero
il semplice mutamento di una situazione attuale è necessario ma non
sufficiente: Cosa altrettanto
fondamentale è che la Novità diventi trasformazione, sia cioè anche
argomentabile. Il Nuovo, per esser veramente tale deve poter essere valutato e
considerato più giusto rispetto a ciò che lo ha preceduto.
la
comprovabilità e la discutibilità argomentativa dei concetti
Il giudizio identificante non è mai
limitato e limitabile all’azione esclusivamente individuale di un soggetto su
di un altro. La dimensione intersoggettiva dell’identificazione è rinvenibile
nelle osservazioni adorniane riguardanti la natura dialettica della identità.
Definizione di dialettica: http://www.treccani.it/enciclopedia/dialettica_%28Dizionario-di-filosofia%29/
Sinonimo di dialettica: http://www.treccani.it/vocabolario/dialettica_%28Sinonimi-e-Contrari%29/
Una corretta teoria della identificazione
soggettiva è concepibile solo come teoria della trasformazione pubblica dei
concetti identificanti, ovvero come studio delle condizioni di possibilità
della loro ridefinizione intersoggettiva.
“La conoscenza oggettiva del mondo esterno
è conseguibile solo in maniera intersoggettiva, cioè da un numero di persone
che si trovano fra loro in uno scambio reciproco di conoscenze”
Edmund Husserl
E’ necessario ora specificare quale
rapporto intercorre tra il concetto di identità e quello di dialettica:
La contraddizione dialettica è una qualità
propria del pensiero identificante: il pensiero dialettico rappresenta il
superamento o la messa in movimento del pensiero di identità. La contraddizione
dialettica si esplica nell’incapacità del concetto di contenere nella sua
totalità e plurivocità la magmatica e incoerente essenza della cosa.
“Le parole non rendono un buon servigio al
significato segreto, tutto risulta sempre un po’ diverso quando lo si esprime a
parole, un po’ falsato, un po’ folle, sì, e anche questo è assai bene e mi
piace moltissimo, anche con questo sono perfettamente d’accordo, che ciò che è
tesoro e saggezza d’un uomo suoni sempre un po’ folle alle orecchie altrui.”
“Devo confessarti, mio caro, che non
faccio una gran distinzione tra pensieri e parole. Per dirtela schietta,
neanche i pensieri tengo in gran conto. Apprezzo più le cose. Le cose si
possono amare. Ma le parole non le posso amare. Ecco perché le dottrine non
contano nulla per me. Forse è questo ciò che ti impedisce di trovare la pace:
le troppe parole.”
La continuità tra il pensiero
identificante e quello dialettico sta, invece, nella struttura stessa del
pensiero e della logica identificante. La dialettica è esclusivamente
l’autocontraddizione dell’identità, la dimostrazione dell’ incapacità del
pensiero identificante di tener fede a se stesso. Applicando queste
considerazioni alla teoria della costituzione e della coscienza
dell’individualità soggettiva, si approda ad una concezione del soggetto che
potremmo chiamare dialettico – agonica. Con tale definizione intendo sostenere
la visione di un soggetto i quale non si definisce o non si percepisce mai e
esclusivamente come colui che pone l’identico, ma anche e soprattutto come
colui che riconosce il non-identico in sé stesso. L’io si percepisce come altro
dall’altro. Sostenere una visione dialettico – agonica del soggetto equivale a
dire che l’identità soggettiva non può esprimersi se non mediante un apparato
categorico concettuale i cui termini si contraddicono inevitabilmente nel
momento stesso in cui si pongono.
La
dicotomia della parola
“Ho trovato un pensiero, il migliore di
tutti i miei pensieri. Ed è questo: D’ogni verità anche il suo contrario è
vero! In altri termini: una verità si lascia enunciare e tradurre in parole soltanto
quando è unilaterale. E unilaterale è tutto ciò che può essere concepito in
pensieri ed espresso in parole, tutto unilaterale, tutto dimidiato, tutto privo
di totalità, di sfericità, di unità. Non si può far diversamente, non c’è altra
via per chi vuol insegnare. Ma il mondo naturale in sé, ciò che esiste intorno
a noi e in noi, non è mai unilaterale, è reciproco. Mai un uomo è interamente
santo o interamente peccatore. Sembra così, perché noi siamo soggetti
all’illusione che il tempo sia qualcosa di reale. Il tempo non è reale. E se il
tempo non è reale, allora anche la discontinuità che sembra esservi tra il
mondo e l’eternità, tra il dolore e la beatitudine, tra il male e il bene, è
un’illusione.”
L’atto di identificazione non risponde mai
esclusivamente a una logica di definizione o di determinazione di una identità,
infatti se lo stesso pensiero identificante vuole continuare a sussistere,
vuole perciò progredire nella sua opera di ordine e creazione, deve continuare
a tener viva e aperta la possibilità che, le identità da lui poste, possano
trasformarsi in qualcosa d’altro rispetto al modo con cui vengono espresse. Se
una determinata individualità soggettiva viene definita mediante un apparato
categoriale che la racchiude, avvolgendola completamente, non solo verrà
spogliata di tutte le contraddizioni interne e esterne alle implicazioni
storico- sociali dell’individuo, ma lo stesso pensiero identificante,
privandosi della possibilità che l’identico soggettivo possa trasformarsi e
assumere nuove conformazioni storiche, priverà anche sé stesso della propria
azione ri-definitrice.
La necessità di identificare è dunque
tutt’uno con la necessità di trasformare. Tutelare e salvaguardare la
possibilità di ridefinire i concetti è un’azione possibile solo in un contesto
discorsivamente e intersoggettivamente allargato, che si apra
all’argomentazione di tutti, non solo sulla correttezza espressiva dei
significati, ma anche sulla comparabilità ed equivalenza tra il significato
attribuito alla realtà da un singolo ed il significato conseguente allo scambio
intersoggettivo di conoscenze della medesima realtà tra persone tenendo dunque
aperta la ridefinibilità ti tali significati. La mancanza (spesso
utilitaristica) di obiettività può divenire causa di pregiudizi, la mancanza
(spesso utilitaristica) di criticità può divenire causa di consenso al
pregiudizio. Tali mancanze costituiscono un limite alla definizione
intersoggettiva di una identità; tale limite si può risolvere nella misura in
cui le persone coinvolte nel reciproco scambio di idee sono aperte alla ri-definizione
di tale identità.Trasponendo le precedenti osservazioni sul piano della teoria
sociale , è necessario leggerle alla luce di quella trasformazione che ha
portato a considerare l’individuo, persona. L’individuo è persona nel senso che
non è più una forma astratta e indipendente della singolarità rispetto alla
totalità sociale ma il soggetto di pratiche reciproche ed intersoggettive di
identificazione.
Secondo il modello di teoria sociale di
Adorno il pensiero dell’identità deve essere ricondotto a una teoria dell’uso
dialettico e intersoggettivo delle categorie identificanti che tenga conto sia
della relativa oggettivabilità dell’individuo, sia della possibilità di
trasformazione e ridefinizione di esso. L’antropologia sociale adorniana guarda
a una soggettività inevitabilmente sospesa tra un non più e un non ancora. Ciò che conta non è tanto la
permanenza e la continuità di un proprium antropologico soggettivo, ma la
costitutiva sospensione antropologica tra una dimensione identitaria dell’io,
che chiede di essere espressa e una tensione alla riconfigurazione e alla
trasformazione soggettiva che deve essere messa nelle condizioni di
svilupparsi. In quest’orizzonte la concezione di identità personale non può
intendersi ponendo attenzione al permanere costante dell’individuo nel
continuum storico, quanto al momento storico presente in cui il soggetto si
rivela sempre costitutivamente premessa e promessa.
“Ascolta, caro, ascolta bene! Il peccatore
non è in cammino per diventare un giorno una persona migliore. E ora vedi:
Questo “un giorno” è illusione, è mero simbolo! Il peccatore non è coinvolto in
un processo evolutivo, sebbene il nostro pensiero non sappia rappresentarsi le
cose diversamente. No, nel peccatore è, già ora, oggi stesso, il futuro santo,
il suo avvenire è già tutto presente, tu devi venerare in lui, in te, in ognuno
il santo potenziale, il santo in divenire, il santo nascosto. Il mondo, caro,
non è imperfetto, o impegnato in una lunga via verso la perfezione: no, è
perfetto in ogni istante. La meditazione profonda consente la possibilità di
abolire il tempo, di vedere in contemporaneità tutto ciò che è stato, ciò che è
e ciò che sarà.”
La sociologia contemporanea ha fatto
propria l’esigenza di leggere e interpretare l’identità dando notevole rilievo
all’inoggettivabilità della storia biografica del soggetto. In quest’ottica il
soggetto è identificabile in base a processi di riconoscimento intersoggettivi.
L’approccio sistemico – costruttivista e
la co – evoluzione:
L’approccio sistemico – costruttivista si
riferisce alla metodologia generale della Sistemica, cioè ai concetti, ai
principi, alle applicazioni e ai metodi basati sul concetto di sistema, alle
proprietà sistemiche, all’interazione riferiti alla scienza della complessità,
fondata negli anni Sessanta del XX secolo da un gruppo di studiosi, tra i quali
Prigogine, Gell-Mann, Shannon, Weaver, Wiener, Ashby, von Foerster, Atlan, von
Neumann, Bateson, von Glasersfeld, Maturana, Varela, Morin, per cui
considerando un fenomeno e usando l’approccio sistemico è valutata l’efficacia
di modellare, identificando il livello di descrizione più adeguato, come: i
componenti, le interazioni, il ruolo costruttivista dell’osservatore che
inventa variabili, in seguito alle quali fa e verifica esperimenti e gli
esperimenti si profilano come domande alla natura, che risponde facendoli
accadere, dunque, risponde alle domande poste.
Se
non si pongono domande non si hanno risposte
“La
dialettica si attua come domandare e rispondere, o meglio come passaggio di
ogni sapere attraverso il domandare.”
Gadamer
Maestro
è chi sa trasmettere, ma anche chi sa farsi allievo degli allievi"
Otto Wagner
"Una
rosa. Non semplicemente una rosa che sta in giardino, che oscilla al
vento. Una rosa. La gioia che il suo profumo risveglia. L’abbandonarsi al suo
rosso splendore. Heidegger (1889 - 1976)
(Fenomenologia e teologia)
Tuttavia è con il modello cognitivo –
costruttivista che il soggetto viene inteso non solo come colui che è re –
attivo, ma attivo nel sistema in cui si trova. Ciò vale anche per l’uomo
considerato da Morin un cosmo ricco di personalità e definisce l’identità
umana. L’unitas multiplex, ovvero l’unità molteplice composta di molte
dimensioni: biologica, antropologica, sociologica, psicologica ed essendo
un’unità molteplice questa è intrisa e tessuta, presa e compresa nella realtà
anch’essa complessa e multidimensionale, difficile da penetrare e comprendere.
Conoscere
i problemi
“Nel regno del Kitsch totalitario, le
risposte sono già date in precedenza ed escludono qualsivoglia domanda. Ne
deriva che il vero antagonista del Kitsch totalitario è l’uomo che pone delle
domande. Una domanda è come un coltello che squarcia la tela di fondale dipinto
per permetterci di dare un’occhiata a ciò che si nasconde dietro. Davanti c’è
la menzogna comprensibile e dietro, intravista, l’incomprensibile verità. Quello
che c’è sotto la superficie è un mondo estraneo.”
L‘ insostenibile leggerezza dell’essere,
Milan Kundera
Emotional short-circuits: the intelligence behind
mistakes
“Mi ci vuole un respiro, per parlare di
cortocircuiti emozionali; potrei chiedervi di venire qui e guardarvi e il
cortocircuito partirebbe. Mi occupo di bimbi che non ce la fanno e di bimbi che
fanno fatica a scuola, di bimbi che fanno fatica a crescere, di bimbi che non
si sentono capiti, di bimbi che soffrono. E questo ha modificato la mia storia,
la mia storia di scienziato. L’altro giorno ero in un polo apprendimento, dove
aiuto questi bimbi. In questo polo apprendimento una di queste bimbe mi
guardava perché io ero preoccupata su come avrei potuto iniziare oggi a
parlarvi in pochissimi minuti, di cosa facciamo noi e di perché sono qui. O
guardato questa bimba e le ho detto: Sai; non so da dove cominciare. Lei mi ha
sorriso e mi ha detto: “Dall’inizio devi cominciare, si inizia sempre
dall’inizio.” Il mio inizio di scienziato e la mia partenza per andare a
studiare e a capire ciò che per moltissimo tempo mi ha affascinato: Il rapporto
tra il cervello e la mente, tra il cervello e l’anima. Tra ciò che sentiamo e
come è possibile che sentiamo così. Quindi ho passato anni ad affascinarmi di
questa struttura straordinaria; il cervello è una struttura straordinaria. In
millesimi di secondo, in questo momento, voi avete milioni di miliardi di
connessioni che mettono in moto una serie di trasformazioni di ciò che siete
stati e di ciò che sarete e a modificare tutto questo sono le informazioni che
stanno entrando e che seminano il nuovo che determina potature in ciò che voi
siete stati fino ad adesso e nuove gemmazioni. Questo miracolo che misura un
meccanismo che si chiama zona di sviluppo prossimale, è uno dei processi più
affascinanti della vita, è quello che rappresenta l’essere vivente che ciascuno
di noi, momento dopo momento sceglie di essere. Quindi, dopo avere studiato
questi meccanismi sono tornata in Italia. Ho incontrato un bimbo, lo ho
incontrato in un corridoio verde di ospedale, le mura erano, veramente,
terribili e davano l’idea di qualche cosa che non curava ma opprimeva. Ciò che
io ho fatto, è stato un gesto da lontano, in fondo al corridoio: mi sono
abbassata e gli ho sorriso. Questo gesto ha fatto sì che lui sia corso verso di
me, mi abbia preso per il camice e mi abbia detto la parola “aiutami”. Ora, io
di questo bambino non so più niente, ma so che ha cambiato la traiettoria della
mia storia da scienziato, perché ho pensato che se tutto quello che sapevamo
non aiutava un bambino e se una comunità intera che si muoveva al punto di
dargli otto adulti, non lo stava aiutando perché lui chiedeva aiuto ad un
estraneo in camice in un corridoio verde d’ospedale. Qualcosa in tutto questo
nostro sistema, non aiutava. E quindi ho nuovamente dedicato tempo allo studio,
ho conosciuto l’esistenza del concetto di neuroplasticità, e in termini
educativi si chiama potenziamento della zona di sviluppo possibile. Cioè ho
cominciato a studiare come si potessero esercitare i domini cerebrali nel
determinare miglioramenti nel linguaggio, nella capacità di concentrazione, di
memoria, di attenzione, di intelligenza numerica. In seguito a tali ricerche
applicate ho potuto riconoscere che i bimbi cambiavano. A livello di ricerca
sperimentale quello che ottenevamo era quello che si chiama potenziale migliore
della struttura neuropsicologica individuale. Se posso offrirvi un esempio: Il
cervello gemma in millesimi di secondo, le memorie che noi imprimiamo
attraverso le informazioni che riceviamo. Quindi se vogliamo capire, per
esempio, che cosa fa la vita a scuola in un bambino, basta che facciamo un
calcolo, un calcolo che io diedi al ministero tanti anni fa: Millesimi di secondo per centesimi di secondo
per decimi di secondo per secondi per minuti per ore per giorni per mesi per
anni che un bimbo sta a scuola; otterrete un numero che tende all’infinito.
Quel numero misura ciò che ciascuno degli adulti che incontrerà determina nel
suo connettoma: la trasformazione del suo sé; è un potere immenso. Mio figlio
in un tema in seconda elementare ha scritto che sua madre quando ha finito di
imparare di fare lo scienziato è diventata la maestra delle maestre perché io
ho cominciato a spiegare agli insegnanti che cosa si determinava nella
neuroplasticità e nel potenziale umano. Ed ero convinta di aver portato a
compimento questo compito ma non è stata così perché qualche tempo dopo
incontro un altro bimbo, un bimbo di cui avevamo ottenuto un cambiamento in termini
di profilo cognitivo straordinario perché aveva recuperato una deviazione
standard e mezzo da quello che si chiama genericamente quoziente di
intelligenza generale. Questo bimbo ad un certo punto alluse a tale problema : “Adesso
che hai eliminato in me gli errori, puoi sanare in me anche le sofferenze
derivate da tali errori?” Io non ero preparata a capire il rapporto tra
l’errore della mente e il dolore nella mente. E soprattutto non avevo
riflettuto su che cosa fosse il meccanismo del dolore. Se adesso io chiedessi a
voi, mille persone adulte, di ricordarvi della vostra vita e dei vostri errori,
e non intendo gli errori a scuola, del leggere, dello scrivere e del far di
conto, ma gli errori della vita, e vi chiedessi se hanno una traccia più importante
nella vostra storia gli errori che avete commesso o il dolore che vi han
provocato, e che cosa sia ciò che determina la reazione in voi; penso che la
risposta sarebbe unanime: è il dolore che determina la risposta.
La fonte fisiologica del dolore, di qualunque
natura esso sia, manda informazioni neuro-elettriche: Attraverso il sistema
nervoso periferico, giunge al cervello l’informazione : alert! Ti duole. Perché
l’informazione neuro-elettrica assume il significato di dolore: Perché dobbiamo
ricordare che non dobbiamo più ricorrere a quel determinato tipo di situazione,
perché ci fa male. L’informazione neuro elettrica “alert! Ti duole.” Traccia la
memoria, divenendo parte di essa. Ogni atto psichico volontario implica un
network circuitale. Lo stimolo viene elaborato in prima istanza dai centri
dell’encefalo, in particolare l’amigdala. Queste emozioni straordinarie sono
processi incredibili a livello neuro-funzionale : Quando dormiamo produciamo
tre Hz, quando siamo svegli ne produciamo nove; ma basta un’emozione, una
goccia qualunque d’emozione, Questa emozione è talmente potente che sebbene il
cervello sia molto addestrato, il lieve tremore inintenzionale della voce la
manifesta. Io non riesco a controllare la voce perché l’emozione è più potente
del sistema cognitivo, è il grande decisore, ed è un decisore intelligente che
ha solo due risposte: mi duole o mi fa bene. Le emozioni nascono nel nostro sistema
evolutivo per dir noi: Se duole:
Allontanati! Se ti fa bene: Tieni e cerca! Come lo dice? Ci avvisa attraverso un meccanismo straordinario,
di tipo Hertziale: Se noi abbiamo un momento di gioia, abbiamo un picco
Hertziale in cui l’onda che si manifesta, è un’onda ad elevata intensità ma
breve perché deve tracciare la memoria di gioia. Poiché la gioia fa bene, il
cervello lo deve cercare ancora: La brevità del momento di gioia, innesca il
meccanismo della ricerca della gioia. Se
invece della gioia, noi proviamo angoscia, ansia, paura. . . allora l’onda è
molto diversa, è a bassa intensità e non breve (costante), è sottostante alla
soglia della coscienza, non si fa vedere dalla mente. Poiché le informazioni
neuro - elettriche : “alert! Ti duole!” e
“Se duole: Allontanati!”
Devono essere sempre presenti nella memoria
mediante la costante reiterazione della reminiscenza : Ricorda che ciò ti duole
! Dunque allontanati da ciò ! Ed ecco che i nostri circuiti vengono percorsi da
onde che dicono: “poiché ti duole, allontanati! “ L’energia stessa che
produciamo ne è la traduzione. Sembra che non ci sia via d’uscita. Invece c’è. Non
è la mente che controlla le emozioni; questa è una grandissima illusione. Non
possiamo accendere la luce con la forza del pensiero, dobbiamo andare
all’interruttore giusto. L’interruttore delle emozioni: Ad esempio, se vi
chiedo: “Per piacere guardatevi negli
occhi, l’un con l’altro; con intesa.” “Per piacere abbracciatevi trenta
secondi. Coraggio.” “Per piacere fatevi una carezza, una carezza di conforto.” Se
adesso noi misurassimo il battito cardiaco, la temperatura, guardassimo
indicatori come il colore della pelle, noi avremmo il cambio dei relativi
indici, perché noi ne abbiamo rivitalizzato i circuiti neuro-elettrici. Questi
sono gli interruttori, pensate che trenta secondi di abbraccio comanda
all’amigdala di produrre l’ossitocina che è l’ormone che determina nel momento
del parto la possibilità per una donna di resistere al dolore. Rimparare a
guardare i bambini negli occhi, rimparare ad abbracciarli, rimparare ad
accarezzarli, implica mettere nel circuito delle memorie permanenti che sono di
emozioni che creano ben – essere e non mal – essere; è acqua e pane, la scienza
è ritornata all’acqua e pane.
cortocircuito emozionale :
Se noi, imparando, studiando consumando energia ,
sperimentiamo ansia, (ciò che sempre accade); la memoria mette in memoria ciò
che studio, ma anche l’ ansia, la paura… che lo studio ha provocato;
Tale processo conduce alla reminiscenza delle
emozioni relative all’ansia, alla paura… che si traducono nell’ informazione
neuro - elettrica : “alert! Ti duole!”
e “Se duole: Allontanati!” Che
ricordiamo essere subconscia (benché esistente) e costantemente presente nel
tempo. I ricordi e le emozioni concorrono entrambi alla qualità dell’informazione
neuro elettrica. La permanente esistenza nel tempo dell’informazione neuro -
elettrica relativa al dolore implica la possibilità che si attivino processi di
tipo associativo mediante i quali siano rammentati episodi di vita (errori) e
le relative emozioni “negative” (ansia, paura. . .) che concorrono ad alimentare
la gravità della reminiscenza che deve essere sostenuta e ad aumentare la
probabilità dell’incedere del cortocircuito emozionale .
Dunque, dal
recipiente della memoria coglierò non soltanto le informazioni risultanti dallo
studio bensì necessariamente anche le emozioni con cui lo ho tracciato; dunque
l’ansia entra nel circuito e diviene un’informazione che lo manda in corto –
circuito. Se apprendo con paura, recupererò la paura. Se apprendo con senso di
disistima, io riprenderò la disistima. Ma se io apprendo con sfida a me stesso,
io riprenderò la sfida a me stesso.E questo, per millesimi di secondo, fino ad
anni di tempo in cui il sistema educante può determinare inquinamento nei
circuiti mentali o pandemia di guarigione. Io sono per questa pandemia di
guarigione perché da persona di scienza, quello che devo leggere sono anche le
scienze a fianco: Le ricerche sull’ epigenetica concludono che le memorie del
dolore (le informazioni neuro – elettriche) non sono soltanto individuali ma
transgenerazionali. Questo significa che noi tramandiamo, per proteggere i
nostri figli, ciò da cui si devono proteggere. Quali sono le due emozioni più
preoccupanti, tali che preoccupano più me : Il senso di colpa e la paura.
Di queste non vi posso parlare, ma vi posso parlare,
ma vi posso dire quali sono le emozioni antagoniste : Al senso di colpa, il
grande antagonista è il diritto all’errore : Se noi ci mettiamo in questa
consapevolezza che dobbiamo far crescere i nostri figli nel diritto all’errore,
nell’errore come processo di modifica e di miglioramento continuo (il principio
della co - evoluzione), cambia il livello di consapevolezza. Abbiamo detto
‘sussurri e voci’ : Se noi pronunciamo la parola: “bravo” con tonalità di voce
diverse noi diamo informazioni completamente differenti perché è l’emozione che
facciamo transitare attraverso l’indicatore che stiamo utilizzando che
influenza quel grande decisore che dice “proteggiti” o “sii senza timore” . L’ultimo
bimbo di cui vorrei parlare con voi è un bimbo con la sindrome di Asperger, ad
altissimo funzionamento cognitivo: parla quattro lingue, risolve problemi di
matematica complessi come se fosse al secondo anno di università, disegna il
duomo di Milano senza errori ma basta guardarlo e dimostra comportamenti
tipici, prototipici delle sindromi autistiche importanti. Non avevo mai provato
ad aiutare un bimbo in quella che è la zona di sviluppo prossimale delle
emozioni. Ma ho pensato che in questo intelletto straordinario, se le due
strutture sono strutture che sincronicamente collaborano, io potevo aiutare le
emozioni con la cognizione:
Gli ho chiesto di segnare su un quaderno tutte le
cose che lui riteneva fargli paura, angoscia, metterlo in vulnerabilità e ad
ognuna di queste collegare la strategia con cui vincerla questa vulnerabilità.
Lui ha compilato molti quaderni di queste sue soluzioni ed è venuto a
presentarlo ad un congresso di insegnanti. Avevamo addestrato, lui a non avere
momenti di reazione e tutte le insegnanti a non comportarsi in maniera di
agitarlo. Ma ad un certo momento, mentre lui parlava, una delle insegnanti si
emoziona, piange ed applaude; quindi tutte le insegnanti si emozionano,
piangono ed applaudono. Il bimbo va in panico e si nasconde.
In seguito il bambino mi disse queste parole: C’erano
cento insegnanti, alcuni giovani, alcuni non tanto, quindi in media, resteranno
altri venticinque anni a scuola; ognuno di loro avrà almeno venticinque alunni
in classe. Quindi con questa ora di lezione, io ho aiutato nella mia vita 62500
bambini. E io sono qui per questo. Sono qui perché voi ci aiutiate a fare della
scienza servizievole, ed a fare in modo che si possano servire anche più di
65500 persone.“
Daniela Lucangeli
I
processi della conoscenza
tesi
prima
L’atomizzazione
culturale è, secondo logica, un fenomeno contro la natura umana.
I
sistemi di memoria
Premessa: L’aleatorietà della memoria
La memoria alea – dal latino, significa
dado ed è riferito al lancio del dado, perciò è inerente al calcolo applicato
alla Sistemica, ovvero al calcolo delle probabilità.
La natura multisistemica della memoria
La dimostrazione della natura
multisistemica della memoria:
L’esperimento di Sperling
Uno dei fattori che favorirono la visione
multisistemica della memoria fu la convincente spiegazione dei risultati delle ricerche
di Sperling. Nel 1960, George Sperling tentò di rispondere alla domanda «Quanto
possiamo ricordare con un solo sguardo?» presentando ai soggetti tre gruppi di
quattro lettere per soli 50 millisecondi e chiedendo loro di rievocare quante
più lettere possibile. Con un tempo di presentazione così breve, Sperling
voleva assicurarsi che i soggetti dessero appena un veloce sguardo alle
lettere. Con questa tecnica (cosiddetta del resoconto totale) le persone
riuscivano a rievocare non più di 4 o 5 delle 12 lettere presentate, ma
dichiaravano di aver visto più lettere di quante ne potessero recuperare.
Sperling, perciò, decise di utilizzare la tecnica del resoconto parziale, con
la quale si chiedeva ai soggetti di riportare solo una parte delle lettere. La variazione
interessante era che, dopo la presentazione dei tre gruppi di lettere, i
soggetti udivano un suono. Questo suono poteva avere tre tonalità: alta, media
o bassa. A seconda della tonalità, i soggetti dovevano riportare le quattro
lettere del primo (tono alto) del secondo (tono medio) o del terzo (tono basso)
gruppo. Con questa tecnica, le persone erano in grado di riportare almeno tre
delle quattro lettere di ogni gruppo, il che indicava che essi erano riusciti a
vedere almeno 9 lettere in un colpo d’occhio, circa il doppio del numero di
lettere che erano in grado di riportare con la tecnica del resoconto totale.
Il ricordo: l’interazione dei sistemi di
memoria
Lo psicologo americano Endel Tulving ha
sostenuto di recente che ricordare significa viaggiare nel tempo, un tempo
mentale ovviamente, che segna il trascorrere della nostra vita e determina la
continuità della nostra identità personale.
L’idea del ricordo come «viaggio mentale
nel tempo» mette in luce un aspetto fondamentale del funzionamento della
memoria umana:
Ciò che chiamiamo «ricordo» è fatto di
elementi diversi che derivano dal funzionamento di sistemi mnestici differenti
ma in interazione tra di loro. Psicologi e i neuroscienziati che studiano la
memoria usano la parola «sistema» per riferirsi ad un insieme di elementi in
stretto rapporto tra di loro destinati a determinate funzioni mnestiche,
elementi connessi in un tutto organico e funzionalmente unitario. Ciascun
sistema dipende da una particolare costellazione di reti cerebrali che coinvolgono
specifiche strutture neurali le quali, a loro volta, sostengono specifici
processi mnestici. Ogni struttura neurale svolge un ruolo specializzato
all’interno del sistema.
I sistemi di memoria
Il sistema di memoria semantica, che ci
fornisce la conoscenza concettuale,
Il sistema di memoria episodica, che ci fa
ricordare il tempo e il luogo in cui l’episodio è avvenuto,
Il sistema di memoria visiva, che ci dice
come sono fatte le cose che abbiamo incontrato,
Il sistema di memoria procedurale, che ci
dice come si fa una cosa,
Il sistema di memoria verbale, che ci
permette di tradurre i pensieri in parole,
Il sistema di memoria autobiografica, che
ci fa riferire a noi stessi l’evento rievocato.
La memoria sensoriale, la memoria a breve
termine e la memoria a lungo termine
In un certo senso, tutta la memoria
potrebbe essere divisa in due grandi entità: una che ci permette di ricordare
un’informazione per un tempo molto breve ed una che – sotto varie forme – ci
permette di conservare informazioni per tutta la vita. Nella psicologia
scientifica, l’idea di una memoria dicotomica non è nuova. William James, alla
fine dell’ottocento, distingueva tra una memoria primaria, transitoria e
fragile (la memoria a breve termine), che consisteva dei contenuti della
coscienza, e una memoria secondaria, permanente (la memoria a lungo termine),
che conteneva informazioni che non erano presenti alla coscienza, ma che
potevano essere riattivate all’occorrenza.
La memoria sensoriale
I risultati di Sperling sembrarono subito
molto interessanti perché fornivano la prima prova sperimentale dell’esistenza
di un recipiente di memoria di natura sensoriale, di grande capacità, ma nel
quale le informazioni decadono molto più rapidamente che nella memoria a breve
termine.
La rappresentazione ecoica
Si tratta di sistemi di memoria visiva e
uditiva a brevissimo termine, distinti dai sistemi di memoria a breve termine.
La memoria a breve termine e la memoria a
lungo termine
La memoria a breve termine esprime il
ricordo temporaneamente presente alla coscienza, la «presente consapevolezza»
che mantiene ed elabora le informazioni durante l’esecuzione di compiti
cognitivi. Essa inoltre ci aiuta a trasformare il passato in presente
(riportando i ricordi ad uno stato attivo) e ad integrare il vecchio con il
nuovo. Questa struttura di memoria ha però una capacità limitata e può
mantenere l’informazione solo per un breve periodo di tempo.
Un’interpretazione «letterale» della
distinzione in memoria sensoriale, MBT e MLT non è del tutto corretta, in
quanto cattura soltanto la dimensione della durata temporale del ricordo, senza
tener conto di altre importanti dimensioni come ad esempio il sistema coinvolto
nel ricordo, il tipo di meccanismo sottostante e la natura della
rappresentazione.
Sistemi di memoria visiva e uditiva
La distinzione tra memoria visiva e
memoria uditiva si applica sia al sistema di memoria a breve termine che a
quello di memoria a lungo termine. Tradizionalmente, come abbiamo già visto, si
distinguono anche sistemi di memoria visiva e uditiva a brevissimo termine.
Tuttavia, data la natura periferica (sensoriale) di questi recipienti e la
durata (brevissima) della traccia, molti non li considerano veri e propri
sistemi di memoria, quanto piuttosto sistemi di registrazione finalizzati ad
una elaborazione primaria che «nutrono» i sistemi di memoria più duraturi.
Memoria
a breve termine visiva
Le prove più convincenti a favore
dell’esistenza di un sistema di memoria a breve termine visiva sono quelle
prodotte dagli studi di Posner e collaboratori. In uno di questi studi, i
partecipanti vedevano coppie di lettere e dovevano decidere se le due lettere
avevano lo stesso nome. I risultati dimostrarono che il tempo di risposta era
significativamente minore se le lettere avevano lo stesso nome ed erano anche
visivamente identiche (ad esempio, AA) rispetto a quando avevano lo stesso nome
ma non erano visivamente identiche (ad esempio, Aa). Inoltre, se si
presentavano le lettere una per volta e si variava l’intervallo di tempo tra la
presentazione della prima lettera e quella della seconda, il vantaggio in
termini di tempo impiegato per la risposta scompariva dopo un intervallo di 2
secondi. Posner e collaboratori interpretarono questo risultato come una prova
dell’esistenza di un recipiente visivo a breve termine in cui la traccia dura
circa 2 secondi.
La buona prestazione che le persone
mostrano nei compiti di riconoscimento significa forse che la memoria a lungo
termine visiva conserva le tracce in modo inalterato e permanente? Secondo un
certo numero di studiosi, gli esperimenti sul riconoscimento di figure
suggeriscono che la memoria di figure è praticamente perfetta e che il
riconoscimento si basa su qualche tipo di rappresentazione in memoria che viene
mantenuta senza bisogno di ricorrere ad etichette verbali e senza ripetizione.
Non tutti, però, sono d’accordo con questa interpretazione. Innanzitutto,
bisogna ricordare che un compito di riconoscimento – al contrario di uno di
rievocazione – non comporta il problema di dover decidere «dove» andare a
cercare il bersaglio nella memoria. Lo stimolo al test funge sempre da
suggerimento (cue) che dirige la ricerca verso il giusto contesto, aumentando
così la probabilità di una buona prestazione. Secondariamente, un compito di
riconoscimento comporta sempre una ripresentazione dello stimolo o di una sua
parte, il che rende difficile stabilire quanto dell’input originario era
presente nella memoria visiva.
Infine, ci sono esempi della vita
quotidiana che contrastano fortemente con questa visione idilliaca della
memoria visiva. Ad esempio, si sa che la testimonianza oculare è spesso
inaffidabile. Buona parte del riconoscimento della scena alla quale si è
assistito è frutto di processi di ricostruzione. Elisabeth Loftus ha indagato
estesamente questo problema ed ha concluso che la ricodifica verbale cui spesso
è soggetto il ricordo visivo e la riorganizzazione dell’informazione visiva con
l’aggiunta di nuovi elementi alterano il ricordo originario.
Gli eventi e i significati: memoria
episodica e memoria semantica, ricordare e sapere
La memoria episodica si riferisce a
specifici eventi ed esperienze della vita di ognuno (memoria autobiografica) e
contiene informazioni spazio-temporali che definiscono «dove» e «quando» il
sistema ha acquisito la nuova informazione. Avere accesso ad importanti
esperienze autobiografiche è essenziale per condurre una vita normale. Per
sapere chi siamo o immaginare chi diventeremo è necessario che tempo e memoria
si intreccino in una dinamica che integri passato e presente e dia forma al
futuro. Molte persone che soffrono di forme di amnesia non sono in grado di
rievocare larga parte del proprio passato e la loro vita quotidiana risulta
seriamente compromessa. Con il concetto di memoria autobiografica ci si riferisce
comunemente al ricordo di informazioni legate al sé. Questa generica
definizione, però, non rende giustizia al concetto di ricordo autobiografico.
Per molti versi, infatti, i ricordi personali assomigliano a un complicato e
ricchissimo mosaico che contiene una varietà di «pezzi» di esperienza, nonché
le loro ricostruzioni. I ricordi sono costellazioni, costruzioni o composizioni
di conoscenze e sono identificabili come tali solo se riferiti alla persona che
ricorda. Tre livelli di struttura sembrano contribuire alla costruzione dei
ricordi autobiografici e sono organizzati gerarchicamente. Il primo livello si
riferisce ad estesi periodi della vita di un individuo, si tratta di un livello
astratto della conoscenza autobiografica, che incorpora conoscenze che
investono periodi lunghi della vita. Il secondo livello, nonostante la
denominazione (livello degli eventi generali), è più specifico; esso si
riferisce ad episodi ampi ed eterogenei misurati in giorni o settimane e non in
periodi lunghi. Gli «eventi generali» prendono la forma di riassunti di eventi ripetuti.
Infine, il terzo livello – la conoscenza
di eventi specifici – rappresenta la conoscenza percettiva e sensoriale che può
durare da alcuni secondi ad alcune ore. La «memoria autobiografica» è il risultato
della confluenza di questi tre livelli in una struttura unica. Accuratezza dei
ricordi autobiografici e il loro carattere ricostruttivo. È stato dimostrato
che il senso generale di un ricordo
autobiografico è di solito
accurato.
A lungo termine ciò che va incontro ad
amnesia e a distorsioni sistematiche è il ricordo dei dettagli più fini.
La memoria conserva a lungo termine il
semplice senso generale.
I ricordi umani hanno questa natura
ricostruttiva: Le persone apprendono presto ad usare degli schemi, cioè delle
conoscenze reciprocamente relazionate, dei modelli mentali della realtà, i
quali, una volta consolidati, aiutano a comportarsi in modo appropriato e
forniscono la base per organizzare e conservare i ricordi che hanno
caratteristiche comuni.
Negli anni ottanta è stato coniato il
termine memoria riepisodica (repisodic
memory) per riferirsi a situazioni nelle quali la rievocazione di alcuni eventi
non è altro che l’integrazione di dettagli estratti da molti episodi simili.
La memoria semantica trascende le
condizioni in cui la traccia è stata formata ed è sganciata dal contesto
dell’originale episodio d’apprendimento. La memoria episodica sarebbe
organizzata cronologicamente, quella semantica in modo tassonomico e
associativo.
L’importanza della memoria episodica, la
sua assoluta autonomia e unicità:
La memoria episodica è ciò che
contraddistingue gli esseri umani, capaci di «viaggiare nel tempo» rimanendo
consapevoli che si tratta solo di un viaggio mentale e non della realtà.
Qualsiasi analisi della memoria episodica deve quindi tener conto
dell’esperienza soggettiva della persona che ricorda.
La memoria semantica: il ragionamento
Quel che ricordiamo e quel che sappiamo
Molte teorie contemporanee assegnano una
struttura multifunzionale e multidimensionale alla memoria, che viene perciò
vista come una architettura complessa in grado di rappresentare,
contemporaneamente, tipi diversi di informazioni sulle quali possono agire tipi
diversi di operazioni.
In questa prospettiva, una delle tradizionali
suddivisioni riguarda la rappresentazione da un lato di specifici riferimenti
spazio-temporali e personali (i ricordi) e dall’altro lato la rappresentazione
di informazioni di carattere generale, linguistico-simboliche ma anche di
natura non linguistica (le conoscenze).
Seguendo la denominazione tradizionale, il
primo sistema di rappresentazione è chiamato memoria episodica e il secondo
memoria semantica. È opportuno notare che la distinzione è enfatizzata anche a
livello linguistico. Infatti, le informazioni relative alla memoria semantica
implicano il verbo sapere, mentre le informazioni relative alla memoria
episodica, implicano il verbo ricordare. Formato e organizzazione delle
conoscenze nella memoria semantica
Nella concezione originaria, la memoria
semantica costituisce il repertorio di concetti – e il vocabolario linguistico
e non linguistico che li esprime – posseduti da ciascuna persona. In quanto
tale, essa è la base di conoscenze che ci permette di agire in modo funzionale
nel mondo che ci circonda. Tali conoscenze sono create a partire dal mondo
sensoriale, attraverso l’esperienza, sia diretta sia mediata dal linguaggio, e
sono rappresentate in un formato che ne permette l’uso sia nel riconoscimento.
Il ragionamento
I meccanismi coinvolti nel riconoscimento
e nella produzione sono, almeno in parte, diversi, in quanto sottendono
meccanismi finalizzati a operazioni di decodifica (dalle forme – visive o
linguistiche – ai concetti) o, invece, di codifica (dai concetti alle forme –
linguistiche o grafiche).
Le conoscenze sono organizzate in modo
tale da riflettere le relazioni che esistono fra i concetti stessi: ciascun
concetto sarà semanticamente legato a un certo numero di concetti.
Andando a formare in questo modo delle
categorie semantiche, se la relazione è su base categoriale (relazioni
tassonomiche), o dei campi semantici, se la relazione è determinata dalle
nostre conoscenze enciclopediche di ciò che accade nel mondo (relazioni
associative).
Considerazione pedagogica:
Alla luce di tali considerazioni la
settorializzazione e la conseguente iperspecializzazione e complicatezza delle
discipline risulta insensata.
Sulla base di quanto detto, possiamo
pensare che le conoscenze rappresentate nella mente riguardanti i concetti
includano informazioni astratte sulle funzioni degli oggetti, informazioni
percettive legate alle diverse modalità, e informazioni sulle relazioni fra
oggetti: Ovviamente, data la varietà e la diversità anche qualitativa dei
concetti rappresentati, alcuni elementi saranno maggiormente caratterizzati da
alcune di queste proprietà, altri da altre. Così, concetti astratti come
«giustizia» e «infinito» sono caratterizzati più da proprietà funzionali che da
proprietà percettive. Invece, per gli elementi delle categorie semantiche
riferibili agli esseri viventi, è cruciale l’informazione percettiva nella
rappresentazione e nei processi di riconoscimento. Le proprietà funzionali e i
modelli della rappresentazione astratta, nell’ambito della conoscenza del mondo
che ci circonda, hanno assunto nel tempo maggior rilievo rispetto alle
proprietà percettive: Lettura dei capitoli:
Intuito (innsaei)
Il concetto di reciprocità e l’atomizzazione
sociale
I
modelli della memoria semantica: Rappresentazione astratta, per
esemplari, e approccio connessionista.
Riguardo al formato della
rappresentazione, possiamo distinguere almeno tre grossi gruppi di modelli:
rappresentazione astratta, per esemplari, e approccio connessionista.
Secondo i modelli
della rappresentazione astratta, le informazioni sono mantenute in
memoria semantica in un formato amodale, slegato cioè dalle informazioni
sensoriali delle entità rappresentate.
Inoltre, secondo tali modelli, la
rappresentazione prescinde dalla particolare situazione in cui l’elemento può
trovarsi nel mondo reale. Le variazioni contestuali costituiscono informazione
aggiuntiva che può facilitare, se congruente, od ostacolare, se incongruente,
il riconoscimento, ma che nulla aggiunge al contenuto concettuale.
Secondo i modelli
per esemplari, invece, il sistema concettuale è costituito dalle memorie
(o tracce mnestiche) degli esemplari che sono stati codificati nel tempo. In
altre parole, la rappresentazione del concetto è costituita dalle tracce mnestiche
di tutte le situazioni che ho codificato una realtà in cui la stessa realtà era
presente.
Poiché i diversi esemplari sono
codificati in situazioni diverse, in cui risaltano particolari diversi, questi
modelli attribuiscono un ruolo rilevante al contesto in cui si ha esperienza
dei concetti – o, meglio, delle loro varie occorrenze. Tali modelli si possono
inserire nella più generale tendenza, definita in inglese situated cognition, cioè, letteralmente,
«cognizione situata», secondo la quale il contesto, ovvero la specifica
situazione in cui la persona e il mondo in cui (inter)agisce si trovano, svolge
un ruolo fondamentale nel determinare i processi cognitivi.
Concetti di reiterazione e di familiarità
I modelli connessionisti
della
rappresentazione delle conoscenze postulano nella maggior parte dei casi una architettura distribuita in
cui la rappresentazione di un concetto viene distribuita su diversi
sottosistemi. Pertanto, secondo questo approccio, non esiste un nodo concettuale, una traccia mnestica,
corrispondente ad un concetto e neppure l’insieme di esemplari del medesimo
concetto. Esistono invece insiemi di attributi di base, condivisi da un numero
variabile di elementi, che si attiveranno in configurazioni appropriate in
riferimento al concetto rilevante. Così, semplificando notevolmente, possiamo
dire che un concetto sarà disponibile, identificabile e nominabile quando sarà
attivata una configurazione che comprenderà le caratteristiche relative allo
stesso concetto.
Inoltre, è interessante notare che in
questi modelli la strutturazione in categorie non è un principio organizzativo
della rappresentazione ma una proprietà emergente: Le categorie «emergono»
dalla somiglianza degli insiemi di caratteristiche relative ai diversi
concetti.
Concetto di associazione con le
generalità
Il modello connessionista ed il modello
per esemplari esprimono modalità di conoscenza coerenti con il pensiero
complesso ed il pensiero intuitivo:
Il
pensiero complesso, pur sapendo di non poter conoscere completamente tutto, di
non poter essere onnisciente, ambisce a ricollegare le tipologie di saperi e ad
aiutare a pensare la complessità seguendo tre principi:
Il principio dialogico, permette di vedere
la dualità nell’unità, unisce principi che si contrappongono o si integrano: La
saggezza, che è una delle interazioni
fondamentali (nodi concettuali
fondamentali) .
“La saggezza è motrice e guida nell’insegnare
l’arte di vivere” Edgar Morin
Il principio ricorsivo, secondo il quale
il feedback rompe l’idea di linearità e introduce a causalità circolare, per
cui le cause producono effetti e gli effetti sono ause di altri effetti: La
relazione causa – effetto, che è una delle interazioni fondamentali (nodi
concettuali fondamentali).
Il principio ologrammatico, secondo il
quale il tutto è iscritto nella parte e la parte nel tutto, superando così la
visione riduzionistica, che vede solo le parti e la visione olistica che vede
solo il tutto: La relazione di familiarità, che è una delle interazioni
fondamentali (nodi concettuali
fondamentali).
Lettura
dei capitoli
Intuito
(innsaei)
Il
concetto di reciprocità
e l’ atomizzazione sociale
Secondo tali prospettive essi
rappresentano concezioni della rappresentazione delle conoscenze che
mettono maggiormente a frutto il contributo della memoria semantica, (il
ragionamento umano) rispetto ai modelli della rappresentazione astratta.
Inoltre è bene ricordare
che l’approccio sistemico – costruttivista ricusa i modelli della
rappresentazione astratta in quanto considera i processi mentali fenomeni
attivi e non passivi, i quali permettono l’ interazione del soggetto nel
sistema in cui si trova.
I processi di categorizzazione
La memoria semantica è organizzata su
base categoriale:
Di fatto, le categorie rivestono un
ruolo importante sia come principio di organizzazione che struttura il sistema
di rappresentazione, sia come chiave di recupero delle informazioni e come
fonte di inferenze.
Dal primo punto di vista, la
categorizzazione è un meccanismo mentale particolarmente potente perché permette
di dare origine a insiemi più o meno ampi di elementi sulla base di uno o più
principi di organizzazione.
Sulla base di una dimensione o di un
criterio si possono distinguere classi di elementi che si differenziano per
quella particolare dimensione o in relazione a quel particolare criterio.
Chiamiamo categorie la costituzione di
insiemi o classi di elementi.
La capacità di classificare e
rappresentare elementi in classi, ovvero il processo di
categorizzazione, assolve diverse funzioni.
Una prima funzione della
categorizzazione è quella di rendere possibile l’esecuzione di risposte comportamentali riferite a una classe di oggetti cognitivamente equivalenti (piuttosto
che considerare singolarmente ciascun oggetto). Ovviamente, a volte è
importante prendere in considerazione il singolo elemento, anche in riferimento
alle specifiche azioni che si devono eseguire, ma frequentemente una classe di
elementi richiede risposte analoghe.
Una seconda funzione della
categorizzazione è quella di permettere di rilevare analogie e differenze fra
oggetti a diversi livelli di astrazione.
La terza funzione della
categorizzazione che è quella di permettere di semplificare l’analisi
dell’input ambientale.
La dimensione verticale delle categorie
La psicologa statunitense Eleanor Rosch
ha proposto di analizzare le capacità categoriali umane sulla base di due
dimensioni, quella verticale e
quella orizzontale.
Nella dimensione verticale, le categorie si
strutturano su base gerarchica in funzione dell’inclusione di classe. Sono tre
le caratteristiche interessanti da un punto di vista psicologico della
struttura gerarchica delle categorie:
La
natura sempre più astratta delle relazioni fra gli elementi quando si passa dai
livelli bassi a quelli alti della gerarchia;
Il
diverso «peso» cognitivo dei livelli;
I meccanismi che permettono di mettere
in relazione i diversi livelli.
Le informazioni sono rappresentate il più in
alto possibile
La mente umana utilizza un meccanismo
di bilanciamento fra quantità di informazione rappresentata e quantità di
elaborazione chiamato principio di economia cognitiva.
Se una certa proprietà di alcuni
concetti venisse rappresentata in tutti i possibili livelli della gerarchia
categoriale, essa dovrebbe essere duplicata numerose volte, con un evidente
peso di immagazzinamento.
Secondo il principio di economia
cognitiva, invece, le proprietà dei concetti sono rappresentate al livello più
alto possibile della gerarchia, e vengono recuperate quando necessarie mediante
processi inferenziali.
Inferenza
Per quanto riguarda la salienza
cognitiva dei livelli, all’interno dei livelli gerarchicamente ordinati ve ne è
uno che è «privilegiato» dal punto di vista cognitivo, e che Rosch ha
denominato livello di base.
Il livello di base è quello che
fornisce l’«entrata» cognitivamente più economica nella memoria semantica, è
cioè il livello in cui in genere avviene l’identificazione di un elemento a
seguito dell’interazione fra informazioni messe a disposizione dai meccanismi
sensoriali (l’informazione in entrata) e le conoscenze pregresse rappresentate
nella memoria a lungo termine. Tale identificazione potrebbe avvenire, in via
di principio, a uno qualsiasi fra i possibili livelli, dal più generale al più
specifico. Tuttavia, il livello di base è cognitivamente saliente perché è il
livello in cui vengono rappresentati gli attributi più distintivi. Infatti, a
livello subordinato la differenza negli attributi distintivi è molto piccola.
La struttura interna delle categorie è
orizzontale
Anche per quanto riguarda la dimensione
orizzontale, ovvero la
rappresentazione interna a – o propria di – ciascuno dei livelli che caratterizzano
la struttura gerarchica, il modello di Rosch identifica due aspetti rilevanti
dal punto di vista cognitivo.
La struttura sfuocata della categorie
Il primo aspetto fa riferimento alla
struttura sfuocata delle categorie. Nella tradizione filosofica aristotelica,
fatta propria da molti studi psicologici, l’appartenenza a una categoria è di
tipo dicotomico, «tutto o niente». In altre parole, secondo questa tradizione,
un elemento possiede tutte e sole le caratteristiche della categoria, e allora
è un membro di tale categoria, o non le possiede, e allora non è un membro
della categoria. Ciò è sicuramente vero per alcune categorie. Possedere le proprietà
«figura geometrica piana con 4 lati e 4 angoli uguali» identifica in maniera
univoca la categoria dei quadrati. Ma la maggior parte delle categorie
semantiche in cui suddividiamo il mondo non sono di questo tipo. Ciò che
caratterizza le categorie semantiche di tipo non dicotomico è invece
un’appartenenza graduata basata sul possedere in grado diverso caratteristiche
comuni anche ad altri membri di quella categoria. Questo fenomeno, chiamato da
Wittgenstein «somiglianza di famiglia».
Pertanto, non tutti gli esemplari delle
categorie semantiche hanno lo stesso grado di appartenenza. Alcuni sono
elementi centrali,
in quanto condividono molti attributi con gli esemplari della categoria e pochi
attributi con esemplari di altre categorie. Altri sono invece elementi periferici, in quanto condividono pochi attributi
con gli esemplari della categoria e tendono a condividere attributi con
esemplari di altre categorie. Fra questi due estremi si situano, con gradi
intermedi di appartenenza categoriale, gli altri esemplari.
La nozione di prototipo
Se il grado di appartenenza categoriale
è diverso per i diversi membri, com’è possibile acquisire e possedere poi una
rappresentazione univoca delle categorie? Alcuni psicologi hanno proposto la
nozione di prototipo, che corrisponde a un membro, anche non esistente
nel mondo reale, che si caratterizza per possedere il valore «medio» sulla
maggior parte delle caratteristiche dei membri della categoria. In questo
senso, il prototipo è il miglior esemplare della categoria, quello che funge da
punto di riferimento per gli altri esemplari: quanto più simili tali esemplari
saranno al prototipo, tanto più centrali essi saranno rispetto alla categoria. Possiamo
pensare al prototipo come a uno schema, cioè come ad una struttura per la
rappresentazione di conoscenza con variabili.
La distinzione tra nucleo concettuale e funzione di
identificazione
L’ipotesi che le categorie siano
insiemi sfuocati, interessante e produttiva per le numerose ricerche che ne
sono scaturite, presenta però un punto debole. Le persone infatti tendono ad
attribuire una struttura sfuocata, e quindi gradi diversi di appartenenza,
anche categorie ben definite. Ad esempio, consideriamo i numeri pari (o i
numeri dispari). In casi come questo, esiste un criterio che permette di
decidere l’appartenenza categoriale (il numero è divisibile per 2?) e,
pertanto, non dovrebbero esserci differenze di appartenenza per i diversi
elementi della categoria: i numeri 4 e 36 sono pari «allo stesso modo». Si è
scoperto, però, che le persone tendono a giudicare 4 un miglior esemplare della
categoria dei numeri pari rispetto a 36. Sulla base di questi risultati, è
stato proposto che le categorie, tutte le categorie, siano rappresentate
mentalmente sulla base di un duplice meccanismo: il nucleo concettuale e la
funzione di identificazione. Il nucleo concettuale è costituito dall’insieme
dei criteri, necessari e sufficienti, che determinano l’appartenenza
categoriale, mentre la funzione di identificazione è costituita dall’insieme di
procedure che permettono di attribuire, su base probabilistica, un certo
elemento a una certa categoria.
Importante conclusione: Il processo di assimilazione ed il processo
di categorizzazione sono equivalenti:
assimilazione,
definizione
assimilazióne s. f. [dal lat. assimilatio
(o assimulatio) -onis, der. di assimilare «assimilare»]. – Processo di
apprendimento, in cui ciò che è studiato diventa parte di sé stessi, facoltà di
far proprî, col ragionamento e col sentimento, concetti, nozioni, opinioni, o anche
dottrine, linguaggi, tecniche, forme d’espressione altrui. | Processo di
percezione o di appercezione in cui un contenuto nuovo è talmente simile a un
contenuto famigliare che i due sembrano quasi identici.
Ovviamente, quanto più la funzione di
identificazione può basarsi su attributi condivisi, tanto maggiore è la
facilità e la velocità di identificare un elemento come appartenente a una
categoria.
Quanto meno condivisi sono gli
attributi, come nel caso di elementi periferici, compartimentati, disgiunti più
difficile e più lento sarà il processo di categorizzazione.
Tale processo identificativo avvalora
l’ipotesi secondo cui l’ assimilazione di una conoscenza sia conseguibile solo
in maniera associativa, reiterativa ed interconnettiva, cioè nella correlazione
reciproca tra prospettive diverse dello stesso oggetto di conoscenza.”
Gli attributi non sono dati a priori
Il processo di assimilazione è
fondamento della Conoscenza attiva:
È interessante ricordare che gli attributi
utilizzati nella identificazione dei concetti non sono necessariamente dati a
priori, ma possono essere «creati» in risposta alle esigenze di
categorizzazione poste dalla situazione.
Importante conclusione:
I principi organizzativi della memoria
semantica, in particolare la sua struttura tassonomica e associativa, rendono
flessibile il sistema di rappresentazione delle conoscenze perché creano una
rete di interrelazioni fra i concetti e aumentano le potenzialità di recupero
delle informazioni. La somiglianza e la diversità delle proprietà e degli
attributi dei concetti danno origine a categorie che sono rappresentate
mentalmente come insiemi sfuocati, caratterizzati da gradi diversi di
appartenenza e/o diverse procedure di identificazione. Le proprietà e gli
attributi che, di fatto, sono usati nel processo di riconoscimento e di
categorizzazione dipendono non solo dall’organizzazione mentale delle categorie
ma anche dal contesto e dall’esperienza di categorizzazione che vincolano il
tipo di attributi a cui prestare attenzione.
La consapevolezza: memoria dichiarativa
e memoria procedurale
Non ci sarebbe altro modo di dimostrare
di sapere se non fare. Gli studiosi di memoria parlano in questi casi di
memoria procedurale, cioè di una memoria legata alla reale attuazione del compito
e accessibile e valutabile solo attraverso l’esecuzione di un’azione.
Si tratta di un insieme di abilità
difficilmente traducibili in proposizioni. Per questo motivo, la memoria
procedurale viene distinta da quella dichiarativa che si riferisce, invece,
alla conoscenza di fatti che possono essere acquisiti in un unico tentativo e
che sono direttamente accessibili alla coscienza, come, ad esempio, la
conoscenza della definizione di una nuova parola. Per facilitare la
comprensione di questa distinzione, i ricercatori spesso ricorrono alla
distinzione proposta dal filosofo inglese Gilbert Ryle (1900-1976) tra il
«sapere cosa» (knowing that) e il «sapere come» (knowing how). La risoluzione
di problemi spesso richiede l’intervento di una forma di memoria che permette
di recuperare «modi di procedere» e «sequenze di azioni» dei quali la persona
non è consapevole. In altri termini, laddove vi è una qualche manifestazione di
«apprendimento senza ricordo» di come si fa una cosa si parla di memoria
procedurale.
Lettura dei capitoli:
Intuito (innsaei) Il concetto
di reciprocità e l’atomizzazione sociale
Le tre fasi del ricordo: codifica, ritenzione
e
recupero
Considerazioni pedagogiche, introduzione
Lo studio mnemonico che spesso viene
richiesto al discente limita l’assimilazione e la comprensione di ciò che il
discente sta affrontando.
La fase di codifica: Si riferisce al modo
in cui la nuova informazione viene inserita in un contesto di informazioni
precedenti. La forza della traccia di memoria dipende dalla profondità della
codifica: più profondo è il livello di elaborazione dello stimolo più è
probabile che la traccia che si forma sia duratura. La codifica semantica
richiede un’analisi del significato che genera una traccia più ricca ed
elaborata.
Il meccanismo della diffusione dell’attivazione: Secondo
questo principio quando un nodo concettuale (la traccia) viene attivato,
l’attivazione non riguarda solo tale nodo. Al contrario, si assume che
l’attivazione si propaghi agli altri nodi in funzione del tempo e della
vicinanza. L’attivazione, dopo aver raggiunto un picco, decresce col
trascorrere del tempo; inoltre, essa influenza in modo diverso i nodi a cui si
propaga: i nodi più vicini saranno maggiormente preattivati dei nodi più
lontani.
La memoria semantica si basa sul
ragionamento.
Il ragionamento si basa su principi quali
associazione, ripetizione ed interconnettività. Perché ci possa essere un
ricordo, deve verificarsi una qualche forma di apprendimento.
La Ritenzione: le strategie per assimilare
l’informazione
La qualità della ritenzione dipende dalla
ripetizione (tecnicamente, reiterazione), la rielaborazione della struttura
integra l’informazione nuova con conoscenze già possedute.
L’Associazione:
Un punto di vista teorico proposto da
Tulving, vede le tracce mnestiche come semplici «disposizioni» o
«potenzialità». Ne esistono a migliaia nella nostra memoria senza che esse
abbiano alcun effetto sulla nostra attività mentale; diventano efficaci solo in
certe condizioni speciali, denominate collettivamente recupero.
Il principio di specificità della
codifica, il Recupero
Perché il recupero avvenga è necessario
che sia presente un appropriato suggerimento che in qualche modo «riattivi» gli
elementi focali dell’evento da ricordare. Non sono le caratteristiche della
traccia in quanto tali a determinare il ricordo, ma piuttosto la compatibilità
tra le proprietà della traccia e le caratteristiche dell’informazione fornita
al recupero. Questo principio, noto come principio di specificità della
codifica, pone l’accento sull’interazione tra informazione immagazzinata e informazione
presente al recupero. La traccia di un evento ed il suggerimento presente
durante il recupero devono essere compatibili perché il ricordo si
verifichi. Compatibilità può significare
che tra i due esiste una relazione di tipo associativo, che
le loro caratteristiche di superficie sono simili o che vi è sovrapposizione di
informazioni (quando lo stimolo al recupero è identico allo stimolo così come è
stato codificato, come nel riconoscimento). In ogni caso, il concetto di specificità della codifica
implica che la traccia, (il nodo concettuale) le caratteristiche del contesto
di recupero e la natura
dei suggerimenti nell’ambiente siano collegati affinché la potenzialità della
traccia sia convertita nell’attualità del ricordo.
Il paradigma di identificazione percettiva
Premessa: La memoria esplicita e la memoria implicita
Chi studia la differenza tra memoria esplicita e
memoria implicita cerca di comprendere
come le persone rispondono a differenti tipi di test, denominati, per
l’appunto, espliciti e impliciti. Nei test espliciti, le istruzioni fanno
specifico riferimento al recupero cosciente dell’informazione, come quando in
un compito di riconoscimento si chiede alla persona di dire se lo stimolo che
ha davanti è vecchio (già visto) o nuovo (mai visto). Si può dire, perciò, che
l’oggetto di studio dei test espliciti sia la memoria stessa. Nei test
impliciti, invece, la memoria è uno strumento per lo svolgimento di un compito
che non è connesso con il recupero cosciente dell’informazione. In uno dei più
noti paradigmi della memoria implicita, noto come identificazione percettiva, i
partecipanti, in una prima fase, detta fase di studio, vedono su uno schermo di
computer una lista di parole, presentate una per volta. In una seconda fase,
detta fase di test, i partecipanti devono identificare una serie di parole
presentate, una per volta, su uno schermo di computer per un tempo così breve
(una manciata di millisecondi) che è difficile persino vederle (cfr. cap. 9).
Alcune delle parole presentate in questa seconda fase sono state presentate
anche in fase di studio (parole primed, cioè «attivate», dal verbo inglese to
prime, cioè «preparare, attivare»), altre sono del tutto nuove (parole unprimed,
cioè «non attivate»). Il risultato è che i soggetti identificano più facilmente
le parole primed rispetto alle parole unprimed.
È come se la sola esperienza di avere incontrato
prima alcune parole sia sufficiente ad influenzare il comportamento successivo
(l’identificazione) senza che la persona abbia mai tentato di recuperare consapevolmente
quella informazione. Va notato, infatti, che durante la presentazione iniziale
della lista i soggetti non sanno che tipo di compito dovranno svolgere di lì a
poco e quindi non compiono alcuno sforzo per memorizzare le parole della lista
mentre le guardano. Questi effetti, conosciuti come effetti di facilitazione
(priming), riflettono, secondo un certo numero di studiosi, il funzionamento di
un sistema di memoria speciale, separabile dal sistema della memoria esplicita,
che influenza i nostri comportamenti al di fuori della nostra consapevolezza.
Considerazioni
pedagogiche: La reciproca relazionalità delle discipline
Perché
ci possa essere un ricordo, deve verificarsi una qualche forma di
apprendimento.
“Ci sono stati dati cinque sensi perché
dobbiamo avere molteplici visioni del mondo in una volta, sempre.”
Anziano Dagara
“Einmal
ist keinmal” : Quello che avviene soltanto una volta è come se non fosse mai
avvenuto. Se l'uomo può vivere solo una vita, è come se non vivesse affatto.”
Milan Kundera, Insostenibile leggerezza
dell’essere
"Discenti che facciano propria la
modalità esistenziale dell'avere udiranno le parole dell'insegnante,
afferrandone la struttura logica e il significato, facendo del loro meglio per
trascrivere ognuna delle parole stesse nel loro quaderno d'appunti, in modo da
poter poi mandare a memoria le annotazioni. Ma il contenuto non diviene parte
del loro personale sistema di pensiero, arricchendolo e dilatandolo; al
contrario, essi trasformano le parole che odono in categorie di idee
cristallizzate o in complicate teorie che comunque immagazzinano passivamente. I
discenti che fanno propria la modalità dell'avere si prefiggono un'unica meta: Mantenere
ciò che hanno sentito, registrandolo esattamente nella propria memoria oppure
conservandone accuratamente le annotazioni. Tali discenti e quanto viene loro
insegnato rimangono estranei, a parte il fatto che ciascuno di essi è divenuto
il proprietario di un insieme di affermazioni fatte da qualcun altro. Essi sono
abituati a non creare qualcosa
di nuovo e mostrano la tendenza a sentirsi turbati da nuovi pensieri o idee su
questo o quell'argomento. Per una persona agli occhi della quale l'avere
costituisce la forma principale di relazione con il mondo, idee che non possano
venire facilmente registrate sono preoccupanti poiché difficilmente gestibili: Il
nuovo mette in questione l'insieme cristallizzato di informazioni che già
possiedono. I discenti che fanno propria la modalità di rapporto con il mondo
incentrata sull'essere anziché essere passivi recipienti di parole e idee,
ascoltano, odono e,
cosa della massima importanza, ricevono e rispondono in maniera attiva,
produttiva. Ciò che ascoltano stimola gli autonomi processi di elaborazione
mentale, provocando in loro il sorgere di nuove domande, di nuove idee, di
nuove prospettive.
Il loro ascoltare è un processo vitale. Odono
davvero quel che l'insegnante dice, spontaneamente si rivitalizzano in risposta
a ciò che ascoltano. Non acquistano semplicemente conoscenze, un bagaglio da
portarsi a casa e mandare a mente. Ognuno di loro è stato coinvolto ed è
mutato. Naturalmente, questa modalità di apprendimento può imporsi solo qualora
l'insegnante offra argomenti stimolanti: vuote chiacchiere non possono trovare,
come risposta, la modalità dell'essere."
Erich Fromm, Avere o essere?, pp. 60-61
La settorializzazione e
l’iperspecializzazione delle discipline ostacolano l’ associazione, la reiterazione
e l’interconnettività:
"La conoscenza oggettiva del mondo
esterno è conseguibile solo in maniera intersoggettiva, cioè da un numero di
individui che si trovano fra loro in uno scambio reciproco di
conoscenze."
Edmund Husserl
Traslitterazione ed adattamento del
pensiero di Edmund Russerl alla tematica della memoria :
“L’ assimilazione di una conoscenza è
conseguibile solo in maniera associativa
, reiterativa ed interconnettiva, cioè nella correlazione reciproca tra
prospettive diverse dello stesso oggetto di conoscenza.”
Secondo questa teoria ciascuna prospettiva
costituisce il suggerimento, nodo concettuale, che agevola il ricordo.
Ciascuna disciplina offre la propria
prospettiva su un oggetto di conoscenza. L’interconnessione tra le discipline,
non la compartimentazione, non la disgiunzione delle discipline, permette l’assimilazione. La matematica e l’informatica sono le
discipline icastiche della complessità:
Le parti e il tutto, il tutto e le parti
tra di loro, la complessità è
perciò il legame tra l’unità
e la molteplicità.
La matematica e l’informatica sono scienze
fondate su principi logici astratti di associazioni di identità di simboli.
La fisica, la chimica . . . sono scienze fondate su principi (non
astratti, poiché tali scienze si relazionano non con l’astratto simbolico,
teorico, ideale bensì con il reale pragmatico) di associazione tra simbolo
astratto ed il relativo significato lessicale fisico, chimico . . .
Le discipline umanistiche sono scienze
fondate su principi (non astratti, poiché tali scienze si relazionano non con
l’astratto simbolico, teorico, ideale bensì con il reale pragmatico) di
associazione di identità di concetti lessicali (le parole).
La letteratura, e la musica si distinguono
in quanto fondanti un legame di conoscenza sensibile tra l’uomo ed il reale:
La letteratura esprime la relazione di
associazione di identità di concetti lessicali (le parole) e la memoria
olfattiva, visiva, uditiva. Esempi:
"Vi sono profumi freschi come carni
di bambini, dolci come oboi, verdi come prati, e altri, corrotti, ricchi e
trionfanti, che hanno l'espansione delle cose infinite, come l'ambra, il
muschio, il benzoino e l'incenso, che cantano i trasporti dello spirito e dei
sensi"
Charles Baudelaire
Non
dimentichiamo che la lettura del titolo di una melodia che è familiare, implica
la memoria uditiva dei suoni associati. Una composizione musicale esprime la
relazione di associazione di simboli astratti (le note musicali) decodificanti
melodie accessibili mediante il senso dell’udito. La lettura di uno spartito
musicale può implicare la relazione di associazione di simboli astratti (le
note musicali) con il ricordo di note ascoltate. (memoria uditiva)
L’osservatore deve comprendere il significato delle note che vede per
decodificarne il ricordo del suono.
La voce di dizionario esprime tale
caratteristica:
Esempio : assimilazióne
=
Processo
di apprendimento, in cui ciò che è studiato diventa parte di sé stessi, facoltà
di far proprî, col ragionamento e col sentimento, concetti, nozioni, opinioni,
o anche dottrine, linguaggi, tecniche, forme d’espressione altrui. | Processo
di percezione o di appercezione in cui un contenuto nuovo è talmente simile a
un contenuto famigliare che i due sembrano quasi identici. All’elemento
lessicale “ assimilazione “ si associa l’elemento lessicale
“Processo di apprendimento, in cui ciò che
è studiato diventa parte di sé stessi, facoltà di far proprî, col ragionamento
e col sentimento, concetti, nozioni, opinioni, o anche dottrine, linguaggi,
tecniche, forme d’espressione altrui. | Processo di percezione o di
appercezione in cui un contenuto nuovo è talmente simile a un contenuto
famigliare che i due sembrano quasi identici.” L’opera Oceano mare, un romanzo
di Alessandro Baricco, è un esempio complesso di questo principio.
! Le relazioni tra simboli astratti,
concetti lessicali sono biunivoche e reciproche.
Importante:
Tali evidenze, esprimendo la compresenza
del medesimo nodo mnemonico concettuale (l’associazione) tra le numerose
discipline, sostengono l’ ipotesi di conciliabilità tra discipline. L’atomizzazione
culturale ♦ è, secondo logica, un fenomeno contro
la natura umana. Tali
questioni esprimono l’inconciliabilità tra la natura della memoria umana ed un
sistema gnoseologico - pedagogico fondato sull’atomizzazione culturale:
Tale sistema non valorizza
l’intelligenza se con essa si intende l’abilità di creare idee, relazionare le
conoscenze (il ragionamento); esso non valorizza memoria riepisodica e la
memoria procedurale.
Sacrifica il ragionamento promuovendo
ampiamente una gnoseologia-pedagogia fondata sulla semplice ed immediata
dislocazione di concetti dettagliati:
lettura => ascolto =>memoria dei dettagli =>scrittura
dettagliata=>precoce amnesia
In tale processo i concetti letti,
ascoltati, ricordati, trascritti ed inesorabilmente dimenticati sono i medesimi
:
Tale processo è limitato in quanto esso
nega la mediazione del discente, la rielaborazione, la codifica e la
decodifica, la composizione creativa dei concetti conosciuti, ovvero ciò che ne
permetterebbe l’assimilazione.
Tale processo culmina con l’amnesia dei
contenuti affrontati in quanto al discente viene richiesta la scrittura
dettagliata dei molteplici concetti dettagliati offerti, viene richiesta la
vana memoria dei dettagli.
A lungo termine ciò che va incontro ad
amnesia e a distorsioni sistematiche è il ricordo dei dettagli più fini.
La memoria conserva a lungo termine il
semplice senso generale. Ricordiamo che le categorie rivestono un ruolo
importante sia come principio di organizzazione che struttura il sistema di
rappresentazione, sia come chiave di recupero delle informazioni e come fonte
di inferenze.
Inferenza (sinonimo
di illazione)
Nel linguaggio filosofico indica ogni
forma di ragionamento con cui si dimostri il logico conseguire di una verità da
un’altra. Le regole d’inferenza in un sistema deduttivo costituiscono l’insieme
delle regole secondo le quali le proposizioni possono essere dedotte dai
postulati.
Sacrifica la rappresentazione di
informazioni di carattere generale, linguistico-simboliche ma anche di natura
non linguistica (le conoscenze) valorizzando estremamente la rappresentazione
di specifici e dettagliati riferimenti spazio-temporali (i ricordi).
Sacrifica il senso generale (duraturo)
promuovendo ampiamente ed esaminando i discenti secondo abilità mnemoniche d’un
elevata quantità di dettagli, che naturalmente vengono immediatamente
dimenticati in seguito all’esame di valutazione. Il ricordo del dettaglio è
fragile perché temporaneo.
conclusione
Tutto quello di cui abbiamo bisogno è
un quadro abbastanza coerente ed accurato delle caratteristiche generali.
Se fossimo continuamente travolti da
un’infinità di ricordi sarebbe altrettanto impossibile vivere che se non
avessimo alcun ricordo.
Un sistema gnoseologico - pedagogico
fondato sull’ atomizzazione culturale attribuisce valore al discente come
“dotto” :
Il pensiero di Friedrich Nietzsce: Il
dotto
Importante argomento a favore della
tesi prima
“Il dotto, che in fondo si limita a
compulsare i libri perde alla fine completamente la capacità di pensare da
solo. Se non compulsa, non pensa. Quando pensa risponde a uno stimolo (un
pensiero letto). Alla fine non fa che reagire passivamente.”
Friedrich Nietzsche
Come un calcolatore:
Il sistema numerico binario è un
sistema numerico posizionale in base 2. Esso utilizza solo due simboli, di
solito indicati con 0 e 1. In informatica il sistema binario è utilizzato per
la rappresentazione interna dell'informazione dalla quasi totalità degli
elaboratori elettronici, in quanto le caratteristiche fisiche dei circuiti
digitali rendono molto conveniente la gestione di due soli valori,
rappresentati fisicamente da due diversi livelli di tensione elettrica. Tali
valori assumono convenzionalmente il significato numerico di 0 e 1 o quelli di
vero e falso della logica booleana.
“Il dotto pone tutta la sua energia nel
dire sì e no, nella critica del già pensato, - egli stesso non pensa più.
Il dotto – un décadent. – l’ho visto
con i miei occhi: nature dotate, ricche e nate per essere libere “ammazzate
dalla lettura” ridotte ormai a fiammiferi, che bisogna strofinare perché diano
scintille – “pensieri” -.
Del resto trovo quasi sempre scampo
negli stessi libri, pochi in fondo, i libri che hanno dimostrato di essere per
me.”
Friedrich Nietzsche
“Un buon lettore, un grande lettore, un
lettore attivo è un "rilettore".” Vladimir Nabokov
"I giovani non sono vasi da riempire
ma fiaccole da accendere" Plutarco
Un
sistema pedagogico fondato sull’ atomizzazione culturale essendo finalizzato alla selezione di
promettenti discenti abili a divenire membri della realtà economico –
lavorativa iperspecializzata diviene in realtà una sorgente d’esempio di
competizione ed umiliazione; un rovinoso veicolo di atomizzazione sociale e
culturale:
Atomizzazione sociale
"Così è stato il nostro primo
incontro con voi. Attraverso i ragazzi che non volete. L'abbiamo visto anche
noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la
tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro la scuola non è più
scuola. E' un ospedale che cura i sani e respinge i malati."
"La scuola ha un problema solo: I
ragazzi che perde."
"Il danno più profondo lo fate agli
scelti. Ogni volta ha visto la sua
pagella migliore di quella dei compagni che ha perso. I professori che hanno
scritto quelle pagelle gli hanno impresso nell'anima che gli altri 99 sono di
cultura inferiore. A questo punto sarebbe un miracolo se la sua anima non ne
sortisse malata."
"Voi volete i poveri muti. Una scuola
che seleziona distrugge la cultura."
Lettera a una professoressa, 1967
Scritto da alcuni ragazzi (Insieme a Don
Lorenzo Milani)
“Vi
sono tante Aurore che non hanno ancora brillato”
iscrizione indiana
L’atomizzazione culturale
Un modello pedagogico fondato
esclusivamente sul metodo logico - analitico che implica la frammentarietà dei
saperi è limitato.
La frammentarietà dei saperi implica
l’indebolimento della percezione della realtà, l’assopimento dell’ intuito del
discente :
Lettura
del capitolo:
L’intuito (innsaei) ed il sentimento
L’insegnamento
della storia (l’insegnamento della condizione umana)
La teoria dell’inconfrontabilità
dell’esperienza
“Alla fine si disse che in realtà era del tutto
naturale non sapere quel che voleva.
Non si può mai sapere che cosa si deve
volere perché si vive una vita soltanto e non si può né confrontarla con le
proprie vite precedenti, né correggerla nelle vite future.
Non esiste alcun modo di stabilire quale
decisione sia la migliore, perché non esiste alcun termine di paragone. L'uomo
vive ogni cosa subito per la prima volta, senza preparazioni. Come un attore
che entra in scena senza aver mai provato. Ma che valore può avere la vita se
la prima prova è già la vita stessa? Per questo la vita somiglia sempre a uno
schizzo. Ma nemmeno “schizzo” è la parola giusta, perché uno schizzo è sempre
un abbozzo di qualcosa, la preparazione di un quadro, mentre lo schizzo che è
la nostra vita è uno schizzo di nulla, un abbozzo senza quadro.
“Einmal ist keinmal” : Quello che avviene
soltanto una volta è come se non fosse mai avvenuto. Se l'uomo può vivere solo
una vita, è come se non vivesse affatto.”
Insostenibile leggerezza dell’essere
La possibilità dell’assimilazione del
passato è la confutazione della teoria dell’inconfrontabilità dell’esperienza:
“Tutti coloro che dimenticano il loro
passato, sono condannati a riviverlo.”
Primo Levi
"I principi essenziali dei maestri di
vita sono semplici:
Scopo supremo della vita di un uomo, dal quale
derivano tutti gli altri, è quello di sviluppare appieno la propria umanità. Questo
processo, nel corso del quale l'uomo partorisce se stesso, porta al benessere
ed è accompagnato da gioia di vivere. L'uomo può raggiungere questo obiettivo
solo nella misura in cui supera l'odio, l'ignoranza, l'avidità e l'egoismo, e
cresce nella propria capacità di amore, solidarietà, razionalità e coraggio. Non
è sufficiente conoscere queste mete: l'uomo deve cercare di raggiungerle
praticamente in ogni stadio della sua vita.
Che senso ha attribuire tutta
quest'importanza ai maestri di vita - qualcuno potrebbe obiettare - quando le
attuali condizioni dimostrano quanto inefficaci siano stati i loro
insegnamenti?
Certo, è vero che si è dato troppo poco
ascolto alla loro voce; eppure, senza di loro, forse l'umanità sarebbe perita
da tempo per mancanza di una guida. La risoluzione del nostro dilemma dipenderà
in larga misura dalla possibilità di ricominciare a imparare da questi maestri
di vita; e non perché essi «incarnino la tradizione», ma perché rappresentano
il sapere consolidato, la saggezza, le conoscenze dell'umanità. Se prendiamo
sul serio il loro punto di vista, ebbene, questo risulta rivoluzionario e
radicale.
La saggezza è una delle interazioni
fondamentali (nodi concettuali fondamentali) ed è il principio dialogico,
permette di vedere la dualità nell’unità, unisce principi che si contrappongono
o si integrano;
Io non sostengo che sia necessario
sottoporsi alle autorità religiose e filosofiche del passato, ma che da loro
bisogna trarre insegnamento. Io esorto a
pensare criticamente, a ridestarsi, a riconoscere che siamo condizionati da
cattivi maestri."
Erich Fromm, (Dal libro L'arte Di Vivere)
"Chi non legge, avrà vissuto una sola
vita, la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c'era quando Caino uccise
Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito, perché la
lettura è un'immortalità all'indietro."
Umberto Eco
"Solo
quelli che si dedicano al conseguimento della Saggezza fanno buon uso del loro tempo e
sono gli unici che vivono veramente perché non solo spendono bene la propria
vita ma vi aggiungono pure l'eternità: infatti oltre agli anni vissuti in prima
persona acquisiscono anche tutto il tempo passato prima della loro nascita. Se
non vogliamo peccare d'ingratitudine verso di loro, dobbiamo riconoscere che i
grandi fondatori di nobili dottrine sono nati per noi, nel senso che ci hanno
preparato la vita. E' merito loro se possiamo pervenire alle più alte verità,
emerse dalle tenebre alla luce."
Seneca , L'Arte Di Vivere A lungo
Il poter “essere bene”, il pensiero ♦ intuitivo ♦
Tesi
seconda
L’atomizzazione
sociale è, secondo logica, un fenomeno contro la natura umana.
“L’obiettivo
è la base della vita umana su questo piano. Ciò che fa è cancellare il senso di
casualità. E così facendo, fornisce una sorta di significato più profondo e di
identificazione dell’essere umano in quanto tale. E in realtà serve a tenere
vivo l’ intuito, perché se ho un obiettivo allora so che non è stato qualcun
altro, la scuola o un’istituzione a dirmi che ho un obiettivo. Il mondo intero
mi sta guardando come un’entità che ha determinazione. Le nostre esperienze
danno una risposta profonda fino alle ossa e se ci allontanassimo
momentaneamente dalla distrazione di questo mondo e da tutte le verità scritte
e che portano agitazione, associate con il mondo esterno, scopriremo delle
risposte impercettibili, sussurrate al nostro orecchio interno e trasportate
dai nostri canali intuitivi. Pertanto, devo entrare in me stesso, attivare il
mio intuito, così che possa formulare l’obiettivo per me.”
Malidoma Somé, anziano dei Dagara
“Poter compiere le proprie inclinazioni, i
propri talenti e le proprie attitudini. Tendere al ben-essere, a patto di
superare la concezione del termine così come genericamente inteso che lo vede
identificato con il molto avere, spesso foriero di mal-essere, per recuperare
una riflessione intorno all’ “arte di vivere” sempre da rinnovare e
reinventare.”
“co
– evoluzione sociale”
“La tranquillità dell’animo ci è procurata
dalla misura nei godimenti e dalla moderazione in generale nella vita: Il
troppo e il poco son facili a mutare e quindi a produrre grandi turbamenti
nell’animo. E quegli animi che sono sempre sballottati tra gli estremi opposti
non sono ben fermi né tranquilli. Si deve, dunque, rivolger la mente alle cose
possibili e contentarci di quello che si ha, poco curandoci delle persone che
vediamo invidiate e ammirate e senza sempre il pensiero dietro a loro; e si
deve guardare piuttosto alla vita che conducono quelli che son carichi di guai,
riflettendo seriamente a quel che essi sopportano, e allora quel tanto che
possediamo presentemente ci apparirà grande ed invidiabile, e non ci accadrà
più di soffrire in cuor nostro per il desiderio di beni maggiori. Difatti, se
uno ammira i ricchi e tutti quelli che dagli altri uomini son stimati fortunati
e ad ogni momento il suo pensiero è rivolto a loro, sarà costretto a cacciarsi
continuamente in cerca del nuovo, e persino a desiderare di compiere qualche
azione irrimediabile, una di quelle azioni che son proibite dalle leggi. Perciò
bisogna non cercare tutto quel che vediamo, ma concentrarci di quel che abbiamo
noi, paragonando la nostra vita con quella di coloro che si trovano in
condizioni peggiori, e stimarci fortunati pensando quanto sopportano essi e
quanto migliore del loro è il nostro stato. E se tu effettivamente ti atterrai
a questo modo di considerare le cose, vivrai con animo veramente tranquillo.e
respingerai da te durante la vita non poche funeste ispiratrici, come
l’invidia,l’ambizione e la malevolenza.”
I Presocratici, Diogene Laerzio
"In una cultura nella quale la meta suprema
sia l'avere - e anzi l'avere sempre più e in cui sia possibile parlare di
qualcuno come una persona che vale unicamente per ciò che possiede, come può
esserci un'alternativa tra avere ed essere? In una cultura nella quale la meta
suprema sia l'avere si direbbe che l'essenza vera dell'essere sia l'avere; che,
se uno non ha
nulla, non è nulla. Il
Buddha insegna che, per giungere allo stadio supremo dello sviluppo umano, non
dobbiamo aspirare ai possessi. E Gesù: «Perché chi vorrà salvare la sua vita, la
perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per me, colui la salverà. Infatti,
che giova all'uomo l'aver guadagnato il mondo intero, se poi ha perduto o
rovinato se stesso?»
(Lc IX, 24-25)
Meister Eckhart insegnava che non avere
nulla e rendersi aperti e «vuoti», fare cioè in modo che il proprio ego non
ostacoli il cammino, costituisce la condizione per il raggiungimento di
ricchezza e forza spirituali.
Marx affermava che il lusso è un vizio
esattamente come la povertà e che dovremmo proporci come meta quella di essere molto, non già di avere molto. (Mi riferisco
qui al vero Marx, all'umanista radicale, non alla sua volgare contraffazione
costituita dal «comunismo» sovietico). Per molti anni sono rimasto
profondamente colpito da questa differenziazione, e sono andato alla ricerca
dei suoi fondamenti e quel che ho visto mi ha indotto alla conclusione che la
differenza in questione, unita a quella tra amore per la vita e amore per la
morte, costituisce il problema assolutamente fondamentale dell'esistenza:
I dati antropologici e psicoanalitici
sembrano dimostrare che avere ed essere sono due modalità fondamentali
dell'esperienza, il rispettivo vigore delle quali determina le differenze tra i
caratteri degli individui e i vari tipi di carattere sociale."
Erich Fromm, Avere o essere?, pp. 39-40
Il
peso opprimente delle apparenze del reale
L’apparire come confronto e competizione
esclude il riconoscimento dell’unicità della persona e valorizza
l’intercambiabilità delle relazioni interpersonali.
Talvolta le persone prediligendo lo spazio
al tempo, avvertono la necessità di imporsi come luogo esistente mettendosi in
vetrina, pubblicizzandosi, ponendosi come prodotto.
Evangelii
gaudium
Il
tempo è superiore allo spazio:
{
“Vi è una tensione bipolare tra la
pienezza e il limite. La pienezza provoca la volontà di possedere tutto e il
limite è la parete che ci si pone davanti. Il “tempo”, considerato in senso
ampio, fa riferimento alla pienezza come espressione dell’orizzonte che ci si
apre dinanzi, e il momento è espressione del limite che si vive in uno spazio
circoscritto. I cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e
la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro
come causa finale che attrae. Da qui emerge un primo principio per progredire:
il tempo è superiore allo spazio. Questo principio permette di lavorare a lunga
scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con
pazienza situazioni difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il
dinamismo della realtà impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza
e limite, assegnando priorità al tempo. Uno dei peccati che a volte si
riscontrano consiste nel privilegiare gli spazi di potere al posto dei tempi
dei processi. Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere
tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi
di potere e di autoaffermazione. Significa cristallizzare i processi e
pretendere di fermarli. Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare
processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li
trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si
tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi e coinvolgono
altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in
importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e
tenaci. A volte mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano
realmente di dar vita a processi, più che ottenere risultati immediati che
producano una rendita facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la
pienezza umana. La storia forse li giudicherà con quel criterio che enunciava
Romano Guardini: « L’unico modello per valutare con successo un’epoca è
domandare fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion
d’essere la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere
peculiare e le possibilità della medesima epoca. Non facciamoci
rubare la speranza,
non permettiamo che
sia vanificata con soluzioni
e proposte immediate
che ci bloccano
nel cammino, che
«frammentano» il tempo,
trasformandolo in spazio.
Il tempo è
sempre superiore allo spazio.
Lo spazio cristallizza
i processi, il
tempo proietta invece
verso il futuro e
spinge a camminare
con speranza. Non essere
ristretti dallo spazio più grande, ma essere in grado di stare nello
spazio più ristretto.
Questa virtù è
la magnanimità, che dalla
posizione in cui
siamo ci fa guardare sempre
l’orizzonte. È fare le
cose piccole di
ogni giorno con
un cuore grande
e aperto agli altri. È
valorizzare le cose
piccole all’interno di
grandi orizzonti.”
}
padre Francesco, evangelii gaudium
Tale necessità dipende dall’esigenza di
autoaffermarsi e di ottenere acclamazione immediata, secondo questo pensiero
l’oggetto, l’immagine, diviene l’alter-ego sacrificabile. L’oggetto come
immagine e prodotto è stabile, è più semplicemente vendibile della persona che
richiede tempo e pazienza per essere conosciuta. E’ un fatto che la misura in cui si immette
nella realtà l’immagine abbia influenze considerevoli sul valore che viene
socialmente attribuito all’apparenza superficiale. Il valore e l’importanza
attribuiti all’apparenza superficiale accreditano la concezione di persona come
immagine, come prodotto e oggetto promuovendo la superficialità e
l’interscambiabilità delle relazioni interpersonali.
Ci
si abitua alla realtà che si vede e
miserevolmente si crede che sia giusta. “La dottrina del Determinismo Materialistico
ha prodotto mutevoli, autogiustificanti, indegni caratteri che sono questo oggi
e saranno quello in un altro momento, qualsiasi cosa e niente per principio.
"Le mie condizioni mi hanno fatto così", piangono, e non c'è di più
da dire; povere immagini riflesse!
E innanzitutto, contro l'accettata formula
del Materialismo moderno, "Gli uomini sono ciò che le condizioni
producono", io stabilisco un'affermazione opposta, "Le condizioni
sono ciò che gli uomini producono". In altre parole, la mia concezione della
mente, o del carattere, non è che sia un inefficace riflesso di una momentanea
condizione di materia e forma, ma un agente modificatore attivo, che reagisce
sul suo ambiente e trasforma le condizioni qualche volta lievemente, qualche
volta molto, qualche volta, sebbene non spesso, totalmente.
È veramente possibile che il lato
esteriore di una creatura umana valga di più del lato interiore?“
Voltairine de Cleyre, L’idea dominante
All’interno di un ospedale ho avuto modo
di leggere l’iscrizione: “L’apparenza non inganna.”
Di
ciò che si rappresenta, di ciò che si è e di ciò che si ha
{
"Di ciò che si rappresenta, dell’
opinione altrui. Ciò che rappresentiamo, o, in altri termini, la nostra
esistenza nell’opinione altrui non ha importanza alcuna per la nostra felicità.
Servendo di base al sentimento dell’onore, questa proprietà può avere
un’influenza salutare sulla buona condotta di moltissime persone, a guisa di
succedaneo della loro moralità; ma in quanto alla sua azione sulla felicità
reale dell’uomo, e soprattutto sulla quiete dell’animo e sull’indipendenza, le
due condizioni sì necessarie alla felicità, essa è piuttosto perturbatrice e
dannosa che favorevole. Si è per questo, che, dal nostro punto di vista, è
prudente metterle un limite e, con saggie riflessioni, moderare questa grande
sensibilità riguardo l’opinione altrui tanto nel caso che carezzi quanto nel
caso che ferisca, in tutti e due pende dal medesimo filo. Altrimenti restiamo
schiavi dell’opinione e del sentimento degli altri:
Sic leve, sic parvum est, animum quod
laudis avarum subruit ac reficit.
(Talmente tenue, talmente piccolo è ciò che
perturba e riconforta un’anima avida di lode).
Per conseguenza un giusto apprezzamento
del valore di ciò che si e in sé stesso e per sé stesso confrontato con ciò che
si è solamente agli occhi altrui contribuirà molto alla nostra felicità. Il
primo termine del confronto comprende quanto riempie il tempo della nostra
esistenza, il contenuto intimo di questa.
Di ciò che si è e di ciò che si ha
Il luogo dove si trova la sfera d’azione
di tutto questo è proprio la coscienza dell’uomo. Invece il luogo di tutto ciò
che siamo per gli altri è la coscienza altrui; è la figura sotto la quale noi
vi appariamo, come pure le nozioni che vi si riferiscono. Ora queste sono cose
che, direttamente, non esistono affatto per noi; tutto ciò non esiste che
indirettamente, vale a dire se non in quanto stabilisce la condotta degli altri
verso di noi. Ed anche questo non entra realmente in considerazione che in
quanto influisce su ciò che potrebbe modificare quello che siamo in noi e per
noi stessi. Ciò posto, quanto succede in una coscienza straniera ci è, a tal
titolo, perfettamente indifferente, e, a nostra volta, noi vi diverremo
indifferenti a misura che conosceremo abbastanza la superficialità e la
futilità dei pensieri, i ristretti limiti delle nozioni, la piccolezza dei
sentimenti, l’assurdità delle opinioni e il numero considerevole di errori che
s’incontra a misura che impareremo per esperienza con qual disprezzo si parla,
all’occasione, di ciascuno di noi quando non si teme o non si crede che lo
sapremo — ma soprattutto allorquando avremo inteso una sol volta con qual
disdegno si parla dell’uomo, il più degno di stima. Comprenderemo allora che
attribuire un alto valore all’opinione degli uomini è far loro troppo onore. In
ogni caso, è proprio esser ridotti ad una meschina risorsa il non trovare la
felicità in ciò che si è non realmente, ma nell’immaginazione altrui. In tesi
generale è la nostra natura che costituisce la base del nostro essere, e per
conseguenza anche della nostra felicità. Sarà dunque molto utile per la nostra
felicità il conoscere per tempo questo fatto così semplice che ognuno vive
anzitutto ed effettivamente nella sua propria coscienza e non nell’opinione degli
altri, e che allora naturalmente la nostra condizione reale e personale, quale
la determinano la salute, il temperamento, le facoltà intellettuali, è cento
volte più importante per la nostra felicita di ciò che piace agli altri fare di
noi.
L’illusione contraria rende infelice.
Esclamare con enfasi:
«L’onore vale più della vita» è dire
realmente: «La vita e la salute sono niente; ciò che gli altri pensano di noi,
ecco l’importante». Tutt’al più questa massima può esser considerata come una
iperbole in fondo alla quale si trova la prosaica verità che per mantenersi e
per andar avanti fra gli nomini, l’onore, vale a dire la loro opinione a nostro
riguardo, è spesso d’un’utilità indispensabile. Quando si vede invece come
quasi tutto ciò che gli uomini cercano durante l’intera loro vita, a prezzo di
sforzi incessanti, di mille pericoli e di mille amarezze, ha per scopo finale
di elevarli nell’opinione altrui; quando si vede che il risultato definitivo a
cui si tende è di ottenere più rispetto da parte degli altri, tutto ciò non
prova, ahimè! se non la grandezza dell’umana follia. Annettere troppo valore
all’opinione altrui è una superstizione universalmente dominante; che essa
abbia le sue radici nella nostra stessa natura, o che abbia seguito la nascita
della società e della civiltà, egli è certo che esercita in ogni caso sulla
nostra condotta un’influenza smisurata ed ostile alla nostra felicità. Possiamo
seguire tale influenza dal punto in cui si mostra sotto la forma d’una
deferenza ansiosa e servile per il che se ne dirà? Il precetto d’aver da tenere
svegliato o stimolato il sentimento dell’onore occupa il posto principale in
ogni ramo dell’arte dell’educazione; ma riguardo alla felicità dell’individuo,
ed è questo che qui ci occupa, succede tutt’altra cosa, e noi dobbiamo dunque
dissuaderci dall’attribuire un valore troppo alto all’opinione altrui. Se
nondimeno, come ce lo insegna l’esperienza, il fatto si presenta ogni giorno;
se ciò che la maggior parte degli uomini stima di più si è precisamente
l’opinione altrui a loro riguardo, e se essi se ne preoccupano più che di
quanto, succedendo nella loro propria coscienza, esiste immediatamente per
loro; se dunque, per un rovesciamento dell’ordine naturale, si è l’opinione
altrui che sembra loro esser la parte reale dell’esistenza, l’altra non
apparendo esserne che la parte ideale; se fanno di ciò che è derivato e
secondario l’oggetto principale, e se l’immagine del loro essere nella testa
degli altri sta loro più a cuore che il loro essere stesso; tale apprezzamento
diretto di ciò che direttamente non esiste per alcuno costituisce quella follia
a cui si è dato il nome di vanità, «vanitas» per indicare con questa parola il
vuoto ed il chimerico di tale tendenza. Si può facilmente comprendere che essa appartiene
alla categoria di quegli errori che consistono nell’obliare lo scopo per i
mezzi, come l’avarizia. Infatti il prezzo che noi annettiamo all’opinione
altrui e la nostra costante preoccupazione a questo riguardo passano quasi ogni
limite ragionevole, talmente che tale preoccupazione può esser considerata come
una specie di mania generalmente diffusa, o piuttosto innata. In tutto ciò che
facciamo, come in tutto ciò che ci asteniamo di fare, noi prendiamo in
considerazione l’opinione altrui quasi prima d’ogni altra cosa, e si è da una
tal cura che in seguito ad un esame profondo vedremo nascere la metà circa dei
tormenti e delle angosce che abbiamo provato. E quante vittime non fa di
frequente! Essa si mostra già nel fanciullo poi in ogni stadio della vita.
Per noi tutti, ben di sovente, le nostre
preoccupazioni, i nostri affanni, le cure angosciose, le nostre collere, le
nostre inquietudini, i nostri sforzi, ecc., hanno in vista quasi interamente
l’opinione altrui.
"Non puoi giudicare nessuno al di là
di quanto conosci di lui; ed è ben poco quel che tu ne conosci."
Khalil Gibran
"Avendo meditato la dolcezza e la
pietà, ho dimenticato la differenza tra me e gli altri."
Milarepa
"La maldicenza rende peggiore chi la
usa, chi la ascolta, e talora anche chi
n'è l'oggetto. "
Cesare Cantù
"Vi diranno che non siete abbastanza.
Non fatevi ingannare, siete molto meglio di quello che vi vogliono far
credere."
"Prendete in mano la vostra vita e
fatene un capolavoro"
Papa Giovanni Paolo II
L’invidia
e l’odio partono egualmente, in gran parte, dalla stessa radice. Il solo mezzo
di liberarci da questa follia universale sarebbe di riconoscerla distintamente
per una follia, e, a tale scopo, renderci conto ben chiaramente fino a qual
punto le opinioni, nelle teste degli uomini, siano in massima parte e molto di
frequente false, storte, erronee ed assurde; quanto l’opinione altrui abbia
poca influenza reale su noi nella maggior parte dei casi e delle cose; quanto
in generale essa sia cattiva, talmente che non vi sarebbe chi non si
ammalerebbe dalla collera se sentisse in che tono si parla e cosa si dice di
lui; quanto infine l’onore istesso non abbia, propriamente parlando, che un
valore indiretto e non immediato.. Se potremo riuscire ad ottenere la
guarigione di questa pazzia generale, guadagneremo infinitamente in calma di
spirito ed in soddisfazione, ed acquisteremo nel tempo stesso un contegno più
fermo e più sicuro, e un portamento molto più sciolto e più naturale.
L’influenza affatto benefica d’una vita ritirata sulla nostra tranquillità
d’animo e sulla nostra soddisfazione proviene in gran parte perché essa ci
sottrae all’obbligo di vivere costantemente sotto lo sguardo altrui e, per
conseguenza, ci toglie la preoccupazione incessante sulla loro possibile
opinione: ciò che ha per effetto di renderci a noi stessi. In tal maniera
sfuggiremo egualmente a molti mali effettivi la cui causa unica è questa
aspirazione puramente ideale, o, per dire più correttamente, questa deplorabile
demenza; ci resterà pure la facoltà di prestare maggior cura ai beni reali. Dalla
follia della natura umana or ora descritta, germogliano ambizione, la vanità e
l’orgoglio. Tra i due ultimi la differenza consiste in ciò che l’orgoglio è la
convinzione già fermamente acquistata del nostro alto valore sotto ogni
rapporto; la vanità invece è il desiderio di far nascere questa convinzione
negli altri e, d’ordinario, colla secreta speranza di poter in seguito
appropriarsela. Così l’orgoglio è l’alta stima di sé, procedente dall’interno,
dunque diretta; la vanità invece è la tendenza ad acquistarla dal di fuori,
dunque indirettamente. Per ciò la vanità rende loquaci, l’orgoglio taciturni. È una gran pazzia perdere all’interno per
guadagnare all’esterno. Noi dobbiamo stimare felici coloro che, guadagnando sé
stessi, guadagnano cosa che ha prezzo. Inoltre come è più felice quel paese che
ha meno bisogno o non ha affatto bisogno d’importazione, così è felice l’uomo a
cui basta la ricchezza interna, e che per la sua felicità non domanda che poco,
od anche nulla, al mondo esterno, non dobbiamo, a nessun titolo, aspettarci
gran cosa dagli altri, e in generale dal di fuori. Ciascuno finisce col restar
solo, e chi è solo? diventa allora la grande questione. Goethe ha detto in
proposito, parlando in modo generale, che in ogni cosa ciascuno, in conclusione,
è ridotto a sé stesso.
(Poesia
e verità, vol. III).
Oliviero Goldsmith dice egualmente:
Intanto da per tutto, ridotti a noi stessi, siamo noi che facciamo o troviamo
la nostra propria felicità. (Il Viaggiatore, v. 431 e seg.) Ognuno deve adunque
essere e fornire a sé stesso ciò che v’ha di migliore e di più importante.
Quanto più succederà così, tanto più per conseguenza l’individuo troverà in sé
stesso le sorgenti dei suoi piaceri, e tanto più sarà felice. Si è quindi con
ragione che Aristotele ha detto: La felicità appartiene a chi basta a sé stesso
(Mor. ad Eudemo, VII, 2).
Colui
che coltiva l’interiorità avrà molto da donare al prossimo.
Tutte le sorgenti esterne della felicità e
del piacere sono di lor natura eminentemente incerte, equivoche, fuggevoli,
aleatorie, quindi soggette ad arrestarsi facilmente pur anche nelle circostanze
più favorevoli, e questo è pure inevitabile, atteso che noi non possiamo averle
sempre alla mano. Anzi, con l’età, quasi tutte fatalmente si esauriscono. A
questo momento, più che mai, è importante sapere ciò che si ha da sé stessi.
Non v’ha che questo, infatti, che resisterà più lungamente. Intanto in ogni
età, senza differenza, ciò è e resta la sorgente vera, e sola permanente della
felicità. Poiché non vi è molto da guadagnare a questo mondo: la miseria ed il
dolore lo empiono, e per quelli che hanno sfuggiti questi mali, la noia è là
che li insidia. Inoltre d’ordinario è la perversità che regna, e la stoltezza
che parla più forte. Il destino è crudele, e gli uomini sono miserabili. In un
mondo siffatto colui che ha molto in sé stesso è simile ad una camera
dell’albero di Natale, illuminata, calda, gaia, in mezzo alle nevi ed ai ghiacci
d’una notte di dicembre. La saggezza è buona e ci aiuta a rallegrarci alla
vista del sole (7, 12).
“La saggezza nella vita, cioè intendo con
ciò l’arte di rendere la vita quanto meglio è possibile piacevole e felice agli
altri ed a noi stessi.
Questa potrebbe a sua volta essere
definita una esistenza che, considerata dal punto di vista puramente esteriore,
preferibile alla non-esistenza.”
Arthur Schopenhauer
La
saggezza è una delle interazioni fondamentali ed è il principio dialogico,
permette di vedere la dualità nell’unità, unisce principi che si contrappongono
o si integrano;
“Non fare agli altri quel che non vorresti
fosse fatto a te” è uno dei principi etici più fondamentali. Ma sarebbe
ugualmente giustificabile asserire: tutto ciò che fai agli altri lo fai pure a
te stesso”
Erich Fromm
È una gran pazzia perdere all’interno per
guadagnare all’esterno.
La felicità consiste nell’esercitare le
proprie facoltà in lavori capaci di risultato; egli spiega pure che si indica ogni facoltà non comune.
La sensibilità, forza fisiologica
fondamentale si esercita senza scopo.
I piaceri della sensibilità sono gli atti
del contemplare, pensare, sentire, creare nella poesia o nell’arte plastica,
far musica, studiare, leggere, meditare, inventare.
Ciascuno comprenderà che il piacere
nostro, motivato costantemente dall’impiego delle nostre proprie forze, come
pure la nostra felicità, risultato del frequente rinnovarsi di questo piacere,
saranno tanto più grandi quanto più la forza produttrice sarà di nobile specie.
Il primo posto, sotto questo rapporto, tocchi alla sensibilità il cui
predominio deciso stabilisce la distinzione tra l’uomo e le altre specie
animali. Alla sensibilità appartengono le nostre forze intellettuali; ed è per
ciò che il suo predominio ci rende atti a gustare i piaceri che hanno sede
nell’intelletto, i piaceri dello spirito; piaceri che sono tanto più grandi
quanto il predominio della sensibilità è più accentuato. L’uomo normale, l’uomo
ordinario non può prendere vivo interesse ad una cosa se questa non eccita la
sua volontà, se non gli presenta un interesse personale. Ora ogni eccitamento
persistente della volontà è, per lo meno, di natura mista, quindi combinato col
dolore.”
Arthur Schopenhauer
Il
concetto di assimilazione
assimilazióne s. f. [dal lat. assimilatio
(o assimulatio) -onis, der. di assimilare «assimilare»]. – Processo di
apprendimento, in cui ciò che è studiato diventa parte di sé stessi, facoltà di
far proprî, col ragionamento e col sentimento, concetti, nozioni, opinioni, o
anche dottrine, linguaggi, tecniche, forme d’espressione altrui. | Processo di
percezione o di appercezione in cui un contenuto nuovo è talmente simile a un
contenuto famigliare che i due sembrano quasi identici.
“La mente umana è un prodigio. Una volta
che ha ♦
assimilato ♦una nuova
idea si estende per sempre e non tornerà più alle sue originali dimensioni. Non
ha limiti. Nessuno è riuscito a indovinare il potenziale massimo. Ciò
nonostante molti passano l'intera loro vita a tracciarne i confini e a porvi
limiti. I bambini in tutta la loro innocenza non hanno ancora imparato a
limitarsi e quindi si protendono istintivamente e allegramente per imparare, e
così dovremmo fare tutti.”
Leo Buscaglia
La relazione di familiarità è una delle interazioni fondamentali:
La saggezza è una delle interazioni
fondamentali ed è il principio dialogico, permette di vedere la dualità
nell’unità, unisce principi che si contrappongono o si integrano;
il principio ricorsivo, secondo il quale
il feedback rompe l’idea di linearità e introduce a causalità circolare, per
cui le cause producono effetti e gli effetti sono ause di altri effetti;
La relazione di familiarità è una delle
interazioni fondamentali ed è il principio ologrammatico, secondo il quale il
tutto è iscritto nella parte e la parte nel tutto, superando così la visione
riduzionistica, che vede solo le parti e la visione olistica che vede solo il
tutto.
Il metodo sintetico è il fondamento dell’
assimilazione.
Perché fino ad oggi hanno insegnato agi
uomini a compartimentare, a disgiungere, a separare, a non collegare le
conoscenze dei vari ambiti disciplinari, sia umanistici e artistici che offrono
una riflessione sull’uomo, il suo destino, i suoi problemi, sia scientifici,
rivolti alle continue scoperte, a nuove teorie, al continuo sviluppo della
scienza. Il continuo separare i saperi porta alla specializzazione e la
specializzazione rompe la relazione tra il tutto e la parte e la parte e il
tutto, quindi limita la visione della realtà complessa e alimenta l’iperspecializzazione
conseguenza della specializzazione. L’ iperspecializzazione e la
compartimentazione implicano l’analisi della realtà che si vuole conoscere; L’atomizzazione,
l’iperspecializzazione e la compartimentazione e la selezione analizzano assiduamente
le relazioni della realtà e, logicamente, escludono la sintesi della realtà che
si vuole conoscere; ne consegue una
unica conoscenza superficiale,
frammentata, caotica della realtà, la realtà si percepisce come un non – sense
caotico; ne consegue la cecità nei
confronti della possibilità di vedere l’esistenza del sense della realtà; ne
conseguono la paralisi, l’adattamento sistematico e l’alimentazione delle
dinamiche analitiche.
La corruzione della memoria :
Il vile atto interessato di ingannare,
inquinare coltivando l’altrui campo con non – verità (verità false o parziali),
coloro che non possiedono gli strumenti per diffidare (riconoscere l’illusione
dietro al dono dell’oro), per riconoscere il danno subìto e per sanarlo:
esempi:
Il lavoro rende liberi : Il messaggio
posto all'ingresso di numerosi campi di concentramento.
La scritta assunse nel tempo un forte
significato simbolico, sintetizzando e falsità dei campi di concentramento, nei
quali i lavori forzati, la condizione disumana di privazione dei prigionieri e
sovente il destino finale di morte, contrastavano con il significato opposto
del messaggio stesso. La frase è tratta dal titolo di un romanzo del 1872 dello
scrittore tedesco Lorenz Diefenbach, e venne usata per la prima volta a Dachau,
nel 1933, nel campo di concentramento che vi fu costruito.
"Perché è così facile darci una pistola e così difficile darci un
libro?
Che sia l'ultima volta che una bambina è
costretta a sposarsi. Che sia l'ultima volta che un bambino innocente muore in
guerra. Che sia l'ultima volta che una classe resta vuota. Che sia l'ultima
volta che a una bambina viene detto che l'istruzione è un crimine, non un diritto. Che sia l'ultima
volta che un bambino non può andare a scuola. Diamo inizio a questa fine. Che
finisca con noi. Costruiamo un futuro migliore proprio qui, proprio ora."
Malala Yousafzai
diàvolo s. m. [dal lat. tardo, eccles., »
(«gettare attraverso, separare, porre
barriera, porre frattura, calunniare»), adoperato nel gr. crist. per tradurre
l’ebr. śāṭān «contraddittore, oppositore»].
La sintesi ordinata dei frammenti della
realtà è la risoluzione del non – sense della realtà.
Ricordiamo che la stabilità delle
proprietà dei sistemi, è dovuta all’ interazione continua, perciò se si deve
fare un intervento in un sistema non si può fare sugli elementi, ma si deve
fare sulle interazioni per evitare che smettano di interagire e diventino
insiemi.
Intuito e creatività
La concezione organicista è definita da un
approccio sistemico (complesso)– intuitivo ed implica Creatività.
Il concetto introdotto dalla fisica
moderna “variabile” è simbolo del ruolo costruttivista dell’osservatore.
“E
innanzitutto, contro l'accettata formula del Materialismo moderno, "Gli
uomini sono ciò che le condizioni producono", io stabilisco
un'affermazione opposta, "Le condizioni sono ciò che gli uomini producono".
In altre parole, la mia concezione della
mente, o del carattere, non è che sia un inefficace riflesso di una momentanea
condizione di materia e forma, ma un agente modificatore attivo, che reagisce
sul suo ambiente e trasforma le condizioni qualche volta lievemente, qualche
volta molto, qualche volta, sebbene non spesso, totalmente.”
L’idea dominante, Voltarine de Cleyre
La concezione meccanicista è definita da
un approccio logico - analitico ed implica frammentarietà.
“Il nostro moderno insegnamento è che le
idee sono solo fenomeni contingenti, impotenti a determinare le azioni o le
relazioni della vita, come l'immagine nel vetro che dicesse al corpo che
riflette: "Io modellerò te". In verità sappiamo che non appena il
corpo si allontana dallo specchio, l'immagine passeggera è inesistenza; ma il
corpo reale ha la sua esistenza da vivere, e vuole viverla, noncurante delle
svanite illusioni di sé, in risposta alla pressione sempre mutevole di cose
esterne. È così che la cosiddetta Concezione Materialistica ci fa guardare al
mondo delle idee – mutevoli, irreali immagini riflesse, aventi niente a che
fare con la determinazione della vita degli Uomini, ma come molte parvenze
totalmente inefficaci ad intervenire sul corso delle cose materiali. La mente
per essa è in se stessa uno specchio vuoto. Io penso che questo categorico
determinismo della materia sia un grande e deplorevole errore.
I nostri giovani, animati dallo spirito
degli antichi maestri che credevano nella supremazia delle idee nel loro
entusiasmo anticipano il vangelo delle Condizioni per significare che molto
presto la pressione dello sviluppo materiale deve abbattere il sistema sociale
– essi danno la cosa corrotta al punto da durare solo pochi anni, e allora essi
stessi saranno testimoni della trasformazione, parteciperanno delle sue gioie.
Tale è la mia utopia. I pochi anni
svaniscono e niente accade; l'entusiasmo si raffredda. Guardate i nostri
giovani, questi stessi idealisti, ora sono intelligenti uomini d'affari di
successo, professionisti, possessori di proprietà, leader finanziari, insinuatisi
nei ceti sociali che una volta disprezzavano, stare miserabilmente,
spregevolmente dietro a qualche personaggio senza denaro cui avevano prestato
dei soldi, o fatto qualche servigio professionale gratis; guardateli mentire,
truffare, adulare, comprare e vendere se stessi per qualsiasi cianfrusaglia,
qualsiasi piccola pretesa a buon mercato. L'Idea Sociale Dominante si è
impadronita di loro, le loro vite in essa sono inghiottite; e quando chiedete
per quale ragione, vi dicono che le Condizioni li hanno costretti a fare così.
Se gli citate le loro menzogne, sorridono con tranquilla compiacenza di sé, ti
assicurano che quando le Condizioni pretendono menzogne, le menzogne sono molto
di più rispetto la verità, che gli espedienti sono qualche volta più efficaci
che la condotta onesta, che l'adulazione e l'inganno non importano se lo scopo
da ottenere è allettante, e che nelle attuali Condizioni la vita non è
possibile senza tutto questo; che si è sul punto di rendere possibile che in
qualsiasi momento le Condizioni facciano più facile dire la verità che mentire,
ma fino a quel momento un uomo deve fare attenzione a se stesso, sicuro! E così
il cancro va avanti a corrompere e l'uomo diventa incarnazione della bancarotta
morale generata dal Culto delle Cose. Tale è la realtà, la forza e l’influenza
corruttrice delle Condizioni. Sono sicura che nel mezzo di tutto ciò che la
viva intelligenza della storia ha creato, ci fossero quelli che andavano in
giro con occhi bassi, non gradendo niente di tutto ciò che vedevano, cercando
qualche più elevata rivelazione, disponibili ad abbandonare le gioie della
vita, pur di avvicinarsi a qualche lontana e sconosciuta perfezione di cui i
loro compagni non sapevano. Sono certa che nei secoli bui, quando la maggior
parte degli uomini pregava e si umiliava, cercavano di ottenere le risposte
dell'universo ai loro interrogativi, con la perseverante, quieta ricerca che
divenne la Scienza Moderna. Sono sicura che c'erano centinaia di migliaia di
loro, di cui noi non abbiamo mai sentito parlare. I nostri giovani, fossero
cresciuti con una concezione della vita meno materiale, non fosse stata
corrotta la loro volontà dal ragionamento intellettuale su ciò che è fuori
della loro esistenza, dalla loro accettazione della loro propria inesistenza,
le aspirazioni altruiste dei loro anni giovani si sarebbero sviluppate e
sarebbero state rafforzate dall'esercizio e dall'abitudine; e la loro protesta
contro l'epoca poteva essere scritta durevolmente, e per qualche scopo.” Cosa,
allora, avrei? voi chiedete. Avrei uomini che investono se stessi con la
dignità di uno scopo più alto della caccia alla ricchezza, che scelgono una
cosa da fare nella vita al di fuori della produzione di cose, e se ne ricordano
– non per un giorno, non per un anno, ma per tutta la vita. E allora tengono
fede a se stessi! Voi uomini onesti e benevolenti che avete il coraggio di
investire in voi stessi, voi che avvalorate il lato interiore delle creature
umane, voi che state andando per la retta via predicate la retta e stretta via.
Voi uomini onesti e benevolenti che avete il coraggio di investire in voi
stessi, voi che avvalorate il lato interiore delle creature umane, voi che
state andando per la retta via predicate la retta e stretta via. Alla fine
della vita potrete chiudere gli occhi dicendo: "Io non sono stato dominato
dall'Idea Dominante della mia Epoca; ho scelto la mia propria fedeltà e l'ho
servita. Ho dimostrato con una vita che c'è in un uomo ciò che lo salva dalla
tirannia assoluta delle Condizioni, che infine conquista e rimodella le
Condizioni, il fuoco immortale della Volontà Individuale, che è la salvezza del
Futuro".
Abbiamo Uomini, Uomini che vogliano dire
una parola alle loro anime e mantenerla – mantenerla non quando è facile, ma
mantenerla quando è difficile – mantenerla quando la tempesta imperversa e c'è
un cielo venato di bianco e prima un tuono azzurro, e gli occhi sono accecati e
le orecchie assordate dalla guerra di cose contrarie; e mantenerla sotto il
cielo a lungo plumbeo e la grigia depressione che mai si dirada. Resistete fino
all'ultimo: è ciò che significa avere un'Idea Dominante, che le Condizioni non
possono spezzare. E tali uomini create e annientate le Condizioni. “
L’idea dominante, Voltarine de Cleyre
Intuito (innsaei) ed il sentimento
“Viviamo nelle nostre teste e non con le
emozioni? E se così, in che modo influenza le nostre vite?”
Hrund Gunnsteinsdottir
“Guardati, guarda intorno a noi. Ci sono
persone infelici, siamo totalmente sconnessi dal cervello e dal corpo. Così
tante persone vivono nelle loro teste e non vivono con le emozioni. E
dev’esserci qualcosa di profondamente sbagliato.”
Marina Abramovic
“Diedi tutto ciò che avevo. Ma il mio
problema era che non conoscevo i miei limiti. Non sapevo come gestire i traumi
e la sofferenza che mi circondavano. Repressi quelle emozioni e continuai a
costringermi a fare meglio. Se a quel tempo mi avessero detto che vivevo solo
nella mia testa e non con le mie emozioni non avrei saputo di cosa si parlava.
E onestamente, non avrei ascoltato. Raggiunsi uno stato in cui ero totalmente
disconnessa da me stessa, da essere costretta a pensare di nuovo. Mi sentivo
come un’osservatrice esterna della mia vita. Sentivo come se non riuscissi più
a respirare.
Il mondo sta cambiando così velocemente. E
siamo bloccati nei nostri modi vecchi di fare le cose.”
Hrund Gunnsteinsdottir
“Siamo degli esseri complicati. Siamo
mente, corpo, spirito. E quando sentiamo la pressione, tendiamo a focalizzarci
solo sulla mente razionale e ci chiudiamo in noi stessi. Se non riusciamo a
vedere dentro noi stessi, non possiamo usare le nostre grandi capacità e non
lasceremo mai fluire il nostro intuito. Credo che al più alto livello, tutte le
decisioni siano intuitive. Negli ultimi 20, 25 anni abbiamo visto l’influenza
del pensiero razionale che ha dominato le nostre istituzioni accademiche, ha
dominato i media e ha allontanato la capacità di migliorare veramente le
abilità intuitive. Ma penso che ora, per la prima volta, stiamo iniziando a
capire che i problemi non migliorano affatto, perciò si deve fare un passo
indietro e usare un approccio nuovo per questi problemi. Una delle recenti
sfide che abbiamo dovuto affrontare è che se si usa interamente questo lato
razionale concentrando tutto su valutazioni a breve termine e usando strumenti
analitici, in questo modo eliminiamo, cancelliamo la creatività dalle nostre
società.”
Noi pensiamo molto con l’emisfero
sinistro, con la parte logica. Ma l’intuito è costruito su una base di
esperienze, quindi cresce nel tempo. L’ intuito permette al lato creativo del
cervello di fluire, così da pensare in modo creativo riguardo al mondo e al
modo di vedere le cose, così da essere in grato di gestire una serie di
pensieri disparati e metterli insieme in una sorta di luogo integrativo. Ed è
da qui che penso che derivino le grandi decisioni e le grandi idee. Oggigiorno
affrontiamo le sfide della povertà, della sovrappopolazione, del nostro
ambiente, dell’energia, dell’istruzione, della guerra, della salute globale.
Questi problemi sono ingestibili ed esistono da molto tempo. Perché? Perché non
abbiamo messo insieme idee di discipline diverse. Se si cerca di risolvere il
problema nello stesso modo in cui si è fallito, la storia si ripete . Se si prova a eliminare la guerra
facendo tutto ciò che si è fatto negli ultimi 200 anni, si continueranno ad
avere altre guerre.”
Bill George, Harvard University, Boston
“I
nostri cervelli si evolvono di continuo a seconda di come ci sentiamo, pensiamo
e sulla base delle nostre esperienze. Questo influisce su come costruiamo la
nostra conoscenza e sul nostro comportamento. Ma oggi siamo bombardati da
informazioni e distrazioni in continuazione. Come può l’ intuito aiutarci a
percepire il mondo e i nostri posti più saggiamente?”
Hrund Gunnsteinsdottir
I
pensieri seguenti rappresentano importanti argomenti a sostegno della tesi
prima
“Il nostro mondo è un insieme di frammenti
ed è difficile vederne una logica d’insieme. Abbiamo perso quella comprensione
che ci permetteva di vedere il significato delle cose, perciò quella ♦ saggezza ♦ è stata sostituita e frammentata in
conoscenza e la conoscenza è stata sostituita e frammentata in informazione, da
pezzi di dati, pezzettini di dati.”
Iain McGilchrist
!
A lungo termine ciò che va incontro ad amnesia e a distorsioni sistematiche è
il ricordo dei dettagli più fini.
La
memoria conserva a lungo termine il semplice senso generale. Se fossimo
continuamente travolti da un’infinità di ricordi sarebbe altrettanto
impossibile vivere che se non avessimo alcun ricordo.
La proposizione 1. dimostra che la
proposizione 2. non è ipotetica bensì reale ed attuale.
L’atomizzazione culturale è, secondo
logica, un fenomeno contro la natura umana perché inibisce il sistema psichico
umano.
Definizione psicanalitica di inibizione:
Fenomeno che ostacola la normale
esplicazione delle funzioni psichiche ≈
blocco.
Le funzioni psichiche sono l'attenzione,
la percezione, la coscienza, il pensiero, la critica, il ragionamento, la
memoria, l'intelligenza, l'affettività, l'istintualità, la volontà,
l'inconscio.
“La
saggezza è una delle interazioni fondamentali (nodi concettuali fondamentali)
ed è il principio dialogico, permette di vedere la dualità nell’unità, unisce
principi che si contrappongono o si integrano;
Per ragioni di evoluzione, abbiamo dovuto
essere in grado di prendere parte al mondo in due modi diversi. Ci relazioniamo
col mondo in generale… ma allo stesso tempo dobbiamo manipolarlo. E ci servono
entrambi questi approcci al mondo, quello ristretto e quello generale, aperto,
costante e vigile. Queste sono le differenze basilari tra l’emisfero sinistro e
l’emisfero destro. Credo che, nel corso del tempo, il problema sia stato che
l’approccio mirato e ristretto, che in realtà non vede il quadro completo abbia
iniziato a prendere il controllo e abbiamo cominciato a credere che fosse
l’unico modo di guardare il mondo.”
Iain
McGilchrist, London
“Amo ciò che dicono gli anziani Dagara,
dicono che ci sono stati dati cinque sensi perché dobbiamo avere molteplici
visioni del mondo in una volta, sempre.
È
la consapevolezza qui e ora nel mondo ed è tutto.
In generale, le persone moderne, non sono
affatto in contatto con l’intuito. Non sono in contatto con il modo in cui
conosciamo le cose. Ci siamo dimenticati come avere consapevolezza del mondo
che ci circonda, dei sensi e di tante altre dimensioni della vita. Il 98
percento del nostro cervello non usa il linguaggio, la logica, la fede o la
strategia. Crea queste cose per noi ma non le usa. I neuroscienziati la
chiamano ‘mente razionale’, la quale è in relazione e crea relazioni tra i
dati. L’altro 2 percento, la mente lineare, riceve ciò che crea quel 98
percento ed agisce. Sempre ed ovunque è possibile portare la consapevolezza
alla propria intelligenza percettiva, percepire veramente il mondo.”
Marti Spiegelman
“L’intuito è la consapevolezza delle sottigliezze che
risiedono fuori dal centro dell’attenzione. Le sottigliezze di cui siamo
consapevoli subconsciamente, inconsciamente. E se passiamo troppo tempo in
questo stato in cui la nostra mente cosciente è molto concentrata non capiremo
perché l’intuito dovrebbe essere importante. Non sembra essere presente, non
sembra essere importante, pertanto viene eliminato. Ma nel fare così eliminiamo
molto di ciò che sappiamo perché una minima parte dei nostri processi sono
consci, la maggior parte, almeno il 95 percento, forse persino il 99 percento,
non sono affatto consci. Agiscono per avvertirci di cose di cui la nostra mente
cosciente, la quale è piuttosto lenta, non si accorgerebbe. Pertanto, spesso, implicano
sottigliezze, piccolezze. Ad esempio si può incontrare una persona senza sapere
il perché. Questa persona sembra incredibilmente amichevole, dà messaggi che
invitano a fidarsi di lei, ma a un certo punto si pensa: “C’è qualcosa che non
va”. Non si può sapere esattamente cosa sia. E, naturalmente, ci si può
sbagliare. Molto spesso si percepisce qualcosa di molto importante perché
quando comunichiamo, molta della nostra comunicazione non è affatto esplicita.
Nel tono della voce, nei significati impliciti, nelle gestualità, negli sguardi
e nella scelta delle parole, nelle metafore, nell’umorismo, nell’ironia, e così
via. Quindi l’intuito è in contatto con queste cose, ed escluderlo, significa
perdersi, molte cose sagge che potremmo
conoscere.”
Iain McGilchrist, London
L’iperspecializzazione
è una delle cause dell’atomizzazione:
L’iperspecializzazione comporta anche un
imperativo etico, in quanto l’uomo limita il proprio senso di responsabilità
soltanto a ciò che accade nel proprio specifico ambito scientifico, dato
l’indebolimento della percezione della realtà, l’assopimento dell’intuito:
Così come accade per il senso di
responsabilità non più inteso in senso globale:
Apprendere
un’etica planetaria
“La Madre Terra è un simbolo dell’utero
generoso che offre nutrimento, vita e vitalità a tutti coloro che la abitano.
In realtà, la Natura è la testimone silenziosa dell’intuito, la Natura parla
tutte le lingue. La Natura è interessata al terzo occhio, all’orecchio
interiore, alla capacità interiore di creare senso da qualcosa che la coscienza
interna potrebbe considerare caotico. Senza la Natura, non so come possiamo
risuscitare il nostro intuito. Cosa succederebbe se gli occidentali dessero un
po’ di fiducia al potere dell’intuito? Permettere al loro intuito di essere la
piattaforma sulla quale connettersi con il loro passato, con il loro presente e
il loro futuro.
La gente oggigiorno perde il presente: Ciò
che blocca la nostra connessione in questo mondo è il rumore – molto rumore.
Distrazione. Lo chiamano intrattenimento. Il rumore del mondo esterno
ammutolisce il suono del mondo interno, pertanto il nostro intuito ne paga il
prezzo. È un dato di fatto. La verità è
che la nostra disconnessione con la Terra si traduce in una sorta di mancanza
di rispetto verso il sesso femminile.
Quanto si può
andare lontano nel violare la madre che ti ha dato la vita? Fintanto che le
donne vengono sminuite la connessione tra noi e la terra sarà sempre
evidenziata da un grande punto di domanda. Abbiamo abusato talmente tanto della
terra che non sappiamo in che direzione andare. Dobbiamo chiederci quale sia la
connessione tra questa mascolinità crescente che viene tradotta in termini di
violenza ripetuta o di amore per essa.”
Malidoma Somé, anziano dei Dagara
Il concetto
di reciprocità e l’atomizzazione sociale
"Vivere
insieme è un'arte." Thích Nhất
Hạnh
La
reciprocità dell'esempio etico:
Infatti l’uomo dimentica di essere fragile
e di avere bisogno dell’altro e l’altro di lui.
"Ci si sente cacciati via ogni volta
che si sente chiudere la porta a chiave. Perché qui si muore tranquillamente
senza che nessuno si accorga.
“Ma dov'è la società? L'altro dov'è?
Vogliono denaro, vogliono l'equivalente di
quello che ti danno. E non hanno mai pensato, che per esempio, danno una cosa,
e ricevono in cambio amore? Questo non interessa.
Dice molto bene Madre Teresa di Calcutta:
L'indifferenza è peggiore della colpevolezza. È più giustificabile l'assassino
di colui che fa finta di non vedere, di non capire e lascia morire in un disagio
d'amore, in un disagio d'ambiente, una persona che vorrebbe fare qualcosa di
bello nella vita. "
Alda Merini
“Sfuggire
al circolo vizioso delle umiliazioni, per trovare il circolo virtuoso del
riconoscimento reciproco.”
Edgar Morin
“Dovunque
nell'ossatura delle morte società, come nelle conchiglie del limo marino,
vedremo la forza di un'azione che ha uno scopo, di un'intenzione all'interno
che sostiene il suo proposito contro gli ostacoli all'esterno.
Io credo che non ci sia uno nel mondo che
possa alzare lo sguardo sul volto risoluto, che guarda fisso lontano, di una
scultura egizia, o leggere una descrizione dei monumenti dell'Egitto, senza
sentire che l'idea dominante di quel popolo in quell'epoca era di essere
duraturo, di produrre cose durature, con l'immobilità del loro cielo calmo e
silenzioso su di loro e lo sguardo fisso del deserto in loro. Uno deve sentire
che, qualunque altra idea li animasse e rappresentasse loro stessi nelle loro
vite, questa era l'idea dominante. Ciò che era doveva rimanere. Finché nella
pienezza dei tempi sparì: e tuttora la forma di granito di essa guarda fisso
con occhi vuoti attraverso il mondo, austero vecchio ricordo della Cosa che fu.
Io credo che nessuno possa alzare lo
sguardo sulle sculture marmoree, in cui il genio greco ha elaborato la
figurazione della sua anima, senza avvertirne l'idea dominante: L'Attività e la
bellezza e la forza di essa. Il Mutamento, rapido, il Mutamento sempre in
movimento! La creazione delle cose e il loro scarto, come i bambini gettano via
i loro giocattoli, non interessati del fatto che questi dureranno, cosicché
essi stessi realizzano un'incessante attività. Piene di potere creativo.
Così c'era una processione senza fine di
forme che mutavano nelle loro scuole, nelle loro filosofie, nelle loro
tragedie, nei loro poemi, finché non finì in ultimo con l'esaurirsi. Ed il
prodigio sparì dal mondo. Ma tuttora le loro sculture in marmo durano per
mostrare quale sorta di idee li dominasse.
E se volessimo conoscere quale idea
principale regolasse la vita degli uomini quando il periodo medioevale ha avuto
il tempo di farla maturare, si dovrebbe soltanto ai giorni nostri vagabondare
in qualche pittoresco villaggio inglese fuori mano, dove una possente antica
chiesa turrita ancora si erge al centro di piccoli villini coperti di paglia.
Dovunque l'esaltazione di Dio e lo sminuire l'Uomo: la chiesa così incombente,
la casa così piccola. La ricerca dello spirito, della cosa durevole (non
l'insufficiente resistenza del granito che nei secoli si sgretola, ma
quell'eterna), l'eterno.
Tale era l'idea dominante dell'età
medioevale che è stata troppo maledetta dai modernisti. Perché gli uomini che
costruirono i castelli e le cattedrali, erano uomini di imponenti opere,
sebbene non abbiano prodotto libri, e sebbene le loro anime stendessero ali
menomate, a causa dei loro veri e propri sforzi di elevarsi troppo in alto. Lo
spirito della volontaria subordinazione per la realizzazione di una grande
opera, che proclamasse l'aspirazione della comune anima – che era lo spirito
insito nelle pietre delle cattedrali e che non è totalmente da condannare.
Se ora ci guardiamo attorno per vedere
quale idea domina la nostra civiltà, non so se anch'essa sia così attraente.”
L’idea dominante, Voltarine de Cleyre
l’idea
che domina la civiltà contemporanea è l’atomizzazione (sociale e culturale)
Ero andata a San Francisco perché non
riuscivo a lavorare da mesi, paralizzata dalla convinzione che scrivere
fosse un atto irrilevante. Che il mondo che conoscevo non esisteva più e per la
prima volta mi ero confrontata in modo diretto ed inequivocabile con la prova
tangibile dell'atomizzazione. La dimostrazione che le cose cadono a pezzi.
Joan Didion
“Voi uomini onesti e benevolenti che avete il
coraggio di investire in voi stessi, voi che avvalorate il lato interiore delle
creature umane, voi che state andando per la retta via predicate la retta e
stretta via.
Alla fine della vita potrete chiudere gli
occhi dicendo: "Io non sono stato dominato dall'Idea Dominante della mia
Epoca; ho scelto la mia propria fedeltà e l'ho servita. Ho dimostrato con una
vita che c'è in un uomo ciò che lo salva dalla tirannia assoluta delle
Condizioni, che infine conquista e rimodella le Condizioni, il fuoco immortale
della Volontà Individuale, che è la salvezza del Futuro".
Abbiamo Uomini, Uomini che vogliano dire
una parola alle loro anime e mantenerla – mantenerla non quando è facile, ma
mantenerla quando è difficile – mantenerla quando la tempesta imperversa e c'è
un cielo venato di bianco e prima un tuono azzurro, e gli occhi sono accecati e
le orecchie assordate dalla guerra di cose contrarie; e mantenerla sotto il
cielo a lungo plumbeo e la grigia depressione che mai si dirada. Resistete fino
all'ultimo: è ciò che significa avere un'Idea Dominante, che le Condizioni non
possono spezzare. E tali uomini create e annientate le Condizioni. “
L’idea dominante, Voltarine de Cleyre
Tesi
seconda
L’atomizzazione
sociale è, secondo logica, un fenomeno contro la natura umana.
Argomento
:
Conflitto e reciprocità
Di Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese
Premessa:
Questo testo si comprende meglio alla luce
di quanto sviluppato nei libri di
Zygmunt Bauman, Àgnes Heller, La bellezza
(non) ci salverà, Il Margine, 2015
G.P. Di Nicola, Uguaglianza e differenza.
La Reciprocità Uomo Donna, Città Nuova, Roma 1988; ID., Il Linguaggio della Madre, Città Nuova,
Roma 1991. Per quanto riguarda i concetti di persona e personalismo, rimandiamo
ad A.Danese, Unità e Pluralità. Mounier e il ritorno della persona, Città
Nuova, Roma 1984; ID. (A cura di), La questione personalista, Mounier e
Maritain nel dibattito per un nuovo umanesimo, Città Nuova, Roma 1986; ID.,
Persona e Sviluppo. Dibattito interdisciplinare, Dehoniane, Roma 1991; ID.,
Persona ed Educazione, Effatà, Torino 2001.
È opinione condivisa che una delle
rivoluzioni più significative della nostra epoca sia quella portata avanti
dalle donne che hanno cambiato il volto della famiglia e della società, in un
iter storico che corre parallelamente al sorgere della modernità. Il movimento,
reazione pendolare al rapporto diseguale e maschilista tra i generi, si
potrebbe meglio definire come la lotta contro l’antifemminismo.
Il concetto di femminismo:
“Nel mercato delle proposte culturali la
parola femminismo, indica la denuncia di una realtà di sfruttamento e
oppressione della donna (funzione critica e di denuncia), ma indica anche la
volontà di eliminare le cause della marginalità delle donne nel sistema
politico, familiare, economico, educativo, e quindi ha un’ambizione costruttiva
di condizioni egualitarie (funzione utopica), talaltra esprime una riflessione
sul senso del genere femminile in sé (per la costruzione di una identità
autopoietica), come nella cosiddetta cultura della differenza. Quando il
termine è associato a concetti di ‘liberazione sessuale’, si stabilisce una
sorta di identificazione tra femminismo, amore libero e contraccezione. Nelle
sue accezioni etiche esso indica la valorizzazione di quei valori umani
dapprima considerati secondari perché più tipicamente ‘femminili’ ed oggi al
contrario recuperati nel dibattito sull’uomo e sull’ambiente, come rapporto
armonico con la natura e con gli altri.”
G.P. Di Nicola, Femminismo, in G.
Campanini – E. Berti, Dizionario delle idee politiche, AVE, Roma 1993, 324-337.
L’educazione di Sofia, nell’Emilio di
Rousseau, rivela solo il fronte pedagogico più esplicito e più noto di una
mentalità in cui la donna era finalizzata all’uomo, modello riassuntivo
esemplare dell’umanità.1
“Tutta l’educazione delle donne deve
essere in funzione degli uomini. Piacere e rendersi utili a loro, farsene amare
e onorare, allevarli da piccoli, averne cura da grandi, consigliarli,
consolarli, rendere loro la vita piacevole e dolce: ecco i doveri delle donne
in ogni età della vita e questo si deve insegnare loro fin dall’infanzia. ”
(J.J.Rosseau, Emilio o dell’Educazione, Armando, Roma 1969, 550.)
L’alterità della donna viene delineata in
negativo, a misura dell’uomo, che la definisce specularmente in rapporto a sé.
La differenza sottolinea la distanza dal modello ritenuto eccellente (La donna
differisce dall’uomo, il nero dal bianco). I movimenti delle donne hanno
ripetutamente denunciato gli errori di un’educazione delle fanciulle mirata al
solo ruolo di mogli e madri, con l’occultamento dei talenti personali: “ Nel
1687 il sacerdote e nobiluomo di cultura F.Fènelon constatava apertamente:
“Nulla è più trascurato che l’educazione delle fanciulle.”
“La scienza delle donne, come quella degli
uomini, deve limitarsi a un’istruzione in rapporto alle loro funzioni: La
differenza tra le loro attività deve determinare quella dei loro studi. Bisogna
dunque limitare l’istruzione delle donne alle cose che abbiamo dette.” Viene
fatto un breve cenno ai difetti delle fanciulle che l’educazione deve cercare
di correggere: “Le si alleva in una fiacchezza e una timidezza che le rendono
incapaci di una condotta ferma e costante. Bisogna reprimere quelle loro paure
infondate, quelle lacrime che versano così prodigamente. Bisogna anche
reprimere in loro le amicizie troppo tenere, le piccole gelosie, i complimenti
eccessivi, le adulazioni, le smancerie. Esse scambiano la facilità del parlare
e la vivacità d’immaginazione con l’intelligenza. Non fanno scelte fra i loro
pensieri; non vi mettono alcun ordine rispetto alle cose che debbono dire;
mettono della passione in quasi tutto quello che dicono e la passione fa
parlare molto: quindi non si può sperare molto di bene da una donna, se non la
si riduce a riflettere ordinatamente, a sottoporre a critica i propri pensieri,
a esprimerli brevemente, a saper poi tacere. Un’altra circostanza contribuisce
a far lunghi i discorsi delle donne; ed è che sono per natura astute e che usano
lunghi rigiri per venire al loro scopo. Esse hanno naturalezza nell’adattarsi
così da poter recitare agevolmente ogni sorta di commedie. Le lacrime a loro
non costano nulla. Aggiungi che sono timide e piene di falsa vergogna. Ma nulla
è da temere nelle fanciulle quanto la vanità. Esse nascono con un desiderio
violento di piacere, le vie che conducono gli uomini al potere e alla gloria
essendo chiuse per loro, cercano un compenso nelle attrattive dello spirito e
del corpo, da ciò viene la loro viva aspirazione alla bellezza e a tutte le
grazie esteriori.”
(F.Fénelon,
Sull’educazione delle fanciulle, tr. it. a cura di L. Nutrimento, ed. Canova,
Treviso 1963, un’opera che si colloca tra la Didactica Magna di Comenio e i
Pensieri sull’educazione di Locke, 1693)
“La
donna non può diventare “oggetto” di “dominio” e di “possesso” maschile.”
Giovanni
Paolo II, Lettera Apostolica Mulieris Dignitatem, 15 Agosto 1988
Antropologia della
reciprocità
La Mulieris Dignitatem chiarisce che nella
relazione tra i coniugi la sottomissione non può essere unilaterale ma
reciproca. La reciprocità dovrà estendersi, oltre il matrimonio, a tutte le
dimensioni della vita di relazione, a cominciare dalla riformulazione
dell’interpretazione simbolica del mondo, perché non si crei una scissione tra
la famiglia e gli altri mondi e perché non sembri che solo nel matrimonio sia
possibile vivere concretamente l’uguaglianza uomo-donna, in contrasto con le
altre istituzioni.
Nella Lettera alle donne (1995), Giovanni
Paolo II riconosce che è stato troppo lento il cammino per ottenere il
riconoscimento dei diritti e ancora molto c’è da fare per creare concretamente
e dovunque condizioni di vita conformi da un lato alla dichiarazione universale
dei diritti della persona e dall’altro alla specifica dignità della donna. La
lettera è un contributo prezioso a che non venga dimenticata l’opera delle
tante donne che hanno lottato per ottenere una ‘ effettiva uguaglianza dei
diritti della persona e dunque parità di salario rispetto a parità di lavoro, tutela
della lavoratrice madre, giuste progressioni nella carriera, uguaglianza fra
coniugi nel diritto di famiglia, riconoscimento di tutto quanto è legato ai
diritti e ai doveri del cittadino in democrazia.
Tali lotte non possono venire rivendicate
unilateralmente da questa o quella appartenenza ideologica o partitica, giacché
le donne e non pochi uomini, anche coloro che sono dimenticati e misconosciuti,
hanno aggiunto il loro piccolo/grande tassello per la conquista dei diritti di
cittadinanza, spesso senza raccoglierne i frutti in tempi in cui questo loro
impegno veniva considerato un atto di trasgressione, un segno di mancanza di
femminilità, una manifestazione di esibizionismo, e magari un peccato!.
Sarebbe difficile distribuire le oggettive
responsabilità nei confronti delle situazioni di ingiustizia in proporzioni
eque tra i diversi soggetti sociali, senza tenere conto delle circostanze e dei
contesti storici. Si può dire che persino coloro che soffrivano e subivano la
cultura dominante abbiano contribuito ad alimentarla anche tramandandone la
mentalità nell’educazione delle nuove generazioni. Proprio per questo il gesto
di chi ha avuto il “coraggio della memoria” e il “franco riconoscimento delle
responsabilità” si presenta come un modello da riproporre a tutte le relazioni
tra i generi, tra i popoli e tra i gruppi sociali giacché i tempi nuovi
impongono atti di conversione e gesti di giustizia evidenti.
Identità maschile: crisi e rigenerazione
Come sta mutando l’identità maschile in
relazione all’emergere della soggettualità femminile?
Gli uomini e le donne come interpretano
questo mutamento?
Si sta passando da un’identità maschile
“forte” ad una “debole”, dall’ideale dell’eroe, del superuomo, all’uomo fragile
o addirittura sconfitto?
È possibile valorizzare la differenza
senza gerarchizzare i generi?
Come vivere la reciprocità senza che l’un
genere tenti di definire l’altro sia nella vita pratica sia in teoria?
È possibile valorizzare gli elementi di
specificità maschile senza tornare alla maschilità oppressiva del passato?
“Può
lo stereotipo maschile sopravvivere alla caduta del patriarcato?”
George Mosse
Sono questioni che nascono dalla semplice
constatazione che l’identità maschile non può essere rimasta immutata dopo le
radicali trasformazioni del mondo familiare e del mondo pubblico. La conferma
sulle trasformazioni dell’identità maschile viene dai frammenti di osservazione
giornalistica, dalle produzioni letterarie, dalla saggistica, dal cinema: Maggiore
corresponsabilità nella gestione della famiglia, recupero del valore umano e
affettivo, esigenza di un lavoro soddisfacente, al di là del carrierismo e
dell’assorbimento totale del tempo umano nel tempo lavoro. Le ricerche,
condotte soprattutto sui giovani, attestano il mutamento dei valori come per esempio
la caduta degli ideali politici e delle appartenenze ideologiche. Esse
attestano inoltre che non solo per le ragazze, ma anche per i ragazzi la
famiglia è un valore primario da conquistare, difendere e privilegiare. (La
famiglia vista dagli adolescenti, Demian, Teramo 1994
Di fronte a cambiamenti così significativi
non pochi si domandano se si tratti di una patologia della nostra epoca – e
quindi una trasgressione della natura umana (inevitabilmente destinata a
risolversi) – oppure si tratti di un processo positivo ed inarrestabile. Le
opinioni, estremamente diversificate variano in relazione al sesso, all’età,
alla cultura, alle appartenenze ideologiche, politiche, religiose.
Forse però proprio il fatto che assistiamo
alla crescente presenza di identità maschili disturbate – si pensi all’aumento
della violenza, alla sterilità, all’omosessualità, alla crescita dell’offerta
della prostituzione femminile e della domanda maschile relativa, alla tendenza
a gestire in maniera autarchica la sessualità e la procreazione, facendo a meno
dell’altro genere – ci impone una revisione coraggiosa delle categorie mentali
tradizionali. Incontriamo qui la fatica di parlare dell’uomo maschio. Infatti
di identità femminile si è molto parlato e i Women’s studies hanno ormai una
storia accreditata. Di Men’s studies, al contrario non s’è avvertita
l’esigenza: coincidevano con gli studi sull’umanità. Troppo spesso gli uomini
hanno creduto di sapere ciò che essi erano e ciò che le donne dovevano essere,
convinti di fare il “loro bene” ed esaltare la loro “natura”. La giustizia nei
rapporti tra un uomo e una donna, così necessaria ad evitare che la relazione
degeneri in sentimentalismo o in pura sessualità esige la messa in comune delle
risorse come dono reciproco, ciascuno avendo bisogno dell’altro.
Confrontandosi e tenendo conto delle
esigenze della famiglia, due sposi assumeranno ciascuno i compiti più
confacenti, sapendo bene che essi non possono sommarsi, fondersi in uno,
annullarsi nella sintesi. I due restano due, anche nel culmine della loro
unità, almeno nel senso che nessuno può riassumere in sé l’altro.
Reciprocità aperta e rispettosa della
differenza.
L’esperienza conferma che l’uomo e la
donna d’oggi possono vivere più gioiosamente di un tempo la loro differenza
perché diffidano di quelle definizioni stereotipate di genere, gerarchicamente
strutturate che bloccano la libera espansione della differenza che si vorrebbe
proteggere.
Non c’è definizione di sé senza
l’intreccio inestricabile con gli altri che costituiscono la storia dell’io, lo
chiamano alla sua responsabilità di essere per qualcun altro, gli consentono
l’esperienza della reciprocità:
Si è padri in quanto si è sposi di una
donna e, con lei, genitori. La natura soccorre distribuendo a modo suo oneri e
onori in una circolarità di rapporti: Se è vero che è il padre che rende madre
la moglie, è vero anche che questa consente al marito di diventare padre e lo
riconosce in quanto tale (mater semper certa). Il padre riconosce i figli, ma
anche i figli riconoscono il padre, nel senso che lo rendono tale nel rapporto
quotidianamente vissuto, distillato nel tempo. Uomini e donne, padri e madri,
benché siano imbevuti di sopravvivenze del passato, di categorie mentali e di
comportamenti tradizionali, non possono dipendere dal passato, con il suo peso
insostenibile. Non conta quello che faranno, cosa valorizzeranno o
rifiuteranno. Conta se cercheranno di farlo nella con-divisione.
Con-dividere non significa fare le stesse
cose, pensare alla stessa maniera, ma cercare di avere un solo spirito, un noi
da costruire giorno per giorno in un processo di ascesi della Reciprocità che rappresenti la lotta
all’egoismo, dunque la Kenosi del matriarcato e del patriarcato.
Etica e reciprocità
E’ indubbio che i due generi offrano
all’evidenza, oltre che due corpi diversi anche una diversa tonalità dello
stare al mondo e differenti punti di vista sulla realtà. Perciò, affinché non
si elevino steccati insuperabili tra i due generi, è opportuno cercare di
individuare qualche tratto caratterizzante la femminilità e la mascolinità
raccogliendo quanto in esse è simbolico di dimensioni umane universali
considerando che la femminilità e la maschilità non coincidono con le donne e
con gli uomini concreti, essendo ciascun essere umano unico ed originale.
La intrinseca relazionalità dell’essere
umano si manifesta più marcatamente nel corpo della donna. Il processo
generativo femminile contiene infatti – come inscritti nella natura –
significati paradigmatici della razionalità della persona. Soprattutto la
maternità esalta questa caratteristica; si tratta di leggere nel dato
fisiologico materno il superamento dell’individualismo, del prometeismo, del
delirio di onnipotenza dell’io. Il senso della maternità supera infatti i
limiti della natura per divenire indicativa della capacità di ogni persona di
accogliere l’altra e poi, lasciarla vivere nella sua autonomia.
La corruzione di questo tratto consiste
nella tendenza ad impossessarsi dell’altro, ad imprigionarlo nel proprio
amplesso.
L’affermazione di sé: L’affermazione di sé
come di un io che vuole conoscere, rendere visibili e far valere le proprie
potenzialità (assertiveness) È caratterizzante nel maschio la tendenza più
accentuata ad affermare il proprio io, questa tendenza non dev’essere
automaticamente intesa in senso egoistico ed oppressivo. Essa costituisce
infatti un supporto prezioso per il rapporto con la partner e con i figli, in
quanto offre sensazioni di protezione. “Senza autostima, senza accettazione di
sé e senza rispetto per se stessi, non c’è identità, può esserci solo crisi di
identità, con la conseguente attesa che gli altri intervengano a definirla,
offrendo in prestito la loro stima e sorreggendo in tal modo la personale
insicurezza e in ciò stesso ratificando e cronicizzando l’eterodipendenza. ” Perciò
la stima in sé, la fiducia nella proprie personalità e la capacità di farla
valere sono premessa valida a garantire la maturità personale e a dare spessore
alla stessa capacità relazionale di una persona creando circostanze sociali di
empatia.
Il concetto di empatia "L'empatia è
l'intuizione che ha come oggetto gli altri individui"
Edmund Husserl
«Un amico viene da me e mi dice di aver
perduto un fratello e io mi rendo conto del suo dolore» L'empatia consiste nel
cogliere il dolore dell'amico, come il suo dolore, cioè come un dolore non
originario rispetto al vissuto di colui che lo coglie.
Empatia
Riconoscere il volto e l'espressione
emotiva sul volto di qualcuno.
Dirigersi intenzionale dell'attenzione
verso lo stato d'animo dell'altro, con il quale ci si immedesima.
Porre attenzione al dolore dell'altro,
colto come vissuto altrui. Trarre delle conclusioni a partire dalla conoscenza
empatica dell'altro può condurre all'errore. Il metodo per accorgersi
dell'errore è proprio l'apertura empirica all'altro.
L'empatia non avviene necessariamente a prescindere dalla comunicazione.
Con-gioire
«Concordo con un amico di compiere un
viaggio con lui, dopo che questi abbia superato un esame.» Quando egli lo
supera, entrambi gioiamo per lo stesso motivo, ma non si tratta di empatia,
piuttosto di un co-sentire, un vissuto egualmente originario in entrambi i
soggetti.
Unipatia
L'io scopre nell'altro lo stesso
sentimento che egli sperimenta; si forma tra l'Io e il Tu un Noi. È proprio
questa forma di unità superiore che manca al co-sentire.
}
Santa Teresa Benedetta della Croce
Corruzioni si questo aspetto, sono
l’alterigia, l’egoismo, il narcisismo, la tendenza ad intendere la relazionalità stessa come
competizione.
Una più accentuata consapevolezza del
limite riflette il vissuto delle donne, più condizionato dalla sintonia con la
natura. Occorre loro una dinamica predisposizione all’accettazione dell’imprevisto
(spostamenti del ciclo, gravidanze inattese) e, conseguentemente, una maggiore
consapevolezza di non essere in grado di padroneggiare il proprio corpo,
piotare la propria vita.
La coscienza del limite implica inoltre la
consapevolezza dell’infrangersi di tutti i sistemi di pensiero, di tutte le
costruzione umane di fronte alla decadenza e quindi della sostanziale
dipendenza umana.
La corruzione di questo tratto sta nella
tendenza a delegare ad altri le proprie responsabilità sociali rinchiudendosi
nel piccolo mondo della casa, nella rinuncia ad affrontare la realtà, che ha
connotato una grande parte della popolazione della storia. (stadio estremo di
tale corruzione: Caso hikikomori )
La lotta contro il limite sollecita ad
aprire varchi nuovi, a combattere gli ostacoli temuti, nella fiducia di
potercela fare. Fa parte dell’immaginario sul maschile il modello di uomo
ostinato di fronte a ciò che gli si oppone, egli sente sollecitato ad
affrontare le sfide della vita senza indietreggiare di fronte all’opposizione
della natura, degli altri, degli eventi, facendo il possibile anche in
condizioni avverse.
La lotta in sé non ha un carattere
negativo, possiede anzi in sé le qualità dell’ integrità e della tenacia nel
tentativo di sconfiggere il male e conquistare nuove frontiere alla vita. La
corruzione di questo tratto consiste la tenenza a modulare i rapporti
interpersonali sul registro della competizione, con tutte le sue derive
negative, come la concorrenza esasperata, l’invidia, l’uso di mezzi illegittimi
per raggiungere determinati obiettivi.
Cura della vita: La maternità è una
particolare forma di cura della vita, che si manifesta come attitudine a
nutrire, a proteggere, a lenire le ferite e alleviare la sofferenza nelle
malattie. L’ attitudine a curare caratterizza sia l’uomo che la donna
responsabili, ma è pur vero che la chiamata a stare vicino a chi è più fragile
si fa sentire in modo più forte nella donna, sino a spingerla ad atti eroici di
donazione. Il lato debole di questo tratto, spinto all’eccesso, sta nell’
ossessione dell’altro sino ad annullare la propria vocazione, nella cura
pedissequa e materiale dei suoi bisogni, nell’amare troppo, vivendo una
prodigalità non sapiente e alla fine insoddisfatta e ricattatoria.
Il dinamismo vitale:
Fa parte forse della maschilità la
tendenza a stare di fronte al creato in atteggiamento dinamico trovando gusto
nell’avventura e incuriosendosi di ogni cosa. Il tratto della dinamicità
presenta il suo aspetto positivo nella tendenza al superamento dell’attaccamento
soggettivo all’io, alla propria famiglia, ai propri cari, nella tensione a
stabilire quell’equidistanza tra tutti che è fonte della giustizia sociale
distributiva. Paul Ricoeur considera proprio l’attenzione a costruire
istituzioni una condizione essenziale della triade etica.
La triade etica, Paul Ricoeur: “Stima di
sé, sollecitudine per l’altro e istituzioni giuste.” Si può giungere ad
un’impersonalità imparziale, che da un lato impedisce il dominio dei forti e
degli intelligenti e dall’altro imita il comportamento di un Dio che
distribuisce a tutti i frutti del suo amore:
“Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo
prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e
pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste,
che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra
i giusti e sopra gli ingiusti. Siate voi dunque perfetti come è perfetto il
Padre vostro celeste.” ”
La corruzione di questo tratto consiste
nel burocraticismo, nel moralismo, nel legalismo e nell’impersonalità di un
comportamento obiettivo e freddo, valido per raggiungere tutti, ma penalizzante
per chi non rientra nei canoni e se ne sente schiacciato.
La testimonianza del volto positivo del
dolore.
Se si pensa alla sofferenza fisica
dell’uomo come ad un principio di decadenza, nella donna c’è un segno
particolare, nel parto, di una sofferenza fisica strettamente legata alla
generazione e quindi alla dimensione positiva della gioia. La natura della donna
è testimonianza del legame inscindibile tra dolore e amore, sofferenza e gioia.
La corruzione di questo tratto consiste
invece nel vittimismo, nell’accentuazione scomposta della propria sofferenza,
ponendosi al centro dell’attenzione altrui.
La capacità di affrontare il rischio.
L’uomo per natura si ribella alla fuga di
fronte al pericolo o alla tendenza ad arrendersi. Questa tendenza, attestata da
secoli di vissuto maschile, giunge alla donazione di sé, fino a versare il
proprio sangue e dare la vita, ammesso che si ritenga che la causa in gioco
meriti. In Hegel la capacità di affrontare la morte segna la distanza tra il
signore ed il servo, nel senso che quest’ultimo si affida alla protezione
dell’altro e gli offre in cambio la sua dipendenza e i suoi servigi. È una dialettica che può essere applicata
nell’analisi del sorgere delle classi sociali come anche nel rapporto uomo –
donna, giacché il maschio, che affronta il rischio fuori della casa, acquista
in ciò il suo compenso in una signoria sulla donna.
Hegel stesso però mette in evidenza come
questa dialettica si capovolga per il fatto che il padrone dipenda dai servigi
del suo servo, in una interdipendenza reciproca.
La corruzione di questo tratto consiste
nell’ irruenza incosciente della spavalderia che non valuta la proporzione tra
ciò che viene messo a rischio e il bene che si vuole ottenere. La vita viene
giocata da singoli, sciogliendo le relazioni con le persone vicine.
Ai tatti della femminilità e della
maschilità qui proposti si collega bene l’antropologia personalista e
comunitaria, dal momento che si tratta di caratteristiche valide in chiave
etica per tutti, anche se sono più direttamente ricavabili dal corpo e dal
vissuto delle donne e degli uomini.
Si vede in ogni caso che in entrambi, nell’uomo
e nella donna, sia pure in forma diversa, si può riscontrare una implicita
chiamata a donare la propria vita. Se la differenza si rende evidente a livello
fisico e nelle sue implicanze fenomenologiche, i due sono riuniti nella stessa
chiamata a vivere l’essere persona, l’essere per come un dono.
Il
conflitto come risorsa
Non è bene demonizzare il conflitto,
ritenendolo appannaggio di relazioni incapaci e fallimentari.
“Un’esistenza
senza conflitto è un’esistenza da avaro.”
René
Sitz
Una vita di relazioni senza conflitti è
un’utopia pericolosa, legata al sogno di un falso pacifismo di apparenza.
Sarebbe come chiudere gli occhi sull’alterità dell’altro, o peggio volerla
eliminare perché spaventa e disturba. Un rapporto costantemente e irenicamente
riconciliato farebbe pensare all’incapacità di confrontarsi e spendersi con
l’altro, ad un’adesione acritica e infantile di una parte all’altra, ad una
paralisi della creatività.
È anche vero però che si può fare molto
per evitare i conflitti, imparando a gestirli, a decifrare il linguaggio
dell’altro, a non urtare contro ostacoli evitabili. (Sul tema si veda: J.E.C.
Poujol, I Conflitti. Origini, Evoluzioni, Superamenti, GBU, Roma 1998)
Per non arrendersi all’ incomunicabilità,
occorre imparare non solo a conviverci, ma anche a valorizzarne i frutti,
volgendoli in positivo. Il conflitto, infatti, può essere una speciale
occasione di rilancio della vita di unità di una relazione. Presentiamo dunque
alcune valenze positive che si possono individuare – anche se il più delle
volte solo ex post – e che, giunte a consapevolezza, possono costituire un
elemento di fiducia di fronte a futuri scacchi della comunicazione.
Il conflitto:
Mette in evidenza le differenze di genere:
Risulta che nella coppia il desiderio di
comunicare sia più femminile. L’uomo, forse, dà per scontata l’armonia di
coppia e preferirebbe limitare il dialogo ai momenti in cui vanno prese
decisioni comuni, mentre per lei il dialogo costituisce la modalità principale
e costante del vivere insieme. Lui si rifugia nel suo mondo e lei confida
avvenimenti ed emozioni. Ciascuno può fare la sua parte per prendere coscienza
delle rispettive percezioni della realtà e far sì che le differenze bene
orientate concorrano all’unità.
Sollecita al rispetto dell’altro:
Il
conflitto implica il ricordo che l’altro non è “a propria immagine” ma a “sua”.
Vi è una differenza ontologica tra due persone che non può essere colmata
poiché esige il mantenimento della corretta distanza e la contemplazione della
differenza.
Provoca il ristabilimento della giustizia
ed invita a rinegoziare le regole dello stare insieme in situazioni di
apparente pace in realtà stagnante, costruita sulla prepotenza e sul
vittimismo, sull’acquiescenza a situazioni di ingiustizia.
Sollecita a reinterpretare i contenuti
della realtà e sé stessi, a riformulare il linguaggio, a ricreare il mondo
comune integrando le prospettive sugli avvenimenti. Dura una vita il lavoro
creativo del raccontarsi, del presentarsi ciascuno all’altro come una persona
disponibile a costruire la storia insieme, tenendo conto, oltre che degli
eventi e delle sedimentazioni del tempo, anche delle interpretazioni dell’altro.
Tale disponibilità al mutamento è reciproca, nella misura in cui ciascuno cerca
di costruire con pari impegno una prospettiva condivisa.
Non ci sono modelli universali da imitare,
dal momento che l’equilibrio di volta in volta raggiunto è un unicum. La
relazione stessa è una realtà inedita: “Ecco io faccio una cosa nuova.” Non è
per ciò possibile copiare un’altra relazione.
Implica lo sviluppo di una maturità che
nasce dalla consapevolezza degli errori commessi, dall’umiltà di riconoscerli
come tali. Si pensi all’importanza della valorizzazione dell’errore nel caso
dell’alunno, aiutato ad apprendere sbagliando, o alla “falsificazione della
verità” nel processo di ricerca descritto da Popper. In certa misura nella
dialettica delle relazioni tutti sono reciprocamente alunni, esposti ad errori
e disposti ad accoglierli e assimilarli, e maestri, disponibili ad insegnare
ciò che hanno imparato.
Educa alla fedeltà:
Se di fronte al fallimento della
comunicazione si resta fedeli, pur senza vedere la soluzione della crisi, se si
continua ad aver fiducia nella resurrezione dell’amore, dopo che era stato dato
per morto, si sperimenta che effettivamente il rapporto interpersonale è
destinato a passare per dei tunnel e che ciò che ne assicura la qualità nel
tempo non sono i tunnel attraversati ma l’attesa vigile e fiduciosa della luce
che prepara nuovi bagliori di vita.
Si acuisce dunque la ricerca creativa del
modo migliore per superare i momenti bui, di non abbandonare il progetto di
unità mantenendo fede alla parola data all’altro e a sé stessi.
Richiama la persona alla sua solitudine
ontologica nel senso del non pensare che spetti all’altro cambiare, senza
essersi prima fermati a riflettere e riorientare il proprio modo di agire.
Il confronto costruttivo:
Cercare di capire ciò che disturba
l’altro, che ostacola la comunicazione, ed evitarlo.
Trovare il tempo per confrontarsi
Delimitare i problemi ed esplicitarli,
considerando, alla maniera del chirurgo, solo un aspetto per volta.
Raddoppiare lo sforzo per cercare di
capire le ragioni dell’altro e le condizioni ce lo hanno portato ad un
determinato comportamento.
Rimandare a questione a momenti migliori,
pazientando perché passi il tempo necessario a dissipare il magma di sentimenti
negativi.
Quando non si può fare diversamente,
tacere.
ll silenzio è una modalità preziosa di
comunicazione latente quando si sente che la parola sarebbe solo un pericoloso
veicolo d’ira.
Compiere piccoli atti di solidarietà che
assicurino della permanente sintonia di fondo, della fedeltà del saper restare
nonostante tutto, nell’attesa paziente del momento in cui si sarà capaci di
andare oltre quel disaccordo.
Cercare di rivolgere uno sguardo
comprensivo verso quei tratti della personalità o quegli atteggiamenti che
l’altro vive come negativi.
La parola chiave reciprocità
La coscienza culturale contemporanea non
può esulare da una antropologia della reciprocità, proprio per dare esito
positivo alla crisi ed evitare il nichilismo dello scacco sartriano della
comunicazione.
L’orizzonte della reciprocità si propone
come la bussola di orientamento di tutte le relazioni e di quelle tra i generi
in particolare, in grado di orientare i rapporti più in alto e più avanti, in
senso etico ma anche gratificante, se è vero che l’etica rettamente intesa rende
possibile anche la felicità della persona.
Perciò ricongiungere felicità e dovere è una priorità necessaria
per sopprimere la fatuità di una autogratificazione narcisista e la durezza
dell’imperativo categorico.
L’ orizzonte della reciprocità contiene in
sé una fondamentale dimensione utopica. Evoca il riferimento al perfetto ideale
verso cui guardare senza perdere di vista il reale, con la sua incapacità di
tenersi al livello del modello.
La reciprocità mira infatti a livelli di
ottimizzazione del rapporto, verso la comunione, quando una persona perde
l’opacità che la asconde per divenire capace di intuarsi.
Solo le persone possono raggiungere questi
livelli di comunicazione senza perdere se stesse, ma anzi ritrovandosi a più
alti livelli.
Nella reciprocità conta soprattutto la rispondenza di
ciascuno all’altro, la significatività del dire e dell’agire per colei/colui a
cui ci si rivolge, piuttosto che l’azione in sé o l’intenzionalità soggettiva
di chi la compie. Non si bada solo allo sviluppo delle capacità della persona
di uscire da sé (morale ancora individualistica), ma anche al riscontro con un
atteggiamento simile nell’altro, che alimenti il rapporto, creando una realtà
comune. Del resto aprirsi all’altro senza ottenerne risposta può costituire
premessa di nichilismo, se la trascendenza dell’io va verso il vuoto, senza
incontrare che il nulla. Intendere la relazionalità come reciprocità significa
riconoscere che alla tensione dell’io verso il tu, corrisponde la reciproca,
alla trascendenza dell’io la trascendenza dell’altro, al dono il ricambio.
Una relazione può risentire di
un’educazione individualistica, in cui la formazione della persona è orientata
all’affermazione di sé, al definirsi come individuo sia in ambito sociale che
spirituale. La spiritualità della persona è confinata nella zona più nascosta
dell’io. La dimensione dello spirito viene in qualche modo separata dal
rapporto relazionale: per troppo tempo è stato come se l’aspetto relazionale
riguardasse la zona più bassa della persona, mentre quella più alta restasse
legata all’individuo, eroe solitario.
Per una spiritualità a due voci
L’ attenzione a conoscersi, amarsi,
rendersi reciprocamente la vita più bella.
Un equivoco sulla reciprocità è che essa
possa indicare la ricerca di una condizione assolutamente e perennemente
riconciliata ed irenica. Sarebbe negare la reciprocità se si volesse ad ogni
costo fuggire alla fatica che provoca quella sana dialettica io-tu che dà
sapore alla vita di relazione. Nell’essere due è ineliminabile un agonismo, se
non si vuole svilire la reciprocità, credendo ingenuamente di far vivere il
rapporto in un limbo utopico, in un’identificazione tra i due che sarebbe la
mistificazione di una perfetta e impersonale stasi. L’uomo e la donna
contemporanei sono più d’un tempo aperti alla contraddizione e alla dialettica
feconda. Eros non può essere disgiunto da Thanatos. L’elemento agonico non può
essere sottovalutato nella relazione uomo donna.
Per i Greci Agon era il dramma, con lo
scambio delle parti, che richiama appunto la possibilità per l’uomo e la donna
di alternarsi nella scena e gareggiare rivelandosi e nascondendosi l’un
l’altro, come nei giochi dei bambini. Il gioco può farsi drammatico, talvolta
tragico, ma anche, altre volte, soave e fonte di gioia per entrambi.
Non si tratta tanto di eliminare o
soffocare l’elemento conflittuale, polemos, ma piuttosto di orientarlo, dando
senso umano al conflitto.
Si tratta di riconoscere il valore degli
antagonismi, senza considerarli come inciampi, come indici di cattivo funzionamento
da regolarizzare dolcemente (Con la persuasione) o brutalmente (Con la forza),
per arrivare all’equilibrio. Nella linea di Eraclito per cui “tutto ciò che si
oppone coopera”, anche l’unità tra un uomo e un donna si costruisce continuamente
confrontando le differenze, non perseguendo un’idea, più o meno nobile, o
difendendo un assoluto e una identità, ma nella flessibile disponibilità a
confrontarsi e, al caso, a saper posporre il proprio progetto, la propria idea,
per fare spazio all’altro. Nel concetto di reciprocità la relazione non è
diadica perché l’uomo e la donna rimandano ad un Terzo che consente l’armonia
della loro dualità-unità. L’uomo e la donna sono indefinibili l’uno rispetto
all’altro proprio perché la loro radice è nell’Altro. Del quale portano a vita
un’interiore nostalgia. Ogni rapporto interpersonale è connotato da una
mancanza , “Penia”, e dunque da una domanda di ulteriorità che si esprime in
una naturale ricerca di reciprocità.
Dalla reciprocità è ineliminabile lo sguardo
alto, la buona utopia che fa da leva per lo sviluppo della realtà , nella
misura in cui entrambi dichiarano la disponibilità a dare la vita l’uno per
l’altro: ”Non c’è amore più grande che quello di chi dà la vita per coloro che
ama.” Ciascuno si vincola liberamente al dono di sé distillato nel tempo si
impegna a spendersi per l’altro e a sapersi ritirare se il dono non è gradito.
Il concetto di individualità
L’ Individualità rappresenta quella
componente, che nella relazione dialettica con la soggettività, costituisce il
soggetto. La critica di Adorno al pensiero identificante e la critica alla
dialettica senza ♦
reciprocità ♦.
Adorno vaglia criticamente tutte quelle
concezioni che fondano la soggettività su una dialettica del sé e dell’altro da
sé, nella quale la reciprocità tra i due viene limitata o soppressa. L’
approccio esistenziale di Heidegger, insieme alla preminenza dell’Altro,
propria della riflessione di Emmanuel Lévinas, rappresentano due modelli di
pensiero che hanno condotto all’ odierna concezione di individuo la cui
individualità implica immediatamente la relazione senza reciprocità. Rispetto a
entrambe queste visioni, l’idea adorniana di soggetto è espressione del
tentativo di tutelare l’elemento della reciprocità. Concezione espressiva della
individualità secondo Heidegger: L’ identità viene concepita come esibizione:
l’identità del sé emerge da una distinzione dell’uno rispetto alla totalità l’identificazione
soggettiva secondo Heidegger diventa un’esperienza eminentemente solitaria: La
dialettica storico-sociale tra gli interagenti viene limitata, mentre perdono
d’importanza le forme di reciprocità dell’interpretazione del singolo rispetto a
una totalità generalizzata, costituita da altri individui e da norme mediante
le quali gli altri individui si autointerpretano. L’individualità Heideggeriana
dunque, emerge e si staglia rispetto all’altro da sé mediante la ricerca
espressiva di un’ autenticità
originaria. L’ontologia heideggeriana risulta essere dunque alimentata dalla
pretesa di attingere a un’origine incorrotta delle cose. Così facendo essa
ricade nella sopravvalutazione dell’originario o nell’assolutizzazione
dell’autenticità che fonda il soggetto. Il disvelamento espressivo di questo
sfondo originario, unita alla sua appropriazione volontaristica, rappresenta la
gestualità etica che contraddistingue l’individualità Heideggeriana. Emmanuel
Lévinas:
La fenomenologia dell’unico
L’io viene auto-esperito come soggetto di
godimento e di proprietà per liberarsi dall’anonimità, dall’atarassia (stato di
indifferente serenità ed imperturbabilità di fronte alle vicende del mondo) e
dall’infanzia mediante l’autopossedimento ovvero sperimentandosi come proprietà
di sé stesso.
Originariamente (Adorno critica il
concetto di originario ) il proprio del soggetto è esperito come proprietà e la
prima parola dell’io non è io, ma mio e l’io è un effetto del mio.
Questa connotazione possessiva dell’io,
viene messa in relazione con l’apparire di un Altro che mi viene incontro come
istanza assoluta di alterità, che quindi mi si annuncia mediante la forma del
Volto.
È necessario sottolineare la dimensione
propriamente etica dell’apparire dell’Altro, il quale si rivela nella sua
assoluta indisponibilità.
L’incontro con il volto è dunque sempre
l’incontro con la buona violenza che mi si impone come imperativo etico di
riconoscerlo nella sua alterità assoluta ed incondizionata. La prima reazione
dell’io innanzi al Volto è dunque un atteggiamento di rispettosa e obbediente
inattività, non a caso Emmanuel Lévinas rinvia spesso all’immagine di un io che
è ostaggio dell’Altro. L’io è dunque eticamente assoggettato all’Altro.
Questa soggezione etica
all’indisponibilità dell’Altro, rischia però di tradursi in una mera ratifica
della natura dell’Altro, l’io si nega a priori la possibilità di approfondire
la relazione con L’Altro escludendo così la possibilità di una compenetrazione
esperienziale e critica tra l’io e l’Altro compromettendo la reciprocità della
relazione.
Questo silenzio potrebbe inoltre
legittimare delle particolari istanze, bisognose di trasformazione.
La fenomenologia Lévinassiana
dell’individualità, rivela la sua carenza di reciprocità dialettica, non solo nella
misura in cui propone indirettamente un annullamento etico dell’io rispetto
all’assoluta alterità dell’Altro ma soprattutto perché non apre alla
possibilità di istituire una relazione interpersonale nella quale, sia l’io che
l’altro possano essere reciprocamente trasformati rispetto a ciò che essi erano
prima dell’incontro stesso.
Il pensiero adorniano:
Si differenzia sia dal pensiero
Heideggeriano che da quello Lévinassiana in quanto la definizione dell’identità
non coincide con un processo finalizzato all’espressione dell’autenticità
dell’io, né tantomeno con uno sbilanciamento etico in favore di un appello che
mi viene rivolto dall’esterno.
Priorità: Permettere la ridefinizione del
concetto.
Premessa: Rigenerabilità delle definizioni
concettuali.
L’uomo come ordinatore
La razionalità risiede nella capacità di
identificare e ordinare i concetti coinvolti nella riflessione. La definizione
di concetti risponde alla necessità umana di mettere ordine nel molteplice
mondo degli enti e degli eventi naturali e sociali. Chi mette ordine è colui
che stabilisce le differenze, in ultima istanza, colui che, disponendo, crea.
Il pensiero identificante è un pensiero
che pone l’identità, che definisce la stabilità di una idea, che garantisce
confini e consistenza del concetto mediante l’esclusione di ciò che il concetto
non è.
È hybris (sinonimo di ideale:http://www.treccani.it/vocabolario/hybris/)
che ci sia identità, che la cosa in sé corrisponda al suo concetto. Ma il suo
ideale non sarebbe semplicemente da gettare via: nel rimprovero che a cosa non
è identica al concetto vive anche la brama che lo possa diventare, in tal senso
la coscienza dell’identità contiene identità. Sostenere che l’identità non c’è
ancora, non equivale a dire che è impossibile definirla concettualmente nella
sua concretezza storica, ma che la cifra essenziale dell’ identità risiede
nella sua processualità storica. L’identificazione formale e concettuale, nel momento in cui
circoscrive e delimita un oggetto deve anche creare le condizioni per cui
diventi altro rispetto a ciò che è. Si potrebbe sostenere che la teoria
Adorniana dell’identificazione sia tutt’uno con una teoria del Nuovo, ovvero
con una teoria delle condizioni di possibilità dell’insorgere del Nuovo e del
Non Ancora. Nei processi costitutivi
dell’individualità, l’istanza di ridefinizione si traduce nella negazione di
tutte quelle pratiche di identificazione che, nello stabilire ciò che il
soggetto è in un dato momento, pongono vincoli e limiti a ciò ce il soggetto
potrà diventare. Il Nuovo, ovvero il
semplice mutamento di una situazione attuale è necessario ma non
sufficiente: Cosa altrettanto
fondamentale è che la Novità diventi trasformazione, sia cioè anche argomentabile.
Il Nuovo, per esser veramente tale deve poter essere valutato e considerato più
giusto rispetto a ciò che lo ha preceduto.
La comprovabilità e la discutibilità
argomentativa dei concetti
Il giudizio identificante non è mai
limitato e limitabile all’azione esclusivamente individuale di un soggetto su
di un altro. La dimensione intersoggettiva dell’identificazione è rinvenibile
nelle osservazioni adorniane riguardanti la natura dialettica della identità.
Definizione di dialettica: http://www.treccani.it/enciclopedia/dialettica_%28Dizionario-di-filosofia%29/
Sinonimo di dialettica:
http://www.treccani.it/vocabolario/dialettica_%28Sinonimi-e-Contrari%29/
Una corretta teoria della identificazione
soggettiva è concepibile solo come teoria della trasformazione pubblica dei
concetti identificanti, ovvero come studio delle condizioni di possibilità
della loro ridefinizione intersoggettiva.
“La conoscenza oggettiva del mondo esterno
è conseguibile solo in maniera intersoggettiva, cioè da un numero di persone
che si trovano fra loro in uno scambio reciproco di conoscenze” Edmund Husserl
E’ necessario ora specificare quale
rapporto intercorre tra il concetto di identità e quello di dialettica:
La contraddizione dialettica è una qualità
propria del pensiero identificante: il pensiero dialettico rappresenta il
superamento o la messa in movimento del pensiero di identità. La contraddizione
dialettica si esplica nell’incapacità del concetto di contenere nella sua
totalità e plurivocità la magmatica e incoerente essenza della cosa.
“Le parole non rendono un buon servigio al
significato segreto, tutto risulta sempre un po’ diverso quando lo si esprime a
parole, un po’ falsato, un po’ folle, sì, e anche questo è assai bene e mi
piace moltissimo, anche con questo sono perfettamente d’accordo, che ciò che è
tesoro e saggezza d’un uomo suoni sempre un po’ folle alle orecchie altrui.”
“Devo confessarti, mio caro, che non
faccio una gran distinzione tra pensieri e parole. Per dirtela schietta,
neanche i pensieri tengo in gran conto. Apprezzo più le cose. Le cose si
possono amare. Ma le parole non le posso amare. Ecco perché le dottrine non
contano nulla per me. Forse è questo ciò che ti impedisce di trovare la pace:
le troppe parole.”
La continuità tra il pensiero
identificante e quello dialettico sta, invece, nella struttura stessa del
pensiero e della logica identificante. La dialettica è esclusivamente
l’autocontraddizione dell’identità, la dimostrazione dell’ incapacità del
pensiero identificante di tener fede a se stesso. Applicando queste
considerazioni alla teoria della costituzione e della coscienza
dell’individualità soggettiva, si approda ad una concezione del soggetto che
potremmo chiamare dialettico – agonica. Con tale definizione intendo sostenere
la visione di un soggetto i quale non si definisce o non si percepisce mai e
esclusivamente come colui che pone l’identico, ma anche e soprattutto come
colui che riconosce il non-identico in sé stesso. L’io si percepisce come altro
dall’altro.
Sostenere una visione dialettico – agonica
del soggetto equivale a dire che l’identità soggettiva non può esprimersi se
non mediante un apparato categorico concettuale i cui termini si contraddicono
inevitabilmente nel momento stesso in cui si pongono.
La
dicotomia della parola
“Ho
trovato un pensiero, il migliore di tutti i miei pensieri. Ed è questo: D’ogni verità
anche il suo contrario è vero! In altri termini: una verità si lascia enunciare
e tradurre in parole soltanto quando è unilaterale. E unilaterale è tutto ciò
che può essere concepito in pensieri ed espresso in parole, tutto unilaterale,
tutto dimidiato, tutto privo di totalità, di sfericità, di unità. Non si può
far diversamente, non c’è altra via per chi vuol insegnare. Ma il mondo
naturale in sé, ciò che esiste intorno a noi e in noi, non è mai unilaterale, è
reciproco. Mai un uomo è interamente santo o interamente peccatore. Sembra
così, perché noi siamo soggetti all’illusione che il tempo sia qualcosa di
reale. Il tempo non è reale. E se il tempo non è reale, allora anche la
discontinuità che sembra esservi tra il mondo e l’eternità, tra il dolore e la
beatitudine, tra il male e il bene, è un’illusione.”
L’atto di identificazione non risponde mai
esclusivamente a una logica di definizione o di determinazione di una identità,
infatti se lo stesso pensiero identificante vuole continuare a sussistere,
vuole perciò progredire nella sua opera di ordine e creazione, deve continuare
a tener viva e aperta la possibilità che, le identità da lui poste, possano
trasformarsi in qualcosa d’altro rispetto al modo con cui vengono espresse.
Se una determinata individualità
soggettiva viene definita mediante un apparato categoriale che la racchiude,
avvolgendola completamente, non solo verrà spogliata di tutte le contraddizioni
interne e esterne alle implicazioni storico- sociali dell’individuo, ma lo
stesso pensiero identificante, privandosi della possibilità che l’identico
soggettivo possa trasformarsi e assumere nuove conformazioni storiche, priverà
anche sé stesso della propria azione ri-definitrice.
La necessità di identificare è dunque
tutt’uno con la necessità di trasformare. Tutelare e salvaguardare la
possibilità di ridefinire i concetti è un’azione possibile solo in un contesto
discorsivamente e intersoggettivamente allargato, che si apra
all’argomentazione di tutti, non solo sulla correttezza espressiva dei
significati, ma anche sulla comparabilità ed equivalenza tra il significato
attribuito alla realtà da un singolo ed il significato conseguente allo scambio
intersoggettivo di conoscenze della medesima realtà tra persone tenendo dunque
aperta la ridefinibilità ti tali significati. La mancanza (spesso
utilitaristica) di obiettività può divenire causa di pregiudizi, la mancanza
(spesso utilitaristica) di criticità può divenire causa di consenso al
pregiudizio. Tali mancanze costituiscono un limite alla definizione
intersoggettiva di una identità; tale limite si può risolvere nella misura in
cui le persone coinvolte nel reciproco scambio di idee sono aperte alla
ri-definizione di tale identità. Trasponendo le precedenti osservazioni sul
piano della teoria sociale , è necessario leggerle alla luce di quella
trasformazione che ha portato a considerare l’individuo, persona. L’individuo è
persona nel senso che non è più una forma astratta e indipendente della
singolarità rispetto alla totalità sociale ma il soggetto di pratiche
reciproche ed intersoggettive di identificazione.
Secondo il modello di teoria sociale di
Adorno il pensiero dell’identità deve essere ricondotto a una teoria dell’uso
dialettico e intersoggettivo delle categorie identificanti che tenga conto sia
della relativa oggettivabilità dell’individuo, sia della possibilità di
trasformazione e ridefinizione di esso. L’antropologia sociale adorniana guarda
a una soggettività inevitabilmente sospesa tra un non più e un non ancora. Ciò che conta non è tanto la
permanenza e la continuità di un proprium antropologico soggettivo, ma la
costitutiva sospensione antropologica tra una dimensione identitaria dell’io,
che chiede di essere espressa e una tensione alla riconfigurazione e alla
trasformazione soggettiva che deve essere messa nelle condizioni di
svilupparsi. In quest’orizzonte la concezione di identità personale non può
intendersi ponendo attenzione al permanere costante dell’individuo nel
continuum storico, quanto al momento storico presente in cui il soggetto si
rivela sempre costitutivamente premessa e promessa.
“Ascolta,caro, ascolta bene! Il peccatore
non è in cammino per diventare un giorno una persona migliore. E ora vedi:
Questo “un giorno” è illusione, è mero simbolo! Il peccatore non è coinvolto in
un processo evolutivo, sebbene il nostro pensiero non sappia rappresentarsi le
cose diversamente. No, nel peccatore è, già ora, oggi stesso, il futuro santo,
il suo avvenire è già tutto presente, tu devi venerare in lui, in te, in ognuno
il santo potenziale, il santo in divenire, il santo nascosto. Il mondo, caro,
non è imperfetto, o impegnato in una lunga via verso la perfezione: no, è
perfetto in ogni istante. La meditazione profonda consente la possibilità di
abolire il tempo, di vedere in contemporaneità tutto ciò che è stato, ciò che è
e ciò che sarà.”
Hermann Hesse
La sociologia contemporanea ha fatto
propria l’esigenza di leggere e interpretare l’identità dando notevole rilievo
all’inoggettivabilità della storia biografica del soggetto. In quest’ottica il
soggetto è identificabile in base a processi di riconoscimento intersoggettivi.
La psicologia sociale di George Herbert
Mead propone una visione nella quale la formazione dell’io si articola mediante
i processi di selezione ed interiorizzazione dei modelli di conversazione e
attraverso i linguaggi diversificati delle comunità di vita o dei gruppi di
appartenenza.
In ambito sociologico Erving Goffman
rappresenta l’autore maggiormente rappresentativo di quel mutamento che, dalla
ricerca sull’ identità, ha condotto alle pratiche di identificazione. Erving
Goffman assume che il Self non viene propriamente rinvenuto e creato
dall’individuo, ma essenzialmente presupposto e assegnato all’individuo da
parte della società in cui vive. Tale processo non deve essere comunque letto
come una mera assegnazione dell’identità da parte di una fonte esterna
all’individuo stesso. La costituzione del Self, deve necessariamente passare
attraverso la progressiva assunzione dei ruoli sociali; l’identità dipende da questi
ruoli ma non coincide mai pienamente con essi.
La dialettica dell’identità secondo Erving Goffman si articola sempre tra due
poli; da un lato l’assorbimento del singolo in un ruolo, ovvero la costituzione
del soggetto in quanto agente sociale, dall’altro la distanza dal ruolo stesso
(role distance), ovvero quella dinamica propria dell’ interazione che apre alla
non-coincidenza dell’individuo con le aspettative normative dei ruoli
molteplici da lui ricoperti.
La società complessa
Il modello di società complessa si
concentra realisticamente, sui meccanismi di interazione sociale tramite i
quali gli individui o i gruppi esercitano una reciproca influenza.
Il concetto di ♦ atomizzazione culturale ♦ e la carenza di reciprocità
Sinonimi di atomizzazione: nebulizzazione,
polverizzazione, vaporizzazione.
Charles Margrave Taylor, il “disagio della
modernità”
Charles Margrave Taylor riconosce come
fondamentale valore raggiunto il riconoscimento della dignità dell’individuo e
del suo libero arbitrio.
Il filosofo riconduce al concetto di
“disagio della Modernità” l’insieme dei problemi tra loro connessi relativi
alla società contemporanea (caratterizzata secondo Charles Margrave Taylor da
un “liberalismo dell’indifferenza”):
Nichilismo, alienazione, atomizzazione, l’imporsi
di un individualismo privatistico, il rapporto sbilanciato tra Self e
collettività (Emmanuel Lévinas: La fenomenologia dell’unico).
Il liberalismo dell’indifferenza è inoltre
caratterizzato da un radicale panlogismo che nega l’esistenza dell’irrazionale
nella profonda natura umana.
Lettura
dei capitoli:
Intuito
(innsaei)
I valori del romanticismo possono forse
ridimensionare il nichilismo caratterizzante il liberalismo dell’indifferenza.
Sitografia: https://en.wikipedia.org/wiki/Charles_Taylor_(philosopher)
Nella teoria sociale adorniana
l’atomizzazione culturale, in quanto aspetto della massificazione è legata
principalmente alla progressiva frammentazione delle istituzioni
socio-aggregative quali i gruppi e le classi.
La complessità delle organizzazioni
sociali contemporanee è contrassegnata da un inevitabile processo di
semplificazione e impoverimento; si sperimenta la crescente scomparsa di
soggetti sociali capaci di fornire dimensioni di appartenenza ai propri membri
o di avanzare efficaci richieste politiche in un contesto di pluralità.
L’atomizzazione sociale scaturisce dunque
da un processo storico che sempre più configura le società complesse come
macroaggregati di singoli individui, ovvero come strutture dominate da un
dualismo di fondo; al loro interno coesistono, infatti, da un lato i singoli
individui atomizzati, dall’altro la complessità anonima e generale della
totalità sociale.
Emmanuel Lévinas: L’io è ostaggio
dell’Altro.
L’io viene auto-esperito come soggetto di
godimento e di proprietà per liberarsi dall’anonimità, dall’atarassia (stato di
indifferente serenità ed imperturbabilità di fronte alle vicende del mondo) e
dall’infanzia mediante l’autopossedimento ovvero sperimentandosi come proprietà
di sé stesso.
Originariamente (Adorno critica il
concetto di originario ) il proprio del soggetto è esperito come proprietà e la
prima parola dell’io non è io, ma mio e l’io è un effetto del mio.
Questa connotazione possessiva dell’io,
viene messa in relazione con l’apparire di un Altro che mi viene incontro come
istanza assoluta di alterità, che quindi mi si annuncia mediante la forma del
Volto.
È necessario sottolineare la dimensione
propriamente etica dell’apparire dell’Altro, il quale si rivela nella sua
assoluta indisponibilità. L’incontro con il volto è dunque sempre l’incontro
con la buona violenza che mi si impone come imperativo etico di riconoscerlo
nella sua alterità assoluta ed incondizionata. La prima reazione dell’io
innanzi al Volto è dunque un atteggiamento di rispettosa e obbediente
inattività, non a caso Emmanuel Lévinas rinvia spesso all’immagine di un io che
è ostaggio dell’Altro. L’io è dunque eticamente assoggettato all’Altro.
Questa soggezione etica
all’indisponibilità dell’Altro, rischia però di tradursi in una mera ratifica
della natura dell’Altro, l’io si nega a priori la possibilità di approfondire
la relazione con l’Altro escludendo così la possibilità di una compenetrazione
esperienziale e critica tra l’io e l’Altro compromettendo la reciprocità della
relazione e la relazione stessa. Questo silenzio potrebbe inoltre legittimare
delle particolari istanze, bisognose di trasformazione.
La fenomenologia Lévinassiana
dell’individualità, rivela la sua carenza di reciprocità dialettica, non solo
nella misura in cui propone indirettamente un annullamento etico dell’io
rispetto all’assoluta alterità dell’Altro ma soprattutto perché non apre alla
possibilità di istituire una relazione interpersonale nella quale, sia l’io che
l’altro possano essere reciprocamente trasformati rispetto a ciò che essi erano
prima dell’incontro stesso.
Il quadro che sembrerebbe fare da sfondo
al processo di atomizzazione proposto da Adorno, potrebbe essere sintetizzato
nell’immagine eloquente della massa solitaria (einsame Masse). Mediante questa
figura, la totalità sociale viene ricondotta alla mera aggregazione di
esistenze monadiche e isolate.
L’agire da individuo alimenta
l’atomizzazione sociale, un fenomeno che influenza il pensiero della persona
che dunque agisce da individuo:
Adorno riconosce infatti che il processo
di atomizzazione passa inevitabilmente e paradossalmente attraverso una
radicalizzazione e diversificazione delle forme di interazione sociale.
Tre categorie sociali sensibili ai
contesti contemporanei
Individui non asociali e non inclini ad
una vita appartata, ritirata e separata: La loro solitudine non è
identificabile con un oggettivo isolamento delle esistenze individuali, bensì
con l’incapacità di restare soli. I soggetti sono immersi in una forma
atomizzata di vita, proprio perché proiettati in una rete di comunicazioni, di
contatti e di mobilità, che li riduce a funzioni amorfe e omologate di rapporti
anonimi e talvolta distruttivi.
La solitudine di tale individuo si
interpreta nella sua incapacità di sperimentare la propria solitudine come polo
dialettico essenziale di una vita di relazione. Adorno infatti si sofferma
sulla progressiva perdita della capacità di stare da soli, la quale non deve
essere intesa come un rinserrarsi in uno spazio pre- o anti – sociale, ma come
la possibilità di una dimensione dell’esistenza capace di azione critica nei
confronti della funzionalizzazione, della strumentalizzazione e
dell’omologazione dei rapporti sociali e interpersonali. La solitudine dell’individuo
contemporaneo risiede nel rischio di pensare i processi sociali e di
costituzione della soggettività, come momenti incentrati su una relazionalità
non riflessiva e non reciproca.
L’aggregazione sociale, infatti, non è più
ispirata da forme condivise di appartenenza, o dall’elaborazione di fini e
pratiche comuni, essa è labilmente sostenuta dalla ben più effimera logica
dalla creazione e dalla ricerca di contatti.
Il compito del soggetto: condurre una vita
propria, autentica, originale.
Il singolo individuo è il fulcro della
riproduzione sociale:
“È l’individualità a divenire l’unità
riproduttiva del mondo della vita sociale.” Ulrich Beck
Dunque sia all’interno che all’esterno
della famiglia gli individui diventano gli attori della loro esistenza. La
stessa biografia diventa un progetto riflessivo.
(Adorno considera esclusivamente questa
categoria di individuo come integralmente caratterizzante la massa solitaria.)
Il singolo individuo è artefice della
riproduzione sociale se essa ne ha la volontà: Il contesto sociale
contemporaneo ammette la possibilità che il singolo viva una vita appartata.
La solitudine di tale individuo si
identifica con l’oggettivo isolamento che implica immediatamente l’assenza di
relazionalità intersoggettiva reciproca (Nédoncelle : Non vi è reciprocità
quando percepiamo qualcuno a sua insaputa, in questo caso non ci è dato di
raggiungere il suo essere spirituale.)
La persona:
Il pensiero personalista – altruistico
elude il baratro dell’ atomizzazione sociale
Costruendo un ponte tra il tu e l’io:
Persone dedite all’altruismo e al dono
sono artefici di una relazionalità fruttuosa. Le persone sono consapevoli della
unicità del singolo, dunque essi riconoscono il valore della critica nei
confronti della funzionalizzazione, della strumentalizzazione e della
omologazione dei rapporti interpersonali, dunque esse sperimentano la propria
solitudine come polo dialettico essenziale di una vita di relazione e pensano i
processi sociali e di costituzione della soggettività, come momenti incentrati
su una relazionalità riflessiva e reciproca.
Uniformazione o livellamento della
dimensione sociale e psichica
Le modalità sociali con cui gli individui
si rapportano all’ambiente sono omologati ed uniformati. Gli individui secondo
questa logica perderebbero la capacità di osservare, di comprendere e di
elaborare le differenze di carattere sociale. Adorno sembra legare
concettualmente l’idea di uniformazione delle coscienze individuali al concetto
sociologico di conflitto, e al processo di formazione , percezione e
espressione del dissenso (Il dissenso è ciò che di più versatile, multiforme e
mutevole possa esserci nei processi di riproduzione sociale) riconoscendone le
contemporanee assenze: L’omologazione e il livellamento delle coscienze è un impoverimento
di tutti poiché, in ultima istanza coincide con la rimozione della possibilità
dell’insorgenza di conflitti e dissensi. E’ infatti mediante la possibilità di
espressione e attraverso la capacità di rielaborazione dei conflitti, che la
complessità sociale ha la possibilità di rigenerarsi. Il fenomeno
dell’omologazione induce a un assopimento delle capacità percettive e ricettive
delle differenze da parte dei singoli che dunque implica insensibilità o fobia
nei confronti delle differenze stesse, ciò determina tra l’altro la scomparsa
della curiosità , soffio vitale delle relazioni interpersonali.
Le forme dell’insofferenza e del
disaccordo sociale, sono intrinsecamente contrassegnate da un alto grado di
volubilità. L’omologazione coincide dunque con l’anestetizzazione della
capacità, collettiva o individuale, di identificare il conflitto.
L’integrazione non ha fatto scomparire
l’antagonismo oggettivo. È stata solo neutralizzata la sua manifestazione nella
lotta. Il conformismo mediante le funzioni omologanti dei sistemi di
comunicazione di massa, instilla, nelle singole coscienze un assopimento
narcotizzante nei confronti delle capacità umane del distinguere, del comparare
e del dissentire.
La sociologia contemporanea ha inoltre
fatto notare che vi sia una relazione tra il fenomeno dell’omologazione e la
frammentazione e pluralizzazione delle possibilità della propria esistenza che
causa la progressiva incapacità di percepire le contraddizioni, di vivere il
conflitto e di formulare il dissenso.
In ogni caso, è bene considerare che “il
principale obiettivo della teoria critica classica era la difesa dell’autonomia
umana, della libertà di scelta e di autoaffermazione, strappare la libertà
individuale alla morsa ferrea, liberare l’individuo dalla gabbia di ferro, di
una società afflitta da appetiti totalitari, incline ufficialmente e
concretamente a omogeneizzare e uniformare costituisce l’obiettivo ultimo
dell’emancipazione (raggiunto in molti luoghi della contemporaneità) e la fine
delle miserie umane.” Zygmunt Bauman
Il concetto di atomizzazione e il regime
totalitario:
“L'atomizzazione sociale della società
sovietica venne ottenuta con l'abile uso di ripetute epurazioni, che
invariabilmente precedevano l'effettiva liquidazione di un gruppo. Per
distruggere tutti i legami sociali e familiari, le epurazioni venivano condotte
in modo da minacciare della stessa sorte l'accusato e tutta la sua cerchia, dai
semplici conoscenti agli amici e ai parenti più stretti. La conseguenza
dell'ingegnoso criterio della "colpa per associazione" era che,
appena un uomo veniva accusato, i suoi vecchi amici si trasformavano di colpo
nei suoi nemici più accaniti... In ultima analisi, fu con l'impiego radicale di
questi metodi polizieschi che il regime staliniano riuscì a instaurare una
società atomizzata quale non si era mai vista prima, e a creare intorno a
ciascun individuo un'imponente solitudine quale neppure una catastrofe da sola
avrebbe potuto causare.”
Hannah Arendt
L’atomizzazione è dunque imposta
dall’esterno, dal totalitarismo stesso, la resistenza a tale Volontà non può
avere implicazioni immediate sulla realtà: Il mutamento della realtà sociale è
infatti mediata ed ostacolata dall’autorizzazione al cambiamento (spesso
negata) di una Volontà esterna, non coincidente con la volontà dell’individuo.
“La teoria critica classica doveva servire
all’obiettivo dell’emancipazione e non doveva guardare al di là della sua
realizzazione.” Zygmunt Bauman
La teoria critica contemporanea si dedica
dunque alla riflessione sul concetto di atomizzazione in un contesto sociale
non totalitario:
L’atomizzazione viene dunque auto-imposta
dall’individuo, dalla propria volontà che l’individuo stesso può immediatamente
mettere in discussione e ri-definire.
“E’
l’individualità a divenire l’unità riproduttiva del mondo della vita sociale.”
Ulrich Beck
Il concetto di privatismo
Con il concetto di privatismo intendo
quell’atteggiamento individuale, atto a considerare la dimensione interiore,
personale e solitaria della soggettività come luogo autonomo di riflessione.
Una gestione privatistica della
soggettività prevede che lo spazio privato sia percepito come oggettivamente
distinto e scisso dallo spazio sociale della gestione comune e pubblica delle
questioni riguardanti gli individui.
La distinzione tra una visione della
privatezza individuale come interiorità e un’accezione della privatezza in
quanto intimità. L’ interiorità richiama un ambito di originalità e autenticità
individuali, l’intimità è invece un concetto intrinsecamente relazionale e doppiamente
connotabile, in quanto capace di esprimere, allo stesso tempo, intimità di e
con sé stessi ed intimità di e con un altro. L’intimità, a differenza dell’
interiorità, non è mai escludente, non traccia cioè alcuna cesura tra una sfera
privata dei sentimenti ed il senso comune. Adorno critica serratamente
quell’atteggiamento privatistico inteso come dominio e supremazia
dell’interiorità ed accoglie la dimensione intima del sentire e del vivere
umano. La parte più profonda e personale di un individuo, non è mai
rappresentabile nei termini di un’immediatezza nei confronti di sé stessi,
bensì come quel luogo personale della riflessione e dell’accoglienza
dell’estraneità di sé stessi in relazione all’estraneità degli altri verso sé
stessi. L’accezione di intimità aperta e ospitale si comunica nella cordialità
di un gesto composto e accogliente. Una privatezza ispirata da una visione
della soggettività come intimità, ispirerà, a sua volta una dimensione
relazionale capace di far mergere le differenze tra gli interlocutori, essa
mirerà ad un approccio non immediato. Di contro, la fisionomia privatistica di
una soggettività focalizzata sull’interiorità, tenderà a instaurare rapporti e
relazioni dirette, apparentemente immediate e franche, ma in realtà facilmente
riconducibili a fortuiti e superficiali contatti.
Le possibili implicazioni dell’
atomizzazione sociale
Carenza di reciprocità :
Nella reciprocità conta soprattutto la
rispondenza di ciascuno all’altro, la significatività del dire e dell’agire per
colei/colui a cui ci si rivolge, piuttosto che l’azione in sé o
l’intenzionalità soggettiva di chi la compie. Non si bada solo allo sviluppo
delle capacità della persona di uscire da sé (morale ancora individualistica),
ma anche al riscontro con un atteggiamento simile nell’altro, che alimenti il
rapporto, creando una realtà comune. Del resto aprirsi all’altro senza
ottenerne risposta può costituire premessa di nichilismo, se la trascendenza
dell’io va verso il vuoto, senza incontrare che il nulla. Intendere la relazionalità
come reciprocità significa riconoscere che alla tensione dell’io verso il tu,
corrisponde la reciproca, alla trascendenza dell’io la trascendenza dell’altro,
al dono il ricambio.
Carenza di conflitto e paralisi della ♦ creatività ♦:
Una vita di relazioni senza conflitti è
un’utopia pericolosa, legata al sogno di un falso pacifismo di apparenza.
Sarebbe come chiudere gli occhi sull’alterità dell’altro, o peggio volerla
eliminare perché spaventa e disturba.
Un rapporto costantemente e irenicamente
riconciliato farebbe pensare all’incapacità di confrontarsi e spendersi con
l’altro, ad un’adesione acritica e infantile di una parte all’altra, ad una
paralisi della ♦
creatività ♦.
E’ anche vero però che si può fare molto
per evitare i conflitti, imparando a gestirli, a decifrare il linguaggio
dell’altro, a non urtare contro ostacoli evitabili. (Sul tema si veda: J.E.C.
Poujol, I Conflitti. Origini, Evoluzioni, Superamenti, GBU, Roma 1998)
Paralisi della curiosità.
Resa all’Incomunicabilità.
Fatuità di una autogratificazione
narcisista.
Carenza di empatia, congioire, unipatia:
Rinuncia ad affrontare la realtà: caso
Hikikomori
Persona e natura , Nédoncelle
“Chi sono io?”, per Nédoncelle, non è
questione concernente solo l’uomo, ma anche la natura.
“Cosa intendiamo dire quando parliamo di
natura? Il sodalizio tra natura e persona è enigmatico, ma indissolubile ”
Finché non abbiamo posto la nostra
impronta sulle cose, queste ultime ci restano estranee. Un abisso incolmabile
permane, se non assimiliamo le qualità della natura e vi esprimiamo una
intenzione soggettiva.
L ‘ altruismo dell’ agire umano
Ciò che abbiamo rilevato in merito alla
nozione nédoncelliana di persona: Si è appreso che la persona si avvera e,
quindi si precisa, rispondendo ad una vocazione universale: quella di dirigersi
verso il mondo fisico e di aprirsi alle altre persone. La natura dell’uomo è
essenzialmente relazionale. Nessun atto umano costituisce eccezione a questa
legge, tantomeno l’atto conoscitivo; anche la conoscenza è altruista: essa è
necessariamente aperta all’altro. In una simile prospettiva il pensiero è
tendenza a comprendere sia il proprio essere sia quello degli altri enti e
tendenza a farsi comprendere. Inizialmente, il pensiero è provocato dalle
immagini che esso si forma delle cose esteriori; successivamente, la persona
avverte il naturale stimolo di trasmettere il proprio pensiero ad altri. Il
soddisfacimento di questo bisogno implica una traduzione del pensiero fatto di
immagini in un pensiero espresso in parole.
Qui si colloca il processo di
simbolizzazione, il quale prevede il passaggio da un iniziale momento
interiore, contraddistinto da una associazione di immagini e di idee generali,
ad una conseguente proiezione all’esterno. Il linguaggio simbolico manifesta la
vocazione all’universalità insita in ogni relazione interpersonale.
In un siffatto dinamismo, Nédoncelle pone
come condizione imprescindibile la reciprocità, vale a dire una offerta ed una
ricezione vicendevole tra i due soggetti: L’atto per il tramite del quale si
conosce una persona è di tipo intuitivo
Esso esula dalla conoscenza sensibile ed
esteriore, volgendosi a cogliere la struttura globale ed originale della
persona. “L’intuizione, non la riflessione è la logica segreta della
percezione. ”
“Quando un incontro ha luogo, la luce che
si spande sull’altro, al tempo stesso illumina anche noi. La percezione
dell’altro è sempre, nella sua radice coscienza di sé e coscienza dell’altro.
Essa fa pensare ad una strada che ne incrocia un’altra. Se non si accetta
questa bipolarità dell’intuizione è impossibile pensare il cogito medesimo e,
quindi, è impossibile giustificare il rapporto dei soggetti. Resta inteso che
si tratta dell’intuizione di un io e di un tu, i quali sono ancora incompiuti e
sconosciuti: essi sono semplicemente riconosciuti come un modo irriducibile di
essere chiamati a compiersi e a completarsi.”
Il minimum di reciprocità: “Essa tende
verso un dialogo, tende a vivificarlo e ad espanderlo, tende verso una
relazione intersoggettiva in cui ogni coscienza restituisce al compagno il dono
che ha ricevuto, dopo avervi lasciato il proprio segno” “Ogni percezione
dell’altro implica un minimum di reciprocità; ogni reciprocità è inizialmente
ed essenzialmente legata all’amore ; ogni amore personale è sentimento,
conoscenza e volontà di promozione ; infine ogni volontà di promozione trascina
una continuità del mondo degli spiriti e anche un’identità eterogenea dell’io e
del tu, poiché l’io e il tu si confondono nell’atto amante. Il problema della percezione
dell’altro, quindi, si chiarisce soltanto alla luce di una metafisica
dell’amore, la sola capace di rendere intellegibile la relazione dell’uno e del
multiplo. ”
“L’universo personale non è altrettanto il
luogo privilegiato, in cui lo spirito attende che un altro spirito lo desti e
lo doni a sé stesso?” Lefèvre
Il metodo della filosofia nédoncelliana
riconosce alla coscienza umana la condizione naturale di un dato-donatore :
“Non sussiste antinomia fra l’adesione all’essere e l’invenzione ‘dell’essere
nell’amore.” Pertanto possiamo affermare che nella percezione della persona è
necessariamente presente una attitudine a volersi donare. Allorché una persona
accetta di aprire il suo essere dinanzi al mio desiderio di lei, acconsente ad
essere voluta da me, ma vuole anche percepire il mio essere personale.
(Reciprocità)
La percezione della persona, nel pensiero
di Nédoncelle, si configura come la prima tappa della relazione dell’io e del
tu. Di conseguenza, l’atto percettivo possiede già tutti i tratti di un amore
interpersonale.
La reciprocità è assente nella percezione
di una cosa, poiché quest’ultima non ha coscienza. È inconsapevole di essere
percepita. Analogamente non vi è reciprocità quando percepiamo qualcuno a sua
insaputa, in questo caso non ci è dato di raggiungere il suo essere spirituale.
conclusione della tesi seconda
La natura dell’uomo è essenzialmente
incline alla relazionalità reciproca e donatrice,
L’ atomizzazione sociale esclude la
reciprocità e il dono; dunque l’atomizzazione sociale è, secondo logica, un fenomeno
contro la natura umana.
La compassione è la più
importante e forse l’unica legge di vita dell’umanità intera.
Fëdor Dostoevskij
La
compassione è intelligenza etica, capacità di fare collegamenti e conseguente
desiderio di agire per alleviare la sofferenza altrui.
Will Tuttle
Un
nuovo paradigma
considerazioni
etiche e pedagogiche conclusive
Il principio dialogico, permette di vedere
la dualità nell’unità, unisce principi che si contrappongono o si integrano: La
saggezza, che è una delle interazioni fondamentali (nodi concettuali fondamentali).
“La saggezza è motrice e guida
nell’insegnare l’arte di vivere”
Edgar Morin
Il principio ricorsivo, secondo il quale
il feedback rompe l’idea di linearità e introduce a causalità circolare, per
cui le cause producono effetti e gli effetti sono ause di altri effetti: La
relazione causa – effetto, che è una delle interazioni fondamentali (nodi
concettuali fondamentali) .
“Noi che siamo stati allevati nella
mitologia dell’Antico Testamento, potremmo dire che l’idillio è un’immagine
rimasta in noi come ricordo del Paradiso: la vita nel Paradiso non somigliava a
una corsa in linea retta che ci conduce verso l’ignoto, non era un’avventura.
Essa si muoveva in circolo tra cose conosciute. La sua monotonia non era noia
ma felicità.
In Paradiso l’uomo non era ancora
scagliato sulla traiettoria dell’uomo. Noi, è già molto che vi siamo stati
scagliati e voliamo nel vuoto del tempo che si compie in linea retta. Ma esiste
sempre in noi una cordicella sottile che ci lega al lontano e nebuloso
Paradiso.
La nostalgia del Paradiso è il desiderio
dell’uomo di non esser uomo.
In questa frase è contenuta tutta la
condanna dell’uomo: Il tempo umano non ruota in cerchio ma avanza veloce in
linea retta. È per questo che l’uomo non può essere felice, perché la felicità
è il desiderio di ♦
ripetizione ♦. “
l ‘ insostenibile leggerezza dell’essere,
Milan Kundera
“Generazione
che va, generazione che viene e la terra nel suo ciclo rimane. E sorge il sole
e il sole tramonta, anelando al suo luogo dov' egli risorge. Soffia a
mezzogiorno poi gira a tramontana e volgendo, volgendo il vento se ne va e
sopra le sue spire ritorna il vento. Tutti i fiumi se ne vanno al mare e il
mare non si piena: la donde scorrono i fiumi, là essi ritornano a scorrere.” Ecclesiaste,
I, 4-7
La quotidianità; forse talvolta si giudica
monotona e soffocante, un alienante ripetersi di eventi; amo stimarla per ciò
che talvolta dona: L'incontro con la persona. L' opportunità di agire per le
felicità in ciascuna situazione in cui si incontrano persone sconosciute o
persone conosciute. Nell'istante in cui verranno a noi donate possibilità, se
si sarà passivi, non si attribuirà ad esse il valore che meritano; Se si
commette un errore, si diventa consapevoli di tale fatto ma con il passare del
tempo si dimentica; accade così che si ripetono
continuamente gli stessi errori e
le possibilità donateci inesorabilmente decresceranno.
Pëtr Kropotkin scrisse: "Con che
diritto, potremmo chiedere di essere trattati in un certo modo, qualora ci
riservassimo di trattare gli altri diversamente?"
Il principio ologrammatico, secondo il
quale il tutto è iscritto nella parte e la parte nel tutto, superando così la
visione riduzionistica, che vede solo le parti e la visione olistica che vede
solo il tutto: La relazione di familiarità , che è una delle interazioni
fondamentali (nodi concettuali fondamentali).
Queste considerazioni sono alla base di un
nuovo paradigma, di un metodo pedagogico che può essere modificato in itinere,
per scegliere la soluzione migliore possibile di un’epistemologia della
complessità e dell’ intuitività .
Affinché l’homo accetti di essere
l’artefice del cambiamento del proprio futuro, c’è bisogno di una riforma
educativa per ogni grado di istruzione: primario, secondario ed universitario.
Insegnare la
comprensione: il pensiero intuitivo
“Il mio lavoro
riguarda la risoluzione dei conflitti, la negoziazione. C’è un modo diverso di
relazionarsi con la gente che si basa sull’intuito, sull’emozione e sulla
razionalità, piuttosto che vedere il mondo come un mondo politico in cui il
potere è l'unica cosa che conta. Il potere escluso da emozioni e esseri umani.
Cosa insegniamo ai nostri figli? La matematica, certamente importante, il
linguaggio, certamente importante, ma alla fine, il nostro è un mondo
funzionale, dobbiamo agire nel mondo, dobbiamo interagire nel mondo. Ciò
richiede una serie di abilità di comprensione di ciò che provano le altre
persone, restando consapevoli di ciò che proviamo. Ecco la parte ♦intuitiva♦ e comunque
ritengo che debba esserci spazio per questo nei programmi scolastici per gli
studenti.”
Daniel Shapiro,
Dir. Harvard International Negotiation Program
“La cultura scompare nell’abbondanza della
sovrapproduzione, nella valanga dei segni, nella follia della quantità.”
l ‘ insostenibile leggerezza dell’essere,
Milan Kundera
“C’era però qualcosa che univa il
banchiere e il povero: l’odio per la bellezza.
“Che cos’è la bellezza?”
Parole sempre uguali ritornavano come un
pellegrino che non riesce a staccare gli occhi da un paesaggio o come un uomo
che non sa dire addio alla vita.
Frammenti di Parole preziose compongono la
bellezza, parole sempre uguali, ritornavano, ma nessuno le ha mai ascoltate e
nessuno le ascolterà, per questa sordità la bellezza non è che l’infinita
vanità di parole preziose, la vanità della cultura, la vanità dell’arte.
La bellezza è un mondo tradito. La
possiamo incontrare solo quando i persecutori l’hanno dimenticata per errore da
qualche parte. La bellezza è nascosta dietro i fondali della parata del primo
maggio. Se la vogliamo trovare dobbiamo strappare la tela dal fondale.”
L ‘ insostenibile leggerezza dell’essere,
Milan Kundera
La responsabilità d’essere d’esempio non
grava esclusivamente sul docente di un istituto scolastico bensì su ciascun
uomo e ciascuna donna: "L'esempio non è la cosa che influisce di più sugli
altri: è l'unica cosa."
Albert Scweitzer
“Quale
pianeta lasceremo ai nostri figli?”
H. Jonas, Il principio responsabilità.
Un’etica per una civiltà tecnologica, tr. It. Einaudi, Torino, 1997 in Edgar
Morin, La testa ben fatta. Op. cit. p. 9
“Mi chiedo come
facciano i bambini a plasmarsi con la cultura che li circonda. In che tipo di
oceano di informazioni e di stimoli si immergono i bambini? C’è un lato oscuro
di tutta questa interconnessione della contemporanea società mediale. Invece di
avvicinarci, potrebbe avere l’effetto opposto, facendoci disconnettere
maggiormente da noi stessi, dagli altri e dal mondo intorno a noi.”
Hrund Gunnsteinsdottir
“L’esercizio del pensiero può offrire
l’opportunità di arrivare a percepire se stessi come soggetti liberi di vedere
nella saggezza, nella riflessione e nell’introspezione, gli strumenti per
raggiungere l’autonomia e la libertà della mente che rende possibile percorsi
di comprensione. Itinerari di comprensione, dunque, sia intellettuale, sia
umana, costantemente minacciati dal frastuono che spesso investe la
comunicazione e dall'incessante bisogno individuale di “essere riconosciuti”.
L'autentica comprensione umana permetterebbe di riconoscere l’altro al contempo
simile a me, per la condivisione della medesima umanità, e altro da me
riconosciuto nel suo essere unico al mondo, irripetibile nella storia. “Soltanto quando prenderemo coscienza del nostro
valore di esseri umani unici potremo allora incominciare a sviluppare un senso
di dignità umana e di rispetto per il nostro posto nella vita. Sono così
poche le persone che trasmettono questo messaggio. Sempre più spesso veniamo disumanizzati e costretti a sentirci in colpa
per le nostre differenze. Siamo sempre più convinti che ci manca la
capacità di affrontare la vita. Sono pochi coloro che ci incoraggiano a provare, a
rischiare. Troppo raramente ci
viene detto quanto siamo speciali o stimolati a confrontarci con il
prodigio del nostro io nascosto."
E permetterebbe altresì di: “conferendo al prossimo dignità
umana; combattere, il male morale più crudele, il più atroce che un essere
umano possa fare ad un altro essere umano: l’umiliazione; E.
Morin
“L’incomprensione onnipresente, genera i
malintesi, scatena i disprezzi e gli odi, suscita le violenze e accompagna
sempre le guerre”
Edgar Morin
“Il tema della musicale che costituiva la
vita. Quel tema ritornava in continuazione, e ogni volta con un significato
diverso; tutti quei significati scorrevano attraverso il simbolo come l’acqua
nel letto di un fiume. Potrei chiamarlo il letto del fiume di Eraclito: “Non si
può entrare due volte nello stesso fiume!”. Il simbolo era il letto nel quale
si vede scorrere ogni volta un altro fiume, un altro fiume semantico: lo stesso
oggetto, la stessa parola risvegliava ogni volta un nuovo significato, ma
insieme a quel significato risuonavano (come un’eco, come un corteo di echi) tutti
i significati trascorsi. Ogni nuova esperienza risuonava di un’armonia sempre
più ricca. Ora, forse, possiamo capire meglio l’abisso che due persone separa:
Capivano perfettamente il significato logico delle parole che si dicevano, ma
non sentivano il mormorio del fiume semantico che scorreva in quelle parole.
Fintanto che le persone sono giovani e la composizione musicale della loro vita
è ancora alle prime battute, essi possono scriverla in comune e scambiarsi i
temi, ma quando si incontrano in età più matura, la loro composizione musicale
è più o meno completa, e ogni parola, ogni oggetto, significano qualcosa di
diverso nella composizione di ciascuno: la dissonanza delle parole e dei gesti
fraintesi.”
Milan Kundera. l’insostenibile leggerezza
dell’essere”
}
Mariangela Scarpini
“Vivere
è il mestiere che voglio insegnargli.” Jean-Jacques Rousseau
“A
quali figli lasceremo il mondo?”
J. Semprun, L’abisso si ripopola, tr. It.
Edizioni Colibrì, Paderno Dugnano (MI) 1999 in Edgar Morin, La testa ben fatta.
Op. cit. p. 9
“Immaginate per
un momento che siamo stati creati con due ritmi. Uno inspira, l’altro espira.
Uno riflette, l’altro reagisce. Uno sente, l’altro calcola. Dopo essere stata
esposta a tutta questa saggezza e conoscenza, ho capito che mancava un
collegamento tra il mio mondo interiore e il mondo intorno a me. Ho scoperto
che il collegamento mancante aveva radici nell’antica lingua islandese, nella
parola che significa intuito, ossia “InnSaei”. In Islandese InnSaei ha molti
significati. InnSaei significa ‘nel mare’. Significa ‘vedere dentro’. E
significa anche ‘vedere dall’interno all’esterno’. Il mare è la natura senza
confini del nostro mondo interiore. Si muove costantemente. Va oltre le parole.
È un mondo di visione. Sentimenti. E immaginazione. Il mare interiore non si
può mettere dentro una scatola o cessa di fluire. Vedere all’interno significa
conoscere se stessi. Conoscere se stessi abbastanza bene per essere in grado di
mettersi nei panni delle altre persone e tirar fuori il meglio di sé.
Infine
InnSaei significa vedere il mondo dall’interno all’esterno. Pertanto, significa
avere una bussola interiore forte, in modo da navigare a modo proprio nel
nostro mondo in costante evoluzione.”
Hrund Gunnsteinsdottir
C
H I E D I T I C O S A P U O I
F A R E
Bibliografia:
Maria
Cipro, 2015, Edgar Morin Il Prometeo del XX secolo, in: Presentazione, Roma,
Aracne editrice
E.
Morin, “Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l'educazione”, Raffaello
Cortina, Milano, 2015
Monica
Amadini, Ontologia della reciprocità e riflessione pedagogica. Saggio sulla
filosofia dell’amore di Maurice Nédoncelle, Vita e Pensiero, 2001
Angelo
Scola,La reciprocità uomo-donna. Via di spiritualità coniugale e familiare,
Città Nuova, Roma 2001.
Hermann
Hesse, Siddhartha, Adelphi.
Vincenzo
Rosito, Espressione e normatività: soggettività e intersoggettività in Theodor
W. Adorno, Mimesis filosofie.
Filmografia:
Innsaei,
Hrund Gunnsteinsdottir, Kristín Ólafsdóttir, Germany, 30 June 2016
Sitografia:
https://www.youtube.com/watch?v=QuC52IoTczY
https://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_della_complessità
https://it.wikipedia.org/wiki/Sistema_complesso
http://math.unife.it/ssis/allegati/indicazioni-programmi/pascali/SSIS.Memoria.pdf
http://www.treccani.it/vocabolario/hybris/
http://www.treccani.it/enciclopedia/dialettica_%28Dizionario-di-filosofia%29/
http://www.treccani.it/vocabolario/dialettica_%28Sinonimi-e-Contrari%29/
Filmografia
InnSæi
– the Power of Intuition, Hrund Gunnsteinsdottir and Kristín Ólafsdóttir, 2016