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lunedì 27 febbraio 2023

IL SETTIMO LIBRO DELL' AUTORE MICHELE VITTI "IL MECCANISMO DEL TEMPO IL LIBRO DEGLI INGRANAGGI LIBERI"

 






IL MECCANISMO DEL TEMPO 

IL LIBRO DEGLI INGRANAGGI LIBERI

Breviario di riflessioni

 

 

 

 

 

IL MECCANISMO DEL TEMPO

Il libro degli ingranaggi liberi

 

© 2023 Michele Vitti

 

Data di pubblicazione : 25.02.2023

 

Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore.

È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.

 

ISBN : 9798378973187

Casa editrice: Independently published

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INDICE

GLI INGRANAGGI LIBERI

 

 

Il potenziale latente dell’ingranaggio libero                                         

Gli specchi creativi                                                                    

Le rivoluzioni creative discrete                                                   

I veli percettivi                                                                                            

Una prospettiva eccentrica delle creatività istantanee               

La normalità delle idee altrernative                                                       

La inazione creativa                                                                  

La stanchezza del continuum                                                    

Un dio idiota                                                                            

Siamo a noi gravità inverse                                                                     

La irrazionale razionalità                                                                        

e le temporaneità eccentriche del caos                                      

I Blind choosers                                                                                          

i Visionary acquiescents caregivers

e le attitudini gemelle

Para doxa                                                                                                     

Intelligent beauty                                                                     

La lettura relativa                                                                     

La onestà gentile                                                                                        

Il valore delle relazioni non equivalenti                                      

Le ricchezze collaterali                                                             

Il gioco delle tre tavolozze                                                                       

Ila valore della impressività                                                       

l’atto immotivato funzionale alla contentezza

alla creatività e alla spensieratezza                                                

 

 

 

IL POTENZIALE LATENTE

DELL’INGRANAGGIO LIBERO

 

 

 

 

Un ingranaggio libero da qualunque meccanismo è in latente facoltà di coincidere in miriadi di meccanismi, un ingranaggio libero non è un ingranaggio inerte bensì è in continua evoluzione flessibile, i raffinatori metallurgici non appena si accorgono dell’ingranaggio libero lo plasmano affinché ottimizzi i meccanismi che andranno ad accoglierlo.

E se questo non accadesse? Chiunque orologiaio sa che ogni ingranaggio libero è prezioso poiché potenzialmente funzionale.

Ma perché un ingranaggio dovrebbe essere libero? Potrebbe nascere libero o potrebbe essere stato liberato.

Solitamente gli ingranaggi nuovi che nascono liberi sono presto combinati ai meccanismi. Ma consideriamo la storia dell’ingranaggio liberato.

Gli ingranaggi liberati solitamente sono ingranaggi frammentati, guastati, allora guasti.

Ma approfondiamo il tema del guastare, pertanto si riconosce che se avviene che un ingranaggio si guasta in un meccanismo significa che i sistemi meccanici, gli ingranaggi che orbitano intorno a questi ingranaggi delegano sforzi tensionali che l’ingranaggio non può sostenere, allora l’ingranaggio si frammenta. Seguendo la logica i meccanismi che guastano un ingranaggio sono meccanismi (Ingranaggi complessi) guasti per la prova che dimostrano del fatto di guastare una loro parziale ontologica proprietà di rendimento. Diversamente i meccanismi ottimali sono flessibili e auto - catarticamente in facoltà gestionale universale, ovvero sia in grado di gestire le pro-attività delle loro parti, sia in facoltà di gestire le Fragilità delle loro parti ovvero di loro medesimi.

Allora procediamo argomentando - se un meccanismo liberato è frammentato si trova ad affrontare una preziosa possibilità di comprensione previsionale, la percezione olistica della realtà.

Pertanto il meccanismo libero diviene, ora forgiato e temprato dalla natura, le sabbie, i venti, le acque imperversano su di lui che diviene pars naturalis - evolve e si eleva ad ulteriore natura - si fonde (Si relaziona) con i quarzi e gli ori, e viene raccolto per divenire gioiello.

Allora comprendiamo in cosa consiste la evoluzione autonoma indipendente.

Pensiamo ad uno scrittore privo di lettori.

Vedete che cosa cambierebbe il suo scrivere § o il suo scrivere µ .

. Nulla sarebbe esteriormente una invarianza poiché questa differenza o variabilità diveniente non verrebbe riconosciuta o percepita.

Tuttavia vi sono tre aspetti importanti.

Il primo aspetto è che come l’ingranaggio libero lo scrittore diviene, evolve, persevera il suo scrivere. Pertanto la differenza tra lo scrivere § o il suo scrivere µ non è veramente una invarianza ma un passo importante della evoluzione dello scrittore.

Il secondo aspetto è che la percettività è essa medesima una variabile che può verificarsi.

Il terzo aspetto è che l’ingranaggio libero, lo scrittore libero, poiché è liberato è condotto a relazionarsi con i due migliori maestri possibili - I due più vasti olismi relativi.

L’inside mindset - Affrontare sé stessi e imparare da sé stessi, la auto - imprensione.

 

 

 

 

 

E l’universo esterno concepito olisticamente.

Si comprendono alcune verità.

Gli insegnanti più severi sono gli insegnanti più impreparati. O coloro che intravedono in noi vaste potenzialità latenti e si dispongono di relazionarci con noi affinché ci dimostriamo mediativi ontologici delle nostre facoltà latenti.

Siamo sempre messi alla prova da chiunque, non solamente quando si rende manifestata a noi la disposizione di essere in esame attitudinale.

Pertanto cosa accade, accade che l’ingranaggio libero realizza grazie alla relazione con le intemperie naturali una dignità di flessibilità situazionale rara. Analogamente all’ingranaggio liberato lo scrittore che non ebbe lettori evolve se stesso così profondamente, così produttivamente, realizzando una resilienza di saggezza metodica ed una profondità conoscitiva strutturata dai capisaldi della sua relazione con la intima conoscenza della sua anima subconscia e della sua razionalità, e del capisaldo della sua relazione mediativa culturale, telepatica, spirituale teologica, onnicomprensiva scientifica, della concretezza esperienziale - che solo il privilegio di coloro che hanno avuto la accortezza di raccogliere il diamante della lungimiranza. Ebbene questi saggi hanno rivoluzionato ogni percezione prospettica sulle complessità del reale.

Essi avrebbero realizzato del rifiuto un dono di libertà - un rifiuto che potrebbe apparire nelle sembianze di oscuramento, di limitazione di possibilità, di fallimento, di perdita è una privilegiata occasione di arricchimento coscienzioso, illuminante e relativamente lungimirante rispetto alle contiguità percettive di coloro che non videro latente la lungimiranza che è in destino di compiersi.

Così l’ingranaggio libero vide il buio dei meccanismi che lo costringevano e vide il cielo, così nulla è da rifiutare e sono da imparare e da assimilare le proprietà percettive della contiguità percettiva e della lungimiranza - La visione olistica del reale di coloro che camminando e osservando il cielo intuitivamente non incappano negli ostacoli attigui.

Pertanto l’opera dello scrittore deve essere un valore per i lettori, sicché si realizza che lo scrittore sia in facoltà di arricchimento per i suoi lettori.

Non sia allora la meta del “Dovere essere in lettura.” Il metodo creativo dello scrittore.

Poiché lo scrittore che scrive solamente per ottenere lettura desiste il suo scrivere non appena riconosce che le sue opere non sono lette.

The readers not being the guide for the writers, but the writers need to be the guide for the readers.

 

GLI SPECCHI CREATIVI

La reviviscenza creativa

The true creative perseveres in the “Absence of recognition” environment.

Il vero creativo persevera con entusiasmo nell’ambiente di “Assenza di riconoscimento”.

L’atto di agire con entusiasmo è entusiasmante.

Entusiasmo.

Dal greco: IEn    = “ln noi c’è un Dio.”

Il divino non è una astrazione bensì la nostra concretezza creativa: Siamo divinità creatrici.

 

Doing nothing = (1,00)³65 = 1  

Small consistent effort = (1,01) ³65 = 37,7

 

Si conclude che lo scrittore che è privo di lettori e che persevera il suo riflettere ed il suo scrivere, realizza un capitale letterario ricco e riconoscibile. Riconoscibile appunto in ottemperanza di essere riconosciuto.

La qualità innovativa di puro valore aggiunto dei nuovi possibili lettori dello scrittore facoltoso e creativamente resiliente sarà allora non indifferente e una non invarianza.

 

The question we should always asked.

“How we could know how to do new different aptitudes we’ve never realized before? “

“Nothing in life it is complicate. Meeting the different you realize it known. Everything it is figureatable.

 

Following Imaginativeness, you’re the creator of the new.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GLI SPECCHI CREATIVI

 

Entusiasmo.

Dal greco: |En theos| = “In noi c’è un Dio.”

Il divino non è una astrazione bensì la nostra concretezza creativa: Siamo divinità creatrici.

 

L’istintivismo ci rende attitudinalmente speculari al prossimo.

La riflessione umana è il paradosso degli specchi che non sono riflettenti di immagini uguali rispetto alle immagini che fluiscono dinanzi a loro, bensì che riflettano i surplus di pace, intraprendenza relazionale, creatività, di confronto dialogico chiarificativo, di magnanimità.

Allora trascriveremmo miriadi di valori umani e benevoli, tuttavia generici, decontestualizzati e decontestualizzanti, approfondiamo, in primo luogo la attribuzione di un motivo causale buono può implicare effetti negativi.

I passi, i motivi causali, gli strumenti per raggiungere una meta sono essi stessi mete, pertanto è da tutelare il valore e la bontà di essi analogamente alla tutela e al valore che attribuiamo alla meta.

In secondo luogo sorge un problema quando la facoltà umana di giudizio non è una facoltà utile e creativa ma è una facoltà pregiudicante che acceca e inibisce, pertanto criticando, nella misura in cui ci si dispone superiori rispetto alle realtà che si osservano non si riesce a capire nemmeno che siano insegnamenti o che in esse esistano degli insegnamenti, allora non si entra in relazione e non si raccolgono e non si assimilano. Così l’istintivo criticismo coincide con l’ignoranza.

 

 

 

 

 

Diversa è la facoltà di assimilazione critica che è la evoluzione del connubio di umiltà conoscitiva e relazionale con le realtà sconosciute, di ragionamento non causale (Non si dispongono arbitrarie relazioni associative contestuali causali proprio per la saggezza del riconoscere che è radicalmente improbabile la conoscenza della corretta combinazione causa-effetto della verità delle pluralità contestuali e associative - Non solo i molteplici contesti sono realtà sistemiche complesse, bensì anche i pluri-legami, i link che li relazionano) del giusto equilibrio tra pazienza e urgenza argomentative - la pazienza non deve tendere all’infinito e degenerare in procrastinazione e in assenza di dimostrazione di volontà consapevole costitutiva ed integrante la nostra realtà, ne risulterebbe il sacrificio della autonomia decisionale del singolo a favore gratuito delle facoltà eteronomizzanti delle persone che orbitano intorno a noi, una gratuità che talvolta dedichiamo e che sovente non è meritata. Allora non deve sussistere urgenza argomentativa - di relazioni contestuali arbitrarie soggettive, di riconoscimenti sfocati, sussiste la nostra facoltà di obnubilare, di indebolire la capacità di vedere o di comprendere - pertanto se coloro che dovessero riconoscersi incerti, in dubbio,  (e già questa è un primo importante passo verso la chiaroveggenza) fondassero le loro attitudini decisionali eteronomizzanti verso il prossimo realizzerebbero danni. Allora danni più ingenti li compirebbero coloro che stimano loro stessi chiaroveggenti, coloro che sono nello status dubitativo e che ignorano di esservi facendosi immagini della loro verità e realmente immagini rifatte, non originali delle Verità, le menzogne ovvero le medesime prospettive non vere che annunciano veritiere.

La realtà è veramente più semplice di quanto ho raccontato eppur più complicata e complessa.

 

 

 

LE RIVOLUZIONI CREATIVE DISCRETE

 

LE SORPRENDENTI RIVELAZIONI

 

La ottimale attitudine presente è fondamentale, tuttavia questo rendimento ottimale in ciascun istante presente è in parte un risultato paradossalmente possibilmente rivoluzionario rispetto alle qualificazioni esperienziali passate.

Tuttavia la rivoluzione è solamente esteriormente percepibile come immediata. In verità il cambiamento raramente è discreto, ma è graduale nel continuum.

Solamente avviene che il cambiamento di ottimizzazione è mentale, psichico non esteriormente visibile, pertanto evenienze situazionali di ambienti che negativizzano la psiche nel lungo periodo possono rivelare in un primo momento coerenti risposte attitudinali caratteriali di freezing relazionale (L’incassare l’impatto, qualunque siano le variabili esperienziali esterne, è in un primo momento una manifestazione istintiva di coping e di mirroring attitudinale con coerenti minorazioni di reattività, di freezing, di inerzia, di critica attitudinale e dialogica, in un secondo stadio ulteriore si realizza la elevazione spirituale di assimilazione purificativa – che consiste nella facoltà gestionale delle complessità e dei loro legami multi-contestuali per virarli e strumentalizzarli nella morfologia di utilità di senso olistico in grado di implementare e ottimizzare il nostro rendimento, talvolta oltre i nostri stessi limiti. )

Pertanto possiamo riconoscere in noi attitudini meravigliosamente diversamente istantaneamente più creative rispetto ad un precedente passato continuum attitudinalmente meno creativo. Ma chiariamo che sovente il cambiamento di ottimizzazione è solamente esteriormente immediato, ed interiormente un complesso graduale processo latente di miglioramento intellettivo spirituale.

 

LA RIVOLUZIONE CREATIVA DISCRETA

 

 

 

Esistono tuttavia rivoluzioni non meditative istantanee – pertanto cambiamenti in miglioramenti attitudinali sorprendenti in assenza di un graduale processo meditativo nel lungo periodo – Questa facoltà istantanea di ottimizzazione ( percepita come magica, sconcertante, sorprendente secondo la prospettiva di percepienti esterni -) sembra essere fondata da strutture intellettive non meditative razionali, bensì da una intuitiva profonda consapevolezza della irrazionalità creativa – un germoglio che nasce in cielo che cresce delle piogge ma non delle morbide terre. Mi spiego, tali attitudini sorprendentemente creative si realizzano in contrasto con le attitudini non creative o meno creative antecedenti poiché intuitivamente si realizza una rottura delle relazioni causali effettive razionali – in tali situazioni, se ad esempio la catena attitudinale reciproca e relazionale prescrivesse un effetto risultante da determinate cause, la persona mistica-intuitiva adotta un non-sense percettivo attitudinale delle combinazioni causali, sospendendole e rivoluzionandole compiendo un effetto alternativo maggiormente creativo che è nuova causa di nuove catene attitudinali pro-attivamente maggiormente creative. Tale manifestazione è una intelligente implementazione delle nostre facoltà in atto di manifestazione delle nostre latenti potenzialità non semplicemente in atto di re-agire agli stimoli esteriori, bensì in grado di agire, nascere nuove attitudini di valore potenziale creativo superno proprio perché non influenzato da minorazioni qualitative passate antecedenti.

 

 

 

 

E parallelamente questo ottimale rendimento nell’adesso è inseparabile dal nostro passato – l’esempio iconico è il rendimento fisico – una persona che per anni non agisce alcuna iniziativa di allenamento presenta al limite di questi anni di stasi nell’adesso uno status corporeo ad esempio di fiacchezza, obesità o anoressia che disvela la impossibilità di dimostrazione immediata ed istantanea del cambiamento di mindset da mindset di inerzia a mindset di creatività facoltosa ed atletica, i primi risultati coerenti saranno riconoscibili alcuni mesi o anni successivi rispetto al cambiamento di mentalità verso il mindset ottimale, tali risultati dipenderanno allora dalla facoltà di mantenimento del mindset creativo facoltoso nel lungo periodo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I VELI PERCETTIVI

 

Talvolta critichiamo, giudichiamo §. Nominando § lo definiamo, lo aggettiviamo, lo delimitiamo nella categoria § rispetto alle pluralità categoriche “non §. “, simultaneamente marmorizziamo § nel nostro giudizio di caratterizzazione non diveniente. In secondo luogo osserviamo § uni-prospetticamente. Si premette che un giudizio di critica è una considerazione del soggetto criticato, ovvero disponiamo il nostro focus della nostra attenzione verso il soggetto criticato, pertanto paradossalmente chi vuol dimostrarsi avverso ad una realtà subconsciamente la presenta, la realizza e la pro-muove.

 

1.     

Valutiamo § secondo la prospettiva della fluidità.

Il limite tra “§” e “non §” è labile nello spazio e nel tempo.

Si considera il concetto di sfumatura in cui sussiste la somiglianza complessa tra “§” e “non §”.

 

2.     

La aggettivazione è contestualmente relativa, pensando ad “§” – otteniamo “non §” poiché otteniamo “§ pensato” dalla soggettività del pensante.

Si ottiene una falsificazione ulteriore della realtà “§” originale successivamente alle nostre facoltà di oggettivazione e di qualificazione (morale valoriale).

Giudicando “§” – otteniamo “non §”

Oggettivando applichiamo il “per-giudizio di freezing”, è come se congelassimo le rapide un fiume. Aggettivando limitiamo “§” alla nostra percezione uni-prospettica.

Qualificando “§” – otteniamo “non §” –

“§” è “§”, “§” non è “§ qualificato”

 

 

La qualificazione annette sia valorizzazione, sia limitazione di valore, sia annichilimento. La attribuzione di dignità valoriale è soggettiva e può consistere anche alla induzione di non esistenza della realtà qualificata. In secondo luogo la qualificazione è sia qualificazione ontologica della realtà, sia qualificazione associativa relativa, pertanto quando qualifichiamo annettiamo una nostra gerarchia di competizione tra la realtà qualificata e realtà che arbitrariamente scegliamo.

3.     

La complessità diveniente di ogni “§” non è riducibile alla percezione uni-prospettica

4.

Il divenire di ogni “§” non è razionale, è caotico pertanto suscettibile alla rivelazione dell’assurdo, del nonsense, della contraddizione.

5.

Inoltre ciascuna realtà è conoscibile soggettivamente.

La soggettivazione è una complessa dinamica che consiste in numerose variabili psicologicamente associative che sono arbitrariamente indotte dal percepiente, che non riguardano la realtà è che vi attribuiamo come un velo.

Le relazioni causali-effettive, le relazioni contestuali, le relazioni valoriali, le relazioni eteronomizzanti o autonomizzanti, le relazioni limitative, le relazioni simulatrici, le relazioni anticipanti.

6.

La relatività fluisce istantaneamente:

In verità ciascuna realtà è fluida, la meccanica dei fluidi studia le correnti aeriformi.

 

Ciascuna realtà, altresì le realtà che critichiamo sono altresì secondo morfologie singolari rispetto alla nostra astrazione qualificativa oggettivizzata in noi, e noi stessi ne siamo in parte i pro-motori, nella immagine metaforica di venti che sono dovunque e che respiriamo.

UNA PROSPETTIVA ECCENTRICA DELLE CREATIVITÀ ISTANTANEE

 

Solitamente misuriamo il nostro valore sulla base dei grandi sistemi, complesse combinazioni attitudinali nei periodi di giornate, mesi, anni. Intanto, proprio ora, nell’istante di un battito di ciglio (00:00,250) nascono quindici mila stelle, si formano 15 milioni di pianeti “anomali”, nascono 30 nuovi buchi neri, l’universo si espande di 500 mila km, la nostra galassia viaggia per 250 km, la luce viaggia per 74,948 km e questi fatti sono la misura straordinaria della importanza della dignità della vita di ciascuno di noi, noi siamo natura e nessuno mi smentirebbe se alludessi allora alla immensa rivoluzione di un semplice germoglio che sta crescendo, ed a maggior ragione sono straordinarie le maestose rivelazioni della natura, le albe, gli arcobaleni, le cascate. Allora i gesti che talvolta nemmeno percepiamo come rilevanti, un abbraccio, persino semplicemente Io sfiorarsi di una carezza, fino ad arrivare al respiro, al sentire il battito del nostro cuore, al credo che riponiamo verso noi stessi e la nostra reciproca fiducia - assumono, possiedono ontologicamente un immenso valore sia latente, in divenire di compiersi, sia fattuale, già compiuto. A ragione del valore delle nostre quotidiane rivoluzioni e delle mensili o annuali iniziative di magnanimo dono che intraprendiamo verso le persone con cui ci relazioniamo e verso i quali non ci relazioniamo, hanno un valore così vasto che non ci sbaglieremmo di molto se ciascuno di noi si ritenesse per le altre persone come un sole per i pianeti.

 

 

 

 

 

 

 

LA NORMALITÀ DELLE IDEE ALTERNATIVE

 

La normalità non è necessariamente della maggioranza conformista.

Il valore della mentalità delle minoranze.

Non perché una idea sia condivisa dalla maggioranza questa idea è necessariamente giusta, vera, salvifica, benefica.

Se questa idea si dovesse presentare dispotica verso una minoranza che la pensa diversamente dimostrerebbe in principio la negatività di essere idea non rispettosa verso le idee alternative e verso coloro che detengono queste idee alternative. Solitamente si realizza la realtà di buona accoglienza della minoranza verso la maggioranza di credenza mentre è raramente vero il contrario, ovvero si verifica che la maggioranza conformista è solitamente annichilente verso le idee della minoranza avente solitamente minore facoltà di rilevanza di pensiero e facoltosa. Per cui si usa il medium dialogico della normalità affinché sia o divenga normale che la minoranza si adegui al pensiero della maggioranza ma che sia un assurdo che la maggioranza si adegui alla idea del singolo e delle minoranza.

In secondo luogo dedichiamo gratuitamente il privilegio della non critica ideale e fattuale verso coloro che detengono la autorevolezza decisionale i quali sovente dimostrano di non meritare la gratuità di autorevolezza decisionale che vi dedichiamo: permettere che essi decidano per noi. Si dimostra la verità secondo cui vi è una sola variabile che diversifica coloro che detengono potere decisionale sul prossimo e coloro che non lo detengono, ovvero il fatto di detenere questo potere. Tuttavia non sussiste forse la verità della possibile dignità di pensiero degli inascoltati!? Vi sono persone povere di potere decisionale che stanno chiamando valori miracolosi importanti come la pace. Ed i poveri che nominano timidamente il diritto alla dignitosa sussistenza.

 

 

 

Riconduciamo allora la possibilità di errore da parte degli oratori autorevoli e la possibilità di giustizia da parte dei silenziosi. Si vorrebbe citare il mindset di maggiore cultura o dimostrazioni di valore esperienziale morale appartenente a coloro che detengono potere decisionale, tuttavia la verità dimostra che in taluni casi la complessità multicontestuale conduce questi a realizzare opere non conformi alle loro illustri consapevolezze e plausibilmente non salvifiche e promotrici della vita, della realizzabilità creativa e della implementazione ontologica del prossimo che sia detentore o non detentore di potere decisionale.

Pertanto talvolta manifestiamo il nostro Ego disponendo la nostra autonomia non a utilità del prossimo bensì a volontà egoista di eteronomizzare a noi i più fragili. Ovvero di rendere i più fragili non autonomi, bensì eteronomi, ovvero riceventi da fuori di sé la norma della loro legge perché convinti della loro inabilità di autonomia di pensiero e distratti da astrazioni realmente inconsistenti ad occhi saggi ed accorti. Allora giungiamo ad una conclusione importante umana, dimostriamo qui la vera Fragilità e la vera povertà di coloro che eteronomizzano proprio perché eteronomizzano ovvero agiscono una influenza ontologicamente e psicologicamente minorativo sul prossimo, ovvero perché dimostrano di non meritare il titolo di autorevolezza a loro dedicato poiché lo utilizzano come strumento mediativo di discriminazione. Pertanto i poveri dimostrano autorevolezza nei valori della magnanimità e nella resilienza gestionale di mantenere vivifico il loro mindset nel mentre in cui dimostrano di mantenere gratuitamente un mindset ambientale in cui riconoscono principi che non sono per loro implementativi, utili e nel peggiore dei casi lesivi.

 

 

 

 

 

Pertanto nella misura in cui dovessimo ricondurci ad essere stimati non valevoli, inascoltati, consideriamo una prospettiva di auto-valorizzazione dei non valorizzati perché siamo in facoltà proprio in fatto della nostra non autorevolezza decisionale di dimostrarci umili, non umiliati, magnanimità, resilienti e valevoli di valenze superne quali molte integrità personali che appunto possiamo insegnare a coloro i quali dovessero dimostrarsi eteronomizzanti verso di noi. Ed insegnando saremmo un arricchimento per coloro che eventualmente ci impoverisce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA INAZIONE CREATIVA

 

Riflettiamo sulla realtà della inazione.

Inazióne – Il fatto di essere inattivo, inoperoso, per lo più per cause esterne, o per forza maggiore, non per indolenza, per mancanza di volontà o per disposizione naturale (nel qual caso si parla piuttosto di inerzia).

Consideriamo due prospettive:

La prima è la prospettiva occidentale del rendimento, la seconda è la prospettiva orientale della spiritualità.

La prospettiva occidentale del rendimento accoglie la definizione di inoperosità, di inutilità ontologica - pertanto si chiarisce che negli anni vi è stata una dequalificazione della pura essenzialità umana, infatti si considerano qui aggettivazioni qualificative attribuibili agli oggetti, come ad esempio inutile, non funzionante, verso noi umani. La minorazione di inutilità è applicabile alla semplicità disanimata degli oggetti, non alla complessità animata degli uomini. Pertanto, fatto ancor più grave dimostriamo di applicare a noi stessi umani la attitudine di intercambiabilità che attribuiamo agli oggetti. Approfondiamo. La percezione di inazione nella complessità relazionale occidentale è reciproca, non univoca. Pertanto esemplifichiamo. Secondo elevate probabilità coloro che percepiscono una persona che dimostra passività o inazione, o attitudini evitanti o deleganti dimostrano essi medesimi attitudini passive o inattive o attitudini evitanti o deleganti. Pertanto si argomenta che ad una stasi, corrisponde una percezione di stasi che staticizza, tuttavia la causa prima della stasi reciproca è da ricondurre al criterio di equivalenza reciproca ed equilibrata di responsabilità di ambiente relazionale composto dalla molteplicità di persone spettatrici (Senza agire) e di persona osservata.

In secondo luogo si argomenta.

 

 

Si sottintende che il dovere di dimostrazione di essere facoltosi se estremizzato diviene soggetto e causa di alienazione del rendimento, non è vero che ogni alienazione è un estremismo che nuoce alla salute, tuttavia la alienazione del rendimento è dannosa per la salute.

La realtà occidentale critica severamente la inazione mediante il giudizio di inabilità e, nei casi di giudizi passivo-aggressivi, di disabilità.

Tuttavia sottoscriviamo il grave danno di tali giudizi, i quali sono percezioni soggettive infondate e rincarate dagli osservatori, vedete il punto lesivo è che la osservazione è realmente lesiva ed esemplificando osservazioni di inutilità verso il prossimo lo lede della ferita della rassegnazione indotta da osservanti esterni, una rassegnazione che ovviamente si ripercuote sui severi osservatori che perdono le qualità di pluri_contestualità delle persone osservate, e nel contesto di pre-giudizio di inabilità si riconosce la demotivazione e la demoralizzazione nel rendimento ancor più negativo rispetto alla bontà del rendimento della persona osservata prima del giudizio. Nel giudizio di inutilità, di inabilità si riconosce negli osservatori la inabilità di attribuire riqualificazione.

Il destino non è irreversibile.

Citiamo il valore della disposizione naturale della persona che si appresta con volontà verso l’universo creativo, per sottolineare il fatto che le persone non sono oggettivabili. Pertanto non è sufficiente alludere al fatto che le mansioni siano le medesime come garanzia che qualunque persona che si appresti a tali mansioni sia attitudinalmente identica alle altre persone. Non sto insegnando la inoperosità, sto argomentando che il momento di inazione sia una forma di assimilazione e creatività latente in atto di esternazione delle ottimali performance della persona. Gradualmente mi dispongo ad argomentare della prospettiva orientale spirituale di inazione.

 

Il silenzio sonico.

È necessario citare la complessità del silenzio:

Come il bianco (Nulla) è una complessa molteplicità di colori, il momento silenzioso è custode di complessità creative velate. SILENCE IT IS ABOUT TO SOUND. Pertanto il silenzio ha valore sonico in quanto è causa reale ma non manifesta di una manifestazione sonora successiva al silenzio esteriore. Premettiamo allora che il silenzio esteriore non coincide con il silenzio interiore. Analogamente alla verità secondo cui la inazione non coincide con la stasi di pensiero. Allora giungiamo a raccontare quale sia la alienazione catartica che abbiamo citato precedentemente. L’altro si riconduce al momento della astrazione spensierata, della quiete, della riqualificazione della percezione dell’ambiente caotico, il saggio che resta calmo quando imperversano i lampi, i fulmini e la grandine. Non è vero che questo saggio non senta i lampi, i fulmini e la grandine improvvisi e disattesi, bensì non ne è psicologicamente squilibrato, allora non li subisce come le altre persone, che nella sua stessa situazione agirebbero caoticamente non realizzando nulla per costruire un riparo, questo saggio con calma in seguito ad alcuni secondi di inazione e di meditazione silenziosa funzionale con calma implementativa erge i primi pilastri del riparo.

Allora comprendiamo che la inazione è altresì la meta spirituale meditativa della implementazione delle nostre facoltà creative funzionali al compimento della ottimizzazione del nostro rendimento facoltoso.

In secondo luogo vi è una facoltà cognitiva importante che abbraccia la facoltà purificativa mediante invarianza.

Ritorniamo all’esempio precedente. La creatività del saggio esiste ed è implementata dalla esistenza di un ambiente in cui le calamità imperversano.

Si riconoscono allora due fattori.

 

 

Il primo è che ciascuna persona è relazionale, ovvero è vitale e sincronicamente in gestione di due complessità multi-contestuali, ovvero di lei stessa e degli ambienti con cui è in relazione. In primo luogo si riconosce che il cambiamento in attitudini caotiche di coloro che presentavano attitudini calme e ordinate è indice del fatto che l’ambiente ha gravato eccessivamente sulla resilienza soggettiva di queste persone, parallelamente comprendiamo che la complessità ambientale è sensibile e responsabile verso ciascuna complessità individuale. In relazione della bontà valoriale sia dell’ambiente della persona singolare sia della molteplicità di persone, non perché la complessità dell’ambiente della pluralità di persone è maggiore il valore dell’ambiente plurale debba essere considerato maggiore rispetto al valore dell’ambiente del singolo. Non c’è nessun principio per cui sia giusto privilegiare ontologicamente la molteplicità a discapito della singolarità. Il secondo fattore è la immediata ripristinazione ambientale, ovvero la facoltà sia dell’individuo, sia della molteplicità di persone di essere flessibili alle negatività – Pertanto non solamente esserne resilienti, (Usufruendo della percettività di invarianza delle negatività, rapportarsi al reale come se non avesse manifestato la negatività verso noi stessi), la Ripristinazione non si fonda sulla cecità verso le negatività, il nostro accorgimento ha valore prioritario, pertanto avremmo coscienza e consapevolezza della loro esistenza, e le assimiliamo le incontriamo mentalmente mediandole grazie al nostro sguardo pluri-prospettico, le conosciamo osservandole da molte prospettive, e le plasmiamo affinché divengano cause prime della nostra implementazione creativa, un esempio iconico è la fonte di energia positiva e benefica che può scaturire dall’odio percepito e purificato.

We don’t act to change in future our mind. Our act and ‘non act ‘ they are the present change of our mindset.

Rappresentare umanamente il contemporaneo nel flusso continuum del divenire.

Sii l’anima presente del luogo.

 

Abbiamo citato che la osservazione è la realtà:

Psicologicamente accade infatti questo, ciascun atto è induttivo del pensiero che è relazionato all’atto. La parola è atto, pertanto a livello dialogico se esemplifichiamo le parole “Non §.”.

Ad esempio l’ascoltatore prima di ascoltare  “Non §.” era ottimista – ovvero la sua mente era spensierata, priva di negatività, ma istantaneamente la percezione dell’ascolto del “Non” implica una dissonanza discreta di negatività nel continuo della positività – La influenza negativa.

In secondo luogo l’ascoltatore era spensierato, ovviamente non pensava ad “§”, tuttavia l’ascolto di “§” vira il suo pensiero verso “§”, intanto in mancanza di attribuzione di qualificazioni morali ontologiche positive o negative di “§”.

Solo in un terzo momento vi è la saldatura della percezione di  “Non §.”. Tuttavia la terza percezione non esclude e non elimina le prime due, le tre percettività entrano in relazione ed è alla soggettività dell’ascoltatore la stima del valore soggettivo attribuito ad una rispetto alle altre.

Semplificando esemplifichiamo:

“Non stavo pensando  “Non §.” E nemmeno stavo pensando ad “§”, ma poiché hai pronunciato “§”, mi hai obbligato a pensare non solo ad “§”, ed a  “Non §.” bensì a pensarle secondo il contesto o i contesti cui tu stesso/a hai attribuito a  “Non §.” (Sovente la realtà dialogica reciproca è rapida, contestuale, complessa.)

La inazione spirituale è in relazione con le teorie purificativo del Self control, della gratuità del perdono. Altresì la inazione può essere indice di Spontaneità.

 

 

 

 

Avere una coscienza universale olistica, questa autocoscienza è in relazione con la idea della gratuità creativa del dono del puro valore aggiunto relazionale. Il paradosso che una perdita di energie sia un arricchimento, una mentalità meravigliosa è insita nella facoltà di riconoscimento che una semplice idea possa essere rivoluzione non temporanea, bensì onnipresente per la vita di una persona, le illustri personalità spirituali conservavano la loro persistenza nel donare alle persone più povere di loro, ovvero alle persone che non le ricompensavano per il loro aiuto e dono proprio per questa idea dell’arricchimento spirituale grazie al dono.

 

L’ascolto è superficialmente una inazione, eppure è profondamente tra le più elevate e superne utilità che possiamo dedicare al prossimo. Il non atto è la meta superna della spiritualità meditativa.

 

In the lifetime everyone has the reversible destiny of becoming aptitudinally countless people.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA STANCHEZZA DEL CONTINUUM

 

 

Una riflessione sulla neuro_biologia del rendimento

Outside the enclosure the lawns are infinite. The illimitate context of “the end” it is the freedom by the limitate beginning of the ended realities. I’m not talking about the radical dichotomy life/death, I’m talking about Everything. THE INFINITY IT IS ABOUT THIS PARADOX: EVERY END ARE MIRIADS BEGINNINGS THAT ENDS AND EACH ONE OF THOSE ENDS ARE MIRIADS BEGINNINGS.

Fuori dal recinto i prati sono infiniti. Il contesto illimitato della “fine” è la libertà dall’inizio limitato delle realtà finite. Non sto parlando della dicotomia radicale vita/morte, sto parlando di Tutto. L’INFINITO RIGUARDA QUESTO PARADOSSO: OGNI FINITUDINE SONO MIRIADI DI INIZI CHE FINISCONO E OGNUNO DI QUESTE  FINITUDINI SONO MIRIADI DI INIZI.

Nella vita di ciascuna persona ci sono due tipi di stanchezze. La categoria delle stanchezze discrete ed il livello di stanchezza del continuum di vita.

Le stanchezze discrete possono identificarsi come picchi consci o subconsci di stanchezze che avvengono durante le quotidianità. La manifestazione di picchi di stanchezze discrete non previste dalla razionalità della persona, ovvero durante il giorno redditizio creativo è sintomo della presenza di ingenti danni nel sistema del livello di stanchezza nel continuum. Dovremmo allora riflettere sulla nostra ottimizzabilità di rendimento nella pluri-contestualità della realtà.

 

 

 

 

Soprattutto a tutela della conservazione della bontà del buon livello di salute del livello di stanchezza del continuum che non dipende solamente dalla persona medesima, bensì anche dalla qualità degli ambienti che durante l’arco dei decenni frequentiamo, vi sono ambienti locali ed ambienti universali, ad esempio l’ambiente della virtualità che sovente agisce una attività indotta verso di noi di minorazione di energie è un ambiente universale onnipresente. Esistono ambienti funzionali, vantaggiosi, lucrativi, remunerativi (Altresì culturalmente, ma la cultura ed il rendimento culturale in molteplici casi è situazioni non implementano la nostra sussistenza, non ci alimentano e non promuovono la nostra sussistenza autonoma. ) ed ambienti speculatori che sfruttano le nostre energie a beneficio dell’ambiente in mancanza di adeguata compensa e ricompensa immediate, non nel tempo di incerti futuri. Secondo la neuro-biologia è proprio la mancanza di ri-compensa che induce in noi aspetti di non motivazione mentalmente minorativi, debilitanti, depressivi e di burnout psicologici nei casi più radicali di stanchezza psicologica che appunto intaccano strutturalmente il nostro sistema di energie del continuum olistiche pluri-contestuali. Premettiamo che qualunque sistema ambientale non sia una astrazione, bensì una molteplicità di individui responsabili verso se stessi e verso il prossimo. Allora la critica più radicale che meritano queste realtà ambientali speculatrici è già stata esposta in correlazione alla realtà del fatto che una realtà indotta minorativa del sistema ambientale verso l’individuo implica la minorazione di rendimento dell’individuo, questa realtà con cui l’ambiente deve relazionarsi.

 

 

 

 

 

 

Pertanto l’ambiente viene influenzato negativamente dalle scelte negative che applica verso i singoli e di cui è responsabile. Pertanto è da universalizzare la necessità della presenza ovunque di persone in grado di realizzare ed indurre attitudini neuro_biologicamente non debilitanti, bensì implementative e sane nell’ottica della tutela del livello di energie olistiche del continuum di tutti e della ottimizzazione del rendimento sia dell’ambiente che dei singoli, una ottimizzazione che non vuol sottintendere la alienazione, lo sfinimento, sono le macchine sistemiche a dovere adeguarsi ai ritmi umani, non gli uomini a dover adeguarsi ai ritmi delle macchine sistemiche, poiché se dovesse accadere che coloro che servono un contesto sistemico dovessero essere danneggiati nella loro facoltà di energia del continuum, premettendo che la realtà è multi-contestuale, tutti gli altri contesti che orbitano intorno alla vita della persona verrebbero cortocircuitati e la responsabilità di questa realtà ricade in minore misura e qualità sulla persona mentre sarebbe da riconoscere ingente la responsabilità degli ambienti speculatori causanti le disfunzioni neurobiologiche suddette.

Lodiamo il fare ottimale umano, il fare tutto ciò che è in nostra facoltà e possibilità, non il dovere essere fatto.         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

UN DIO IDIOTA

 

Una vita esistente è, allora è un nonsense la seconda nascita di una realtà già nata.

Diversamente è saggio credere che una vita possa crescere, come un germoglio: UN Dio volle il compimento del buio e dell’aridità. Nella terra in cui non pioveva ed era sempre notte nacque un germoglio. Tuttavia questo Dio accorgendosi della gracilità nella facoltà della crescita di questo germoglio (che ovviamente era impossibilitato alla crescita dal suo stesso ambiente buio e arido) , condannò il germoglio con le parole: “Cresci!”. Il germoglio ascoltò il Dio e provò con qualunque sua facoltà a crescere ma non vi riuscì, non solo il germoglio non crebbe, ma presto perì. Le ultime parole del germoglio al Dio furono: “Scusami, ho fatto il massimo che potessi fare. “.

Il Dio all’assemblea divina delle creatività vitali, delegò la sua responsabilità al germoglio responsabilizzandolo della sua fine comunicando semplicemente, “Il germoglio è vano, non solo non è stato in grado di realizzare, crescere e di fruttare, non è stato nemmeno in facoltà di sopravvivere.”

Perché non dovremmo positivizzare un contesto? Perché realizzeremmo un sistema dicotomico (Un sistema di positivi - Che sincronicamente realizza nel sistema i rispettivi speculari negativi di ciascun positivo).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Allora ad esempio secondo questa mentalità il merito di alcuni coesisterebbe o meglio realizzerebbe il demerito di coloro che non raggiungono il positivo non per loro limitatezza ma per loro singolarità caratteriale, attitudinale, potenziale e che pertanto risultano classificati, etichettati non meritevoli - de-meritati - lo spirito di osservazione è causativo, ovvero un giudizio di demerito ad esempio implica la de-motivazione di coloro che a priori sono etichettati non meritevoli - secondo la neurobiologia della creatività - la de-motivazione è la prima causa consistente della attitudine di freezing _ gelamento attitudinale (e dell’aumento di cortisolo causato dallo stress di dissonanza cognitiva indotta tra essere e dover essere), allora indotto dalla osservazione di demerito esterna (Parliamo di demoralizzazione) e solo in secondo luogo auto-indotto.

Glorificheremmo coloro che hanno raggiunto i positivi, pertanto applicando una implementazione a chi non ne ha bisogno, mentre applicheremmo iniziative minorative verso i più fragili i quali avrebbero bisogno salutare di osservazioni esteriori positivizzanti, non negativizzanti.

La parola “ormai” è a maggior ragione lesiva in quanto consiglia rassegnazione in relazione ad una accezione di inesorabilità ovvero di intimato non cambiamento.

Dovremmo allora olisticizzare i contesti. Ovvero non renderli serratamente staticamente limitati e categorizzati, bensì fluidi, diveniente, costituiti da multi-sub-contesti che si avvicendano tra loro agevolandone non solo la complessità diveniente, bensì la non verità della dicotomia bianco-nero e la verità di sfumature multicolore ad esempio viriamo la prospettiva della settorialità unica del bianco nella multi-sub-contestualità della evidenza che il bianco è ontologicamente dato dalla sintesi additiva di tutti i colori dello spettro visibile.

Pertanto vediamo un esempio di giudizio negativizzante: “Realizza una vita.”

Pertanto si adduce la dicotomia tra la percezione della assenza di una qualità di vita e la dissonanza cognitiva indotta di un dover essere ideale di qualità di vita, vincolo a cui l’osservatore proietta, distende la persona giudicata.

Allora in secondo luogo adduciamo la saggezza della olisticizzazione del contesto vita, la persona giudicata allora risponde: “Io ho la vita, una vita, questa mia vita.” Si conclude definendo e chiarificando la complessità multicolore della vita di ciascuno di noi sostanzialmente non suscettibile a settorializzazioni contestuali dicotomiche e non proiettabile verso un ideale di persone altre rispetto a noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SIAMO A NOI GRAVITÀ INVERSE

 

 

La nostra elevazione e la nostra levitazione, il nostro favorire ed  alleggerire il nostro carattere creativo.

LA MOTIVAZIONE E LA PRO _ MOZIONE

Dal latino Motus = Induzione di movimento.

PRO _ Orientazione, proiezione _ Si sottintende un avanzamento reciproco.

Il motore pro_mozionale e motivazionale non è immobile bensì avanza in un primo momento poiché è antecedente alla realtà che pro_muove, in secondo momento è il movimento della realtà in movimento che induce il movimento della realtà originariamente pro_motrice _ Il valore della inerzia nella morfologia di inerzia motrice che alimenta un movimento anticipatamente indotto.

Possiamo incontrare tra l’altro questo modo di dire: “La creatività di quella persona non la ferma nessuno.” Perché è consuetudine normale il fermare ed una rarità il promuovere?

Dovrebbe sussistere per ciascuno di noi una gravità inversa che ci eleva, una resilienza non implosiva in noi bensì propulsiva in grazia di numerosi riconoscimenti delle persone prossime a noi che sostengono ciascuna nostra creatività per proiettarla, orientarla a beneficio di chiunque, perché allora parallelamente si comprende che coloro che fermano limitano loro stessi del beneficio della persona verso loro che ritorna in misura ed in qualità inferiore rispetto alla plausibilità di un ritorno creativo, catartico, gratuito ottimale fondato invece sulla esistenza della variabile del loro riconoscimento propulsivo per la creatività personale attribuita esteriormente. La elevazione creativa, relazionale, economica, culturale, spirituale del prossimo grazie a noi stessi è la nostra elevazione creativa, relazionale, economica, culturale, spirituale.

 

 

LA IRRAZIONALE RAZIONALITÀ E LE TEMPORANEIT À ECCENTRICHE DEL CAOS

 

 

Ciò che chiamiamo razionalità è un’area non infinitesimale di ciò che chiamiamo irrazionalità, la razionalità risulterebbe una singolare ordinata esteriorizzazione della irrazionalità che annette i macrocosmi del subconscio, dell’istinto, dell’universo onirico, del sentimento. Potremmo riconoscere - del nostro universo mentale di idiosincrasie che le attitudini razionalizzate sono gli specchi della nostra eccentricità: C’è una mentalità idiosincratica sub_universale che è la razionalità – la scelta della facoltà ordinatrice, e la realizzazione di creatività ordinate, è un sottosistema di forme non devianti di disordine. Il fatto che il caos annetta sub_categorie ordinate ne qualifica la ontologia di caoticità – Il ghiaccio è una manifestazione singolare ordinata dell’elemento caotico acqua – Allora l’ordinamento è una temporaneità eccentrica analoga alle altre temporaneità eccentriche del caos. Sia uno spunto di riflessione la curiosa scoperta ledde molteplicità contestualizzate delle molteplici manifestazioni temporanee eccentriche del caos.

Quale è il senso del privilegiare la essenza ontologica della struttura morfologica statica del fiocco di neve gelato all’ iridescente fluire delle acque di una cascata?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I BLIND CHOOSERS, I VISIONARY ACQUIESCENTS CAREGIVERS E LE ATTITUDINI GEMELLE.

 

Ognuno attitudinalmente è dicotomico? Quindi ognuno sceglie di recitare un’attitudine e non l’attitudine gemella. Per conquistare potere attitudinale-decisionale i “Blind choosers” manifestano il fatto che non si è agita l’attitudine gemella argomentando: “Avresti agito meglio scegliendo l’attitudine gemella che non hai scelto di agire.”

Argomentiamo perché talvolta percepiamo che “Non vada mai bene nulla” o che le nostre “Attitudini siano insufficienti.”

Prescriviamo che la ontologia di un atto non sia la percezione dell’atto.

Risulta evidente un “Surplus di criticismo” superfluo : Se dovessimo giungere alla meta del sereno, non ce ne accorgeremmo poiché abituati alle tempeste – in più il sereno non ci rasserenerebbe in quanto al nostro giudizio del sereno nella percezione di dissonanza rispetto alla consonanza delle tempeste andremmo allora a cercare le gocce di pioggia ove non esistono, se cerchiamo le tempeste quando siamo in ambienti sereni, realizziamo altre morfologie di tempeste, sicché anticipiamo la fine del sereno.

I “Blind choosers” Vedrebbero la tua attitudine e ne realizzerebbero l’illusione della tua complessità di essenza, il loro metodo di critica consiste nel considerare l’attitudine gemella di te stessa/o che non hai mostrato e nel giudicarti secondo il tuo limite attitudinale in presente paragone con la loro idea di perfezione di cui sei inconsapevole.

Tuttavia queste relazioni sono astrattive e mentali, sovente le nostre attitudini sono ottimali, corrette, giuste e creative, è sufficiente erigere a paragone i fragili criteri e metodi di giudizio dei “Blind choosers” con i criteri attitudinali degli illustri pensatori nella cultura mondiale per confutare le disposizioni possibilmente oltraggiose dei “Blind choosers”.

Molte persone sono relazionalmente rifiutate e potenzialmente sminuite della loro ontologica grandezza d’animo e costitutivamente attitudinale e ontologica a causa dell’astrazione delle attitudini gemelle non realizzate e per il fatto dell’eteronomo indotto “deve essere” indotto dai  “Blind choosers”.

Altri due fatti. La prima è la nostra lesiva facoltà non di vegliare, bensì di vigilare su noi stessi.

La veglia è una custodia tutelante e pro-attiva, il vigilare sottintende una intimidazione accusativa, pertanto un processo in ottemperanza di compiersi lesivo.

 Ad esempio compiamo un atto, o pronunciamo una parola, al cui atto e parola dedichiamo soggettivamente mentalmente un contesto singolare, ma per operare discriminazione verso di noi i “Blind choosers” decontestualizzano la mentalità, parola e azione originarie e ricontestualizzano la parola o azione con il contesto arbitrariamente da loro scelto e indotto in noi a compiere di noi l’immagine mediativa dei loro pensieri per dimostrarci immagini dei loro pensieri in esibizione della tua limitatezza o in errore per non agire come loro scelgono per te, ti danneggiano marmoreizzando le tue attitudini rendendole ontologicamente te stesso e non il tuo istantaneo pensiero suscettibile alla realtà del ripensamento, bensì la tua mentalità olistica, quindi realizzano l’effetto farfalla facendo di un atto istantaneo l’ancora di tutta la tua vita.

Essi allora “Compiono di Noi” – Ma “l’esteriore compimento ideale di noi” Non è “Noi”. Pertanto è confutato il metodo congetturale attributivo discriminativo dei “Blind choosers”.

 

Non permettiamo che gli “impassers” ci fermino, che scelgano di noi e per noi.

Prima di tutto un atto non è la persona, c’è la facoltà umana di cambiare idea.

 

 

In secondo luogo siamo migliori dei “Blind choosers” poiché abbiamo imparato la loro metodica percettiva e conosciuto i danni delle loro falsificazioni compromissive.

Nell’anticipare i giudizi si riconosce una elementare manchevolezza nella gestione dell’odio.

-        Pertanto noi saggi comprendiamo il disvalore di finitudine compendiato nella complessità del pregiudizio. Primariamente rispetto alla nostra facoltà di giudizio impariamo la facoltà di approvazione come strumento di riflessione per avere nella nostra mentalità interiore più criteri, parametri di valutazione e più collegamenti di discernimento. L’approvazione è la via per le nostre iniziazioni e il portale per la nostra mentalità flessibile e ricca. Mentre le resistenze implicano le immature finitudini relazionali, non siamo consapevoli di ciò che perdiamo semplicemente poiché non abbiamo possesso e conoscenza delle realtà perdute, sovente tuttavia abbiamo una idea generale, un presentimento della qualità di valore che non abbiamo conquistato.

I giudici per giudicare hanno la facoltà della mentalità flessibile delle capacità multi-prospettiche.

Allora diciamo che l’approvazione non deve essere acritica, ma il nostro coraggio di affrontare l’avventura del diverso.

C’è un’altra nuova questione. Non è proprio vero che la attitudine sia dicotomica. Ad esempio se la vetta dell’iceberg dovesse manifestarsi una piana glaciale, non è ontologicamente necessario che la qualità ontologica della vetta sia analoga alla morfologia della piana. Ad esempio potremmo giudicare questa piana sicura, ferma e stabile, poiché la percepiamo come una vasta piana, tuttavia essa potrebbe essere la vetta di una isola il cui fondamento è galleggiante su un mulinello oceanico.

Diversamente una piana lievemente superficialmente irregolare e tuttavia abitabile può essere e rivelarsi ferma e sicura nel suo fondamento e bene assestata fino ai fondali marini e resiliente alle correnti vorticoso subacquee.

Potremmo allora percepire che le nostre attitudini siano dicotomiche. Ma sono ontologicamente non dicotomiche. La nostra scelta di un’azione o la scelta di realizzare una via dialogica non significa che stiamo azzerando, annichilendo le altre prospettive gemelle.

Sosteniamo comunque condivisibilmente che sia bene e catartico (nel nostro mindset e in ottemperanza della nostra comunione pacifica) l’azzeramento, l’annientamento ontologico delle singolarità ideali-attitudinali negative e lesive verso noi stessi e verso il prossimo.

Quindi Argomentiamo che la mentalità interiore è flessibile al nostro potenziale essere diversamente ulteriori.

Nietzsche ebbe chiarito bene questo punto nelle parole esplicative in “Ecce Homo.” “Io sono questo, e quest’altro; non confondetemi con altri. “.

Quindi siamo profondamente saggi e ontologicamente in possesso e in facoltà di acquisire e rivelare gli esiti delle sfumature della nostra mentalità interiore che sono i semi delle attitudini ottimali, quindi le attitudini non dicotomiche che abbracciano le risposte risolutive e pro-positivamente catartiche di ogni potenziale disapprovazione.

Quindi argomentando dei“Blind choosers”. La nostra facoltà di “scegliere” ci acceca perché perdiamo il vantaggio della accoglienza della complessità di noi persone.

Non siamo esclusivamente il modo ontologico in cui ci manifestiamo. Nel nostro universo interiore le mentalità gemelle non sono dicotomiche e sono sfumature che fluiscono insieme.

Quindi essere veramente noi stessi è il vero modo per chiarire la cecità degli altri.

 

 

 

 

 

Occorre allora soggettivare il nostro indotto eteronomo “Deve essere” facendolo dono di comunione armonico di libertà autonoma non “di tipo di libertà da noi”, ma attraverso la mediazione del noi per conquistare insieme le libertà del realizzare il “grazie a noi siamo in facoltà ed in libertà di”. Il “Must be” deve essere una via esteriormente interpersonale di comunicazione tra universi interiori per raggiungere lo scopo del reciproco benessere, non il predominio di un’essenza su un’altra essenza.

Allora vi sarete accorti. Nella mia argomentazione c’è una contraddizione, una ipocrisia, risolviamo.

Argomentando dei “Blind choosers” ho reso delle loro attitudini la loro essenza, allora impariamo che i “Blind choosers” non sono ontologicamente persone, o lo possono essere nelle Rarità radicali in cui esistano persone che assolutizzino i modi attitudinali dei “Blind choosers” nella loro totalità essenziale attitudinale.

I Blind choosers sono idee che possono appartenerci o non appartenerci, chiunque è in potenzialità attitudinale di essere “Blind choosers”, ho tentato di argomentare i motivi per cui sia bene e catartico diffidare di queste idee ed i modi secondo cui possiamo avere idee di “Visionary acquiescents caregivers”.

 

Questa mia riflessione non vuole innestare diffidenza anticipante bensì vuole riconoscere il valore latente in ciascuno di noi, ed io stesso riconoscendolo sono garante di una proiezione di percezione condivisibile, sicché siamo il più possibile lungimiranti nel valorizzare e qualificare il prossimo e audaci nella nostra facoltà di riqualifica nel puro ri-conoscimento che non siano latenti solamente i puri atti benevolenti del prossimo, bensì altresì sono latenti ed in divenire di sorgimento le abilità di conversione purificativa ottimale attitudinale.

 

 

 

PARA DOXA

 

Paradossi (para-doxa) = contro l’opinione comune.

Che le effimere relazioni virtuali astratte siano nel sistema contemporaneo ritenute più rilevanti che le relazioni reali è un problema da risolvere. Si palesa una evidente critica nei confronti della virtualizzazione che la tecnologia nelle complessità ambientali astratte e alienanti più radicali del metaverso e dei visori a realtà virtuale aumentata (“diminuita” in evidenza di ogni cosciente riflessiva consapevolezza). Siano allora da approfondire i motivi e le dinamiche per cui una critica rivolta a rivoluzionare il nostro pensiero di modernità di già non verso le relazioni astratte virtuali, bensì verso le relazioni reali. La scelta della relazione virtuale per molti aspetti è in analogia alla scelta della non relazione, ma perché non dovremmo scegliere la non relazione? Perché ci sono studi scientifici di neurobiologia della solitudine che dimostrano che la relazione reale ci fa più bene della solitudine e della relazione virtuale. In secondo luogo è necessario sottintendere criteri di cambiamento affinché possiamo riqualificare universalmente il sistema di relazione reale, di novità relazionale e di resilienza relazionale sfatando il mito della mediazione.

They convince us their idea of wellness it is ours.

Non a caso chi vuole consigliarci ciò che ci dovrebbe fare bene e che si dimostrano per molti aspetti lesivi per noi sono proprio i “media”, Siano da approfondire i motivi per cui i media ledono alla nostra salute psicologico-relazionale. In primo luogo argomentiamo dei media virtuali - e sfioriamo i temi della ossessività informativa che ci ha abituato ad una pioggia incessante ed assordante di notizie, molte delle quali sono superflue e dannose per noi riconosciuti i loro valori di negatività che infondono in noi e che ci abituano al pregiudizio negativo. In secondo luogo argomentiamo della mediazione oggettistica.

 

Qualsiasi filosofia degna di questo nome dichiara serratamente che la relazione umana pura è immediata. Ovvero non mediata. Approfondendo, non ostacolata da oggetti tra me e te. Una chiave risolutiva è insita nel pensiero che tali oggetti virtuali solamente originariamente e in un arco di tempo relativamente breve ci hanno uniti, ora sono tuttavia rapidamente in divenire esponenziale i motivi per cui gli oggetti virtuali ci separano sovente inesorabilmente abituandoci ad una severità della fine che nel profondo dell’anima sappiamo non appartenerci. Pertanto si realizza scientificamente, ricordando la teoria della neurobiologia della solitudine da me condivisa che dimostra i benefici della relazione, che nel contesto della tecnologia virtuale scegliamo l’acquisto economico di “beni” oggetto che non ci fanno bene, non investiamo per lederci. La rarefazione virtuale ha cortocircuitato le nostre relazioni reali rendendole maggiormente caduche, rarefatte appunto.

In terzo luogo approfondiamo il tema della “asocialità” dei social network. Premettendo la palese realtà della presente fragilità delle relazioni reali umane, si sottintende una realtà che dovremmo risolvere, la realtà di un concreto interesse comune verso le relazioni virtuali, riflettiamo sulla misura del tempo che dedichiamo alle relazioni virtuali a dispetto delle relazioni affettive reali.

Filosoficamente sussistono dinamiche somiglianti tra relazioni reali e virtuali - consideriamo le realtà della discriminazione e della valorizzazione virtuale.

Sussistono criteri di autorevolezza e di discriminazione negli universi virtuali. Semplicemente consideriamo ad esempio che esistono persone che conoscono la solitudine nella vita reale, o una realtà virante verso la complessità della solitudine, una solitudine che si rispecchia altresì nella virtualità. Vi è una realtà relativamente ostacolante per il nascere delle nostre relazioni. Il germoglio nasce di gocce d’acqua, di venti, di bagliori che non aveva esperito prima di esperirli, ovvero per lui sconosciuti.

La nostra diffidenza aprioristica verso gli sconosciuti e parimenti verso la sconosciutezza è un valore che cortocircuita la naturale nascita delle nostre nuove relazioni, possiamo assimilare nuovamente le facoltà attitudinali conoscitive verso le novità che stiamo perdendo ricordando gli insegnamenti che imparammo nell’arco di tempo dei nostri anni infantili. Pertanto il ghosting reale coinciderebbe con il ghosting virtuale.

 

 

 

Tuttavia qui stiamo parlando di fantasmi che non vorrebbero essere tali. Il criterio social di autorevolezza virtuale relazionale è l’elevato numero di follower. Spiegato semplicemente, severamente si penserebbe che coloro che non abbiano follower non esistano virtualmente, ed ancor più severamente che non abbiano valore (virtuale), una povertà di valore virtuale che si vuol ricondurre ad una povertà di valore reale. E che abbiano dignità di autorevolezza coloro che abbiano miriadi di follower. Tuttavia questa dinamica discriminativa è presto confutata. Come? Ritornando alla scienza della neurobiologia della solitudine si comprende che ciò che è salutare, che riduce i livelli di cortisolo provocati dallo stress provocato dalla solitudine è il COLLEGAMENTO, IL LEGAME RELAZIONALE, nell’ambito virtuale, il link virtuale. La solitudine è lesiva poiché è mancanza di relazioni e mancanza di collegamenti relazionali forzando la persona ad avere a che fare con l’incubo del vuoto.

Allora ad esempio adduciamo come relazioni virtuali la analogia tra Follow e Follower.

Poiché il Follow è collegamento relazionale e dono della nostra relazione al prossimo il Follow è secondo molte prospettive più importante della realtà “Follower”. Non c’è sostanziale differenza tra “Follow” e “Follower” nella loro accezione di collegamenti relazionali virtuali.

Pertanto si realizzerebbe la realtà secondo cui è popolare e virtualmente autorevole chi ha miriadi di “Follow” in quanto creativo/a di collegamenti relazionali - poiché sussiste la condivisione con le persone della propria intraprendenza relazionale e delle proprie caratteristiche personali mediante il link “Follow”. Ricordando che il link “Follow” è una mediazione virtuale alla relazione reale pura - Il fine è la relazione reale pura, non la mediazione per raggiungere la relazione reale. E la relazione non è una mediazione salutare, la relazione è il rapporto diretto dell’unipatia del noi, il pronome personale soggetto della nostra salute.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INTELLIGENT BEAUTY

 

Bellezza o intelligenza. Quale è più importante per te?

La scelta presuppone la perdita della realtà non scelta, inoltre sia la bellezza che la intelligenza non sono realtà dicotomiche, o bianche o nere, nessuno è sempre bello o è mai bello e nessuno è sempre intelligente o è mai intelligente: queste qualità tra le altre che appartengono ontologicamente alle persone coesistono ed esistono variabilmente in ciascuno di noi. Pertanto non dovremmo non sceglierci, prima di tutto perché un sistema che sceglie è un sistema fallimentare, non è un sistema ottimale, perché perde le realtà che non sceglie, non dovremmo non sceglierci perché perdiamo le potenzialità latenti in ciascuno di noi e perché non scegliendo non saremo scelti. La procrastinazione è una non scelta, non siamo responsabili solamente di ciò che agiamo bensì siamo responsabili anche di ciò che non agiamo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA LETTURA RELATIVA

 

Quanti libri riesci a leggere in un mese?

Primo: la lettura non insegna a competere. Secondo: esistono parole che hanno più valore di miriadi di libri, sono le parole simbolo, sono parole che nel loro significato custodiscono tutte le altre, solitamente sono parole ancestrali, come le lingue ancestrali, profonde, come il greco e i latino da cui sorgono le altre lingue. Il gioco è cercare e trovare le parole simbolo. Pertanto la quantità della lettura non sempre è accompagnata dalla qualità di ricchezza culturale e di intelletto, considerando altresì che la stoltezza è povertà culturali possono implicare migliori proattività attitudinali creative dell’intelletto culturale ln più considerando che l’innovazione culturale presuppone il valore aggiunto puro, la non influenzabilità dalle culture preesistenti è la causa prima del compimento del nuovo – il nuovo è la nascita del diverso ‘non c’ è ‘- si può avere innovazione altresì in grazia del valore aggiunto “somigliante” ovvero la creazione di valori somiglianti rispetto ai valori presenti, questo a contesto della realtà che nessuno può astrarsi al 1 00% dal reale, poiché ciascuna persona è nel tempo della sua vita in relazione con l’ambiente reale. Si può nella misura in cui si vuole. Se ciascuno di noi è in latenza un universo – è sufficiente la volontà per realizzare le qualità dell‘ “Inner universe” nell’ “Outside universe”, pertanto l’avverarsi che l’universo personale individuale sia rivoluzionario dell’universo mondiale non è un assurdo. Semplicemente perché l’inner mindset possiede le vastità di complessità iconiche della realtà esteriore universale. Gli universi inner ed outside hanno diritto e dignità di reciproco cambiamento, in quanto entrambi universi costituiti ontologicamente da complessità sistemiche uguali.

 

 

 

LA ONESTÀ GENTILE

 

LA FINZIONE IRENICA E LA SIMULAZIONE DELLA RISPETTABILITÀ

 

Qual è più importante per te fra l’essere gentili e l’essere onesti e perché?

 

Onesti perché l’onestà è il riflesso originale dell’essenza, mentre la gentilezza è una singolarità come tante altre qualità caratteriali che può essere il risultato di una simulazione, tuttavia la simulazione può essere più benefica e creativa della realizzazione del riflesso originale dell’essenza.

Paragonare due realtà che hanno nature ontologicamente diverse non è semplice.

La onestà, insieme alla finzione sono due macro-categorie strutturali attitudinali variabili applicabili a ciascuna altra nostra facoltà attitudinale. Pertanto possiamo misurare il livello di onestà in qualunque nostra attitudine, possiamo essere onestamente spensierati o fingere spensieratezza mentre siamo onestamente in noi sovrappensiero, possiamo fingere orgoglio mentre intimamente siamo onestamente incerti. Il flusso del cambiamento esteriore è calibrato dall’equilibrio non equilibrato della aleatorietà del maybe, pertanto sarebbe naturale la manifestazione della nostra incertezza.

La seconda questione è che la gentilezza nonostante sia una micro_categoria attitudinale non deve essere subordinata alla macro_categoria della variabile della onestà che si può ulteriormente ritenere micro_categoria delle attitudini olistiche di attività/passività. La gentilezza è importante, ma come ciascun altra variabile diveniente attitudinale non deve essere radicalizzata, pertanto cosa accadrebbe se radicalizzassimo la gentilezza?

 

La gentilezza è una forma di magnanimità, tuttavia se dimostriamo noi stessi eccessivamente ‘minori’ rispetto al prossimo ne verrebbe meno la nostra identità di autonomia, pertanto legittimando e permettendo la facoltà eteronomizzante del prossimo verso di noi. Parliamo di gentilezza in termini di accondiscendenza, l’accondiscendente si dimostra permissivo ma non è meno intelligente, infatti l’accondiscendente sopporta psicologicamente due gravi rispetto alle altre persone eteronomizzanti che eventualmente ne sostengono solamente uno (il proprio) per il beneficio comune, (Ovvero il carico delle proprie idee ed il carico finzionale delle attitudini che adotta verso gli altri promotrici delle idee del prossimo nonostante introspettivamente percepisca le idee degli altri in conflitto con le proprie.)

La facoltà dieteronomizzare è lesiva perché insegna a obbidire ed a dipendere – diverse e catartiche sono le attitudini autonomizzanti poiché insegnano, inducono li strumenti conoscitivi e attitudinali atti ad essere in grado di assimilare le mediazioni utili e fondamentali ad acquisire la libertà della indipendenza responsabile.

Ma non è solamente responsabile la autonomia, è responsabile altresì la eteronomia.

In terza istanza approfondiamo la complessità del tema della finzione.

Siamo davvero certi che la onestà sia categoricamente migliore, più benefica e catartica della finzione?

Spesso non è così – Comprendiamo che l’istintivismo onesto può risultare dannoso. Ciascuna nostra azione viene infatti filtrata dal velo purificativo mediativo razionale della finzione che realizza un miglioramento attitudinale irenico.

 

 

 

 

 

Si argomenta della plasmabilità della finzione in onestà – caratterizziamo la attitudine esteriorizzata come l’ultimo risultato di un processo psichico complesso in cui si relazionano molteplici realtà sia in armonia sia conflittuali tra loro – nel senso in cui caratterizziamo come onestà e reale la attitudine esteriorizzata poiché è invisibile il complesso processo di macinazione spontanea della attitudine che manifestiamo.

Tuttavia finzione non è ipocrisia e finzione non è disonestà.

Ipocrisia e disonestà sono ulteriori complessità macro-attitudinali che sono relative non solo al mindset dell’individuo,  bensì al mindset dell’individuo in relazione alle altre persone.

Proviamo a dare una definizione di ipocrisia.

Pertanto la complessità attitudinale ipocrita dispone che le persone che scelgono l’ipocrisia siano essi stessi artefici delle medesime attitudini (Che sovente velano, non pubblicano, non manifestano, se le manifestassero paleserebbero la loro ontologia attitudinale di ipocrisia – Sottintendendo una illusoria illibatezza di rispettabilità) che non solamente riconoscono, bensì giudicano e nei casi più inter_personalmente lesivi, accusano verso le altre persone.

La onestà è caratterizzabile allora come la manifestazione buona, catartica e benevolmente onesta (Se c’è coincidenza tra inner mindset e outside aptitudes) o finta, ovvero risultante dal meccanismo di purificazione finzionale verso il prossimo. A questo punto non vi è disonestà bensì onestà e buon andamento relazionale.

La disonestà si esplica in un secondo livello attitudinale.

Nella onestà non sussiste mai la estrospezione delle pure realtà negative purificate. Nella onestà sussiste la purificazione del 100% delle negatività, le negatività svaniscono in noi o sono, restano blindate in noi e mai manifestate.

 

 

 

 

In una forma di disonestà invece la purificazione è parziale, il negativo sussiste e non è blindato o completamente purificato, bensì è un veleno vitale atto a manifestarsi indirettamente – pertanto risulterebbe che le persone disoneste sono in facoltà di essere promotori di danno attivo indiretto, pertanto si renderebbero manifeste le attitudini purificate verso il prossimo in forme comunque di aggressività passiva relazionale, nel mentre alle sue spalle si attuerebbero attitudini dialogiche non consonanti ( rispetto alle attitudini che si dispongono verso la persona verso cui si agisce disonestà) con altre persone, sovente di sua conoscenza atte a cortocircuitarne la rispettabilità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL VALORE DELLE RELAZIONI NON EQUIVALENTI – INNO ALLA ACCOGLIENZA DELLE DIVERSITÀ

 

Quali sono i tuoi pensieri sulle esteriorità di superficialità in una relazione?

La relazionalità è intersoggettiva, il legame della relazione è fondato sulle percezioni soggettive reciproche delle due persone che sono in relazione, pertanto la realtà della relazionabilità va oltre ogni grammatica della superficiality comunitaria e oltre ai disvalori dell’opinionismo, la qualità delle persone che sono in relazione non è standardizzabile secondo le omologazioni delle superficiali etichette che adduce una categoria sociale su un nucleo di relazione. Nella relazione si applicano allora le rivoluzioni di rilevanza dei valori – Scegliamo alcuni esempi iconici: La relazione di non equivalenza di statura, la relazione di non equivalenza di cultura, la relazione di non equivalenza economica – se un mindset comunitario è dell’idea che non siano realtà consone,

le persone il cui nucleo reciproco relazionale appartiene a queste non equivalenze, (a diritto ed a rispetto introspettivo reciproco ed a titolo e tutela della loro relazione) queste persone sono in libera facoltà di confutare queste superficiali etichette sociali ad esempio ritenendo che la loro storia di relazione è di fondamentale importanza, le esperienze trascorse insieme, o le loro personalità sono intimamente conciliabili tanto da mettere in secondo piano le loro superficialità di non equivalenza. Ma la domanda è ancora più specifica, è infatti doveroso premettere i requisiti relazionali. Riflettiamo un momento su quale realtà si fonda ogni relazione. Sul Noi in vita. Le altre superficialità sono funzionali e non necessarie e sovente superflue ed ostacolanti il Noi in quanto alla relazione di dialogo creativo e di affettività le non equivalenze di superficie non indurrebbero alcuno squilibrio di relazionabilità – Le singolarità superficiali di non equivalenza non indurrebbero lo squilibrio della relazione, approfondendo non per loro ontologico valore bensì perché attribuiamo, riconosciamo nelle superficialità il privilegio di discriminanti relazionali facoltosi di sbilanciare la relazione, quando in verità sono le ontologie del me e del te gli unici discriminanti del noi, non le nostre superficialità accessorie.

La relazionabilità è dialogico-affettiva e la non conformità alle etichette di superficialità non ostacolano né la possibilità del dialogo, né la affettività della coppia che è appunto nutrita da miliardi di singolarità profondamente ontologiche di cui le superficialità consonanti o dissonanti sono solamente singolarità sia soggettivamente sia oggettivamente trascurabili ed obiettivamente invariabili al bene essere della relazione che è la realtà da tutelare e da privilegiare.

Le diversità non sono muri definitivi di fine relazionale, sono bensì reciproche occasioni di arricchimento, poiché la aggiunta di una realtà uguale rispetto alla ontologia che vive la aggiunta è una invarianza qualitativa – La occasione della complessità della variazione ulteriore è la implementazione delle proprietà diverse incontrate alle nostre proprietà che non perdiamo a causa della relazione con le realtà diverse: La variazione è una ulteriorità non è il sacrificio della nostra complessità ontologica.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LE RICCHEZZE COLLATERALI

Wholeheartedly

Il valore di qualsiasi realtà è ingente in misura del surplus che promuove secondo le macro-categorie di salute, bene-essere, sostentamento, promozione della creatività, questo valore è sia un surplus individuale, sia un surplus relazionale.

Tuttavia se dovesse verificarsi che (nella dinamica della dicotomia individualità - relazionalità -) è proprio lo stesso fatto del valore positivo della realtà che realizza malefici relazionali - allora il valore ontologico di questa realtà decresce vertiginosamente.

Il valore del denaro decresce di valore ontologico se ( e nella misura in cui) questo oggetto mediativo relazionale è causa prima di decadenze relazionali che si ripercuotono nelle forme di malessere individuale.

Se il denaro è sorgente discriminativa, di odio e di annichilimento può implicare negatività attitudinali nocive per la creatività comune e per le relazioni, talvolta il denaro risulta motivo di fine relazionale inesorabile e definitiva. Sottoscriviamo il caso della complessità della suddivisione delle proprietà in eredità. In relazione a noi il surplus di beneficio vitale si realizza non in misura delle nostre proprietà, bensì in misura della nostra gratuità.

Pertanto uno strumento mediativo verso la meta del miglioramento identitario individuale e relazionale comune, se diviene la meta oggettuale che sottomette e induce una svalutazione della meta primaria del benessere umano e della stessa umanità di ogni persona, è strumento verso cui determiniamo la suddetta perdita valoriale. Riconduciamo allora primario valore alle realtà concrete affettive, dialogiche e relazionali in ottemperanza della reciprocità di con-divisione di puri valori aggiunti gratuiti, o tuttalpiù dedicati in atto di fiduciosa speranza che la matrice dei passi relazionali sia bi univoca e non univoca - Ovvero che ad un mio passo corrisponda un tuo passo -

 

Non sto criticando il valore del dono argomentando del fatto che il dono è bene che sia ricambiato, forse penseremmo che una realtà non sia donata se persiste il credo in una ri-compensa per la attitudine pro-motrice dedicata, tuttavia approfondiamo la complessità del dono - il dono è nella sua forma più profonda la resilienza relazionale - pertanto non Sottoscriviamo il valore oggettivo della qualità di ciò che ci dedichiamo, bensì vi attribuiamo una valenza non solamente soggettiva, bensì intersoggettiva ed in primo luogo di valenza di resilienza relazionale.

Poiché cosa è la pura gratuità, sarebbe uno sbilanciamento relazionale tra la persona che dedica e la persona che riceve, uno sbilanciamento che può implicare la fine della relazione se si realizza la dicotomia persona donatrice e persona ricevente. Significherebbe che il pellegrinaggio lo sta intraprendendo solamente una delle due persone relazionate.

Perché infine cosa è la ricompensa? È il ritorno relazionale della persona a cui si è dedicato il dono - ovvero l’indice della resilienza relazionale.

Allora questa verità si dispone credibile e giustificabile nella misura in cui ciascuna delle due persone sia ricca di proprietà condivisibili.

Tuttavia è bene sfatare questa mentalità nell’esempio in cui una persona delle due sia impossibilitata a donare.

Nella dicotomia ricco - povero - si manifesta appieno la nostra facoltà in possibilità di arricchirci del dono che dedichiamo allora disponendo in secondo luogo il valore di qualità oggettiva dei beni intercambiati.

Un esempio.

Un povero studente di panificazione avente il padre panettiere proprietario di una panetteria in divenire di fallimento. Un ricco imprenditore che nota l’anima creativa del giovane studente e la resilienza del padre che nonostante la decadenza danarosa persevera nella sua attività che sente intimamente propria.

 

Il ricco imprenditore senza procrastinazioni, ovvero con una certa urgenza consonante con la situazione che osserva agisce, in che modo?

Con un ricco sostentamento per gli studi del figlio e per rimettere in sesto la panetteria del padre.

Il piano del ricco imprenditore si realizza, la panetteria comincia ad ingranare ed il figlio completa gli studi con eccellenti voti.

Cosa domandò il ricco in cambio? Alcuni anni dopo la sua attività di dono ritorna nel panificio ed acquista una pagnotta dicendo al padre e al figlio di essere certo della qualità della pagnotta.

È ovvio comprendere qui il vicendevole miglioramento e mantenimento della relazione.

In quanto si struttura come primario il valore creativo relazionale. Instaurando come soggettivi e non oggettivi i valori di baratto mediativi della relazione.

Si sottintende la intelligenza creativa della mentalità della persona ricca assimilando la verità secondo cui il paragone relativo tra il suo totale capitale e la proprietà parziale dedicata ai panettieri, (nonostante il fatto che secondo la prospettiva dei poveri consistesse obiettivamente in una ingente quantità di denaro) fosse di questa qualità : La proprietà donata era stata per il ricco infinitesima rispetto alla totalità del suo ingente capitale.

Risulta doveroso affrontare una seconda tematica.

Ovvero la nostra possibile indisponibilità di gratuità nella forma di gratuità dedicata, tuttavia in esigenza di un ritorno necessario superiore alla qualità o quantità donata.

Citiamo la volontà di eteronomizzazione in obbligo di ritorno di una gratuità dedicata sovente in forma danarosa.

 

 

 

 

 

Ritornando all’esempio precedente abbiamo compreso che sia bene il pensiero della ri-compensa - tuttavia se questo pensiero viene radicalizzato risulta una devianza alienante nociva per la relazione è per la persona che si ritrova obbligata ad una ri-compensa secondaria alla non-gratuità ricevuta che è oltremodo non equilibrata e dannosa. Vediamo alcuni esempi.

Il caso più eclatante disvela la possibilità della non creativa facoltà di terzi di subordinare la dignità umana di altre persone sulla base di compensi astratti danarosi. Allora argomentiamo della eteronomizzazione della persona primariamente (non è giusta ma) “giustificata” dal compenso di denaro. Ebbene se questa eteronomizzazione coincide con la dedica di attitudine negative verso la persona stipendiata allora comprendiamo due conseguenze, la prima è il calo di creatività e di rendimento del lavoratore - Evidenziamo la nostra innata intima disposizione a caratterizzare come privilegiata la relazione umana, ed in secondo luogo qualunque altra dinamica. La seconda è la dimostrazione del motivo per cui sussisterebbe un calo creativo di questa persona - ovvero la semplicità secondo cui si evidenzia la percezione da parte del lavoratore del calo vertiginoso del valore del denaro che riceve - un valore minoritario che si ripercuote sul paragone tra la sua ontologica dignità creativa, ed insieme della decadenza relazionale di cui è altresì causa la mediazione dello strumento denaro. Una nuova questione urgente. È proprio la urgenza di ri-compensa o meglio la immediatezza di ricompensa.

Si rileva un decremento della creatività in atto di ricompense non certe e delegate ad un futuro lontano.

Perché? Poiché si innesta nella persona creativa la realtà che precedentemente abbiamo citato - ovvero la unicità non la biunivocità creativa che abbiamo  esemplificato nell’esempio del pellegrinaggio.

 

 

Se alla creatività non coincide la manifestazione del cambiamento e della ri-compensa (La compensa e la ri-compensa non è solamente un fattore catartico relazionale, è bensì un fattore neurobiologico che implica variabili biologiche, cerebrali attitudinalmente pro-attive, al contrario si realizzerebbero attitudini di freezing provocati da deficienze attitudinali di de-motivazione e di demoralizzazione indotte.) si realizza nella persona creativa il gravoso obbligo di persistenza di surplus di gratuità percepita come vana. L’eccesso di gratuità in relazione alla percezione di vanità di ciò che si sta realizzando è indice causativo di esaurimento indotto. L’esempio della caraffa d’acqua le cui stille sono tutte defluite da essa, se esigessimo altre stille dalla caraffa vuota non potrebbe dedicarle, la aridità può essere intimamente indotta, pro-vocata (in questo caso dobbiamo presentare la accezione negativa del termine provocare, ovvero causare. In verità il termine pro-vocare è custode della importante valenza che qui presentiamo: Chiamare per. Ovvero il riconoscimento identitario, vocazionale, proattivo, e utile della persona.)

Presentiamo infine un ultimo concetto, la mentalità di severità e inflessibilità dicotomica in relazione alla categoria della proprietà.

Approfondiamo nominando questa dicotomia nei due termini: Avere/non avere.

Si stima inoltre la relazione tra questa dicotomia severa ed il concetto di perfezionismo non adattivo, bensì maladattivo.

In relazione inoltre a questa mentalità perfezionista il fatto che sia causa prima della definizione del concetto di elitarismo e parallelamente della realtà discriminativa delle inclusioni esclusive.

L’egoismo mediativo dello strumento del denaro può implicare attitudini neurobiologicamente negative di non creatività relazionale (individualismo) di tipo di coping maladattivo evitante disfunzionale, e di pre-giudizio anticipante non catartico a livello relazionale poiché introduce self-defensive-aptitudes fondanti aggressività passiva “gratuita”, non meritata.

Pertanto abbiamo approfondito perché il denaro o l’accrescimento di esso possa implicare attitudini negative o non creative.

In un certo senso sono infatti due le qualità del nostro egoismo che ostacolano la nostra intercambiabilità di reciproche gratuità promotrici della relazione.

La quantità e la qualità della proprietà e la misura implementativa della nostra facoltà di accrescimento delle proprietà individuali.

Tuttavia si verifica questa verità , la dipendenza danarosa si rivela quando, ( come qualunque altra astrazione o stupefacente che crea dipendenza,) Ciascuna nostra azione è subordinata alla metà della proprietà e dell’accrescimento della proprietà, nel profondo non solamente Ciascuna nostra azione ma nei casi più radicali di dipendenza, le altre persone, la loro salute e persino noi stessi e la nostra salute sono posti in ultimo ordine valoriale rispetto alle mete del denaro suddette.

Si considera la ovvietà del beneficio del denaro, realtà necessaria alla nostra sopravvivenza. Si argomenta allora di un minimum di denaro utile al nostro sostentamento e di un surplus una complessità che possiamo gestire o che talvolta gestisce noi.

Si argomenta altresì del beneficio del surplus danaroso che può implicare una implementazione del valore di nascita, crescita e resilienza relazionale, tuttavia premettendo una nostra singolare mentalità non innata, bensì acquisibile rivolta alla gratuità di creatività di doni di puro valore aggiunto di proprietà.

Scegliamo di considerare come non dovremmo agire nella quotidianità per argomentare la giusta via della nostra elevazione economica, culturale, sociale e spirituale.

La risposta è in noi.

Studiamo la scienza della neurobiologia delle relazioni. Pertanto la nostra lacuna di gratuità è una attitudine maladattiva. Che cosa succede se Scegliamo la via delle attitudini egoiste?

Il nostro freezing attitudinale ed il freezing attitudinale delle persone che orbitano intorno a noi.

Qualsiasi mentalità economicamente creativa valorizza la relazione umana come mediativa del reciproco arricchimento.

Scegliamo il meccanismo attitudinale adattivo creativo che dispone la flessibilità come valore importante – il valore della flessibilità si riconosce nella risoluzione di tutte le serrate dicotomie che crea il denaro denotando le nostre attitudini delle negatività di severità e di definitività (inesorabilità) : Saremmo più magnanimi, più saggi poiché in grado di percezioni non unilaterali, bensì omnicomprensive e pluri prospettiche, il nostro sguardo sia allora rivolto verso la realizzazione latente di ciò che non è adesso reale ma in attesa di rivelarsi allora spontaneamente realizzeremo i primi veri valori – la collaborazione per l’arricchimento reciproco.

Seppur non giungessimo a comprendere profondamente il valore della creatività nella gratuità proviamo a riflettere se vi siano creatività nel nostro egoismo. E la risposta è affermativa. La dimostrazione di egoismo relazionalmente si realizza poiché egoisticamente riceviamo un surplus maggiore di ri-compensa dal prossimo se investiamo urgentemente e creativamente per il beneficio del prossimo, il beneficio del prossimo grazie a noi si ripercuote sul nostro beneficio.

Semplifichiamo ulteriormente.

Avendo considerato il tema denaro affrontiamo il tema relazionale – dialogico nelle nostre facoltà creative, di ascolto, di comunicazione, di concretezza di tatto affettivo.

In primo ordine esemplifichiamo con il contesto del semplice saluto che dedichiamo agli sconosciuti.

Il primo saluto tra le due persone deve esistere, non è rilevante chi saluti prima, nell’augurio che una delle due persone inizi, quale persona dimostri un maggior livello di gratuità, nelle età giovanili e adulte siamo sufficientemente intelligenti da non badare al “Chi prima vuol bene. “ Il voler bene è un puro valore aggiunto, una gratuità, non una gentile concessione al nostro necessario riconoscimento di percezione di essere ben voluti dal prossimo.

Ed ancora fondamentale è il fatto che al primo saluto non corrisponda il silenzio.

Altrimenti riconosciamo che il nostro pellegrinaggio verso il nostro vero arricchimento non è ancora cominciato, se non nel ricordo della nostra spontaneità quando fummo bambini.

Allora riconosceremmo conosciute le persone in uno sguardo ed in un saluto, di una conoscenza eterea e per molti versi istantaneamente eterna, una certa conoscibilità a cui tendiamo insieme alle persone che frequentiamo e che per molti versi non giungiamo a conoscere profondamente, siamo comunque tutti persone passeggere che infondono in noi insegnamenti che restano.

Per quanto astratte siano le idee che ci doniamo, e volubilmente fluttuante la cultura degli insegnamenti che restano nel mentre di noi che invece non restiamo. Seppur intendiamo il nostro ritornare anch’esso nostra volenterosa libertà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL GIOCO DELLE TRE TAVOLOZZE

 

Per essere più buoni.

Per eludere la severità decisionale.

 

Un esempio di severità decisionale.

La proibizione di possibilità. (Realtà che se è accolta è un self-damaging damage)

 

La possibilità singolare dicotomica di inesorabilità.

Molte persone accolgono questa tesi, altresì essa decadente, argomentiamo il perché.

La dicotomia si esprime nella logica matematica binaria (0,1)

0 = nulla

1 = totalità.

Questa logica è carente della marginalità della possibilità di rivelazione latente delle facoltà di realizzazione attitudinale.

Un secondo limite è la severità di inesorabilità che è un limite che dispone il non riconoscimento di miglioramento.

 

Il criterio di dono di possibilità che tendono all’infinito ed il gioco delle tre tavolozze.

Il criterio di dono di infinite possibilità non si fonda sulla dicotomia binaria (0,1)

Tuttavia si dispone un codice binario infinito in cui ciascuna intraprendenza relazionale, dalle più semplici ed immediate alle più complesse siano in ottemperanza di essere definite non invariabili e divenienti.

Tuttavia eludiamo la binarietà :

La binarietà istituisce lo (0,1) come criterio di scelta –

Tuttavia utilizziamo la binarietà come ambiente di riconoscimento, ovvero si dispone che ciascun 0 è che ciascun 1 sia una micro complessità da considerare, incontrare e rivalutare.

Consideriamo allora il tema non dei numeri, bensì dei colori, spontaneamente paragoniamo allo 0 il bianco ed all’uno il nero.

Tuttavia il bianco sono tutti i colori a cui aggiungiamo il nero dell’uno.

Pertanto riconosciamo la eccezionale proprietà del fallimento di rivelarsi potenzialmente rivoluzionante.

Pertanto non istituiamo la dicotomia inesorabile della binarietà bensì la complessità del viraggio cromatico diveniente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il gioco delle tre tavolozze.

Per ciascuna reciproca attitudine che osserviamo nella morfologia di complessità diveniente – usufruiamo di tavolozze di n tendente all’infinito di calamai vuoti.

Ciascuna delle persone che si relaziona possiede tre tavolozze di colori. Queste tre tavolozze di colori sono separate da una linea che scinde due categorie (percezione di attitudine attive e percezione di attitudine passiva)

La prima tavolozza indica la percezione soggettiva dell’io della qualità attitudinale dell’io verso il prossimo.

La seconda tavolozza indica la percezione soggettiva dell’io della qualità attitudinale del prossimo verso l’io.

La terza tavolozza indica la percezione dell’io della catarsi relazionale olistica del fatto relazionale.

I calamai vuoti sono tutte le prospettive contestuali divenienti che riusciamo ad attribuire alla qualità reciproca attitudinale.

Ed iniziamo a riempire i calamai di colori –

Pertanto esemplifichiamo.

Ergiamo come estremi le relative dicotomiche tinte cromatiche.

Ciascuna prospettiva è un diverso viraggio cromatico, vi sia la prospettiva delle gradazioni di verde, la prospettiva delle gradazioni di giallo…

Pertanto attribuiamo ad un estremo cromatico scuro la accezione di negatività ed all’altro estremo cromatico chiaro la accezione di positività.

Comprendiamo che non utilizzeremo solamente le due tinte estreme, bensì ciascuna sfumatura di viraggio chiaroscuro.

È importante chiarire che la attribuzione delle tinte è reversibile e diveniente.

Questa teoria avvalora la complessità come ulteriorità, come possibilità di giudizio alternativa che pertanto ci “Salva” dalla fine del giudizio di inesorabilità.

 

È da sottintendere la nostra possibilità di custodire questo metodo di giudizio non doverosamente applicabile completamente, bensì in un procedimento che tenda verso la completezza del compimento di questo metodo.

Ritornando a questo metodo la metodicità diviene ulteriormente complessa.

Infatti le diverse prospettive possono mescolarsi insieme, o coincidere, o sommarsi relazionalmente, in tal caso mescoleremmo i diversi colori delle prospettive.

Pertanto otterremo sfumature tra tinte calde e tinte fredde – e queste cosa significano?

Significano la comunicazione della percezione della relazione, del link tra diverse ptospettive che garantisce alla relazione una tinta alternativa, un ulteriore modo di vedere le cose garante della resilienza relazionale.

Ulteriormente.

 

Non solamente le tinte delle diverse prospettive di ciascuna tavolozza possono mescolarsi, bensì altresì si possono mescolare prospettive (tinte cromatiche) appartenenti a tavolozze diverse, pertanto si rende una complessità diveniente dell’io in cui sono relazionabili e miscelabili le tre macrocategorie suddette rispettivamente appartenenti alle tre tavolozze.

 

Tuttavia il gioco delle tavolozze non si limita alla introspezione, bensì alla comunione, al dialogo creativo.

Allora non appena le due persone ritengono di avere concluso il processo di empimento dei calamai vuoti delle tavolozze, esiste la condivisione delle scelte cromatiche.

Non solamente la reciproca condivisione e mostra delle proprie tavolozze, bensì anche la nostra facoltà di intercambiare le tinte dalle tre tavolozze del prossimo verso le tre tavolozze dell’io e le tinte dalle tre tavolozze dell’io verso le tre tavolozze del prossimo.

Essi allora condividendo le loro Percezioni cercheranno le risposte di comunione sulla base del loro atto reciproco. Accorgendosi in primo luogo di avere creato nuove complessità attitudinali nuovamente osservabili mediante il gioco delle tre tavolozze, in secondo luogo che la risposta principe alle proprie incomprensioni è il fatto stesso di essersi incontrati in grazia non del gioco delle tre tavolozze, bensì in grazia di loro stessi, della loro scelta di avervi giocato.

 

Tuttavia se sussistono incomprensioni o stati d’animo avversivi è possibile che tali avversività possano manifestarsi non solo nel mentre del gioco, ma ad esempio nella aprioristica scelta di non giocare al gioco delle tre tavolozze.

Pensiamo al primo caso.

Il gioco delle tre tavolozze è ancor più complesso. Il gioco delle tre tavolozze è il culmine della possibilità di incontro, il culmine di un percorso di reciproca condivisione irenica.

Se non si vuol giocare, pensiamo alla possibilità della valutazione della scelta di non voler giocare, allora consideriamo gli stadi antecedenti al gioco delle tre tavolozze : ovvero partiamo dalle statiche valutative della proibizione di possibilità – pertanto chiariremo insieme perché la statica della proibizione di possibilità non fa bene a chi la sceglie.

Quando colui/colei che la scelse comprenderà che sia un bene evitarla procederemo verso il secondo stadio in verso e direzione di una ulteriorità irenica – abbiamo visto che il secondo stadio è La possibilità singolare dicotomica di inesorabilità. E nuovamente si comprenderanno i danni della inesorabilità e della severità.

Sì volontariamente e spontaneamente raggiungeremo la meta drl comprendere quanto sia salutare la scelta del gioco delle tre tavolozze.

Ove è quando scegliessi o di giocare a questo gioco. Possono sussistere nuove complicazioni.

I calamai delle tavolozze di una delle due persone restano completamente vuote.

Allora le altre persone che intrapreso il gioco possono dimostrarsi avverse o concilianti.

Allora qui si rende manifesto il valore di questo gioco, poiché viene a realizzarsi la nuova possibilità conoscitiva del “Gioco nel gioco. “

In secondo luogo i calamai che restano vuoti possono dimostrarsi ontologicamente secondo almeno due prospettive, la prima è l’avversione della persona che non intende conciliarsi, la seconda è la prospettiva della marginalità, ovvero che il vuoto sia proprio l’ambiente ottimale di possibilità di empimento.

Vi è una complessità interessante, ovvero che gli effetti siano le cause, ovvero che la fine del gioco in cui una persona empie delle tinte delle sue tavolozze le tinte delle tavolozze del prossimo, sia L’inizio del gioco.

Pertanto potrebbe accadere che una altra persona empi con alcune sue tinte la terza tavolozza vuota, ovvero tavolozza che indica la percezione dell’io della catarsi relazionale olistica del fatto relazionale. L’io che si vede empire la sua tavolozza come reagisce?

La statica individuale è sospesa dalla attitudine relazionale, pertanto la catena delle reciprocità ha nuovo inizio.

Se L’io dovesse reagire con attitudini avversivi queste sono nuove riflessioni costitutive della possibilità di conoscerle mediandole grazie alle nostre facoltà multi prospettiche che il gioco delle tre tavolozze agevola.

Una nuova avversità potrebbe consistere nella aggressività di un io che con un gesto lesivo ribalta le tavolozze i cui calamai sono colmi di tinte.

Qui si rivela una importante questione, la finalità non è il Gioco ontologicamente, bensì il gioco è strumento mediativo di collaborazione e di pace.

 

 

Pertanto lo strumento non deve essere causativo di ulteriore avversità. Pertanto si riconosce la possibilità di gestire l’atto avversivo del ribaltamento come atto protagonista di un nuovo gioco delle tavolozze.

La negatività è positivizzabile.

Alla fine impariamo che è catartica la nostra predisposizione non innata bensì assimilabile di fare tendere all’infinito le nostre possibilità di iniziazione, di resilienza e di resurrezione relazionale istituendo come unico criterio di fine relazionale creativa il termine naturale della nostra vita.

Il fine è l’incremento delle possibilità rivalutative di incontro relazionale e di con-divisione.

Il tempo è una realtà finita, tuttavia la ulteriorità del tempo è da ricondurre al senso creativo che riconosciamo in ciascun secondo delle nostre relazioni, per poterle creare, tutelare, curare e non trascurare. Poiché la vita non è esistenza solitaria bensì è ontologicamente Co-esistenza relazionale nonostante altresì nei limiti di non conoscerci o di essere lontani. La inesorabilità ad occhi accorti risulterebbe uno spettro con cui non è possibile convivere. Poiché la inesorabilità in ogni sua manifestazione contestuale è la dissonanza cognitiva più letale, ovvero la dissonanza cognitiva tra coscienza di vita reale nella sincronia astrattiva ideale delle fini implicate dalle nostre inesorabilità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL VALORE DELLA IMPRESSIVITÀ

FUNZIONALE ALLA ESPRESSIVITÀ

 

Dialectically and ontologically the opposite of depression it is expression.

So depressive realities are esteemed as introspective responses not to self induced behaviours that are relatable to our innate faculty of extrospection and of the revelation of our inner latent wherewithals by our inner mindset to the outside, but to induced hindering behaviours that annihilate us impeding the natural flow of our expressiveness or the aptitudinal annihilating faculties of external blindness that realizes the falseness of the our creativities to be invariables.

In truth every of our creativity it is a pure cause of change, and AN influence to the environment.

The ontology of the value of change of our creativities allow us destructure the negative mediations of the impassers that we could meet and allow the flow our expressions cause we can recognize the external negative mediations as invariables.

So we meet this truth the complexity of invariability it is aptitudinally notable.

It is clever and wise to dedicate the invariability to negative aptitudinal impasses to anesthetize the % of induced depression to our continuum faculties of creative expressions.

Dialetticamente e ontologicamente l’opposto della depressione è l’espressione.

Quindi le realtà depressive sono stimate come risposte introspettive non a comportamenti autoindotti - le facoltà introspettive sono infatti innatamente creative e riconducibili alla nostra innata facoltà di vivere (Il vivere è espressione di vita/ La vitalità) e alla rivelazione delle nostre facoltà latenti interiori dalla nostra mentalità interiore verso la rivelazione attitudinale esternata.

 

Allora le realtà depressive sono stimate come risposte introspettive a comportamenti ostacolanti indotti da reazioni o ontologie reali e ambientali esterne che ci annichiliscono impedendo il naturale flusso della nostra espressività; oppure a facoltà attitudinali annientanti di cecità esteriori che realizzano la falsità delle nostre creatività di essere invariabili.  (In-differenza indotta = non differenza - attribuire il giudizio verso una creatività di essere causa inerte e non causale di cambiamento = dissonanza cognitiva indotta di realtà ontologica (senso implementativo della vita/ invarianza attitudinale indotta)

In realtà ogni nostra creatività è una pura causa di cambiamento, e un’influenza sull’ambiente.

L’ontologia del valore di cambiamento delle nostre creatività ci permette di destrutturare le mediazioni negative degli impassers che potremmo incontrare es in secondo luogo di fare fluire le nostre espressività nella nostra catartica facoltà di potere riconoscere le mediazioni negative esterne come invariabili.

Pertanto i discriminanti del nostro equilibrio depressivo-espressivo non sono più le realtà esteriori, bensì noi stessi. Quindi incontriamo questa verità: La complessità dell’invariabilità è attitudinalmente di importanza notevole. È intelligente e saggio dedicare l’invariabilità agli impasse attitudinali negativi per anestetizzare la % di depressione indotta alle nostre facoltà di espressione creativa continue.

Un secondo tema importante è la ispirazione -

Esse è una complessità interessante, poiché la ispirazione può essere introspettiva o estrospettiva, può essere causativa o effettiva, può sorgere da realtà di pro-mozione e di motivazione e può altresì sorgere da eventuali negatività esperienziali o da staticità e inezie, esistono esempi di depressioni espressive - ad ogni modo il miracolo della ispirazione è il suo fattore creativo di conversione e di purificazione affinché in grazia dell’ispirazione si origini un senso attitudinale nuovo.

Impressività

Agg. [der. Di imprimere, part. Pass. Impresso; nel sign. 2, anche con influsso dell’ingl. Impressive (come il fr. Impressif)]. – 1. Ant. Atto a imprimere un movimento, a comunicare un impulso. 2. Letter. Che suscita, o tende a suscitare, una forte impressione; capace di produrre emozione o commozione.

 

Contrariamente alla depressività che induce indolenza creativa valorizziamo la impressività e la valorizzazione del prossimo poiché la nostra impressività verso il prossimo implica la sua espressività un valore catartico ed arricchente per tutti.

 

IL VALORE DELL’ATTO IMMOTIVATO

 

NEI TEMI DELLA FELICITÀ E DELLA CONTENTEZZA

 

Consideriamo il valore dell’atto realizzato in assenza di motivazione ideale pro-attiva.

La Felicità è come il sogno.

Il sogno potrebbe non compiersi ma il fatto di avere sognato è un surplus positivo.

Non è solamente vero che il cervello influenza l’atto, bensì è altresì vero che l’atto influenza il cervello.

Restare tristi è comunque peggiorativo.

Allora semplicemente sorridere quando si è tristi, si realizza la dissonanza buona tra atto felice e strato d’animo triste che influenza positivamente lo stato d’animo della persona.

 

 

 

 

 

 

NEI TEMI DELLA CREATIVITÀ

 

L’atto immotivato è catartico in situazioni di inerzia e di inazione, pertanto il semplice atto non realizzato poiché è effetto di una causa di intraprendenza attitudinale, bensì l’atto compiuto nonostante la carenza di intraprendenza psicologica innesta il primo anello della catena delle reciprocità attitudinali che è garante del florido, facoltoso e metodico divenire attitudinale creativo.

 

NEL TEMA DEL PENSIERO

PRINCIPI DI SPENSIERATEZZA

 

Un atto può essere altresì un atto di pensiero.

Consideriamo l’overthinking e consideriamo un metodo per acquietare il tumulto dei nostri pensieri.

Solitamente l’overthinking è caratterizzato dalla nostra attribuzione valoriale di importanza e fondamentalità ai nostri pensieri ed al loro flusso, solitamente questo flusso è caratterizzato dalla nostra scelta psicologica di far succedere in noi pensieri di primaria importanza per la nostra vita, tuttavia sovente si realizzerebbe un caos gestionale che implica la nostra distrazione e il nostro scarso rendimento.

Esemplifichiamo. Per minimizzare il carico gestionale ideale, per raggiungere la spensieratezza lungimirante.

Premettendo che sia difficile se non impossibile non pensare è importante agire sulla qualità valoriale dei mostri pensieri.

Quale è il carico gestionale del pensiero:”Penso ai colori iridescenti di questa bolla. “

Il carico gestionale è minimo o pressoché assente.

 

 

 

 

Quale è invece il carico gestionale del pensiero: “ Ho urgenza di gestire più contesti che ho studiato, mi auguro di avere ottimizzato il mio studio, ho urgenza di mantenerli nel ricordo, poiché presto, non so in verità quando, devo affrontare un esame lavorativo in cui la mia tesi implicherà la scelta tra più candidati, ed il congedo di altri e la mia possibile promozione o il mio licenziamento  sulla base non del mio rendimento passato, bensì solamente della mia esibizione di una decina di minuti dinanzi alla commissione aziendale. “

Ho esemplificato stadi di incremento di complessità di gravosità di pensiero, poiché solitamente l’overthinking è caratterizzato da questi tipi di incremento, non solo nel medesimo contesto o ambito, qui abbiamo considerato l’ambito di rendimento lavorativo, ma solitamente l’overthinking è caratterizzato dalla successione o dalla addizione sincronica di diversi ambiti di gestioni complesse.

Pertanto l’overthinking è la negativa inerzia motrice che realizza un caos che de- motiva poiché induce ansia di rendimento attitudinale e stress che danneggia la nostra salute e che cortocircuitati il naturale processamento, assimilazione e comprensione di senso di ciascuna nostra attitudine cause catartiche prime della nostra implementazione di rendimento multi-contestuale.

Avendo esemplificato la dinamica lesiva dell’overthinking – il sovrappensiero è pertanto una astrazione una alienazione dalla realtà, si dimostra evidente che il nostro rendimento è relazionale, pertanto ad esempio il nostro eventuale sovrappensiero potrebbe coincidere con il non ascolto attento e accorto della persona che ora realmente ci sta parlando.

Per ottenere chiarezza mentale e attitudinale è bene sospendere il flusso di pensieri gravosi.

L’overthinking è una particolarizzazione e interconnessione di miriadi pensieri e di miriadi di contesti. L’overthinking è una lente che mette a fuoco.

L’overthinking non è il pensiero gestionale, è una forma singolare esasperata del pensiero gestionale.

Tuttavia metaforicamente.

Pensiamo a qualunque nostro contesto o ambito di vita come ad un germoglio di un fiore ( a cielo sereno illuminato dai raggi del sole) che vogliamo fare crescere grazie a noi è alla nostra attitudine.

Se applichiamo overthinking, che è una lente che mette a fuoco) convergiamo i raggi solari (miriadi di pensieri focalizzati) verso il germoglio che appunto “prende fuoco”.

Se applichiamo la lungimiranza spensierata del pensiero gestionale, non usiamo alcuna lente mediativa tra noi ed il germoglio, bensì talvolta ci avviciniamo, talvolta ci allontaniamo, talvolta orbitiamo intorno al germoglio, ed a ciascun nostro movimento applichiamo dovute e sagge cure attitudinali verso il germoglio, allora illuminato dai raggi solari, e dalle nostre accorte attitudini tutelative e pro-attive, allora riconosceremmo il germoglio divenire fiore.

La spensieratezza è custode di un importante valore : La sospensione del pre-giudizio.

Ad esempio la urgenza conoscitiva dell’overthinking realizzerebbero i pregiudizi verso il germoglio:”Non cresce. “ questa percezione induce in noi de-motivazione, ansie e rassegnazione che influiscono sul non crescere del germoglio.

Allora ricordiamo la premessa secondo cui sia difficile, se non impossibile il non pensiero – e sfruttiamo il principio del valore dell’atto immotivato applicato alla realtà del nostro pensiero in direzione del nostro ordine mentale ed in verso della nostra chiarezza impressiva ed espressiva.

Il senso è l’alleggerimento del carico gestionale del nostro flusso caotico di pensieri.

La ottimizzazione delle nostre facoltà non sono indipendenti dalle pause.

Come il sonno è catarsi delle sinapsi nervose, la spensieratezza è catarsi del meccanismo ideale-fattivo.

Il sonno è naturale ringiovanimento.

 

Quando riposiamo il cervello si rigenera, sospende le interconnessioni tra i neuroni in status di caducità,

 E realizza nuove interconnessioni tra nuovi Neuroni. Le cellule che sono relative a questa funzione neurale di fagocitosi sono gli astrociti e le cellule della microglia.

 

La fagocitosi è la capacità posseduta da diverse cellule di ingerire materiali estranei e di distruggerli.

Tuttavia se non riposiamo per un lungo periodo la fagocitosi diviene neurologicamente autodistruttiva – si riconosce una iperattivazione delle cellule microglia che eccedono la loro originale funzione purificativo-catartica.

Accade infatti che le cellule microglia non eliminano solamente le cellule decadenti pensì attuano la loro funzione annichilente verso le cellule nuove e giovani.

È conciliabile il sistema del sonno con il sistema del pensiero.

Infatti la iperattivattivazione dell’overthinking è simile alla iperattiva ione delle cellule microglia, l’overthinking attua la medesima attitudine lesiva verso i pensieri nuovi, pertanto sussisterebbero pensieri dispotici predominanti annichilenti (Come le cellule microglia iperattivizzate) verso la facoltà di nascita creativa di pensieri candidi e verso la naturale interconnessione creativa.

La vita di ogni cellula non è un percorso irreversibile inizio - > fine, bensì un percorso reversibile di tipo

Inizio  <-> fine.

Le cellule non si guastano inesorabilmente ma perdono informazioni su come funzionare ottimamente.

Pertanto neuro-chirurgicamente è realizzabile il ringiovanimento, si riconosce necessaria la riprogrammazione delle cellule e delle loro reciproche relazioni.

 

 

La pausa ha valenza ispirativa.

Momenti di quiete ispirativi o privi di finalità (La non finalità può rivelarsi la sublimazione tra gli universi delle finalità, nell’evenienza in cui il non raggiungimento di una meta sia una meta ulteriore e fondamentale)

In cosa consiste allora il riposo del pensiero dall’overthinking?

Può coincidere con il sonno.

E nello stato di veglia cosciente può coincidere con l’alleggerimento del carico di pensiero mediante atto immotivato di pensare pensieri leggeri di tipo “penso ai colori iridescente di questa bolla”.

Poiché la motivazione di overthinking non indurrebbe la esistenza di pause cortocircutiamo la catena causale dei pensieri gravosi con l’atto immotivato di pensare pensieri leggeri non necessariamente funzionali a legami concettuali e personali complessi.

Così otteniamo una importante possibilità di riprendere fiato e di ossigenarci, di sospendere temporaneamente il flusso soffocante e dis-traente dei pensieri contenuti dell’overthinking.

 

There’s a paradox in psychoanalysis.

When we are in a creative endeavour, in a wonderful fever, the creative flow overflows our “will structural faculty” so it may happen that we may do not want what we think we desire, and we may do not demonstrate what we want.

 

 

 

 

 

 

 

                                                         

 

 

 

 

 

 

                                     

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                       Fine