L’eredità
d’un diario
Michele Vitti
E R E D I T À
Romanzo — Saggio
Eredità
© 2019 Michele Vitti
Data di
pubblicazione: 06/01/2019
Quest’opera
è protetta dalla legge sul diritto d’autore.
È
vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Le illustrazioni di questa opera letteraria sono state
realizzate dall’autore del manoscritto.
ISBN
9791220042123
I N D I C E
L ’eredità d’un diario
L’agoraio d ’oro e la bambina dagli occhi color ardesia.
Il diario ed il
bambino dagli occhi color liquirizia.
Orizzonti d’anime consorti, parte prima.
Il diario
Nota dell’autore.
Le poesie
Danza di petali
variopinti.
Una idea di attesa: La preghiera d’una conciliazione.
New
harmony.
Nihil.
Yonderly
statue.
Lanterna del
cielo.
Think
twce.
Enliven the
halo of liaison.
The still existing pure truths.
Elegia.
Elegy.
Uno sguardo.
Mistero indicibile.
Ombre color
grafite.
Aurora.
Voltarsi.
Impazienza: il contemporaneo spirito della celerità.
Un calamaio
riversa.
Pellegrinare.
Fragili rose
del deserto.
Fin quando.
I racconti
Le due
gioie.
Due scrigni.
Anime.
Ring around the rosie.
“Artista”.
Simboli compassionevoli, diavoli inesorabili.
Parole Immobili.
I Le lettere
II Incontro
III Parole immobili I
IV Parole immobili II
V Parole immobili III
VI L’Occhio del tempo
L ’eredità d’un diario
Orizzonti d’anime consorti, parte seconda
Il diario ‘Colourfulshare’. Contenuti.
Note.
Bibliografia essenziale.
colorfulsharing.blogspot.com
L’agoraio d’oro e la bambina dagli occhi color ardesia
Le luminose colonnine di saltuarie lucerne veneziane scandirono
il girovagar giocondo d’una bambina dagli occhi color ardesia lungo il viale
dei Campi Elisi de la Ville Lumière.
Ovunque posandosi gli alabastrini cristalli rifransero i lumi
della città e la neve cadendo ne ovattò le tumultuose risonanze.
L’istante: Meraviglia ai suoi argentei occhi.
La caligine di bianchi fiocchi velò il curioso sguardo libero e
spensierato ora ammaliato dall’ aureo balenìo d’un manufatto dimenticato:
Un pregiato involucro cilindrico d’oro dove era incisa la
parola greca συμβάλλω
conteneva acuiti fili di ferro all’estremità orlati d’un’asola rugginosa.
La bambina dagli occhi color ardesia giunse alla biblioteca
Sainte-Geneviève, la madre le aveva confidato che la biblioteca
Sainte-Geneviève era un luogo familiare: con il padre scrittore e la madre
sarta lì si recavano per dedicarsi alla lettura; era divenuta una tradizione
abitudinaria.
Presentò il manufatto
dorato al bibliotecario e chiese consiglio.
Il bibliotecario si meravigliò:
« Sai.
Io mi dedico con passione allo studio ed al collezionismo di libri rari o
preziosi. La sartoria è un’arte manuale estinta da decenni. Questo è un raro
agoraio; alcuni anni or sono una anziana donna dagli occhi color ardesia
consegnò alla biblioteca Sainte-Geneviève questo anonimo scritto, la donna ti
somigliava, i suoi occhi erano rari, come i tuoi, bambina.»
Insieme consultarono il documento:
Catalogazione:
Documento storico considerevolmente pregiato, testimonianza
dell’arte artigianale sartoriale.
Luogo di deposito:
Documento archiviato, conservato negli archivi della biblioteca
parigina Sainte-Geneviève. Escluso alla pubblica lettura.
Epigrafe: Una sarta ricamò eredità, rare come l’iridi sue
argentate.
In una vetrina in vetro Murano e bronzo cesellato erano riposti
alcuni tessuti di raso, di flanella, di damasco, alcuni fogli di carta velina,
alcuni bottoni in madreperla nera e due scrigni in legno di faggio.
Nel primo scrigno era riposto un pregiato agoraio d’oro
istoriato ove era incisa la parola greca συμβάλλω. Il secondo scrigno conteneva alcune spagnolette di variopinti
cucirini.
Una sarta dagli occhi color ardesia colse, un pennino, un
calamaio ed un foglio. Realizzò il cartamodello d’un gilet per me, che con
affetto scrivo di lei. Colse un foglio di tralucente carta velina e lo pose sul
cartamodello. Ricalcò ed intagliò le silhouette di carta velina, le pose sul
tessuto di flanella color blu di Prussia che contornò con del gesso da sarta;
intagliò, contesse imbastendo e tessendo le silhouette di flanella. Ad un lembo
del gilet cucì cinque neri bottoni madreperlati. Realizzò sul lembo opposto del
gilet cinque occhielli. Colse il tessuto damascato bianco e con sprezzatura
intrise d’immaginazione la bianca pagina ornandola con pregevoli trine
rinascimentali, passanastri e ricami in oro. Colse il rovinato duvet della sua
bambina dagli occhi ardesia e con refe lo rammendò. Una sarta ricamò legàmi.
Il giorno del matrimonio della giovane dagli occhi ardesia, con
la mia consorte pensai di donarle l’agoraio d’oro. L’ acuarium conteneva alcuni
spilli, un foglio di carta vergata ripiegata ove la madre aveva scritto con
un’accurata calligrafia: «συμβάλλω unire, dare del
proprio, contribuire, concorrere, aiutare, assistere, cooperare, essere
favorevole, andare incontro a, incontrare, riunirsi.»
Con affetto scrivo altresì di lei, la nostra bambina dagli
occhi color ardesia; colei che con trascuratezza disistimò l’eredità della
madre. L’onda rovinosa delle condizioni la condusse ad intraprendere la
solitaria corsa all’oro, la corsa che ogni uomo e ogni donna sembrava
intraprendere.
Ora lei indossava un anello turchese abbinato ad un abito di
bianco lino; ora due orecchini pendenti gemmati con pietre tormaline le
ornavano il viso ed un abito di nera seta con candidi volant leggiadro
l’avvolgeva, ora vestiva un corsetto perlato ed una gonna di tulle color
cobalto con merletti celesti ricamati, le gemme di smeraldo d’una collana
multifilo cadenzava i delicati lineamenti del suo seno. Ogni vestiario rivelava
un aspetto della sua versatile bellezza, tuttavia in lei permaneva un
sentimento d’orgogliosa inadeguatezza nei confronti di sé stessa e di coloro
che la amavano, per questo motivo sovente avvicendava i suoi abiti. Era una
giovane sì orgogliosa ed irresoluta, sì sensibile all’onda rovinosa delle
condizioni. Non si comprende la bellezza che si ha dinnanzi agli occhi e ci si
vuole allontanare da essa. Questo è il danno.
La corsa all’oro che, alla fine, le diede eterno lavoro e
ricchezza, una corsa all’egoismo che significò il divorzio, l’inesorabile
epilogo del matrimonio, l’allontanamento dalla propria bambina che sovente
venne accudita d’una bambinaia, l’allontanamento da noi.
Vidi l’agoraio divenir un semplice bibelot, un prezioso scrigno
dimenticato. Questo fu l’istante origine d’una realtà in cui la giovane si
convinse di non poter più scegliere d’accogliere l’eredità della madre, non per
averlo scelto; per non aver scelto. L’onda rovinosa delle condizioni rotò la
clessidra e l’ultimo frammento d’arena cadde.
La donna dagli occhi ardesia colse l’acuarium, lo ripose nella
minaudiere e sola s’incamminò verso il viale dei Campi Elisi, dove la neve
cadendo ed ovunque posandosi velava i lumi de la Ville Lumière, dove tra
cristalli alabastrini il cimelio abbandonò.
« Questo
documento ti appartiene, bambina dagli occhi ardesia.»
Confidò il bibliotecario.
La fanciullina donò lo scritto alla madre che leggendo, si
rattristì e pianse. Or non poteva fare ammenda ai genitori, or non poteva
ringraziar loro.
Leggendo comprese il valore dell’eredità insita nel dono dei
suoi genitori che aveva prematuramente trascurato.
Fin d’ora la donna si curò di trascorrere più tempo con la
bambina e di divenire pre lei esempio dei valori dei suoi genitori di cui
l’agoraio d’oro è simbolo.
Il giorno del suo diciottesimo compleanno, la madre donò alla
bambina dagli occhi ardesia l’agoraio d’oro.
Il diario ed il bambino dagli occhi color liquirizia
C’era una volta un ragazzino che si meravigliava di ciò che
ogni giorno vedeva, amava stupirsi, desiderava imparare sempre, era felice di
incontrare persone conosciute e sconosciute ed aveva a cuore ciascuna di esse.
Il curioso ragazzino era figlio del proprietario di una umile locanda di
periferia. La famiglia del giovane era povera, l’attività famigliare rischiava
di fallire perché non possedeva le ricchezze necessarie per mantenere in buono
stato il bar che, trascurato, divenne con il tempo fatiscente e disistimato
dalla clientela di quel paesino lontano dalla città che preferiva frequentare
il locale vicino alla loro rustica
caffetteria.
Non vi era dunque molto da lavorare in quel luogo dimenticato
dal mondo, nonostante questo il giovane di sera aiutava il padre; mantenendo in
ordine, spolverando e servendo i rari clienti, spesso soli e trasandati.
Un signore sembrava distinguersi; aveva occhi di ghiaccio, il
suo sguardo intimoriva il ragazzino ma ne era incuriosito, desiderava
conoscerlo. Era un uomo puntuale, alle nove di sera entrava nella locanda,
salutava distrattamente e ordinava educatamente un caffè; sceglieva ogni sera
di sedersi al tavolo in fondo al bar, in un angolo, il più appartato che vi
fosse, si sedeva, il suo stato di estraneo lo elevava al di sopra degli altri.
E qualcos’altro lo elevava: teneva sul tavolo un libro aperto,
era un diario le cui pagine scorsi essere impreziosite d’un’elegante
calligrafia. In quel bar nessuno aveva mai aperto un libro sul tavolo, e
scriveva.
Quell’uomo era malinconico, triste e solo ma non si trascurava,
vestiva elegante, portava al polso un vecchio e classico orologio, il lieve
ticchettio delle lancette che rotavano sul quadrante d’oro bianco non turbava
la sua calma, sembrava essersi rassegnato alla sua condizione.
Un velo di mistero circondava quell’uomo.
Le persone sembravano voler dimenticarsi di lui, pensavano che
non fosse degno di essere preso in considerazione, in questo paese egli
rimaneva nel silenzio, dimenticato o disprezzato.
Eccezionalmente il ragazzino aveva infatti sentito alcune voci
sul suo conto :
« Quell’uomo
non mi piace, frequenta quel luogo abbandonato la sera, si isola, non cerca le
altre persone, rimane in silenzio.
A quelli che tacciono manca quasi sempre finezza e gentilezza
di cuore. »
« I
suoi occhi sono lo specchio di un passato tempestoso, forse ha qualcosa da
nascondere, non mi fido ad avvicinarmi. »
« Una
persona che non prova odio è una persona sana, hai visto i suoi occhi di
ghiaccio? Quelli sono gli occhi di una persona che odia. Chi mai vorrebbe stare
vicino ad una tale persona? »
« Mi
ricordo di quell’uomo, era da molti anni che non avevo notizie di lui, si
disinteressava delle persone e si allontanava senza alcun rimorso.
Che stia da solo adesso a riflettere sui suoi sbagli. »
Una sera nonostante i pregiudizi che affliggevano quell’uomo il
ragazzino si avvicinò a lui dicendo: « Benvenuto. »
Il giovane si meravigliò di vedere che non appena l’uomo si
accorse della sua accoglienza gli sorrise: i suoi occhi di ghiaccio divennero
pacifici e amichevoli.
L’ uomo lo salutò calorosamente: «
Fai il bravo? » Chiese
il signore.
Il giovane si sorprese sentendo ciò che gli era stato domandato;
era una domanda semplice ma aveva toccato la coscienza del ragazzo che annuì
onestamente, si sedette al suo tavolo e si stupì nel vedere l’anziano signore
accendere una sigaretta.
« Perché
fuma? Non mi è mai capitato di vedere lei fumare.» Chiese il giovane. L’anziano disse: «Ti
ringrazio. Parli con me perché vuoi conoscermi. Volgi il tuo sguardo al fumo.
Il fumo rappresenta ogni attimo sfuggente che mai analogo a sé
stesso ritornerà. Tuttavia, salendo in silenzio, il fumo ritorna simile a sé stesso lentamente avviluppandosi
cingendo i suoi stessi anelli.
Osservando il fumo talvolta volgo il mio pensiero ai miei ricordi, alle mie
esperienze, alle mie letture e serenamente sento ridestarsi in me la fede nel
ritorno.»
Il giovane non comprese le sue enigmatiche parole, questo fatto suscitò la sua
curiosità che non poté celare al vispo sguardo dell'anziano che pronunciò
queste illuminanti parole: «Hai mai letto un libro, ragazzo?» chiese con tono
paterno. Egli vivacemente rispose: «Sì, in passato dedicai del tempo alla lettura di un libro che
mi fu caro.»
L'anziano domandò: «Ora
questo manoscritto dove si trova?»
Il giovane intimidito rispose:
«Non
lo so, lo accantonai alcuni anni or sono, credo che ora sia impolverato e
disperso nel ripostiglio di casa.» L'anziano lo ammonì : «Non dovresti accantonare sì distrattamente ciò che ti è caro.
Qualcuno a tua insaputa potrebbe averlo spostato dal luogo che lo custodiva, o
nella peggiore delle ipotesi averlo gettato dove non potrai più giovarne,
altresì potresti ritrovarlo diverso, il sole potrebbe aver reso la carta
friabile e l'inchiostro porebbe ora essere sì tralucente da rendere le parole
inintelligibili. Il mio consiglio per te è di cercare il tuo libro e di
rileggerne con attenzione le pagine, potresti cogliere del medesimo
manoscritto, in grazia della rilettura, nuove sumature che anni or sono non
avevi riconosciuto. Caro ragazzo, quando parlavo con te del fumo, alludevo a
questo pensiero: Nel profondo dell' animo mio credo che la rilettura, il nostro
ritorno alle medesime realtà, sia una delle condotte cardinali. Dunque abbi
fede, un nuovo inizio a mio avviso non
deve necessariamente aver origine da realtà nuove, estranee a te, bensì può sorgere da effettività a te
familiari, che nell'arco del tuo vivere hai accolto.*
*In bibliografia:
Rappresentazioni allegoriche del ritorno dell'uguale.
Che la rilettura sia ode ad antichi ed abbandonati manoscritti,
affinché, in grazia del nostro riconoscimento, possano nuovamente ora rivelarsi
fonti di doviziose saggezze. Altresì le persone hanno una miriade di avventure
da raccontare similmente al libro a cui dedicasti il tuo tempo; ripongo la mia
fiducia in te che avrai cura di queste parole.»
L'anziano pazientò osservando la meraviglia allietare il
visogiovanile del premuroso e grato adolescente, dunque disse:
Sai, un giorno un anziano signore, il padre della mia amata, mi
disse queste parole: Non si comprende la bellezza che si ha dinnanzi agli occhi
e ci si vuole allontanare da essa. Questo è il danno.»
Il ragazzo chiese incuriosito: «
Questo luogo sta fallendo, non è
frequentato ed è malridotto; perché un uomo elegante come lei sceglie di
spendere le proprie serate qui in solitudine; nel locale vicino potrebbe
trovare più vita. »
L’elegante uomo sospirando ripeté con voce soffocata:
« Non
si comprende la bellezza che si ha dinnanzi agli occhi e ci si vuole
allontanare da essa. Questo è il danno.
Piccolo, se un giorno vedrò entrare qui una persona e la vedrò
avvicinarsi a me; saprò per certo che avrà con coraggio posto in secondo piano
ciascun pregiudizio che mi è stato attribuito da coloro che non mi hanno mai
conosciuto. Saprò per certo che avrà scelto di trascorrere una serata in questa
umile baracca piuttosto che altrove, dove si potrebbe trovare più ricchezza.
Saprò per certo che avrà scelto di trascorrere una serata in
questo luogo abbandonato piuttosto che altrove dove si potrebbe in apparenza
trovare più vita. Saprò per certo che
avrà fatto tutto questo per sua volontà. Avrà fatto tutto questo per me, per
starmi vicino. »
Il lieve ticchettio delle lancette che rotavano sul quadrante
d’oro bianco dell’orologio del vecchio scandiva il momento di silenzio che
seguì alle sue fiduciose parole. « Non soltanto per starmi accanto. »
Aggiunse l’anziano con voce addolorata.
« Sai,
sono passati molti anni da quei giorni. » Raccontava.
« Quei
giorni, i giorni di una domanda mai pronunciata, i giorni di una domanda
inascoltata. Io sto andando, non restare indifferente, di’ qualche cosa
affinché ciò non accada!
Non udii alcuna voce, raggelai e soffrii ma rimasi in silenzio.
Mi volsi. Iniziai a camminare e mi allontanai, mi arresi alla delusione e alla
noia che mi spinse al rifiuto della realtà.
Da quei giorni di divorzio iniziai a recarmi alle nove in punto
in questo luogo abbandonato nell’attesa di chi mi vuole bene.
Come una conchiglia marina trasmette l’essenza del suo essere
solo a coloro che la vorranno ascoltare, io dono umilmente il mio tempo a
coloro vorranno dedicarmi il loro. Non derubo altri del loro tempo,
semplicemente perché saranno loro stessi a scegliere di donarmi volontariamente
il loro. Hai visto, lei non venne. Non
venne mai nessuno prima di te; nessuno prima di te volle parlare con me,
nessuno prima di te.
Mi rattrista il fatto di essermi allontanato da coloro che amo.
Sai, quando la mattina osservo lo specchio vedo questi miei occhi e mi
rattristo perché sembrano essere occhi che odiano; il mio cuore non odia ma le
persone non lo vedono, vedono solo i miei occhi di ghiaccio. Ora sono anziano,
so che non resta moto tempo. »
Il ragazzo lo rincuorò. L’elegante signore sorrise al ragazzo,
si alzò ed allontanandosi da lui gli promise: «Ci vediamo presto, caro bambino dagli occhi color liquirizia.»
Il giovane annuì, era sicuro che lo avrebbe rivisto la sera
seguente.
Il mattino seguente la madre svegliò il giovane che si
meravigliò di vederla insolitamente serena:
« Un
benefattore questa notte ci ha donato un assegno; non siamo più poveri figlio
mio! »
La madre disse al figlio di aver trovato una lettera ed un
diario:
Su la copertina del diario era inciso il titolo colourfulshare.
La copertina del diario era composta da due lastre d’ardesia;
una pietra d’ Acquamarina era incastonata al centro d’una delle due lastre.
Il giovane prese la lettera che la madre aveva appoggiato sul
suo comodino, la aprì e lesse su un foglio di pergamena.
«Per
il bambino dagli occhi color liquirizia.
La vera felicità del dono è tutta nell’immaginazione della
felicità del destinatario. »
«È
stato l’uomo dagli occhi di ghiaccio. » Pensò il ragazzo che attendeva impaziente il calar del sole
per ringraziarlo.
Quella sera alle nove in punto la porta della locanda non si
aprì.
Da quel giorno il giovane ricordò a chiunque volesse ascoltare,
la storia dell’uomo dagli occhi di ghiaccio; destinò una parte del denaro
donato alla stampa del suo diario.
Orizzonti d’anime consorti.
Parte prima
In primavera lo zefiro soffiava, una giovane donna dagli occhi
ardesia arrestò il passo ed osservò con curiosità la vetrina d’una moderna ed
elegante locanda:
Vi era esposto un diario il cui titolo era: ‘Colourfulshare.’
La citazione: ‘Non si comprende la bellezza che si ha dinnanzi
agli occhi e ci si vuole allontanare da essa. Questo è il danno.’ accompagnava
la copertina del diario. La giovane donna entrò nella locanda e si sedette al
tavolo in fondo al bar, in un angolo, il più appartato che vi fosse, vestiva
elegante, portava al polso un vecchio e classico orologio con un quadrante
d’oro bianco. Il ragazzo dagli occhi color liquirizia riconobbe l’orologio che
la giovane indossava, vide che i suoi occhi avevano le stesse nuance della
pietra che impreziosiva un prezioso diario che in passato gli era stato donato.
S’ incantò, pensò tra sé e sé: « Che coincidenze. »
Egli rammentò le parole di alcune pagine che un giorno gli
furono donate da un uomo gentile. « Egli intitolò le pagine: ‘Un germoglio nel deserto.’
La coincidenza dell’incontro è eccezionale, è il germogliare
d’un fiore solitario nel monotono e noioso deserto dimenticato della
consuetudine. Per questo ricordiamo la coincidenza con semplicità, felicemente
la accogliamo come un apparente ed enigmatico messaggio e la ritrascriviamo
nella nostra memoria come un motivo caratterizzante della nostra vita.
La coincidenza è dissonante rispetto alla regolare armonia
della vita perché è un’eventualità inattesa, inconsueta ed indotta
dall’incontro fortuito e contemporaneo di universi paralleli.
Non perdiamo la capacità di riconoscere l’alone che
l’eventualità della coincidenza irradia screziando le nostre vite.
Il fatto che il viandante non intravveda alcun fiore nel
deserto non significa necessariamente che le lande di sabbia ne siano prive! »
«
Ho visto forse l’orologio che vidi anni or sono? »
Si chiese il ragazzo dagli occhi color
liquirizia che, incuriosito, si avvicinò alla donna e, dopo averle servito il
caffè che aveva educatamente richiesto, timidamente volle conoscere le origini
dell’orologio che portava.
Lei rispose che le venne donato dal padre l’ultimo giorno che
lo vide.
Il ragazzo si meravigliò, le coincidenze a cui aveva assistito
lo convinsero a donare alla donna una delle copie del diario: « Deve
sapere, vidi quell’orologio alcuni anni orsono indossato da un gentile ed
educato signore, egli era un uomo puntuale, alle nove di sera entrava nella
locanda, e ordinava educatamente un caffè; sceglieva ogni sera di sedersi al
tavolo in fondo al bar, in un angolo, il più appartato che vi fosse, dove ora
lei siede, e leggeva un libro. Vi prego di accettare in dono questo diario, lo
scrisse quell’uomo. Vi aggiunsi alcune parole in merito al signore che
incontrai. Forse sarete volenterosa di parlare nuovamente con me, dopo che avrete
letto questo diario, forse sono in errore e le sto facendo perdere tempo. »
La giovane donna dagli occhi ardesia avrebbe dovuto presto
affrontare gli esami universitari, la lettura d’un diario tanto ricco di pagine
avrebbe certamente inciso sul suo rendimento scolastico negativamente. Lei,
colse dalla minaudiere un acuarium dorato, il suo sguardo si rapprese, il
ragazzo dagli occhi color liquirizia ebbe la percezione che in quell’istante
agli occhi della donna non esistesse altro se non l ’agoraio. Infine rispose al
giovane risolutamente:
«Ti
ringrazio d’avermi donato questo diario, lo leggerò. Forse, tornerò. »
La giovane donna dagli occhi ardesia aprì il diario:
«Una
pietra d’ Acquamarina, incastonata al centro d’una lastra d’ardesia: Effigie di
rare sfumature d’ iridi di lei; il ricordo d’inobliabili occhi.»
L’ incipit del diario sembrva voler descrivere le tinte dei
suoi occhi e degli occhi della madre, la giovane era consapevole d’avere una
tinta d’iridi rara, non aveva mai visto tra i suoi conoscenti alcuna persona
che avesse iridi cineree. Curiosa, iniziò leggendo il prologo del diario che
notò custodire valori preziosi. Sfogliando il diario la giovane donna vide che
era scritto interamente in china nera, conteneva decine di poesie e racconti, alcuni
dipinti; alcuni studi letterari e scientifici.
Il diario
nota dell’ autore
Un giorno uno scrittore mi confidò il motivo per cui iniziò a a
scrivere; disse queste parole: «Caro ragazzo, ebbi la fortuna di frequentare una scuola
prestigiosa, dove giorno dopo giorno mi accorgevo d’incontrare personalità e
conoscenze di valore che altre persone, forse, mai avrebbero avuto la
possibilità d’incontrare; vedi, io non ho avuto modo di parlare molto con te,
come avrai compreso le contingenze della vita talvolta impongono incontri
limitati, talvolta affrettati e superficiali. Vidi migliaia di persone, ad esse
avrei amato donare queste scritture, elogi alla fede, alla curiosità, all'accoglienza,
alla riflessione. Ad esse avrei voluto donare questo diario custode di sogni,
di utopie, di domande e di evidenze: Queste suggestioni, sono simboli, immagini
riflesse della variopinta transitorietà della vita, delle iridescenze del reale
e delle sfumate luminescenze del pensiero: Arcobaleni che ammantando cangianti
cascate di nubi lattescenti le irradiano d’iridati lumi.
Iniziai dunque serenamente ad appuntare su un diario ciò che
leggevo, ciò che imparavo in grazia d'una disposizione alla condivisione che può infondere coraggio ed
ispirare speranza.
Ho piena fiducia in te
che diverrai il consorte della mia bambina dagli occhi ardesia, A te vorrei
donare questo mio diario, come vedi la copertina del diario è composta da due
lastre d’ardesia; una pietra d’ Acquamarina è incastonata al centro d’una delle
due lastre; sai, ogni volta ache osservo questo diario rammento gli occhi della
mia
amata e della mia bambina; questo ricordo. . .
Le persone che amo mi sostengono in ciò che realizzo. Questo fatto mi rasserena. Ne sono loro
grato.
Ho piena fiducia in te,
sono convinto che conserverai questo diario, forse vi dedicherai il tuo tempo e
vi aggiungerai la tua esperienza di vita.
Alcuni scritti mi convinsero che la scrittura fosse un’arte di
valore quanto la lettura, scrivendo migliaia di parole divenni consapevole che
alcune di esse dovessero essere più preziose e meritevoli d’essere pronunciate,
rispetto ad altre. Questi rari gesti, lemmi o simboli potevano compendiare in
essi i significati di mille altre parole. Imparai che conoscere e saper
nominare ti consente di vedere, vedere non è forse importante per saper
scegliere? Per sapersi orientare? 1»
Le poesie
Danza di petali variopinti 01/12/2017
Alla sponda d’un rio, in questa tiepida giornata primaverile
ammiriamo insieme una danza di petali variopinti.
Tramontò all’orizzonte l’ambrato sole della speranza.
I colori della fiducia sbiadirono nella nebbia di fatui fiocchi
di neve bianco fantasma.
In questa notte d’inverno volsi il mio sguardo da te: Di te che
sei il mio angelo dalle ali color bianco floreale amnesia. Aghi di galaverna
avventando lesero il mio cuore che pianse lacrime color porpora. Errando giunsi
alla sponda d’un rio ove le acque s’intrecciavan gioconde tra i ghiacciai. Un
nebuloso ricordo sovvenne: Lo zefiro accompagnava i petali variopinti in una
danza primaverile. Un’aura sospese la glacial quiete: L’alabastrina aura
dall’ambrato calore cullava una piuma color bianco floreale. Il volitare della
piuma sorprese il mio sguardo:
La piuma sfiorò il mio volto e posandosi sul dorso della mia
mano, si donò.
Osservai la piuma : Ammirando l’unicità delle sue sfumature il
mio sguardo si rapprese.
Il luogo d’un tempio si rivelò: Il tempio la mia anima
custodiva celando le tonalità bianco fantasma d’un’ impietosa realtà: Soltanto
le sfumature bianco floreale il mio sguardo coglieva.
In questo solenne luogo, da tergo, ali d’angelo color bianco
floreale abbracciarono il cuore mio ferito. Le purpuree lacrime che il mio
cuore pianse si rappresero nelle sue angeliche piume che lacrime di porpora
tinsero d’un color scarlatto. Alla sponda d’un rio, in questa tiepida giornata
primaverile ammiriamo insieme una danza di petali variopinti . . .
L’ anima si dona ove lo sguardo si rapprende.
“deus is, cujus templum est omne id
quod conspicis.”
Una idea di attesa : una
curiosa sfumatura
la preghiera d’una
conciliazione
30/11/2017
Un ponte?
Esser lontani è forse la libera scelta di vedere un ponte tra
noi, unione di luminose anime caritatevoli? Ed avrai scelto il dono di parole e
possibilità:
Sfumature multicolori tingono la bianca tela fin d’ora
variopinta.
Ed avrai scelto d’intraprendere il cammino dell’incontro.
Vedrai l’abbraccio di chi era lontano accoglierti:
E sia l’attesa una preghiera di conciliazione. E sia la
lontananza mai esistita.
O un baratro color cobalto?
Esser lontani è forse la libera scelta di vedere un baratro
color cobalto tra noi?
E sia l’attesa amnesia:
Coloro che sono lontani intrapresero il cammino dell’incontro
con la tua luminosa anima caritatevole. Fin d’ora tu sceglierai d’intraprendere
il cammino del silenzio: avrai scelto di dimenticare. L’oblio tingerà di
cobalto la tua anima, meta di lontani pellegrini che più non rilucerà.
E sarà la lontananza eterna. E sia la bianca tela,
dell’abbandono, il simbolo.
Le opacità del silenzio, dell’apatia, della scortesia e
dell’indifferenza velano l’idea di attesa come preghiera di conciliazione, dono
di libertà e reciproca fiducia nella possibilità che in libertà l’altro
intraprenda il cammino dell’incontro. Questo pensiero non vuole sostenere e
valorizzare una idea di relazione ‘di circostanza’ statica e sospesa in cui
l’attesa reciproca si traduce in assenza di iniziativa, di creatività e di
relazionalità: Questo pensiero vuole valorizzare una idea secondo cui l’attesa
è essa stessa creatrice in una relazione di valori quali la fiducia, la libertà,
il perdono, la disponibilità ad ascoltare, la sorpresa, la curiosità.
Secondo tale pensiero colui che attende agli occhi del
prossimo risulterà ben disposto a creare
le condizioni utili a realizzare una relazione. Tale premessa diverrà per il
prossimo un incentivo all’incontro: Dunque egli, forse raccoglierà benevolmente
la preghiera di conciliazione di colui che attende.
Il pensiero è un dono meraviglioso e può essere donato con la
parola: La giustizia del reale*: Equilibrio d’una bilancia a due piatti insensibile
ai pensieri inespressi.
Lettura consigliata: Aspettando Godot di
Samuel Beckett.
*
Partire da sé stessi
La misura, la qualità e la responsabilità della giustizia di
cui ciascun singolo può essere esempio non sono autoreferenziali, ovvero non possono
prescindere dalla relazione con le realtà circostanti; sono possibili, non sono
eccedenti, sono indotte dalle gravità e dalle complessità della singolare
quotidianità di ciascuno e sono relative, per questo la proposta individuale di
una idea di giustizia non può avere origini esterne, bensì dipende dalla
qualità dell'attitudine che il singolo prescrive a sé stesso unitamente alla
variabile della relazione con le altre persone e con la natura.
new harmony
20/11/2017
People with wonderful personalities: The rainbow, a variety of
unique nuances. And the shadows of an uncharitable silence composed, along
cartesian axes, a dark inked dismal wall. Now farewells’ shadows sever
the halo of liaison that hues had related. And the rainbow
disperses
in plain lonely colours divided by the charcoal - grey ink.
Now the glimmer of honest and creative words illumines and
heats
the colours and the ink.
Now the colours liquefy with the charcoal – grey wall:
Now a new harmony enlivens reconciling colours’ nuances.
Nihil. White darkness 2
23/05/2018
Nihil :
Pure white candid canvas inhibitin’ venture* virtuous dreamers
often petrifies.Pure white candid canvas odd* colourful shining symbols arises
souls inflamin’*. The imaginative choice, now white darkness suspends.
*Venture : Enterprising spirit, spirit of initiative.
*Odd : Rarely.
*Inflame : Encourage, incite.
Yonderly statue
22/11/2017
Waiting for others own volition like a yonderly statue,
evaluating or underrating others behavior like a severe judge, meanwhile
doubt and tedium enthusiasm petrify. Nothing happened and an
everlasting maybe dreams and hopes darkens. If only…
Lanterna del cielo
14/11/2017
All’orizzonte il disco solare tange l’oceano:
Fiamme gioconde sibilando sfuman; fin d’ora la notte polare
permea il ciel d’un blu marino. Un sognatore ardì ad
incamminarsi nell’ artico marino blu ove ora il barlume della meta lontana più
non riluce. Una livida docilità umiliò il sognatore che, lacrime di porpora
piangendo, alla vana attesa asservì. Ora, in questo stesso istante il suo
sguardo si rapprende nell’ambrato lume d’una lanterna del cielo.
Piangendo lacrime d’iris il sognatore colse la lanterna che, in
questo buio cammino, or lo cinge d’un’aura luminosa color fiordaliso.
Think twice
19/11/17
From our door opening we see each other. We’ re led to our door
handle. We hear the clear jangling of a key locking our doors.
Awaiting , now we’ re distant: Teared apart by our closed
doors,
our feelings and memories still relate our souls.
We hear the feeble jangling of the key again. Maybe opening the
doors, maybe falling and touching the floor.
Enliven the halo of liaison
19/11/2018
The shadows of incommunicability of uncharitable silence sever
the halo of liaison enlightened by the glimmer of honest and
creative words.
The still existing Pure
Truths
25/10/2017
Egocentric, unfounded, boring, voices condemned without knowing.
And other stupid voices, without ensuring, substantiated these
voices. Therefore the prejudices forged a false and bad reality
that veils the still existing pure truths. The pure truths that
now
everyone is afraid to know.
Il mal pensiero è dirimente. Segnatamente quando non è
comprovato.
“Humans can be literally poisoned by false ideas and false
teachings. Many people have a just horror at the thought of putting poison into
tea, but seem unable to realize that, when they reveal false ideas and false
doctrines, they are poisoning the time-binding capacity of their fellow men and
women. One has to stop and think! There is nothing mystical about the fact that
ideas and words are energies which powerfully affect our activities. Humans are
thus made untrue to “human nature.””
Manhood of Humanity (1921) Alfred
Korzybski
Elegia
Ci si abitua alla realtà
che si vede.
Miserevolmente si crede che sia perentoriamente giusta.
In questo eterno, affacendato presente il tempo polverizza.
D’ una polvere che sovente vediamo incanutir ciò che avvolge.
In questa polvere la poesia decade in nebulose citazioni presto
lette,
presto dimenticate. La saggezza tramonta nel burrascoso mare
dell’informazione. La memoria si distrae e dimentica i puri ricordi, i puri
valori. Meravigliose personalità frammentan in artificiose apparenze, in
immagini.
In questa polvere ascolto e sento un ovattato suono dissimulare
le tue parole. In questa polvere di ingannevoli indefinite possibilità
l’incontro e la fruttuosa parola, non possono germogliare ed un
oltremodo sovente vento d’addii piaga i cuori come il vento artico
che sfalda i ghiacciai. Un gesto sbrigativo su un touch -
screen i sentimenti liquida e frammenti di cuori si smarriscono in questa
polvere di questo attempato meccanismo che forse posso riparare.
Elegy
27/10/2017
This eternal, busy present time pulverizes. This powder
shrivels
what it covers. In this powder Poetry decades in nebulous
quotations
soon read, soon forgotten. Wisdom sets in the stormy sea of
information. Memory faints and wanders from pure memories, pure values.
Wonderful personalities shatters in artificial appearances, in
pictures. In this powder the music is a confusion that conceals your words. In this powder of
misleading undefined possibilities meeting and fruitful words, can’t arise and
very often farewells’ wind hurts the hearts as arctic wind ruining glaciers.
A thoughtless gesture on the touch-screen annihilates feelings.
And fragments of hearts disperse in this powder of this elderly
mechanism that maybe I can mend.
Uno sguardo, mistero
indicibile
05/10/2017
Guardo i tuoi occhi. Cosa vedono? Cosa hanno visto?
Occhi pensierosi che fino in fondo non posso comprendere.
Occhi saggi ed umili. Quando non conosci sei in silenzio ed il
tuo sguardo si ravviva d’ un’ impenetrabile trasparenza d’una fiera
rassegnazione. Occhi malinconici, smarriti. Dei tuoi ricordi posso solo
ascoltare i frammenti che mi racconti. . .
Occhi gioiosi rasserenano l’animo, cereo naufrago della vita,
come lumi all’orizzonte d’un notturno mare. Occhi affettuosi i sentimenti
inebriano. Occhi ansiosi, delusi la mia iniziativa attendono. Occhi furbi,
forse fingono questi sguardi. So di non poter vedere con i tuoi occhhi. Non conosco. Or sono in
silenzio ed attendo di trovare le parole d’un canto di culla per te.
ombre color grafite
12/10/2017
Le nostre ombre si sfiorarono tra colori d’Autunno
che le nubi inaridirono come se piovesse cenere d’un color
grafite
che da me la tua ombra divelse. Ora siamo ombre lontane,
immagini
di quest’unica e bianca luce d’un terso cielo stellato.
Cammino; sogno i nostri destini or incrociarsi.
Aurora. No rain , no
rainbow.
07/09/2017
Vedi i colori quando sembrano non esistere. Vedi i colori dove
sembrano non esistere. Un terso cielo notturno inabissa in un tetro nero, dove
bianca la Luna riluce. Il lume d’aurora i colori disvela Intrecciarsi come
fiamme gioconde. La celeste rugiada rifrange il flebile lume che risplende in
un variopinto arcobaleno ricco d’inattese sfumature.
voltarsi
13/02/2017
In questo istante. Cogli questo fiore, meraviglia multicolore
unica.
Vedi. Non voltarti. Solo a coloro che lo proteggeranno mostrerà
i colori più vivaci. Se solo, spento diverrà. Tagliente il vento lo estirperà.
Spietata la sorte lo calpesterà. In questo istante. Cogli questa conchiglia,
voce unica dell’oceano. Vedi. Non voltarti.
Solo a coloro che l’ascolteranno donerà la sua melodia. Se
sola, travolgenti, le onde la scaglieranno; tagliente la sabbia ne consumerà
i frammenti e sabbia silenziosa diverrà. Inesorabile il tempo
condusse
il fiore e la conchiglia all’ineluttabile. Ora voltarsi e sentire del cuore rivelatore l’ ovattato
suono.
Lettura: Il cuore rivelatore, Edgar Allan
Poe
Impazienza
il contemporaneo spirito
della celerità
30/07/2017
“Il dinamismo incessante della società
sconvolge le leggi con cui l’intelletto umano tenta di darle significato.” Jean
Paul
Velocità che sottrae presenza, concedendo assenza: Un amaro
dono
che affievolisce volontà distratte; esitanti ad accontentarsi.
Velocità che non
disorienta volenterose anime curiose; pazienti.
Un calamaio riversa
02/09/2017
Una candida pagina è ora segnata dall’inchiostro, del
disincanto.
Istanti indelebili tingono d’ inesorabile delusione il cuore:
Cartastraccia intrisa d’un oblio, che ottenebra simboli di
felicità multicolori. Gocce di nera china lapidano la candida pagina.
Un bianco lembo solo illumina di speranza, perdono,
possibilità:
Ma forse io so che tutto non è stato.
Pellegrinare
15/08/2017
Tra desuete memorie d’un fu miserando; tra contingenti
prospettive
d’istanti fuggevoli, tra castelli in aria, immagini d’utopiche
predizioni. Meravigliarsi. Sorprendendo cangianti colori; ora ambìti, prima del
tempo disdegnati.
Fragili rose del deserto
07/05/2017
“La nostra personalità è fragile, è in pericolo almeno quanto
la nostra vita. Primo Levi
In questo arido clima rare piogge furono origine di fragili
rose del deserto; statuari i venti incisero il loro cristallino profilo.
Piogge e venti, poeti che crearono solo dalla propria realtà;
ora non sopportano più la propria opera, ora imperversano: Violente le acide
piogge ne deturpano i lineamenti; spregevoli i venti sconvolgono le sabbie che
lacerano e celano le rose del deserto. Tu. Nomade in questo luogo desolato, non
frangere le rose del deserto che vedi affiorare. Cogli ed allontana questi
cristalli da questo ciclo senza pietà che persiste e condanna. Come il vento,
libera dalle sabbie le rose del deserto che sai essere eclissate.
Fin quando
07/02/2017
Scritti. Dipinti. Melodie. Persone. Parole. Colori. Note.
Pensieri.
Leggere. Ammirare. Ascoltare. Conoscere.
Perdersi, in questo tetro càos, fin quando:
Una scoperta, un ricordo. Una impressione. Una commozione.
Un sentimento, una emozione, una riconciliazione. Non lo
illumina.
Racconti
Le due gioie
Un guru accolse due discepoli e porgendo loro una tela
apparentemente bianca. chiese loro: «che cosa vedete?»
I discepoli appresero dal guru l’arte di saper vedere:
Il loro profondo sguardo si rapprese su un segno nero, un
latente punto nero sul bianco della tela.
Il primo discepolo rispose: «Io vedo il segno nero sospendere il puro bianco. » Il
guru disse al discepolo: «Sei promosso. Saprai forse veder oltre la ferita della bianca
tela, troverai forse il bianco puro? Che tu possa cercando, trovar il puro e
lontano lume. Che possa tu illuminare tutti della rara luce che vai cercando!
Ritornerai forse per condividere ciò che vedrai? »
Il secondo discepolo rispose:
«Io
vedo il bianco della tela.
In seguito vedo sussistere un segno nero ed una lieve
increspatura.»
Il guru disse al discepolo: «Sei promosso. Ora vai donando la tua ricchezza; vai diffondendo
il tuo bene — dire.
Ritornerai forse per condividere ciò che vedrai?»
Il guru congedò i due discepoli. «Non comprendo. Abbiamo presentato al guru risposte logicamente
contrarie. Perché il guru ha promosso ciascuno di noi?»
Chiese il primo discepolo al discepolo confidente.
«Dici
bene, caro amico. Ché il mio maestro ha riposto fiducia in me io sono sereno,
io non so rispondere, solo colui che ci ha promossi potrà risolvere il tuo
dubbio e donarti serenità.» Rispose.
Il primo discepolo giunse nella stanza dove il giorno
precedente aveva sostenuto il colloquio con il guru, il giovane colse il
maestro immerso nella lettura di un libro. Il maestro avvertendo la presenza
del giovane colse il sottile nastro segnalibro di purpureo raso per posarlo fra
le prische pagine che congiunse chiudendo il libro. Quietamente posò il libro
al suo fianco e disse: « Benvenuto.»
«Vi
ringrazio per avermi accolto, maestro.»
«Provar
ad esser per un giovane, maestro. Nonché riconoscer altresì d’esser suo
allievo. Sapevo che saresti tornato per parlare con me, cosa ti inquieta? » Rispose
il guru.
«
Sono in questo luogo, in questo momento per esporle un dubbio.»
«È
ancora viva in te la curiosità del bambino che sa riconoscere l’importanza
dell’arte del domandare, poiché ogni sapere passa attraverso il domandarsi ed
il domandare. Sei curioso.
Sii creativo nella consapevolezza che l’attitudine invariabile
alla desuetudine della curiosità e della domanda può implicare l’avvenire di
una realtà sospesa, refrattaria al cambiamento ed incline ad un gradiente
orientato verso il dispotismo. »
«È
vero, maestro. Galileo Galilei non sarebbe mai giunto alle sue rinomate
scoperte astronomiche se fosse stato manchevole della curiosità che lo ha
condotto alla domanda: ‘In grazia di quali meccanismi questo cannocchiale
proveniente dall’ Olanda può permetter di vedere ciò che è lontano, come se
fosse vicino?.’ Il medesimo spirito d’indagine permise a Galileo di andare
oltre la supeficialità del cannocchiale che tutti in quel tempo annoveravano
come intoccabile, in quanto perfetto, questa attitudine è rivoluzionaria:
Galileo ne sezionò il cilindro, custode delle lenti e divenne consapevole dei
fenomeni ottici indotti dalle lenti stesse. Questa consapevolezza empirica fu
fondamentale per l’invenzione del
telescopio galileiano e le conseguenti rivelazioni astronomiche di Galileo.
Ieri i vostri discepoli vi hanno presentato risposte
logicamente contrarie. Perché avete promosso ciascuno di noi?»
Il maestro rispose: « Due
carissime gioie di valore incomparabile: la lettura ispiratrice e la creativa
umana relazione.
Donate a coloro che le accolgono ché siano nuovamente donate.
Tali furono alcune gemme donatemi dalla lettura ispiratrice,
vorrei donarle a te, giovane curioso e creativo:
La convinzione che vi sia una sola verità e che qualcuno sia in
possesso di questa è la fonte di tutti i mali del mondo.
La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà
esistente è la più pericolosa di tutte le illusioni.
La conoscenza oggettiva del mondo esterno è conseguibile solo
in maniera intersoggettiva, cioè da un numero di individui che si trovano fra
loro in uno scambio reciproco di conoscenze.
Forse in te la simpatia verso l’immaginazione è innata:
Quando ti presentai questa tela. . .»
Il giovane ascoltava curioso ed attento le parole del guru.
«Ottenni
da te questa risposta: Io vedo il segno
nero sospendere il puro bianco.»
Il tuo sguardo si rapprese di meraviglia come lo sguardo d’un
curioso bambino or che osserva inquieto oltre lo spiraglio d’una serratura, or
che vede, sulla bianca tela, una fenditura, l’attraversa e, per svelare cosa la
tela cela, osa sdrucirne il cucito.
Dianzi nominasti il segno nero : In ciò che vedesti il nero
divenendo rilevante rispetto al bianco, abbracciò la tua immaginazione; il
maestro colse un foglio nero ove segnò di bianco un punto. Donandolo al giovane
il guru disse: Immaginasti forse questo?»
Il giovane annuì sorpreso.
«
Il tuo sguardo cerca il bianco puro, ove vi trovi il nero segno il tuo sguardo
si rapprende; il nero diviene importante ai tuoi occhi ché la tua mente ed il
tuo cuore domandano di sanare la ferita: Il nero segno sulla bianca tela.
Sì vai cercando la complicata via verso il puro e lontano lume
avvolto dalle tenebre del nero segno. Curioso bambino, vuoi trovar il puro lume
che l’oblio illumini: Disagevole sarà la via che camminerai.
Sai, il termine guru origina dalle radici gu, che si traduce
in: ‘oscurità’, e ru, che si traduce in ‘svanire’, significando quindi, colui
che disperde l’oscurità. La tua natura ti eleva agli splendori della pura bene
– volenza veritiera; sii consapevole di questo, l’intuito ti ha condotto nel
dedalo privo di confini riconoscibili dell’oblio, il pensiero negativo che male
- dice: Ricordi? Nella vastità del bianco sulla tela pregiudizialmente
riconoscesti il nero graffio; in questo buio dedalo, non perderti. Eccellerai
nell’arte del tuo maestro?!
Aggiunsi dunque prima di congedarti: Saprai forse veder oltre
la ferita della bianca tela, troverai forse il bianco puro?
Che tu possa cercando, trovar il puro e lontano lume. Che possa
tu illuminare tutti della rara luce che vai cercando! Ritornerai forse per con
— dividere ciò che vedrai?
Diversamente rispose il secondo discepolo, ricordi?
Egli rispose: — Io vedo il bianco della tela. In seguito vedo
sussistere un punto nero ed una lieve increspatura.
Dianzi egli nominò il carattere generale della tela: l’essere
la tela bianca. Forse in lui la simpatia verso l’ineluttabile è innata.
Le peculiarità, le negative singolarità della tela: Il segno
nero, una lieve increspatura, avrebbe inoltre potuto notare la lieve
lacerazione sul lembo della tela; ai suoi occhi assunsero una rilevanza
marginale.
Solo colui che riconosce e vive la vita come dono ricevuto.
Ove co – esistono il bene ed il male, vede il bene e bene –
dice.
Bene – dire implica non aver parole d’ odio sull’ineluttabile:
La vita, la persona; nonostante ne siano avvertite le increspature, i limiti. 3
Vorrei congedarti, mio discepolo chiarendo con te la ragione
che mi ha condotto a promuover voi tutti, i miei discepoli:
Decisi di attribuire il medesimo valore alle vostre
prospettive, ché la prospettiva d’un uomo esprime la sua unicità, non avrebbe
potuto essere diversamente. Ascoltami.
S’io avessi stimato miserevole la tua prospettiva, s’io avessi
considerato rilevante la prospettiva del mio secondo discepolo, non saresti
stato promosso ché inabile nel vedere il bene dove esiste, inabile nel
conoscere la vita come un dono. Ma con coraggio e curiosità intraprendi l’avventura
d’un mal – sicuro cammino cercando ciò che riluce di lume proprio, un lume
variopinto d’incomparabili luminose sfumature, l’immagine pura, per amore della
bellezza. Per egoisticamente celarlo agli occhi altrui o per donarlo?
S’io avessi stimato miserevole la sua prospettiva, s’io avessi
considerato rilevante la tua prospettiva, egli non sarebbe stato promosso ché
stimato inabile d’essere lungimirante, d’immaginar oltre il visibile
ineluttabile, d’essere curioso, semplicemente passivo ed astante di fronte alla
realtà. Ma bene – volente e salvo messaggero d’una visione rosea che gli animi
può serenare. »
Il Taittirīya Upanisad mi insegnò:
“Per te sia divinità la madre, divinità il padre, divinità il
maestro, divinità sia l’ospite. “
Taittirīya Upanisad, I,11,2.
«Possiate
voi discepoli arricchirvi reciprocamente delle vostre prospettive, consegnerai
le mie parole al mio discepolo, assente in questo momento? Possano dunque i
miei discepoli arricchirsi della mia prospettiva e giudiziosamente scegliere se
accoglierla o rinnegarla.
25/02/2018
Due scrigni
Sguardo oltre l’apparenza
Questa è la storia d’un dono raro, un dono non immediatamente
comprensibile, un dono che può disorientare e terrorizzare nella misura in cui
si teme il vuoto e l’oblio.
Coloro che donano questo curioso dono ripongono la propria
fiducia in coloro che lo ricevono.
Tale è un dono il cui valore è dipendente dal giudizio delle
persone che lo ricevono.
Il dono aveva il potere di ravvivare o dirimere il legame tra
coloro che donano e coloro che ricevono.
Un’anima benevolente donò uno scrigno vuoto ad un’anima a lei
cara che, incuriosita, chiese quale fosse il significato di quel dono.
L’anima benevolente rispose:
«Grazie
per avermi voluto ascoltare; io sono un’anima povera, non avrei mai potuto
donare a te che sei a me cara un oggetto costoso, così scelsi per te un dono
prezioso:
La vita è uno scrigno vuoto per coloro che non vedranno oltre
le apparenze; cara, avresti potuto ricusare questo dono e scegliere di non
ascoltare le mie parole contentandoti della vuota apparenza, miseria al
cospetto della ricchezza della vera essenza di questo scrigno: In questo
scrigno sono presenti i ricordi che abbiamo condiviso ed i doni invisibili che
abbiamo reciprocamente donato.
Abbi cura di questo scrigno e di tutti gli scrigni che non hai
saputo vedere e che ora ho mostrato a te , gli scrigni dei ricordi delle
relazioni con ciascuna anima che hai incontrato lungo il tuo cammino ; ora che
vedi, accogli gli scrigni di coloro che incontrerai ed avvalora gli scrigni che
vedi con nuovi ricordi.
L’anima aveva conosciuto un dono invisibile, l’eredità d’un
insegnamento raro, unico nella sua singolarità ed originalità, l’esempio della
ricchezza della curiosità e l’esempio d’una prospettiva luminosa secondo cui il
poco ed il silenzioso vuoto possono rivelare doni di valore e significato. L’
anima curiosa aveva saputo andare oltre il muro della prospettiva
dell’apparenza: Da quel giorno l’anima si dimostrò volenterosa d’ incontrare
l’anima donatrice, arricchendo di nuovi ricordi lo scrigno che aveva ricevuto
in dono.
Un’anima benevolente donò uno scrigno vuoto ad un’anima a lei
cara, questa anima rimase senza parole: «Come
poteva quell’anima così cara e benevolente abbandonarla in questo modo!»
L’anima credeva veramente di non meritare questo abbandono al silenzio. L’anima
che ricevette in dono lo spietato scrigno condannò l’anima benevolente dicendo
queste parole:
«Vorrei
metterti in guardia dal fare del bene a me. Potresti, al limite fare del bene
con me, non a me. Hai tradito ed abbandonato me scaraventandomi senza pietà in
questo silenzioso vuoto, non ascolterò oltre le tue parole, ora ho saputo
vedere che non sei mai stata benevolente, sei un’anima misera e vile, sei
indegna della mia compagnia.» L’anima benevolente si rattristì, ascoltando le parole
dell’anima sua cara gelò e, cercando di risolvere il fraintendimento della
superficiale apparenza, disse all’anima taciturna queste parole:
«Sii
paziente! Ascoltami, ti prego! Stai agendo senza conoscere!»
L’anima non volle nemmeno ascoltare le motivazioni dell’anima
benevolente e si allontanò.
L’anima taciturna mai conobbe il vero significato del dono
dello scrigno vuoto. L’apparenza aveva reciso il legame tra le due anime.
Anime
Listen to your own inner
child
E smise di camminare e si coricò presso la cedevole sponda d’un
fiume:
L’anima umile d’una persona taciturna, stanca di costruire
relazioni in solitudine, ripose speranzosa la propria fiducia nell’ incontro di
coloro che sono propensi alla reciprocità, alla creazione, al dono, alla
con-fidenza, al con-flitto che crea con-ciliazione, alla benevolenza, al
per-dono; il cui animo non sia più incline all’abbandono, al pregiudizio,
all’abitudine del silenzio.
Un’anima ingenerosa assorta nel suo cammino, intuì che lontano
l’immobile anima d’una persona taciturna giaceva presso la cedevole sponda d’un
fiume, la persona era immobile e stava osservando attentamente il cielo:
L’anima ingenerosa stimò miseramente questa persona, la giudicò povera e
noiosa.
Dunque senza alcuna pietà la evitò come se nemmeno esistesse e
proseguì il suo cammino. L’ umile anima a causa di quest’abbandono si
rattristì. L’ ingenerosa anima le aveva fatto intendere questo:
«Io
ti vedo, ma non sei la mia felicità, tu la mia felicità ritarderesti,
dunque non scialacquo il mio tempo per te. Vado dunque
pellegrinando verso la mia felicità.»
Queste anime mai si conciliarono: L’umile anima sarebbe stata
felice d’incontrare l’anima pellegrina, di pellegrinare con lei condividendo
alcuni istanti, alcuni ricordi.
L’altruismo trattenne l’umile anima, che giacque presso la
cedevole sponda d’un fiume, immobile, per non cadere. Mai più cercò l’anima pellegrina.
Anime ingenerose, assorte nel loro cammino, intuirono che
lontano l’immobile anima d’una persona taciturna giaceva presso la cedevole
sponda d’un fiume, la persona era immobile e stava osservando attentamente il
cielo: Le anime ingenerose stimarono miseramente questa persona, la giudicarono
abbandonata.
Le anime pellegrine le avevano fatto conoscere i loro
pregiudizi: «È
una persona sola e nemmeno accenna a voler conoscerci.
Quest’ immobile e inutile anima, abbandonandoci, sceglie
l’abbandono dunque rimanga sola a piangere i suoi fallimenti. Noi ti vediamo,
ma non sei la nostra felicità.
Immobile anima: Noi siamo anime pellegrine, la tua compagnia
ricuserebbe la nostra felicità.
Noi dunque non scialacquiamo il nostro felice tempo per te.»
Queste anime mai si conciliarono: L’umile anima sarebbe stata
felice d’incontrare le anime pellegrine, di pellegrinare con loro condividendo
alcuni istanti, alcuni ricordi.
L’altruismo trattenne l’umile anima, che giacque presso la
cedevole sponda d’un fiume, immobile, per non cadere. Mai più cercò le anime
pellegrine.
L’anima semplice e socievole d’un curioso bambino intuì che
lontano l’immobile anima d’una persona taciturna giaceva presso la cedevole
sponda d’un fiume, la persona era immobile e stava osservando attentamente il
cielo. L’anima del bambino non giudicò:
L’umanità spinse il bambino ad affrettare il suo passo verso
quella triste anima abbandonata, la colse e l’attirò a sé, al sicuro. L’anima
si voltò ed in silenzio lo osservò.
Il bambino si incuriosì: Un cortese saluto sospese il silenzio;
l’anima si sorprese del gesto del bambino e cambiò presto stato d’animo: La
persona sorrise e ricambiò il saluto; poi, fiduciosa, tacque.
La silenziosa noia, il dubbio e la sfiducia che il bambino
riponeva nella persona spensero la sua curiosità. Dunque il bambino si
allontanò. L’empatia del bambino aveva ravvivato la persona. Nonostante potesse
allontanarsi da quel luogo, la sua anima ispirò in lei la volontà di riporre in
quel bambino la propria fiducia, dunque attese l’incontro con lui nel luogo in
cui l’aveva incontrato, nella speranza che sarebbe ritornato colui che per
primo l’aveva accolta.
Un giorno il bambino giunse presso la sponda del fiume per
incontrare l’anima taciturna.
La persona accolse il bambino con un caloroso sorriso e rimase
in silenzio.
Questo silenzio non vinse la benevolenza del bambino che non la
giudicò e l’accolse cogliendo dalla propria tasca alcune biglie:
«Vuoi
giocare?»
Chiese il bambino. La persona annuì.
Il bambino le insegnò le regole del gioco ed iniziarono a
giocare insieme.
Il gioco delle biglie terminò, il bambino donò alla persona
taciturna una biglia, dicendo che era la sua biglia preferita, e la salutò.
La sua anima si ravvivò: La persona ricambiò il saluto del
bambino.
La persona trascorse alcuni giorni in solitudine, ora pensava a
quel bambino che le aveva donato la sua biglia preferita, ora pensava alla
premura con cui il bambino si era impegnato a costruire la relazione con
lei. Egli aveva donato a lei. A lei che
era semplicemente un’anima taciturna. Un giorno il bambino giunse presso la
sponda del fiume dove la persona ancora lo attendeva.
Essi con-gioirono ricordando alcune vicende di vita:
Il bambino si con-fidava. In silenzio lei ascoltava. La persona
si raccontava. In silenzio lui ascoltava
Il bambino si sorprese: Quella persona taciturna aveva molta
ricchezza da condividere.
Il bambino conobbe questa persona e della sua conoscenza si
arricchì. La persona alzandosi e lentamente camminando congedò il bambino
dicendo: «Amo definirmi come una conchiglia marina:
Non tutte le anime ch’io incontrai poterono udire la mia voce
semplicemente perché non tutti gli uomini che incontrai vollero ascoltarmi.
Cogliendo la conchiglia marina, ascoltando paziente ne hai sentito il suono; ne
hai sentito il suono perché hai scelto di cogliere la conchiglia marina, hai
scelto di non abbandonarla all’ impietoso vento, alle travolgenti rapide del
fiume ed alle sabbie taglienti.
Le nostre anime si conciliarono: fin d’ora potrai cercarmi e,
trovandomi in questo luogo, in questo tempo ad attenderti, ascolterai la voce
dell’anima della conchiglia che hai salvato.
Sarai ben accolto te che spontaneamente intraprendi il viaggio
verso le persone taciturne. Sarai ben accolto te che spontaneamente intraprendi
il viaggio verso l’ignoto delle unicità ricche di sfumature.
La curiosità sarà la lanterna del cielo che cingerà d’un’aura
luminosa te che hai illuminato la mia noia. E la curiosità sarà la tua unicità.
Ora vai donando. Ora vai illuminando della tua aura coloro che
hanno rinunciato a camminare. »
24/11/17
L’opera umana trova significato nella qualità della gratuità
compiuta:
“Noi a cui fu donata la vita, noi riflettiamo a ciò che
potremmo dare di meglio in cambio! “
Friedrich Nietzsche
“Sono giunta al punto che non posso assolutamente concepire
l’eventualità che un qualche essere umano provi amicizia per me. Se credo alla
sua, è semplicemente per quel tanto che la ragione mi suggerisce di credervi
poiché ho fiducia in lei e da lei ricevo l’assicurazione di questa amicizia. Ma
per la mia immaginazione, essa rimane comunque impossibile. Questa disposizione
dell’immaginazione mi induce a una gratitudine tanto più tenera verso coloro
che compiono questa cosa impossibile. Poiché l’amicizia è per me un beneficio
incomparabile, senza misura, una sorgente di vita, in senso non metaforico, ma
letterale. Poiché non solo il mio corpo, ma la mia stessa anima, interamente
avvelenata dalla sofferenza, sono inabitabili per il mio pensiero, è necessario
che esso si trasferisca altrove. Non può abitare in Dio se non per brevi
istanti. Spesso abita nelle cose. Ma sarebbe contro natura che un pensiero
umano non abitasse mai in qualcosa di umano. Così, letteralmente, l’amicizia
dona al mio pensiero tutta la parte della sua vita che non gli deriva da Dio o
dalla bellezza del mondo. Può dunque ben comprendere quale dono lei mi ha
accordato offrendomi la sua amicizia.
“Preserva la tua solitudine. Il giorno, se mai verrà, in cui
una VERA amicizia ti fosse data, non vi sarebbe opposizione tra la solitudine
interiore e l’amicizia, al contrario. È proprio da questo segno infallibile che
tu la riconosceresti”.
Simone Weil, ‘Quaderni’.
Ring around the rosie
I was younger. I went for a wander around my town: I saw quite
a few people: Children played together singing ring around the rosie: Some
played tag, others played with marbles;
meanwhile an old man ambled near them. I remember that this old
man was reading a book with hundreds leaves.
I saw a young girl, her eyes shone when she looked at her
boyfriend, and I thought: «This
girl is looking at him as if he were the one and only boy in the whole world»;
that young man took her by the arm and gave her a loving embrace; I tore my
eyes from them.
I was distant and I turned to them: A reciprocal embrace was
still relating that woman and that man.
I remember: I saw an homeless person in the subway playing an
accordion; tho that was a shaded place, some people joined the musician and,
when the concert ended, applauded the poor.
I go for a wander around my town: Almost nobody now enlivens
the streets: I see children. Children are not singing ring around the rosie.
Children are not looking at themselves: each one is looking downward: each one
is distracted by a screen.
And I hear a noise: a car is rapidly overtaking me: I briefly
see another child: she was sitting on a rear leather seat of that car; she was
distracted by a screen too. I see a young girl and a young man, they seem to be
yonderly: He’s embracing her, the man’s hands can’t hold the woman’s hands: An
object impede the bind of their hands. they’re looking downward on the screen
too. I tear my eyes from them. Now I’m distant and I turn to them:
I see: the girl is turning her’s back on him, I see: the man is
turning his back on her. I see an homeless person in the subway playing an
accordion; that was a shaded place.
I see: Nobody is joining the poor man, no-one is listening to
his music; some people amble near him but they didn’t hear his concert, an
object took their mind off the melody of that accordion.
They were yonderly, they were distracted by their music, by the
music they always listen to.
22/11/17
‘Artista’
Scrivere ≃ racccontare ≃ dipingere
“Art is the symbol of the
two noblest human efforts:
to construct and to refrain
from destruction.“
Simone Weil
Un giorno un giovane ricevette una lettera inattesa:
« Sei
invitato ad incontrarti con alcuni giovani per raccontare le tue esperienze di
Artista, la narrazione dovrà concentrarsi sul processo attraverso cui prende
corpo un’opera d’arte e sulle emozioni e le esperienze che lo accompagnano.
L’importanza di sentirsi grandi, del fare, dell’unicità. La conoscenza di
qualcuno che fa qualcosa di “grande”, che crea, rappresentano i temi che
dovresti affrontare in questo incontro. Inoltre le domande che ti presentiamo a
priori sono: Quando un artista può ritenersi soddisfatto del proprio lavoro?
Come vive l’unicità di ciò che ha creato? »
Il giovane accolse l’invito ed il giorno seguente scrisse
alcuni pensieri che colse come fonti di riflessione, li dispose sulla carta
confusamente; in un secondo momento riscrisse questi pensieri cercando di
renderli ordinati e comprensibili; queste furono le scritture che il giorno
dell’incontro il giovane consegnò a ciascuno degli adolescenti presenti.
L’importanza di sentirsi
grandi, del fare, dell’unicità.
Il giovane crede che la stima in sé stessi, la fiducia nella
propria personalità e la capacità di farla valere sono le premesse valide a
garantire la maturità personale e a dare spessore alla stessa capacità creativa
e relazionale, creando circostanze sociali di empatia.
A mio avviso il fatto di ritenere una persona Artista Unico o
Scrittore Unico o colui che crea qualcosa di grande possa porre l’unicità di
tale persona ad un livello privilegiato rispetto all’unicità di altre persone.
In realtà il giovane non ha mai attribuito importanza al fatto
d’essere ritenuto Artista, al fatto d’essere ritenuto Scrittore, egli
semplicemente è un uomo che dipinge, è un uomo che scrive, è un uomo che
esprime la propria unicità attraverso la scelta dell’arte e della scrittura.
L’attitudine volta all’accoglienza è fondamentale poiché è espressione della
volontà d’incontrare e di valorizzare la diversità, è assenza di comparazione
selettiva ed insieme assenza di spirito di competizione: Immaginiamo un luogo
in cui ci sono alcuni bambini ed alcune bambine. A loro è dato il compito di
realizzare un’opera fortemente vincolata secondo criteri estetici: Al disegno
esteticamente più ‘bello’ verrà assegnato un riconoscimento.
Immaginiamo che in questo luogo non può che crearsi un clima di
competizione, di comparazione, (Esser più d’un altro oppure esser meno d’un
altro) di giudizio, d’invidia, di reciproca svalutazione, di privilegio, a
danno di coloro che non sono privilegiati ed a danno di coloro che sono
privilegiati. 4 Il giovane, grazie all’arte, riconosce d’aver appreso che
l’unicità risiede nell’atto stesso di creare e grazie all’arte immagina di
poterlo dimostrare. Immaginiamo d’incontrare altre persone e di dir loro: «Siate Artisti Unici, create insieme, siate liberi di pensare ed
esprimere la vostra unicità dalla scelta degli strumenti che utilizzerete alla
scelta delle gestualità nella realizzazione della vostra opera. Quando avrete
terminato conoscete ciascuna persona presente ora in questo luogo con voi,
sappiate che ha creato qualcosa di grande, unico, incommensurabile.
Ciascuno di noi potrà condividere con le altre persone alcune
parole, e ciascuno ascolterà.»
Con-dividere non significa fare le stesse cose, pensare alla
stessa maniera, ma cercare di avere un solo spirito, un noi da costruire in una
realtà di reciprocità che rappresenti la lotta all’egoismo.
Il processo attraverso cui
prende corpo un’opera d’arte.
Emozioni ed esperienze
soggettive che accompagnano la realizzazione di un’opera.
Il cuore è la fonte essenziale della creatività.
L’indole libera dei fanciulli lo testimonia.
La tela bianca:
Nessuna tempera variopinta animava di stati d’animo la tela.
La bianca pergamena: Nessun segno di china vi infondeva senso.
Il Nihil della tela bianca è ostile alla creatività. La volontà
di respingere la mancanza di senso e l’incomunicabilità rappresenta la
principale causa e stimolo alla realizzazione di ciascuna opera del giovane.
Lettura della poesia: “nihil, white
darkness”
La creatività non è soltanto una meta, la creatività è inoltre
il percorso che una persona definisce in grazia delle sue scelte passo dopo
passo.
Due possibili scelte
artistiche.
Secondo il giovane l’arte contemporanea concettuale insegna che
vi è valore nel minimalism, nell’imperfetto e nel non immediatamente
comprensibile; l’arte contemporanea non offre immediate risposte bensì pone
domande:
L’ arte figurativa:
Il dipinto figurativo risveglia sentimenti, emozioni; vincola
il riconoscimento dell’oggetto rappresentato.
L’ arte concettuale:
L’opera concettuale è meno vincolante agli occhi
dell’osservatore, dunque ravviva l’immaginazione di poter vedere diversamente,
la curiosità di veder altro, di veder oltre.
Ciascun osservatore forse vede diversamente un’opera
concettuale contemporanea rispetto ad un altro osservatore semplicemente perché
ciascun osservatore è unico e diverso.
Un Artista come vive
l’unicità di ciò che ha creato?
In molte occasioni il giovane provò odio nei confronti di ciò
che creava poiché le proprie opere non avevano implicazioni reali nella sua
realtà che rimaneva indifferente alla creazione ed all’esistenza dell’opera: Il
giovane pensava che questa assente risposta del mondo esterno fosse provocata
dall’ imperfezione della propria creazione, proprio ricercando la perfezione
estetica il giovane era irrequieto: Spesso rovinava alcune opere che aveva
realizzato ne scialacquava altre. Di esse ne rimase soltanto il ricordo in una
fotografia. Il giovane dunque era raramente soddisfatto della propria opera.
Egli riteneva che il valore della propria opera dipendesse
esclusivamente dalla misura del riconoscimento conseguito, fin quando non
comprese che, la propria opera non valeva nella misura di un apprezzamento
esterno, non valeva in seguito ad una approvazione estetico – qualitativa e
soggettiva d’un’altra persona.
La propria opera ha valore in sé. Non ha valore in misura della
quantità o della qualità delle valutazioni conseguite.
Dal momento in cui il giovane comprese questa prospettiva
iniziò non solo ad avvalorare ciò che creava, egli amava la propria opera
riconoscendo in essa la realizzazione unica di sé come importante strumento di
comunicazione.
Quando un artista può ritenersi soddisfatto del proprio lavoro?
Il giovane inoltre crede che la creatività sia la preziosa oasi
della condivisione che il privatismo può insabbiare. La creatività può divenire
un servizio pubblico, accendere un dibattito, dare voce a delle preoccupazioni,
forgiare identità.
Esistono numerosi modi d’appartenere alla vita:
Possiamo influire con dignità sulle qualità del giorno;
imparando, in nome della condivisa creatività, per illuminarci l’un l’altro. 5
Possiamo privilegiare la saggezza di osservare e di non
giudicare, di intuire le latenti qualità dell’inettitudine per una vita
parsimoniosa ed avversa allo scialo forse più ricca delle vite che conducevano
prima.
Oppur possiamo non reagire, consapevoli d’essere altrettanto
responsabili di ciò che eludiamo.
28/10/2018
Simboli compassionevoli, diavoli inesorabili
“Ogni giorno che una persona fa qualcosa con tutto il cuore e
con l’anima, quella cosa diventa il suo sentiero. Meditazioni praticate senza
sosta, ma prive di cuore, non ti porteranno da nessuna parte; invece una
semplice canzone che contiene tutto il tuo essere, una danza caratterizzata
dalla totalità ti faranno raggiungere il divino. Il problema non è ciò che fai,
ma quanto di te stesso metti in quell’agire.”
Osho
Era ancora nulla. Gioconde memorie, fonti luminose della
creativa immaginazione, soffio vitale e fantasioso del fanciullino, fin d’ora
siete origine di curiosi liaison di pensieri :
I cherubini
“Quando la nostra età è tenera, il fanciullino dentro noi
confonde la sua voce con la nostra, temono, sperano, godono, piangono, si sente
un palpito solo.”
Giovanni Pascoli, Il fanciullino
Cuor amaranto
Il cherubino
Il cuore color amaranto del fanciullino, anima pura custode
dell’originale segreto, giocondo e spontaneo fanciullino, dedito al dono, alla
compassione, al sacrificio disvela l’ etereo arcano, non lo cela, lo
esemplifica. Il cuor suo è scrigno d’un sangue amaranto che l’eleva d’angelica
indole, d’un sangue denso di spirito
dionisiaco
che, consacrando il fanciullino con ali color bianco floreale,
l’ orienta al nobil ciel etico dove curioso della beatitudine si meraviglia, e
di beatitudine sarà esempio, luminosa angelica lanterna e meta di coloro che
vorranno vederlo ed ascoltarlo.
Il cuore del fanciullino è oasi dove il fanciullo attinge le
sante purpuree stille instillandole nei cuori tutti. 6
I cuori tutti
Il cuor del fanciullino, l’anima del cherubino ch’ imporpora i
cuori tutti; or il tuo conforto, angelo custode, paziente e comprensivo. Il tuo
lume d’aurora è meta della diaspora d’un notturno viandante.
La tua rimembranza tempra i puri cuori di compassionevoli
lumi;
l’ amnesia del fanciullino che è in noi i puri cuori perverte.
Aurorea anima del cherubino
Vi sono cuori color amaranto, dello stesso color della rosa
tinta del sacrificio dell’usignolo (L’usignolo
e la rosa, Oscar Wilde) , sono i
cuori dei fanciulli, simboli, (Il
significato di syn-ballein. 7)
Angeli di Dio, custodi dello spirito
dionisiaco, di quest’ amuleto che li cinge d’un’aura luminosa color fiordaliso.
Angeli cadenti
I cuori d’anime compassionevoli custodi del vivo ricordo del
fanciullino.
Cuori d’ un color carnicino, cuori d’un color bianco perlaceo,
cuori assiderati d’un artico color, taciturni cuori ardesia
dell’ oceano,
cuori piangenti lacrime di porpora; cuori d’angeli cadenti:
Anime compassionevoli e
donatrici
Da tergo, le vostre lievi ali d’angelo color bianco floreale
confortano ed abbracciano relazionando universi lontani, alleviano le angosce e
donano vita ad anime spente; anime che bruciavan come una candela bruciava. Una
candela era coronata d’un’iridescente ghirlanda ambrata, piangendo dal lume
felici lacrime di cera; un diabolico gesto alacremente asfissiò la gioconda
fiamma, un malinconico fil di fumo al ciel anelò, preghiera ultima d’un’anima
ch’ or non vive nella luce sua propria. Un’aura sospese la glacial quiete.
In ciel il fumo s’irradiò d’un tiepido lume dall’ambrato
calore, il fil di fumo, entanglement d’aure fraterne lontane or è illuminato
d’un’ incandescente favilla color nebbia marina, simbolo di
misericordia che or giunge al lucignolo della candela ch’ or brucia d’uniche nuance,
connubi di tinte nebbia marina ed ambrate.
61
“Poi s’appiccar, come di calda cera
fossero stati, e
mischiar lor colore,
né l’un né l’altro già parea
quel ch’era:
come procede innanzi da
l’ardore,
per lo papiro
suso, un color bruno
che non è nero ancora e ‘l bianco more.
67 Vedi che già non se’ nè
duo né uno.”
Dante Alighieri, Inferno 8
La Divina Commedia di Dante Alighieri col commento di G.
Biagioli tomo primo, Parigi, dai torchi di Dondey – Dupré. Versi 61
– 63.
Melody of life
Anime compassionevoli e
donatrici.
Il vostro focoso ed affabile abbraccio scioglie i cuori
assiderati.
Voi riabilitate i cuori d’un artico color da logoranti paresi.
Le vostre angeliche piume or si cingono di gelo, grevi cadono
nella paziente attesa d’un’aura color fiordaliso, ch’ abbracciando l’ali, le
liberi dal ghiaccio.
Intorno a voi i cuori feriti piangono lacrime di porpora.
Le purpuree lacrime si rapprendono nelle vostre angeliche
piume,
ch’ empiendo lo spiraglio della ferita, un cuore salvano.
Voi purificate gli inquinati cuori corruttori e la nera china
si rapprende
nelle vostre angeliche piume.
L’ali fragili tinte di sfumature viol – ametista oscillano e,
forse al tristo ineluttabile s’ abbandonano nella paziente attesa d’un’aura
color fiordaliso
ch’ abbracciando l’angelo cadente, l’ali emendi.
Usignolo
“La Luna brillò nel cielo l’Usignolo volò al bianco roseto e
pose il petto contro la spina. La spina entrò sempre più in profondità nel suo
petto e ne scaturì il sangue vitale. E un tenue rossore si diffuse nei petali
della rosa.
Ma la spina non aveva ancora raggiunto il suo cuore, così il
cuore della rosa rimaneva bianco. Così l’Usignolo premette di più contro la
spina, la spina gli toccò il cuore e una violenta fitta di dolore lo trafisse.
E la stupenda rosa divenne rossa, come il rosa del cielo a oriente. Rossa era
la cintura di petali e rosso come un rubino era il cuore. Ma la voce
dell’Usignolo diventava più debole, le sue piccole ali cominciarono a sbattere
e un velo gli calò sugli occhi.”
L’usignolo e la rosa, Oscar Wilde
Il cuore del cadente angelo fu lo scrigno dove attinse le sante
purpuree stille instillandole nel cuor color bianco perlaceo della rosa.
Il sacrificio dell’usignolo, il lume d’un abbraccio. Il
generoso spirito del cherubino imporporì i petali del fiore e risorse nelle
nuance uniche della rosa ravvivata color rubino. Il sacrificio dell’usignolo,
il dono di purpuree stille bianchì il cuor dell’angelo, che perlaceo or più non
ravviva l’ali color bianco floreale e le piccole ali dell’usignolo s’
abbandonarono al dolce cullar dello zefiro.
Taciturni cuori ardesia
dell’ oceano
Lai
Il viver taciturni oblii, del mal di viver effigi, ch’ albor
ammantan.
Questa fredda inedia come diacci abissi sereni sogni
quietamente tormenta. Il tinnio d’una clerical campana, goccia di rugiada che
cadendo increspa la superficie d’uno specchio d’acqua.
Melodia d’un carillon di memorie che il dubbio confonde
cangiando
ricordi cangianti? Lai d’un compianto, disarmonie d’un disusato
violino?
Suoni rifratti della realtà:
pianti lontani, ammende di riconciliazione?
Onesti singhiozzi del fanciullino in noi, addii mai desiderati
che volgono il sogno a labili legami d’un fu miserando or
presenti?
O forse un’enciclica dalla coscienza: un inesorabile quesito,
sentenza d’ inazioni e d’ipocrisie:
Di che colore è il patto disatteso se non tralucente?
Or il tuo conforto, socievole angelo:
T’ascolto chiamar il nome di taciturni ed orgogliosi cuor
dell’oceano,
i cuor ardesia: Cuori d’anime deluse ché hanno vendute ed
abbandonate al zaffireo abisso; come fanciulli sereni della benevolenza dei
genitori con devozione han lor obbedito.
Angeli caduti
I cuori viol – ametista
Cuori color viol – ametista d’inesorabili spiriti diabolici ed
alienati che, originariamente puri, or hanno abbandonato il ricordo del
fanciullino, dell’immaginazione:
In nuce, sordi della coscienza, d’ogni pietà, compassione,
benevolenza e preghiera in nome della vendetta del sangue perduto o corroso per
mano d’altri angeli caduti, gli inesorabili
dia-bàllein odiando tempran la ferrea catena d’odio segnando le vite
degli uomini di miserandi istanti indelebili. Abbandonando e l’abbandono
dimenticando. Aghi di galaverna avventan ledendo personalità fragili come rose
dei deserti. Violentando fendono i puri cuor:
Sfregian la vitrea sfera affettiva, dove ne trafiggon la
superficie
or la lacrima di Batavia esplode, dislocando i frammenti
or il vuoto s’avvicenda al straziato sgorgar di vita.
Illudendo dissanguan i cuori, furto di sentimenti, interessate
insincerità, abusi affaristi di legittime ignoranze e di umiltà: Furti di sante
purpuree stille.
διαβάλλω
Odii, indifferenze, superficialità (esteriorità), addii,
inganni, maldicenze, violenze, illusioni sovente esibiti come vetrine
d’esempio: dia-bàllein.
Dia-bàllein, gocce d’acido nitrico instillate nel cuor di
coloro che ne muoiono.
Volo ut sis
La giustizia del reale
Equilibrio d’una bilancia a due piatti insensibile ai pensieri
inespressi.
Il tempo e lo spazio scandiscono la reciproca dialettica della
relazione: Incontro d’ atti, d’esempi, incontro di silenzi, sguardi e pensieri;
incontro della coscienza interiore con la coscienza esteriore.
Ad ogni batter d’ali la responsabilità d’una scelta: l’essere
cherubino, angelo cadente o angelo caduto.
Parole
immobili
L’occhio del tempo
9
“Innalza le tue parole, non
la voce.
È la pioggia che fa
crescere i fiori, non il tuono.”
Jalal al-Din Rumi
“Non parlare
Salvo che tu possa
migliorare il silenzio.”
(detto zen)
Capitolo I
Le lettere
Iris colse la carta da lettere ed una penna stilografica
Montblanc realizzata in resina nera con il pennino d’oro che le era stato
donato da alcune persone che conobbe durante gli anni della sua infanzia e che
non vedeva da anni. Avrebbe potuto trascrivere le lettere con la Olivetti ma
voleva che le sue missive mantenessero il carattere intimo della sua calligrafia
che sarebbe andato perdendosi nel caso in cui avesse realizzato i suoi
manoscritti con una macchina da scrivere. I destinatari delle lettere di Iris
furono Nathan, Julian, Fiona, Nora e Ian, le stesse persone che le donarono la
preziosa penna stilografica. Iris cominciò a scrivere la prima lettera dedicata
a Nathan:
«
Caro Nathan, ti scrivo questa lettera per condividere il mio
proposito di trascorrere con te, con Fiona, Nora, Julian e Ian tre giorni nel
luogo principe della nostra infanzia, la biblioteca vicino a casa mia di fronte
al mare dove potremo pernottare. Quando eravamo piccoli ci meravigliavamo
entrando in quel luogo, ricordi? I pavimenti erano mosaicati con tasselli in
marmo bianco, volgendo il nostro sguardo in alto restavamo incantati osservando
i celestiali e floreali affreschi della volta o il tenue caldo luminare del
lampadario a candelabro; le sue mille gocce di cristallo erano come paralumi
che rifrangevano e affievolivano la luce che giungeva a rivelare la lastra in
marmo con incise le parole dorate ‘VOLO UT SIS’ e i titoli e gli autori di
centina di scritti ordinatamente disposti negli eleganti scaffali della
biblioteca. Al centro del salone sovente frequentato erano disposti alcuni
tavoli ed alcune sedie che raramente venivano lasciate incustodite. Ma questi
di cui ti ho scritto furono i tempi che furono; oggi questa biblioteca è
abbandonata, ora sono rare le persone che frequentano la nostra biblioteca.
Non è curioso? È come se noi ora, in questo momento, avessimo
in possesso ciascuna di quelle letture abbandonate, dovremmo semplicemente
chiedere al libraio di poter consultare alcune pagine del libro dei tempi.
Porta con te un libro, abbi cura di sottolinearne alcuni
passi e cinque stampe di fotografie,
ritratti d’esperienze vissute con noi. Chiedo a voi tutti di non portare con
voi lo smartphone.
Il viaggio avverrà nei giorni 20, 21 e 22 Dicembre.
Il nostro incontro avrà luogo alle ore 8.00 del 20 Dicembre di
fronte al Duomo.
A Presto. Iris
»
Iris vergò con dedizione le lettere destinate a Fiona, Nora,
Julian e Ian trascrivendo le medesime parole.
Capitolo II
Incontro
Fiona, Iris, Julian, Nathan e Ian giunsero alla biblioteca
della loro infanzia.
Iris intuì una certa sensazione, vide che ci fu qualcosa
nell’atteggiamento di Fiona, Julian, Nathan e Ian che era intriso di
malinconia. Nel profondo, erano evidentemente consapevoli che la loro distanza
aveva aggravato la situazione. Iris, insieme ad un sentimento di serenità volto
alla speranza di questo nuovo inizio, provava nostalgia, ricordando un tempo
che le era stato così caro ed intimamente desiderava credere nei valori di cui
quel tempo fu custode.
Tutti si salutarono pronunciando vicendevolmente i nomi; Fiona
salutò Nathan, ma non ricordò il suo nome.
Natan ne soffrì e tacque velando la sua sorpresa e il suo
rammarico con un tenue sorriso.
Fiona: «Non ricordo il tuo nome, non riconosco il tuo volto. Perdonami;
perdona te stesso soggiunse velatamente.
Le loro prime parole riguardarono l’assenza di Nora.
Fiona volse il proprio sguardo verso Julian: «Julian,
te e Nora eravate legati.»
Julian: «Sì» disse pensieroso. «Quel
giorno. Davvero, fu l’ultima volta che vidi Nora. Non lo avrei mai voluto.»
Fiona: «Tuttavia, Julian; i fatti dimostrano il contrario. Julian, dopo
quel giorno, non hai più cercato Nora, perché? Come vi siete lasciati?»
Julian: «Non
ci siamo salutati.» Fiona: «Meglio così.»
Nathan timidamente impallidì.
Nathan: «Julian: Nora Tornerà? »
Julian: «Nathan. Non lo credo. Nora sta cercando la sua via. »
I giovani giunsero all’interno della biblioteca dove il libraio
li accolse con gentilezza e disponibilità. Iris: «Ricordate? Alcuni anni or sono ci sedevamo lì.»
Iris indicò un tavolino rotondo in marmo serpentino posto in fondo alla
galleria. «Vogliamo prendere posto?»
Fiona, Nathan, Julian, Iris e Ian si sedettero. Fiona
rimproverò Julian: «Julian,
a tavola ognuno ha il suo posto. Qui sedeva Nora, non ricordi? Ora non sederà
nessuno, forse Nora arriverà e troverà il suo posto tra noi.»
Si radunarono tutti per discorrere di alcune vicende. E più uno di loro in
apparenza ne sapeva, più era inesorabile ed irreprensibile come un giurato
nelle sue argomentazioni. Niente di nuovo in questo. Intanto Nathan, pativa il
mancato saluto di Fiona. Attirò l’attenzione dei presenti quando colse dalla
propria borsa una bottiglietta d’Alchèrmes e cominciò a bere una quantità
spropositata del liquore, divenendo lievemente ebbrio. Solo Fiona tra i
presenti istintivamente si preoccupò per Nathan, si limitò a pronunciare
sommessamente il suo nome. Nathan comprese il rimprovero di Fiona, si ridestò e
ripose l’Alchèrmes. Iris pensò tra sé: «Natan,
devi aver sofferto più d’ogni altra pena, la solitudine.»
Fiona disse con parole materne a Nathan: «Nathan,
tra noi tutti sei il più sensibile e umano.»
Lei pensò tra sé: «La
condotta scomposta di Nathan è la voce dell’oracolo della misericordia, il suo
umile sguardo questuante è la quintessenza d’un’intima preghiera infranta:
Noi tutti abbiamo in verità sorvolato le avversità più grevi
che hanno afflitto i nostri compagni durante gli anni della nostra ottusa
lontananza, sarebbe stato così semplice cogliere l’iniziativa dell’incontro,
conoscere il loro punto di vista e tender loro una mano.
Iris merita la mia ammirazione poiché ha compiuto ciò che
verosimilmente nessuno tra noi avrebbe mai realizzato. Perdonami Nathan. Ora,
non abbiamo molto tempo a disposizione per noi, qui.»
Ian tacque, non reagì; i presenti videro Julian accennare un
patetico sorriso di derisione nei confronti di Nathan.
I presenti condivisero alcuni ricordi d’esperienze vissute
durante gli anni della loro separazione, Ian fu l’unico che tacque.
Capitolo III
parole immobili I
Iris condivise un ricordo:
«Assistetti
a un concerto: Ricordo la locandina, annunciava la prima parte dell’opera con
queste parole.
‘Quattro minuti. Trentatré secondi. Listening to the music of
life, in the silence. Everything we do is music.’
Quando entrai in teatro una ricca orchestra composta di
violini, viole, violoncelli, contrabbassi; arpa, pianoforte, flauti traversi,
ottavino, oboi, clarinetti, trombe, timpani e percussioni varie, stava
compiendosi la consueta prova degli strumenti, quando mi sedetti il direttore
d’orchestra indicò ai musicisti di terminare di suonare.
Il concerto sarebbe presto iniziato, ricordo di aver atteso con
impazienza e gioia quel concerto il cui titolo e la qualità dell’orchestra mi
avevano stupito fin da subito. In verità fu ciò che accadde successivamente ciò
che mi fece rimanere senza fiato.
Seguirono infatti alcuni minuti di silenzio, secondi scanditi
dal battere dei cuori che, concentrandosi, si poteva udire sommesso; sentii
durante il primo minuto la sorpresa, l’imbarazzo e lo sconcerto degli invitati,
mai nessuno si alzò per parlare ad alta voce, sovente si potevano udire alcuni
sussurri di reclamo, talvolta le tenere voci o i pianti di alcuni bambini.
Presto le persone presenti associarono il titolo del concerto con ciò che stava
accadendo, dunque gli ultimi istanti dell’opera furono caratterizzati da un
solenne e riverente silenzio.»
Nathan: «Il silenzio è come un’inesistenza. Sapete, per me l’istante di
vita sarà sempre un valore aggiunto fonte di creatività se paragonato ad
un’inesistenza.»
Nathan esortò Fiona ad appartarsi con lui, avrebbe dovuto
parlarle. Quando Nathan e Fiona furono lontani dai compagni Nathan disse: «Fiona. I nostri silenzi rivolti al nostro bene, in verità ci
hanno ferito, abbiamo avuto l’ambizione e la pretesa di conoscere la verità sui
sentimenti dell’altro, questo ci ha diviso. Ti convinsero che non mi importava
più, non hai saputo vedere che è una falsità.»
Fiona non si attendeva tali parole da Nathan e reagì
scontrosamente: «Niente
e nessuno mai mi convinse di nulla. Nathan. Non c’è nulla tra noi, non c’è mai
stato.»
Nathan rapprese lo sguardo su un titolo d’un libro che era
riposto in uno scaffale vicino ad uno dei tavolini di marmo della biblioteca e
ripetendo le parole di Fiona disse: «Il
fu Mattia Pascal. È strano. È come perdere il proprio passato. È come l’amnesia; il non esistere, il non
esser mai esistito ai tuoi occhi.
Ed il barlume del sole appare inesistente allo sguardo che vede
la notte, le stelle e il biancore della luna.
È un fiore di lavanda colto in primavera nei tranquilli e
silenziosi prati, è il profumo di cui siamo assuefatti che lentamente patisce
il voltarsi di coloro che l’hanno colto, odorato e gettato a terra.
E l’iridescenza d’un arcobaleno appare inesistente al cereo
viandante dell’arido deserto, sì inaridito, non può piangere.
La via lattea, l’opalescenza del fiume di stelle non esiste per
le generazioni allucinate dagli ubiqui bagliori innaturali.
È il pianto sopito del bambino che è in noi, i cresciuti destini,
che piange il congedarsi di coloro che consolarono con materne premure
vegliando compassionevoli sulle sue fasce. Sia la favilla della magnanimità
inestinguoibile, sì al decadere delle verdi età, non si diverrà origine di
pianti che un tempo si cullarono. Sia eterno l'altruismo che dalla nobiltà
d'animo risorge.»
Fiona: «Nathan, ho pensato che. . .»
Nathan tolse la parola a Fiona:
«Infine
crediamo che una realtà, di cui abbiamo eluso i primi bagliori, sia
inevitabile. Semplicemente non abbiamo mai fatto nulla affinché non avvenisse.
Non hai più parlato con me, come puoi esser certa di ciò che pronunci sul mio
nome?»
Fiona: «Nathan, perché non mi hai parlato prima dei tuoi sentimenti!?
Riposi la mia fiducia in te, chiudendomi in me stessa con la stessa chiave che
ti donai. Tu la gettasti via, e te ne dimenticasti, come se quella chiave non
fosse mai esistita. Le parole “andrà tutto bene”, sono divenute parole che
hanno cessato d’essere pronunciate, le parole di un affetto mancato. Ho creduto
fedelmente in te, certa che avresti agito per noi. Non ti ho mai
abbandonato. Ho provato a dimenticare,
ma provare a sopprimere un ricordo è come avere un ricordo. Ti ho seguito
fedelmente. Ora, ti prego, guarda fin dove siamo arrivati.»
Nathan: «Fiona.
Davvero, perdonami. Iniziai ad imparare la morale della storia quando vissi
quell’istante in cui coloro che erano più vicini divenivano sconosciuti. 10 Non
ero preparato a perdere i miei cari. Tutto quello che mi veniva detto, avevo
già sentito, e non riuscivo più ad ascoltare. Non ho saputo come reagire. Così mi allontanai, questo ferì coloro a cui
volevo bene.»
Nathan aggiunse rabbrividendo: «Fiona, se solo, avessi parlato con me.»
Fiona: «Se:
la parola dell’eterna speranza disattesa, la parola che non esiste nel suo
vuoto di senso, il suo ostinato procrastinare l’oggi vuol significare: Domani,
forse, mai! Nathan, ricordo ancora il tuo gelido addio e l’imperituro senso di
solitudine che provo da quando decisi di volerti bene e di fidarmi di te.»
Nathan disse timidamente:
«Fiona,
ti capisco.»
Fiona: «No.
Non ci siamo mai capiti. No. Il fatto di non esserci capiti non è il problema.
Il problema è che nessuno vuole più provare a capirsi. Disse queste parole
allontanandosi da Nathan in silenzio. Cos’è che puoi capire? Un uomo che
abbandona non capisce niente. Chi lascia ad aspettare per tutta la sua vita che
le persone tornino senza fare nulla non può capire niente di niente. Sai che a
volte mi siedo lì, sul davanzale della finestra, noncurante del disordine che
ho in casa, non sento la necessità di riordinare. Sai, Nathan. L’ origine
d’ogni disordine è la solitudine. Guardo fuori e le ore passano. E piango fino
a non rendermi neanche conto di quando piango. Le ore passano e sono ancora qui
sola. A credere in te. Non hai idea di cosa significhi l’esser abbandonati!»
Nathan disse sospirando:
«Significa
abbandonare coloro che hanno abbandonato. Ho dato a tutti e mi hanno ricambiato
con l’abbandono.
Sai, Fiona. In verità avrei davvero desiderato che mi rimproverassi.
Come hai potuto accogliere e non condannare manifestamente questa mia apatica
attitudine che talvolta ho adottato nei tuoi confronti?
Sì mi convincesti che nel profondo considerasti una miseria la
nostra amistà.
Ci si sente cacciati via ogni volta che si sente chiudere la
porta a chiave. Perché qui si muore tranquillamente senza che nessuno si
accorga. Questa solitudine… L’altro dov’è? »
Fiona: «Nathan,
sei un codardo, sei insincero! Davvero è così fragile il filo che ci tiene
legati. È stato così semplice, così
scontato avermi detto addio, davvero non ricordi?.
Temesti forse il mio discnosciuto perdono? Temesti che non ti
avrei accolto? Ciascun istante della tua vita non è stato che la scelta di non
volermi!»
« Sono
gli altri; credesti.
Un giorno realizzi che siamo noi.
Fedeli all’orgoglio non ci cerchiamo più, non ci attendiamo
più. Fiona. Se Iris non avesse desiderato di rivedere noi tutti riuniti, se
Iris non avesse realizzato questo suo desiderio, davvero noi non ci saremmo mai
nuovamente incontrati, mai riconosciuti ed avvalorati nei nomi di ciò che noi
siamo stati e di ciò che noi siamo divenuti. »
Fiona pensò:«Iris similmente a Ian
era taciturna ed introversa. Poiché lei non fu mai estrosa nei nostri confronti
fu tra noi la più affrancata. Tuttavia non ci ha mai negato il suo ascolto.
Ora, ascoltandola, mi sono ricreduta.
Iris infine si è rivelata essere il nostro paciere. Certamente se in passato
avessimo stimolato la sua creatività questa ragazza ci avrebbe facilmente
sorpreso.»
Nathan:«In grazia del fluire del tempo dovremo perdonarci questa
evidenza se non vogliamo che essa avvilisca il ‘Noi’ che ancora siamo.»
Fiona pensò: «Il bene dell'anima che Iris ha dimostrato di provare nei
confronti di tutti noi somiglia all'attitudine di quella bambina.
Un tempo, la bambina era circondata da alcune persone a lei
care, Quando le fu richiesto di abbracciare una sola persona di esse lei
abbracciò tutti. In seguito le fu nuovamente imposto di scegliere una sola
persona e di abbracciarla. La bambina, allontanandosi, dimostrò di aver
ricusato la condizione restrittiva che le era stata intimata.»
Le querce madri
Nathan e Fiona raggiunsero i compagni, Nathan colse dalla
propria borsa alcuni appunti ed iniziò a leggerli a Fiona, Iris, Julian, e Ian.
Le due vie
“Sarà come albero piantato lungo corsi
d’acqua,
che dà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai
riusciranno tutte le sue opere.”
Bibbia, Salmo 1
«Chiudiamo
gli occhi. Nel buio che vediamo, immaginiamo un bambino sognare un terso
orizzonte rasserenare un vasto e rigoglioso prato dove germogliano una quercia
millenaria ed alcuni arboscelli.
Imponente, il tronco della quercia si duplica in rami che custodiscono
le foglie variopinte che si abbandonano volitando al cullare dello zefiro.
Tutto sta.
Lo stelo della quercia pendente si posa sul disteso manto
erboso; un bambino si meraviglia dell’incantato equilibrio della quercia.
Immaginiamo di sforzare il manto erboso per vederne oltre scaturire
un’immagine, le fondamenta della quercia. Il tronco si duplica in radici. Il
bambino non può vederle, ma sono importanti almeno quanto la quercia poiché in
grazia di esse diviene possibile l’incantato equilibrio dell’albero madre.
Il lento colare della rugiada, diviene uno dei fatti più
clamorosi e rivoluzionari che possano succedere. Dove le radici sono tutte
interconnesse tra loro e si riverberano gli echi del mondo di sopra che è così
lontano dalle profondità della terra, così silenziose, così materne. I bruni
ramoscelli della quercia e degli arboscelli, attorti e sottili sfiorandosi,
avvolti e velati dal manto erboso, condividono reciprocamente donando le linfe
vitali.
I verdi ramoscelli abbracciandosi si sostengono: Talmente
meravigliosa è la sinergia della natura.
Gli alberi madre. Ovvero gli esemplari più antichi e dal tronco
più robusto, inviano il loro carbonio, ottenuto tramite la fotosintesi, agli
alberi più giovani anche di specie diversa, vegliando specialmente su quelli
più deboli. Gli alberi madre gestiscono la connessione e gli scambi di
un’intera foresta, proteggendone la biodiversità. Gli alberi comunicano e
interagiscono tra loro. Le foreste sono costituite da relazioni; le foreste
sono simili alla famiglia umana ed all’affaire virtuale.
Le cose che amiamo sono molto fragili. Molto delicate. Dobbiamo
ricordarlo, prima d’averle perdute.
Un sisma spogliò l’albero sacro delle sue ricchezze, i suo
frutti caddero come lacrime di pioggia. Il balenio d’un fulmine si schiantò
sulla quercia, la quercia implose; disgregandosi in frammenti che gravando sul
manto erboso ne disertò i deboli germogli. Il rovinìo disconnesso
tranquillamente declinò alcuni arboscelli in fiore, ché soli, si distesero.
Il balenio del fulmine, il rovinìo del sisma, il fruscio delle
foglie, il boato della quercia in rovina stornarono il bambino che,
svegliandosi dal sogno, non poté sapere che non lontano alcuni germogli erano
nati e silenziosi stavano crescendo. Finché la speranza resterà viva i fiori
non mancheranno di sbocciare.»
Iris: «Che cosa vuoi dirci con queste parole?”, Nathan: «Il
tradimento primo, il congedare o il congedarsi di una persona cara è come il
rovinarsi d’una quercia: è talvolta irreparabile e dannoso; le piantine vicine
saranno lacerate dal rovinare dell’albero madre, le piantine in fiore, lontane
e sole, non potranno più giovarsi della sua linfa vitale. Il tradimento primo
può implicare nuovi tradimenti, ciascuno dei quali ci allontana sempre più dal
centro del tradimento originario. Questo effetto domino non è definitivo, nuove
architetture elevate di stabili equilibri sorgeranno da tessere cadute e
venture.
Solo in grazia del tempo e delle dovute cure si potranno
ricostituire le amicizie che furono e custodire le amicizie in fiore.
Similmente queste premure gioveranno ad un esile arboscello,
che lentamente irradiando le sue fronde, diverrà un rigoglioso luogo di riparo.
Ci si arricchisce seminando, ma poi in un attimo si vanifica il
nostro lavoro radendo ogni cosa al suolo. E nuovamente si seminerà:
“Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre
seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono.
Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito
germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu
bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi
crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno
buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta,
il cento per uno.”
Mc 4, 1-9
Iris disse: «Questo
è stato un viaggio meraviglioso. Grazie Nathan.
Julian chiese a Iris cosa pensasse di queste ultime parole di
Nathan: «Le foreste sono simili alla famiglia umana e alla comunità
virtuale.»
Iris: «Gli alberi madre; Le relazioni madre, sono vitali.»
Il carillon e i due binari
Nel giorno del mio terzo compleanno mi fu donato un prezioso
oggetto d’arredo:
Due statuette di porcellana sono innalzate d’un fine sostegno
in cobalto, un ballerino ed una ballerina ‘danzano’ lungo due binari paralleli:
Il primo binario delimita il proscenio del palcoscenico, il secondo binario è
adiacente al primo.
Le estremità laterali del proscenio terminano leggermente discendenti
rispetto al piano orizzontale. Le statuette sono vincolate su due calamite e
traslano lungo il binario, possono rotare su se stesse, allontanarsi o
avvicinarsi l’una rispetto all’altra.
Le porcellane sono parte di due carillon i cui meccanismi sono
celati dal fronte verticale della ribalta.
I carillon, durante gli anni della mia infanzia, mi ninnavano;
ricordo mia madre che mi incuriosiva e mi incantava dicendo:
«Questi
sei bottoni d’acquamarina, questi due bottoni di rubino, sono preziosi, Iris.
Ascolta i canti di questi carillon; vedi, Iris? Le danze dei ballerini?»
Crescendo compresi che ciascuno dei sei bottoni d’acquamarina
innescava il suono di una delle sei melodie:
Greensleves, Nuvole Bianche di Einaudi, The Mission di Ennio
Morricone, Canon in D Major di Johann
Pachelbel, River Flows in You di Yiruma e Once upon a december di Deana Carter.
Ciascuno dei due bottoni di rubino innescava il suono della
melodia Mariage d’Amour di Paul de Senneville.
Non solo. Le danze di ciascuna delle due statuette di
porcellana dipendevano da tre bottoni d’acquamarina e da un bottone di rubino:
Al suono di Greensleeves la ballerina rotava su se stessa, non
si allontanava né si avvicinava al ballerino.
Al suono di Nuvole Bianche il ballerino rotava su se stesso,
non si allontanava né si avvicinava al ballerino.
Al suono di The Mission il ballerino si avvicinava alla
ballerina, non giungendo mai ad abbracciarla.
Al suono di Canon in D Major la ballerina si avvicinava al
ballerino, non giungendo mai ad abbracciarlo.
Al suono di River Flows in You e di Once upon a december il
ballerino e la ballerina retrocedevano, si allontanavano fino a raggiungere le
superfici inclinate alle estremità della ribalta e per incanto, cadevano
abbandonando il palcoscenico; il sipario calava rivelando gradualmente questa
immagine.
Premendo nel medesimo istante i due bottoni di rubino i
carillon rintoccavano Mariage d’Amour; le due statuette di porcellana
lentamente allontanandosi dalla linea della ribalta giungevano adagiandosi sul
secondo binario, presto rotando su se stesse si sarebbero avvicinate fino a
sfiorarsi.
Ricordo, avevo dieci anni; in quel giorno la neve timida
volitava, tutto taceva; non i miei carillon. In quel giorno d’inverno
dissigillando il prezioso manufatto ne svelai il segreto congegno.
I preziosi bottoni d’acquamarina lentamente rotavano i
cilindri, le lamelle vibrando irradiavano le variopinte melodie; essi rotavano
inoltre due silenziose catene morse destinate al movimento delle statuine lungo
il primo binario.
Con sorpresa compresi che le statuine cadevano al suono di
River Flows in You e di Once upon a december quando la corrente interrompeva il
suo fluire su la lastra elettromagnetica che tange il sostegno in cobalto delle
statuine.
Il meccanismo in grazia del quale le due statuine potevano
incontrarsi ignorava il rotare delle due catene:
I preziosi bottoni di rubino innescano i flussi di corrente che
abbracciano le due lastre elettromagnetiche collocate lungo il secondo binario
che attira a sé le statuine che in precedenza erano poggiate sulle lastre
inerti del primo binario.
Un resiliente filo rosso univa le due statuine: I basamenti
delle due lastre elettromagnetiche costituivano i vincoli estremi del filo
rosso.
Quando i basamenti rotavano, essi divenivano i cardini intorno
a cui il filo rosso si riavvolgeva; il filo rosso, non potendo variare la
propria lunghezza, riduceva gradualmente la distanza tra le statuine di
porcellana.
Vedete, le relazioni virtuali risuonano delle musiche dei
bottoni d’acquamarina; ricordate? In grazia di quelle melodie le statuine non
si incontravano, quando le statuine rotavano, i loro sguardi si incrociavano
fuggevolmente; Al suono di River Flows in You e di Once upon a december le
ceramiche si allontanavano e persino abbandonavano definitivamente i binari che
avrebbero potuto farli incontrare.
Il virtuale, un luogo astratto dove sogniamo di essere
riconosciuti insostituibili. Questo
luogo astratto si ridimensiona e si revisiona ogni giorno, ogni secondo di ogni
giorno così se tu svanisci o se non mantieni viva l’attenzione dei tuoi lontani
interlocutori, le persone che prima erano nella tua vita le cui relazioni
avevano origini virtuali imparano presto, talvolta immediatamente a fare
affidamento su qualcun’altro che offre qualità simili alle tue.»
Nora: «E la virtualità di quel luogo astratto e superficiale avanza
celermente, come se tu non fossi mai esistito.»
Julian: «Il binario della virtualità annienta la consistenza della vita.
I barlumi del sole, delle stelle e il biancore della luna; l’iridescenza d’un
arcobaleno. Coloro che possono assistere a queste rarità si ostinano ad
interporre uno screen tra i loro occhi e queste meraviglie; no, questi miracoli
non sono più sì importanti per noi moderni che li dimentichiamo nella memoria
virtuale ed artificiale d’un oggetto.
Inoltre le identità delle persone e le meravigliose personalità
si smarriscono frammentandosi in immagini.
C’è un lato oscuro di tutta questa interconnessione virtuale.
Invece di avvicinarci, potrebbe avere l’effetto opposto, facendoci
disconnettere maggiormente da noi stessi, dagli altri e dal mondo intorno a
noi.»
Iris: «Le relazioni reali risuonano della musica dei bottoni di
rubino, premendo nel medesimo istante i due bottoni di rubino i carillon
rintoccavano Mariage d’Amour; le due statuette di porcellana, dopo essersi
adagiate sul secondo binario, si incontrano.
Le relazioni reali si avvivano del valore dell’incontro, del
riconoscimento delle identità e delle personalità non intercambiabili e dei
ricordi che, riaffiorando ammettono la possibilità di annullare il tempo nel
caso in cui due persone amiche si incontrino dopo anni e si comportino
amichevolmente come se il tempo non le avesse mai separate.
Sapete, ciascuno di noi come quella bambina può scegliere se
spostare sul binario della realtà, entrando in empatia non mediata con il
prossimo, coltivando rapporti non mediati, umani, onesti, o sul binario della
virtualità la propria vita di relazioni. Quando un fiore non fiorisce, è bene
emendare l’ambiente in cui cresce, un fiore può germogliare rigoglioso se il
suo stelo annega nella lava?
Credo questo: Forse il binario della realtà possiede le qualità
necessarie affinché gli alberi madre, ovvero le relazioni madre, possano
crescere rigogliose e così sature di vita da poterne donare. Forse le
intemperie, le lave, la grandine, i fulmini, le tempeste che imperversando
rovinano il verde delle relazioni sono altresì originate dal binario della
virtualità.»
Fiona: «Un vellutato manto rosso abbracciandosi a noi, ci univa, ora lo
stesso ponte tra noi è divenuto labile, effimero come un sottile filo rosso di
sfibrata flanella su cui incerti e lontani procediamo con timidi passi come due
funamboli principianti.
La Tillandsia.»
Nessuno comprese il significato delle parole di Fiona, dunque
chiesero: «Di’
Fiona.»
Fiona ripeté: «La
Tillandsia, sapete, è denominata la pianta dell’aria, anche questa come la
quercia millenaria è una pianta madre, dona senza chiedere alcunché in ritorno.
Questa pianta, non necessita di essere collocata nel terreno
per sopravvivere, trae sostentamento
direttamente dall’aria e la restituisce all’atmosfera gemmea, purificata
dagli agenti cancerogeni.»
La dialettica del donare
Nathan: «Vorrei condividere con voi la storia d’un incontro:
Fu un livido pomeriggio, quando giocai una partita a calcio con
alcuni amici.
Pioveva leggermente quando uscii di casa. La temperatura era
gradevole; non pensai che fosse necessario portare con me una felpa ed una
giacca a vento. Con me avevo un borsello in cui erano riposti un telefono
cellulare, le chiavi di casa ed un portafoglio in cui vi era del denaro. Già
all’inizio della partita pioveva, piovve incessantemente durante tutto il corso
della partita. Al termine dell’incontro salutai i miei compagni e mi incamminai
lungo una strada in discesa per giungere alla fermata dell’autobus. La mia
t-shirt era evidentemente bagnata.
Sentivo freddo, ma stavo bene. Attendendo l’autobus, guardai l’orologio,
erano le ore 19.02.
Alcune persone stavano accanto a me, guardavano il telefono
cellulare. Il mio autobus sarebbe arrivato dopo pochi minuti, alle ore 19.19.
Vidi un giovane ragazzo camminare verso di me lungo una strada in discesa; la
stessa che percorsi poco tempo prima. Non avevo mai visto quel giovane prima
d’ora.
D’un tratto sentii il giovane esclamare: «Indossi
questi abiti! Piove! Non puoi stare in questo stato, ti ammalerai!»
Io gli risposi che il mio autobus sarebbe arrivato entro pochi
minuti:
«Non
dovresti preoccuparti. Sto bene.»
Il giovane aggiunse: «Sono di strada, non parlo bene la tua lingua; davvero non vedi
in che stato ti trovi? Ti ammalerai! Se vestirai ancora quella maglietta
bagnata. Ti ammalerai.»
Dicendo questo si tolse la felpa e la t-shirt che mi volle
dare. Sorpreso presi la t-shirt dicendo al giovane:
«Ti
ringrazio, terrò la tua maglietta fin quando non arriverà l’autobus che
attendo, poi te la riconsegnerò. » Rivestendosi mi rispose:
«No,
la terrai con te, ti ammalerai se
vestirai ancora la tua t-shirt bagnata.»
Non riuscii a fargli cambiare idea, così cercai un modo per
ricambiare:
«Ho
del denaro nel portafoglio, è ciò che ora
posso darti, davvero vorrei ricambiare il tuo gesto.».
Interrompendomi il giovane disse: «Sono,
un ragazzo di strada. Mi porse la mano. »
Accolsi e ricambiai il suo gesto di amicizia pronunciando il
mio nome.
Egli aggiunse: «Non mi dare nulla in cambio, vorrei semplicemente che tutti si
comportassero nel modo in cui io oggi ho agito con te.»
Lo abbracciai e lo ringraziai dicendogli d’essere una persona
di cuore. Ringraziandomi, si allontanò. Non lo vidi più. Ancora conservo la sua
t-shirt. Simbolo d’un memorabile incontro.»
Capitolo IV
parole immobili II
La realtà fu oggettivamente testimone del tramonto dell'amistà
tra Fiona e Nathan, tuttavia lei, ora riconoscendo le invisibili buone
intenzioni che egli mai concretò compiutamente, perdonò Nathan. Allora lei si è
rialzata e ha ripetuto che le dispiaceva per quanto gli aveva detto, che non era
troppo tardi e che dovevano ricominciare e riconquistare il tempo perduto.
I giovani approfondendo vicendevolmente la conoscenza
scoprirono alcune peculiarità relative alle loro vite: Iris aveva acquisito due
lauree negli studi umanistici di lettere classiche e moderne e di filosofia.
Julian dopo aver acquisito la laurea, ha trovato lavoro come impiegato in una
prestigiosa azienda, ha acquistato autonomamente una abitazione dove vive solo.
Nathan era sorpreso: «Julian, eri così vivace, pieno di sogni. Alcuni anni or sono
quando ci incontrammo mi confidasti di voler divenire un giorno un bravo
scrittore, hai rinunciato?»
Julian, con uno sguardo depresso, annuì. Nathan: «Un
impiegato, amico mio. Perché appari ai miei occhi insoddisfatto? Ti sei
costruito la tua pace arrendevole. Lo scrittore che è in te, in un raggio di
sole che entra dalla finestra dell’ufficio avrebbe intravisto la polvere ed
avrebbe scritto della vita insita nell’aria.
Ma sei un impiegato, per te la polvere non può che essere
polvere, inutile e scomoda. Il viver per inerzia non si addice al tuo spirito
libero, le scelte di questa vita non sono definitive ed inoppugnabili, se
questa non è la vita che avresti voluto, sii libero, poiché nulla è definitivo,
intoccabile, ovvio o immobile. Ti incoraggio ad intraprendere un altro percorso
verso la vita dei tuoi desideri.»
Iris: «Nathan, sii cauto nel pronunciare queste parole. Il tuo
pensiero, può essere manchevole di senso pratico, il tuo monito potrebbe
degenerare nell’attitudine arrendevole ed infruttuosa di rinunciare
abitudinariamente alle possibilità che la vita ci offre semplicemente perché
comportano il nostro contributo.»
Le parole di Nathan agli occhi dei presenti erano innocue.
Tuttavia Julian percepì il consiglio di Nathan come oltraggioso, la sua
risposta fu spietata.
Julian colse il proprio orologio da taschino e lo posò sul
tavolo. Volgendo il proprio sguardo verso Nathan, gli disse:
«Ascolta
Nathan, non ti piace questo suono vero?» Tutti tàcquero, l’unico suono che si poteva udire era
l’alienante tinnio della lancetta dell’orologio di Julian. Julian aveva
monopolizzato l’attenzione di tutti i presenti. Elencava spavaldamente i
traguardi che aveva raggiunto, numerando con la mano sinistra i doveri a cui
aveva ottemperato, con l’indice della mano destra sfiorava le dita che stavano
contando. Iris, Fiona e Ian intuirono che Julian stava implicitamente
interrogando Nathan alludendo a questo biasimo.
«Lo
dico per il tuo bene. Hai avuto tempo, avresti potuto adempiere ad almeno uno
dei doveri che io ho compiuto.»
Nathan imbarazzato rispose: «Mi piacerebbe avere delle cose di cui andare orgoglioso.
Purtroppo. Non ne ho.»
Julian soggiunse inaspettatamente pronunciando le parole: «Credo
che tu sia un fallito, sei inutile, un inconcludente.»
Lo sguardo di Nathan gelò, per un istante divenne senza
sentimento. I suoi occhi erano meravigliosi come dei frutti di biancospino che
ondeggiano nel vento. Tuttavia erano frutti né dolci né amari. Erano vuoti.
Nathan replicò domandando: «Per favore, Julian. Potresti ripetere quello che hai detto? »
I presenti intuirono che pronunciando questa domanda Nathan
volesse donare a Julian una seconda opportunità, la possibilità di fare un
passo in dietro. Julian superando il confine che Nathan aveva definito avrebbe
compromesso e danneggiato gravemente il loro legame. Senza esitazione Julian si
ripeté: «Credo
che tu sia un fallito, un inconcludente, ritorna a bere l’Alchèrmes.»
Nathan, alzandosi dalla sedia, raggiunse l’angolo della stanza
e si chinò. Tutti rimasero in silenzio, in uno stato d’irrequieta attesa.
Julian pensò: «Nathan.
Questi tuoi patetismi non li posso davver soffrire.»
Julian volle prendere parola ma fu presto taciuto; lo sguardo di Iris fu
talmente penetrante da giungere a sfiorare la sua coscienza.
Nathan, talvolta osservando il proprio orologio da polso,
rimase immobile per un minuto.
Allo scoccare del sessantesimo secondo Nathan pronunciò queste
parole: «Bene
Julian. Un minuto di silenzio è trascorso, ora possiamo parlare. Julian. È un
peccato, tra noi non possiamo più scherzare, dobbiamo prenderci sul serio. Sai,
Juian. Nise da Silveira fu una psichiatra.
Lei si oppose alla violenta terapia dell’elettroshock che
veniva adottata nel manicomio in cui lavorò; promuovendo una attività artistica
che valorizzò l’operato e l’identità dei pazienti conservando le loro opere
artistiche ed esponendole a Rio de Janeiro, nel 1952, nel ‘Museu de Imagens do
Inconsciente’, di cui fu la fondatrice.
“Ci sono 10000 modi di
appartenere alla vita e di lottare per la propria epoca. La nostra intenzione è
recuperare uomini considerati come inanità per una vita socialmente utile e
forse anche più ricca delle vite che conducevano prima.“
Nise da Silveira
Il tuo sguardo ambizioso, inappagato, rivolto verso il futuro;
uno sguardo che mentre teme il futuro, distratto dai bagliori del lontano
paradiso, non vede il presente, vede oltre il presente che appare simile ad un
inutile nulla; inoltre, intanto, in nome d’un’ impenetrabile diffidenza e
noncuranza non ti accorgi di salutare il passato in ogni istante di questa
cecità. Il bisogno di immaginare in ogni istante che ciò che desideri sia
altrove. Ovunque. Ma non qui. Non ora. Questo è il danno. Non si comprende la
bellezza che si ha dinnanzi agli occhi e ci si vuole allontanare da essa.
Sai, Julian. Mi stupirono le parole di un’artista; lei mi parlò
d’un’opera letteraria illustrata che fu pubblicata il giorno in cui la conobbi.
Mi raccontò che investì il tempo di alcuni mesi nella
realizzazione di quella rivista che realizzò con dedizione. L’opera custodiva
decine di immagini raffiguranti le sue opere artistiche. Lei impiegò anni per
pensare e realizzare i dipinti che lì furono esposti. Lei mi disse: Sai, questo
mi dispiace: Il vedere queste persone sfogliare questa rivista distrattamente e
con aria di sufficienza, il loro sguardo sfuggente sembra significare: Che
delusione, sto perdendo il mio tempo, peccato. Cercherò altrove.
Sai, Julian, talvolta l'abilità d'essere sentimentali permette
di non perdere la tramontana della bussola, in nuce permette di non permettere
alle condizioni di cambiarti, per questo mi piace mantenere vivi i ricordi.
È curioso. Lo stesso ragazzino che anni fa sarebbe giunto in
quest’angolo tendendo la mano per rialzarmi oggi mi indica con l’indice
accusatorio e mi confina qui.
Ed è ora, secondo questa attitudine, che il disastro delle voci
del mancato rispetto; la ὕβρις*,
l’immodestia, la scortesia; si avventa sul quieto esistere dell’umiltà e
dell’innocenza.11
Il mio desiderio sarebbe d’avversarmi a questo efferato
istinto, ma agirei similmente a te e dunque, nessun desiderio.
*Violenza.
Tracotanza. Accecamento mentale che impedisce all’uomo di riconoscere i propri
limiti, Peccano di ὕβρις
coloro che, avendo ambizioni elevate, oltrepassano un confine ledendo la
libertà e l’identità del prossimo.
Iris: «L’uomo vede forse ciò che il prossimo provoca a lui stesso ed è
cieco al possibile danno che nel medesimo istante in cui subisce il patimento
provoca al prossimo?»
Ian per la prima volta parlò: «Julian, Socrate un giorno chiese ad un uomo: Sei sicuro che le
parole che hai pronunciato siano vere? Sei sicuro d’aver pronunciato parole
buone? Sei sicuro che sia utile che io divenga consapevole di ciò che stai
pronunciando?»
Nathan: «Rifletti su queste domande. Julian, la dimensione delle
maldicenze è la criminalità. Non l’innocenza.
Ma l’astio nasce dalle divisioni nel nostro cuore.
Se ci ostiniamo a vedere nel nostro prossimo nulla se non una
letale fiala di veleno da cui allontanarsi e non una goccia di vitalità di cui
abbeverarsi, abbagliati dal miraggio di questo spirito di competizione, di
apatica indifferenza e di insensibilità, non si procederà di un passo rispetto
a dove ora ci si trova.
Se il carattere è definito dal modo in cui ti relazioni con
coloro che non possono fare nulla per te, hai un pessimo carattere Julian. » Aggiunse Nathan amichevolmente.
Fiona: «Perché ogni benedizione ed ogni riconoscimento in seno al buon
agire d’un uomo si tace a lui ed al prossimo con tanto impegno?.
Il benpensare non diviene benedire se si sottintende, se non si
pronuncia. Questo silenzio, questa inosservanza non è innocua, precipita il
benedire e la cordiale condotta nel nulla, nell’amnesia. Perché altrimenti con
tanta semplicità si pronunciano calunnie?»
Nathan: «Sono deluso. Julian, davvero non riesci a ricordare? No, come
potresti ricordare? Oggi i ricordi legati alle persone passano in secondo
piano. C’è altro di più importante da ricordare, non è vero? Come hai mai
potuto capire da dove vengo? Anche se lo chiedi, anche se ascolti, non senti,
non vedi. Non puoi ricordare la mia storia. Non hai camminato sul mio cammino,
non hai visto quello che ho visto. La fantasia può non avere limiti. Il
giudizio, diversamente, si fonda sulla consapevolezza, puoi giudicare nella
misura in cui conosci. La presunzione è figlia dell’ignoranza. Quando non si
conosce, si domanda; non si inventa, specialmente quando il giudizio verte sul
nome d’un uomo!
È forse questo ciò che si impara dagli studi elitari? A non
pensare quando si parla? È tanto greve e significativo il peso della
conoscenza?
Forse eccedendo nella lettura si perde alla fine completamente
l’ abilità di pensare da soli. Si concentrano le energie nel
dire sì e no, passivamente, come un sistema numerico binario con i valori 0 e
1, criticando parole già pensate, noi décadent non pensiamo più.
Julian, ricorda che un uomo vinto è vittorioso d’un’
inestimabile mercede: L’umiltà.»
Dopo aver pronunciato queste parole, Natan si avvicinò al
tavolo e si sedette nuovamente in compagnia di Iris, di Fiona, di Ian e di
Julian. Colse dalla propria borsa due preziose bottiglie di vino e due
bicchieri di cristallo: La prima bottiglia è di vino rosso, Nebbiolo d’Alba, la
seconda è di vino bianco, Franciacorta. Nathan disse ai presenti, perdonatemi;
avrei amato condividere con voi questi vini pregiati, ma questo, purtroppo non
è il clima adeguato.
Dopo aver pronunciato queste parole Nathan colse le bottiglie
di vino bianco e rosso ed un calice di cristallo, li posò sul tavolo, vicino a
Julian; poi gli chiese: «Vino bianco o vino rosso?»
Julian era incerto ed esitante; infine rispose: «Vino
bianco, Nathan.»
Nathan versò il vino rosso.
Iris pensò: «Ordinariamente coloro che sono severi con le persone, sono
similmente spietati nei confronti di loro stessi.»
Istintivamente lei pronunciò queste parole che non furono
comprese dai suoi conoscenti: «Julian. Non essere a tal punto severo nei tuoi confronti. »
Dunque lei disse: «Nathan, ricordati di una cosa. C’è almeno una persona che la
pensa diversamente. Non farti ingannare, Nathan sei molto meglio di quello che
Julian vuol fare credere.»
Fiona: «Julian che esempio sei per noi?. La cagionevolezza e la
delicatezza, non la perfetta autonoma resilienza, sono le disposizioni
naturalmente umane che consacrano l’attitudine a dedicare noi stessi e ad aver
cura delle creature: Queste attitudini sono virtù che compiamo con premura ed
accogliamo con gratitudine.»
Le tre creatività
Fiona: «Alcuni anni or sono visitai Harbin, una cittadina cinese
confinante con la Siberia, al fine di assistere ad un rinomato evento in cui
ogni anno sono esposte meravigliose sculture di ghiaccio e neve. Lì conobbi
Mei, una giovane di Harbin che condivise con me una leggenda che la sua
famiglia tramandò di generazione in generazione.
Il nome della leggenda è: ‘Le tre creatività.’
Negli anni che furono, tre scultori di Harbin intrapresero il
percorso che li avrebbe condotti alla realizzazione di tre mirabili sculture.
Fin dagli esordi uno dei tre scultori, Jian dimostrò d’essere
immagine d’una creatività spontanea, resiliente ed efficiente; egli dimostrava
d’essere solerte e paziente nel suo scolpire il ghiaccio, ottimizzava i tempi
seguendo un criterio metodicamente ordinato e dedicando i rari istanti di
quiete all’incisione di minuti dettagli non previsti nella sua idea originaria.
Il secondo scultore, Shi mostrò d’essere immagine d’una creatività
destrutturante e disfattista. Questa è la selettiva creatività degli scrittori.
Essi, ricercando l’essenziale onestà della loro vocazione, senza orpelli
solcano la carta vergata con le linee scarlatte, effigi di scelte accuratamente
meditate. Nei medesimi istanti in cui Jian compiva con zelo ed attenzione la
sua scultura, egli scolpiva incerto, negligente, noncurante e distratto.
Dedicava le proprie ore di quiete a scrutare con invidia il magistrale
procedere dell’opera di Jian eccedendo nella quantità di Spyritus che beveva e
di narcotici che assumeva. Erano trascorse sei giornate dal momento in cui i
tre scultori decisero di voler realizzare le proprie opere; Shi talvolta si
compiaceva del proprio modico operato osservando che Tian, il terzo scultore,
non aveva nemmeno sfiorato con lo scalpello le proprie lastre di ghiaccio, il
riconoscimento di questo fatto lo rassicurava, chi sa perché?
Purtroppo fu sufficiente il tenue zefiro primaverile per
demolire la flebile composizione di Shi, che avvolto d’ira, durante la notte
compromise l’onesto lavoro del primo scultore scalfendo una parte rilevante
della sua scultura.
Tian fu immagine d’una creatività velata, invisibile: Tian era
spesso assente, lontano da Shi e Jian. Ai loro occhi fu un perdigiorno che non
avrebbe realizzato mai nulla nella propria vita.
Mentre Shi e Jian si impegnavano nel realizzare le loro
sculture egli disegnava minuziosamente alcune assonometrie, alcune sezioni e d
alcune prospettive di sculture di ghiaccio e neve. Quando le concluse di recò
nella frequentata piazza centrale di Harbin; presentava ai passanti i propri
schizzi domandando loro se un giorno fossero volenterosi di visitare una mostra
di vere sculture di ghiaccio e di neve, Tian scolpì nella memoria degli
abitanti di Harbin l’arte dello scolpire. Molte persone accolsero felicemente
la sua idea; quando ebbe un colloquio con le autorità politiche di Harbin molti
abitanti lo sostennero. Dopo alcuni mesi fu realizzata la prima mostra di
sculture di ghiaccio ad Harbin.
Nessuno tra gli abitanti volle più rinunciare a questo evento,
in molti sostenerono Tian affinché quell’esperienza si ripetesse negli anni a
venire ed affinché divenisse più organizzata.
Grazie all’invisibile creatività di Tian nacque l’evento
centenario che oggi conosciamo con il nome: ‘Festival internazionale cinese del
ghiaccio e neve’. »
Fiona attese un istante prima di rivolgersi nuovamente a
Julian:
«Julian.
L’attitudine che in ogni istante abbracciamo. È più importante d’ogni realtà
nella vita. È l’unica eventualità in nostro potere, poiché non possiamo nulla
in merito a ciò che subiamo, l’ineluttabile non dipende da noi. Diversamente
sappiamo di essere responsabili del nostro reagire.»
Julian colse dalla sua elegante giacca una confezione di
sigarette.
Fiona soggiunse dicendo: Non credo che si possa fumare qui.
Julian ribatté accendendo l’ultima sigaretta che era rimasta nella confezione: «Sarà
anche proibito.» Fiona: «Il libraio presto verrà a
rimproverarti. Inoltre, davvero Julian; stai fumando la ventesima
sigaretta. Ti stai ferendo, non continuare a nuocere alla tua salute!»
Julian sorridendo disse con ironia: «Sì;
egli dovrebbe lamentarsi e dovrebbe ammonire questa mia nefanda condotta.» Ed aggiunse: «Tuttavia, Fiona, sinceramente noi tutti potremmo aver motivo di
lametarci esternando i nostri sentimenti di malcontento in soddisfazione dei
misfatti che abbiamo sofferto per mano altrui; tuttavia, questo non significa
che la vendetta sia la migliore attitudine da annoverare, non è bene e non è
onesto gravare sulle altre persone con
il nostro dolore, specialmente se esse non sono primariamente coinvolte.»
Nathan: «Julian, la tua attitudine nei miei confronti fu testimone d’un
pensiero avverso, davvero non lo riconosci?» Iris fulminò con lo
sguardo Julian.
Julian ignorò le parole di Nathan, apparentemente attribuì più
rilevanza al monito di Fiona.
Julian soffocò l’ultimo rèfolo di fumo della sua sigaretta;
osservando la didascalia stampata sul proprio pacchetto vuoto di sigarette: «Certo.
Il fumo uccide. Iris, nelle tue lettere hai consigliato a tutti noi di non
portare qui il nostro smartphone; devo ringraziarti poiché credo che la
serietà, l’onestà e l’incisività del nostro incontro sarebbero state corrotte e
fuorviate da queste virtuali distrazioni; l’evidenza mi esorta a credere che
dovremmo applicare una didascalia su questi nostri dispositivi virtuali. Il
televisore, lo smartphone, il personal computer: ‘Nuoce gravemente alla salute
mentale e all’attitudine relazionale. Per un uso consapevole dei dispositivi
virtuali.’
Inoltre. Immaginate se le vicende della nostra vita fossero
preannunciate da alcuni moniti e consigli forièri a non perseverare lungo la
via. Non agire avventatamente, ne pagherai le conseguenze. Non contraddirti,
non sarai più accolto, non meriterai più alcuna considerazione ed alcun
ascolto.» Julian pensò dunque tra sé e sé: «La
coerenza può non essere necessariamente un valore, poiché è una attitudine
avversa al cambiamento.” Ed il pensiero di Julian si rivolse alle vicende della sua vita ed
all’affaire dei moniti forièri di cui
aveva discorso con i compagni alcuni istanti prima: «Non
amare lei, potresti soffrirne. Non accettare quel lavoro, potrebbe rovinarti la
vita.
Sii cauto dinnanzi al tuo prossimo, potrebbe tradirti. Non vedi
che ti sta sprecando? Appena ne avrà la possibilità rinnegherà il tuo nome! Ero
sempre stato una perdita di tempo per le persone della mia vita.»
Tuttavia Julian si limitò. Infine disse semplicemente: «Avrei
voluto comprenderlo prima. Forse, queste premonizioni avrebbero giovato.»
Fiona: «Julian, ascolta te stesso, la memoria delle vicende della tua
vita, ascolta la tua coscienza.»
Iris: «Tuttavia abbi fede nei confronti di coloro che ti sono accanto;
d’una fiducia ponderata, non cieca. Tuttavia abbi fede. Julian, per favore,
vieni con me.»
Iris accompagnò Julian nel vasto salone della biblioteca,
talvolta indicando alcuni titoli di letterature lo esortò a cogliere i libri, a
sfogliarne le pagine ed a riporli ordinatamente nel loro posto originario.
Julian accolse il consiglio di Iris. Iris infine chiese a
Julian di condividere con lei alcuni passi che avevano suscitato in lui stupore
ed interesse. Julian adempì alla richiesta di Iris. Julian, infine domandò: «Perché
mi hai condotto fin qui?»
Si trovavano di fronte ad uno scaffale di libri, quando Iris
disse a Julian: «Lo hai visto. Julian, Le mie parole, hanno avuto un
significato, ed hanno avuto delle conseguenze, ti hanno condotto ad agire
fedelmente alle mie proposte, se non ti avessi consigliato di sfogliare alcune
letture, presumibilmente tu non lo avresti fatto, giusto?» Julian annuì. Iris: «Tutto
qui.»
Dopo aver pronunciato queste parole colse un libro dallo
scaffale della biblioteca abbandonata, si voltò verso Julian, abbassò lo
sguardo pensierosa e rimase immobile per alcuni istanti, il suo sguardo era
rivolto al libro che stava tenendo saldamente con entrambe le mani, come se
fosse più greve del consueto peso d’un libro tascabile. Infine alzò lo sguardo
verso Julian e sfiorando con il libro la mano di Julian, disse: «Questo
libro, è importante; potresti leggerlo.»
Julian ringraziò Iris sostenendo che si sarebbe accordato con
il libraio per poterlo prendere in prestito. Julian e Iris giunsero dai
compagni.
Julian riprese a parlare:
«Che
delusione le relazioni di circostanza; Iris, non credere, io ti dico, che poiché tu fai questo, la
realtà di questi labili legami tra noi tutti cambierà!»
Iris rispose: «Io credo, Julian, che il miracolo della relazione risieda nella
relazione stessa, credo anche che il semplice incontro tra noi ne sia il lieto
auspicio.»
Julian: «Il mio passato mi definisce. Questo è ciò che sono. Sono
indesiderato e odiato. Sono consapevole
di reagire irruentemente. Ascoltate, il silenzio di Ian, non è diverso dal
discorrere di coloro che pretendono la nostra perentoria resilienza senza che
loro si sentano mai in dovere di salvaguardarla, di coloro che con parole
velate sussurrano il loro imminente congedo da noi: Ti auguro di coronare le
tue fatiche, buona fortuna! Dicono i primi che mai contribuirono alla sua
nascita ed alla sua sussistenza.
Mi dispiace per te! Dicono coloro che mai agirono affinché sia
risolto ciò di cui si dispiacquero nonostante ne avessero avuto le possibilità.
Che dio ti consoli! Pronunciano i terzi, vuoti d’ogni spirito
d’iniziativa rivolto al nostro bene.»
Nathan: «Che Dio ti benedica! Dicono coloro che pronunciano iniquità.
Non è vero, Julian?»
Julian colse il Salmo 41 della Bibbia.
“I miei nemici mi augurano del male, dicendo: Quando morrà? e quando perirà il suo nome? E
se un di loro viene a vedermi, dice il falso:
Il suo cuore intanto cova iniquità; appena uscito, egli
maledice. Tutti quelli che m’odiano bisbiglian fra loro contro a me; contro a
me macchinano del male.
Un male incurabile, essi dicono, gli s’è attaccato addosso; ed
ora che giace, non si rileverà mai più. Perfino l’uomo col quale vivevo in
pace, nel quale confidavo, che mangiava il mio pane, alza il suo piede contro a
me. Ma tu, o Eterno, abbi pietà di me e
rialzami. Quanto a me, tu mi sostieni nella mia integrità e mi stabilisci nel
tuo cospetto in perpetuo.”
Julian: «La fede è intimamente individuale, non è oggettivabile.
Lo spirito della fede; l’attitudine all’altruismo, nella sua
accezione di ‘puro valore aggiunto’ 10 e l’attitudine alla benevolenza sono qualità umane innate,
tuttavia sono presenti in ciascun singolo in misura dissimile sensibilmente
alle contingenze della sua vita.
Se pensiamo che la fede sia altresì l’attitudine di credere,
prima d’aver visto, la fede può essere labile. Se la fede di quest’uomo fosse
flebile?
Che cosa accadrebbe a quest’uomo manchevole di ogni sostegno?
Coloro che gli sono accanto, Gli ‘amici’ e gli ‘haters’, siano
ora, nel tempo della vita, responsabili del loro fratello, riconoscendo e
vegliando sul suo nome misconosciuto. Dopo; non lo potranno più aiutare.
Voglio che sappiate chi sono mentre cerco di rimettere in sesto
la mia vita. Vi trovate di fronte ad un uomo che ormai da qualche tempo si
sente radicalmente separato dalla maggior parte delle idee che sembrano
interessare agli altri.
Vi trovate di fronte a un uomo che lungo il percorso ha
smarrito qualunque barlume di fiducia abbia avuto nella superficiale dinamica
sociale della relazione di circostanza nel grande disegno del comportamento
umano. (Pagina 19 e 116)
Niente era come doveva essere. Sono amareggiato. Talvolta
pregiudichiamo le persone superflue ed infruttuose, immeritevoli di stima, del
rispetto atto al riconoscimento del loro latente valore.»
Nathan: «L’altro è a noi un immagine di noi stessi, davvero non ricordi
le mie parole connesse alle tue calunnie? Julian, ti dissi:
Se il carattere è definito dal modo in cui ti relazioni con
coloro che non possono fare nulla per te, hai un pessimo carattere Julian.
Davvero non sei consapevole di colpevolizzare altre persone del
medesimo misfatto di cui sei stato artefice?»
Julian tacque per un istante, nel suo profondo riconobbe che
Nathan aveva ragione.
Tuttavia ribatté: «Dunque ad ogni azione corrisponde sempre e soltanto una uguale
ed opposta reazione? L’altro non è nulla di più che una immagine di noi stessi?
Nathan con queste parole non rendi onore all’intima e caratterizzante identità
ed all'altruismo di ciascun singolo.» Dunque Julian si rivolse ai compagni: «E
forse ti perdi, ma soprattutto cerchi di non pensarci. E tutte le altre cose
sembrano il nulla rispetto al solo volere di nuovo le cose più importanti. Ho
sentito molte promesse e sembrano tutte uguali.
Ma prima o poi si dimostreranno tutte vuote. Ho coscienza della
mia irrilevanza ed esiguità, tuttavia l’evidenza, il mio aver luogo con voi, mi
rasserena: Non sono assolutamente nulla nell’universo di cui siamo ospiti
passeggeri. Questo mio passato, la mia storia, è la croce che devo sopportare.»
Nathan: «Il
passato è la croce che ciascun singolo
deve saper come portare. Vero Julian?» Iris: «Julian, sii cauto in ciò che pronunci. Tra noi, ad esempio,
nessuno prova odio nei tuoi confronti. Credo di poter parlare a nome di tutti
noi: «Juian
sei il benvenuto tra noi e lo sarai altresì nei giorni a venire!» I compagni annuirono, promuovendo il
messaggio di Iris. Iris: «Sai, Julian. Il Kintsukuroi 金繕い è
l’arte giapponese di riparare oggetti di ceramica con oro o argento liquidi.
Rammendando le ferite dell’anima, riconciliamo i frammenti della nostra vita, e
rammentiamo il loro valore. Sì or la creatività eleva i creativi a nuova vita
ed a nuove dignità.» Fiona: «Julian non è onesto generalizzare, vi sono persone che non
meritano le tue radicali parole.» Julian: «Sì. Possono esistere tendenze che caratterizzano una comunità e
attitudini che non qualificano altre categorie sociali. Tuttavia ricordiamo che
le diverse attitudini: La magnanimità e la spietatezza; l’altruismo e
l’egoismo; l’umiltà, il rispetto e l’insolenza, l‘offesa; l’evasività, la
delega, la noncuranza e la dedica, la veglia, la cura; l’empatia e
l’anti-patia; l’odio, l’ira e l’amore; la violenza, l’aggressività e la bontà,
la mansuetudine; la saggezza e la sconsideratezza, l’avventatezza… sono
eventualità naturalmente presenti in ciascuno di noi in misura ed in qualità
diverse.
Inoltre la rilevanza che queste attitudini assumono nella
scelta d’un agire variano sensibilmente alle contingenze che ciascuno affronta
nella sua vita.
Credo dunque che sia un bene mantenere viva la memoria delle
possibili implicazioni dell’eccedenza relativa d’alcune attitudini rispetto ad
altre. * »
* I valori
monotòni, in relazione alle persone, sono critici e rovinosi.
Il
gradiente costante caratterizza i valori monotòni.
A questo punto Nathan colse un foglio su cui trascrisse la
parola amistà, dunque lo traslò al centro del tavolo. Fiona: «L’amistà
a mio avviso è l’altruismo che rende intelligenti, umani e sensibili sia coloro
che sono eredi di questa pura benevolenza, talvolta non esternando una
esplicita preghiera, sia coloro che donano questi puri valori a coloro che sono
loro accanto. L’amistà privilegia l’essere imminente e prossimo a noi. Avvalora
le realtà imminenti, non le sacrifica in nome di una soggettiva idea di futura
perfezione. È il vivo e scambievole affetto tra persone che disvela dimensioni
imminenti del mondo e di noi stessi che prima non conoscevamo. L’amistà
riflette e riluce con maggiori intensità le qualità presenti e attuali di
coloro che la accolgono e la condividono. L’amistà sviluppa in atto i talenti
che possediamo in potenza, come le miriadi di cristalli, la polvere di diamante
che invera gli aloni solari e lunari quando i loro lumi sposano l’atmosfera. »
I due soli (Parelio
Iris: «È bene essere concreti. L’amistà a mio avviso è una
ispirazione, è la volontà creativa, la nobiltà d’animo di perseverare. È la
costante e attiva attitudine volta alla coraggiosa iniziativa di approfondire
la vicendevole conoscenza e fiducia.
È la scelta di annoverare il non essere, nella sua qualità di
essere in potenza, in nome del desiderio di bene e di felicità per altri sul
piano della solidarietà, della fiducia e di speranze comuni ed in nome della
fiducia nel virtuoso divenire ed essere non limitato del prossimo che l’atto di
etichettare (che consiste nell’attribuire una qualifica deficiente a qualcuno
in modo sbrigativo, generico e superficiale) umilia ed avvilisce.
Julian, rispetto il tuo disinganno nei confronti delle
relazioni di circostanza, tuttavia non posso condividerlo poiché credo che
altresì le più stagnanti condizioni possano divenire realtà floride, albori di
nuove relazioni.»
Ian: «Tuttavia ove e quando si assiste al nulla, si desiste, lo
spirito creativo affievolisce, talvolta si smarrisce la fede nella possibilità
di ciò che gradualmente può instaurarsi, talvolta si abbandona vertiginosamente
la stima e la fiducia che furono conferite, talvolta si rinuncia non appena si
percepisce di non ottenere risultati soggettivi immediati.»
Nathan: «L’amistà a mio avviso è definita dalla qualità del gradiente
del percorso di ciascun singolo. L’amistà è frutto di transizioni, non riguarda
l’unicità e l‘intensità di un unico incontro, riguarda la costanza, riguarda
l’accumulo nel tempo di miriadi di infinitesime bontà (che colte nella loro
unicità sono impercettibili, misere, apparentemente assenti), nei limiti del
tempo e della memoria che si possono dedicare a ciascuna relazione. Potremmo
accostare la dedizione all’amistà con l’attitudine alla scrittura. Riconosceremo
che la saltuaria scrittura di un numero limitato di parole decontestualizzate
conducono al nulla, ad un cristallizzante nonsense.
Tuttavia trascenderemo il limite di questo nonsense,
perseverando, scrivendo quotidianamente nuove parole, osserveremo l’innovarsi
delle nostre scritture a cui gradualmente vi dedicheremo i significati, le
relazioni ed i contesti che si riveleranno essere i lumi che orientano il
nostro pellegrinaggio creativo la cui meta sarà la stesura di un’opera
letteraria. »
Ian: «Immaginiamo che la relazione d’amistà sia esemplificata dal
manufatto del dipinto dell’amistà, i cui autori sono le due persone che sono
coinvolte nella relazione. Essi dedicano gli istanti del loro incontro al
compimento del dipinto, la cui qualità in itinere è metafora del divenire dello
status della loro relazione.
Consideriamo ora la libera scelta di due persone di accogliere
il ‘Puntinismo’ come metodo di rappresentazione del loro spirito creativo.
Il primo incontro: La prima persona segna con cautela tre punti
neri disposti casualmente, la seconda persona segna timidamente tre punti
rispettivamente di color nero, argento e oro, disposti casualmente.
Essi tracciarono i punti sulla tela alternandosi.
Al primo incontro delle due persone seguirono sei nuovi
incontri, nel mentre dei quali essi dimostrarono a loro stessi fiducia e
complicità crescenti. Essi videro, tracciando i punti, di poter orientare il
racconto della loro opera scegliendo la direzione del senso, dell'ordine e
della chiarezza; o la direzione del Caos, delle incomprensioni. La direzione
della magnanimità, della semplicità e dell’umiltà o la direzione della
complessità e dell’irraggiungibile ambizione. La direzione della fedeltà, della
lealtà, della fede o dell’inganno e del sovvertimento dei propositi. La
direzione della perseveranza o la direzione della volubilità.
Ian colse un foglio di carta che segnò con alcuni punti
disponendoli caoticamente e lo condivise con i suoi conoscenti:
Essi dimostrarono di aver scelto le direzioni del caos, delle
incomprensioni, della complessità, dell’irraggiungibile ambizione e della fine,
del nichilismo ed infine d’una desolazione che risorgerà dalle sue rovine.
Queste due persone, in grazia di queste scelte, osservando il
loro dipinto, non appena videro il nonsense del loro percorso creativo,
rinunciarono ed arsero la loro tela dell’amistà, negandosi vicendevolmente ogni
barlume di prospettiva in un nuovo futuro incontro. La responsabilità dei
giudici è il futuro di coloro che sono giudicati.
Una delle due persone custodì questa cenere ed in un prossimo
futuro invitò la seconda persona affinché risorga da queste ceneri una statua
simbolo di nuova vita della loro amistà. *
*In bibliografia: Zhang Huan. Ashman cenere impalpabile.
Essi avrebbero potuto rappresentare, mediante la tecnica del
puntinismo, un soggetto geometrico familiare. Avrebbero potuto contentarsi di
un percorso creativo più breve, più semplice e rispondente a più umili
aspettative. Ed essi sarebbero giunti insieme alla loro meta.
Essi ne erano consapevoli, decine di dipinti incompiuti li
attendevano; ciascuna di queste due persone custodiva nella memoria questi
dipinti, le relazioni a cui avevano dato inizio e che avevano sospeso o
abbandonato.
Consideriamo ora la libera scelta di due nuove persone di
accogliere il ‘Puntinismo’ come metodo di rappresentazione del loro spirito
creativo, tuttavia diversamente, orientando il racconto della loro opera
scegliendo le direzioni della perseveranza, della pazienza, della fiducia e
della lealtà, del senso, dell'ordine e della chiarezza, della magnanimità,
della semplicità e dell’umiltà.
Dunque parlò: Questo fu il risultato del loro perseverare,
della loro fede nell’incontro; essi rappresentarono i simboli: Awen, Esagramma
tredicesimo del libro 'I Ching', il doppio ed il triplo Pikorua, l'anello
Claddagh, Ese Ne Tekrema, Shrivatsa, il simbolo indiano dell'amistà ed il
simbolo celtico dell'amistà.
Ian colse un disegno dal proprio taccuino d’abbozzi e lo
condivise.»
La bianca luce che luminava la biblioteca si stava attenuando,
il tenue rossore del tramonto si effondeva quando Iris affievolì gli animi
iracondi dei presenti introducendo il motivo per cui aveva chiesto a Ian,
Fiona, Nathan e Julian di portare con loro alcune stampe di fotografie,
ritratti d’esperienze vissute insieme a lei:
«Alcuni
anni or sono scrissi una breve poesia, vorrei leggervela.
Il Filo rosso del destino.
La leggenda
運命の赤い糸
Una bianca oscurità, un’indicibile cecità, un marmoreo
reclusorio istituto d’abbandoni. Il nulla. Ritrascrivo la memoria realizzando
una realtà nuova che al nulla s’ avvicendi:
Nihil, white darkness: Pure white candid canvas inhibitin’ •
venture
virtuous dreamers often petrifies.
Pure white candid canvas • odd colourful shining symbols arises
souls • inflamin’: • Via an imaginative choice. • Venture is
now the testimony to the end of the white darkness.
La bianca monotona cecità discretizzando. Il candido bianco si
rivela nel meraviglioso connubio d’infinitesime sorgenti luminose variopinte:
Le Anime. In questa madreperlata realtà posso ora ascoltare i vitali rintocchi
di teneri cuori avvicendarsi al suo silenzio; tacendolo. In quest’aura d’iride
sogno le cristalline anime traghettare un ago d’oro orlato d’un fil color rosso
scarlatto. Sin quando non rammenderà dei cuor le ferite. Sin quando non diverrà
liaison di vite e concatenazione di tempi. Sin quando non diverrà dei cuori il
sincero abbraccio.
• Venture : Enterprising spirit, spirit of initiative.
• Odd : Rarely.
• Via : Through.
• Inflame : Encourage, incite.
»
Dopo aver letto questa breve opera Iris colse un vasto foglio
di carta che aveva accuratamente piegato e riposto nella propria borsa, un prezioso
cucirino d’oro intorno al quale era accuratamente avvolto del filo di flanella
color rosso e le forbici. Pazientemente scinse il filo in decine di limbelli
aventi lunghezze uguali che furono divisi omogeneamente tra i compagni.
Iris: «Disponete le vostre fotografie disordinatamente su questo
tavolino, il compito che ci attendiamo è di ordinare su questo foglio bianco le
fotografie secondo relazioni arbitrarie che saranno scelte da noi e che saranno
narrate dai legami definiti dai nostri limbelli di filo rosso.»
I giovani accolsero volonterosi l’iniziativa di Iris; insieme
trascorsero la sera ricordando le esperienze condivise che figuravano sulle
fotografie. L’opera di Iris pacificò le incomprensioni nate durante le ore
pomeridiane, i giovani si rasserenarono vicendevolmente intuendo nei fratelli
la volontà di andare oltre qualsiasi eventualità li avesse divisi prima del
loro odierno incontro. Ian partecipò all’attività di Iris, non smise d’essere
taciturno.
Capitolo V
parole immobili III
Julian, Ian, Fiona ed Iris la mattina del secondo giorno del
loro viaggio nella biblioteca vicina al mare decisero di ritornare nel luogo
della loro infanzia, si auguravano sinceramente di incontrare Nora lì,
purtroppo, quando vi giunsero, le loro speranze furono disattese.
L’ impasse dello specchio
All’alba del secondo giorno Julian propose un’attività:
Julian: «Vi propongo un gioco, si chiama ‘l’ impasse dello specchio’.
Vedete lo specchio che vela quella parete? Ponetevi di fronte. Tra qualche
istante vi consiglierò nuove regole. »
Passarono alcuni minuti, Fiona si spazientì e sospendendo il
silenzio disse: «Non succede nulla! Dai Julian, smettiamo di perdere tempo!»
Julian dunque disse: «Rendiamo
il gioco più divertente, la nuova regola è che potete muovervi e anche parlare,
vorrei che poneste la vostra attenzione in ciò che vedete di fronte a voi,
osservando lo specchio.» Trascorsero alcuni secondi. Iris, Nathan, Fiona e Ian si
spazientirono. Julian: «Iris, Nathan, Fiona e Ian. Noioso, vero?
Talvolta le persone, talvolta voi, talvolta io stesso siamo
come la vostra immagine allo specchio, nessuna personalità, nessuna iniziativa,
il buio che sembra assorbire le immagini che ciascuno porta con sé senza
restituire nulla in compenso. Al cospetto dello spettro dell’evasività si sta
come disfatti senza più volontà, senza conoscenza, senza coraggio. Si ha
l’impressione che il posto sia vuoto. Questo stato di avvilimento procura un
certo malessere, una specie di mal di mare. Queste tenebre hanno il suono d’un
silenzio che forse vuol significare: Ora sono qui con te, lo vedo, ma vorrei
essere altrove, sento di non appartenere a questa comunità, non mi sento parte
di questa relazione, vorrei andare e cercare altrove. Dunque non aggiungiamo
nulla all’agire della persona che si sta relazionando con noi, non vi è alcun
modo di conoscere queste persone se non pregandole di avvivarsi, vedete, è
complicato relazionarsi con essi, non si possono coartare le persone.»
Julian pronunciò a memoria le parole della poesia conseguito
silenzio di Paul Celan:
“Più profonde ferite che a me inflisse a te il tacere, più
grandi stelle ti irretiscono nella loro insidia di sguardi, più bianca cenere
giace sulla parola cui hai creduto. “
Accorgendosi della mancata risposta di Ian, Julian sentenziò
sussurrando: «Ian,
sei patetico. Sei vuoto di carisma. Non hai personalità, la tua coscienza è
immacolata, similmente alla coscienza di coloro che non la hanno mai esposta
alle calamità della vita. Jan hai paura del confronto.»
Ciascuno dei giovani udì le parole di Julian. Ian Tacque.
Julian: «Amo coloro che vivono con una tale intensità da sentirsi morire
di vita, di parole, di salvezza, che bruciano come candele coronate
d’un’iridescente ghirlanda ambrata e che donano vita ad anime spente; anime che
bruciavano. Immaginate. Una candela che piange dal lume le ultime tristi
lacrime di cera, anela al cielo un malinconico filo di fumo, preghiera ultima
d’un’anima che ora non vive della luce sua propria.
Ora il fil di fumo giunge in alto fino ad abbracciare la fiamma
vivida di una seconda candela; il filo di fumo si irradia della sua luce, ora è
percorso da un’incandescente favilla, che giunge al lucignolo della prima
candela che ora riluce i lumi della generosa fiamma donatrice.»
Ian parlò: «Perdonami Julian. È una verità, sono taciturno. Talvolta sono
laconico perché ho ascoltato, ho osservato. Ascoltando ed osservando sono
divenuto consapevole del valore e del disvalore delle parole. Inoltre no.
Julian, non temo il confronto; sono consapevole che talvolta il confronto possa
divenire più dannoso che favorevole. Le parole devono essere soppesate con
cura, in questo credo.
Nelle ore di questo nostro significativo incontro abbiamo
dibattuto di questioni di moralità*, la moralità è difficilmente conciliante
quando si rivela nel suo sembiante soggettivo. Dunque abbiamo cercato e
cercheremo, incamminandoci lungo la via della moralità, di concentrarci su ciò
che sta bene a ciascuno di noi. Sì l’egoismo, ovunque impone la sua voce. Oggi
la gratuità della parola non è un valore ovvio: La misura dell’attitudine a
donare di una persona definisce la sua disponibilità a parlare altruisticamente
e disinteressatamente.
*L’oggetto del dialogo è la moralità soggettiva. Non la filosofia
morale, la sfera dell’etica che annovera l’idea della moralità oggettiva
orientata alla conciliazione di prospettive soggettive che si compie nel
riconoscimento e nella promozione di valori oggettivi fondanti questa teoria.
Inoltre la moralità può divenire l’immagine del fraintendimento
mediante il veicolo della parola: Talvolta sento di non poter trovare le parole
giuste nella loro relazione, affinché coloro con cui mi relaziono possano avere
consapevolezza delle sfumature di senso e di valore che io assumo. Questo fatto
non è ovvio e scontato: Il significato ed il valore che ciascuna persona
attribuisce alle parole sono sensibilmente dipendenti dalle intime variabili
del suo cuore e della sua mente di cui siamo sovente all’oscuro: Le memorie, i sentimenti,
le saggezze assimilate.
In questo mondo illimitato in cui viviamo, tutto quello che ci
accade è limitato, ed è tutto il mondo di ciascuno di noi, tutti abbiamo una
sommaria consapevolezza dell’universo naturale che ci circonda e della vastità
di opportunità che ci può donare; tuttavia, in verità abbiamo una modesta ed
aleatoria conoscenza del latente temperamento
delle altre persone; ne possiamo divenire consapevoli nella misura in
cui siamo disponibili ad ascoltarle, nella misura in cui le persone siano
disposte a raccontare.
Esistono realtà invisibili, indicibili che meritano ascolto,
cautela e rispetto. Tuttavia, certe questioni, certi confini sono fondamentali.
Bene e male, sensato ed insensato. A volte il confine tra le due cose è una
linea definita, talvolta è confusa.
Tuttavia non solo le moralità, sì la valutazione del fatto
esente dal giudizio morale concorre a definire questo confine. I fatti, lo
sapete. Indicano solo quello che è. Tra noi non c’è nulla, non c’è mai stato
nulla, sei un codardo. Dicesti Fiona. Sei un fallito, sei vuoto di personalità.
Dicesti Julian. La saggezza risiede nel ricordare, nel comprendere il senso
e nell’attribuire il ponderato valore
d’ogni istante di vita. L’istante e la memoria di ciascuno degli istanti vissuti,
è tutto ciò che possediamo. In nome della relazione con il prossimo, abbiatene
cura.
Alcune parole che si pronunciano sommesse o vivaci, che si
ascoltano, che sono udite, sono fatti che le memorie restituiscono alle realtà
di tempi diversi rispetto agli istanti che le hanno originate, contribuendo a
compiere le qualità delle vite.
Alcuni ricordi si muovono e ci aiutano a vivere. Sono ricordi
di lieti, morbide e tenere parole.
Altri. Ristagnano. E sono molto forti. Sono ricordi di parole
immobili, parole forgiate d’abbandoni e temprate di silenzi, di tradimenti, di
fraintendimenti. E se non riusciamo a rimettere in moto questi ricordi,
riaffiorando ci trascinano nel nostro profondo, e, precipitandoci, ci detengono
nel carcere del nostro passato.
Tuttavia, a coloro che pronunciano questo lemma: Le parole non
contano, contano solo i fatti; risponderei che anche la parola è un fatto. Nei
suoi limiti io credo nel valore della parola, poiché la parola è esibizione che
realizza un paesaggio condiviso.
Fermai sulla carta alcuni pensieri che vorrei condividere con
voi.»
Per chi?
Surreali cambiamenti
Le lettere d’uno scrittore solitario, custode di parole
inesaudite, si diffondevano ovunque sospese, irrequiete non trovavano
destinazione. Il romanziere vergava audaci racconti e poesie meravigliose.
Una compositrice di musica classica, custode di sogni screziati
di melodie inascoltate, realizzava partiture uniche: Le note d’inchiostro
defluivano d’un pennino musicale sulle pagine pentagrammate con naturalezza.
Tuttavia la sua anima gemeva note malinconiche, non ascoltando il suo no, non
sentiva il suono delle note che vergava.
Un matematico, custode d’una genialità soffusa di profondi
significati, compiendo con ordine nella mente codici logici inintelligibili decodificava
relazioni complesse di simboli e giungeva alla soluzione d’inconsueti enigmi.
Una coreografa, custode d’un’astrale creatività, coronava la
sua immaginazione in emozionanti racconti ricchi di canti, danze e variazioni.
Questi talenti, nella loro solitudine avevano creato,
realizzato e definito sé stessi, tuttavia non erano felici.
Sopportando una storia non raccontata dentro di sé, un’agonia
soffocava la loro creatività, la creatività è preziosa, perché è innata e per
questo è una fonte di riconoscimento dell’identità, nessuno di noi possiede uno
spirito creativo uguale come nessuno di noi ha l’iride degli occhi uguale.
L’agonia che li paralizzava era il riconoscimento della
perfetta inutilità e vanità del proprio agire non condiviso.
Erano contristati dal sentimento che vive un bambino che vuol
giungere a cogliere una piuma che flebilmente si allontana desistendo al
ninnare di volubili venti.
Questi talenti chi volevano raggiungere? A chi avrebbero
dedicato il talento che custodivano?
Quando il poeta incontrò la sua amata non pronunciò alcuna
parola, semplicemente le consegnò le lettere:
La noia, la gracilità, l’ombra dei petali d’un bianco Glicine
che si avvicendavano fugaci all’intenso rifulgere dei sentimenti schiantarono
il poeta dinanzi al pensiero della fugacità della sua vita solitaria. Per
questo il taciturno oratore s’intimò il vincolo morale di riporre la propria
anima nelle parole che scriveva, di essere essenziale; profondo, la profondità
annovera la superficie, e di curare la calligrafia, il lessico, il contenuto,
preoccupandosi di non decadere in monotonie, in cristallizzati cliché, affinché
le sue parole sulla pagina potessero apparire agli occhi di lei, screziate d’oro.
Colei che fu compositrice divenne un’impeccabile pianista d’un
Clavier à lumières.
Imparò ad ascoltare ed a sentire i suoni delle note in grazia
della collimante assonanza di note e di variopinti lumi.
L’esibizione della donna avvenne in un prestigioso teatro, dove
centinaia di ospiti accorsero per ascoltarla.
Il suo concerto fu eclettico: La musicante destava meraviglia
donando agli ospiti vari scenari musicali e desuete sintesi cromatiche che
apparivano sbocciare da nature artistiche diverse.
Un’inattesa amnesia inibì la donna; lei, prostrandosi dinnanzi
all’umana fragilità, sospese il lieto racconto. Umilmente raggiunse la ribalta
del palcoscenico e senza rimpianto s’inchinò.
Infine il suo talento riecheggiò destando incantati aneliti
d‘ispirazione nei cuori che toccò.
Colui che fu matematico divenne insegnante d’ alunni illuminati
in grazia dei quali imprese l’umiltà di non sapere, la saggezza di non tacere
la voce del prossimo.
Colei che fu coreografa divenne ballerina.
In grazia della danza, questa donna, abituata a raccontare,
aveva imparato a raccontarsi con sincerità e sprezzatura; cadenzando i suoi
passi, talvolta incerti, talvolta nitidamente puntuali, interpretava la sua
storia unica.
Condividendo la sua inedita identità, inattingibile nella sua
umana integrità. Un poeta, una compositrice, un matematico, una coreografa si
dedicarono a coloro che avrebbero vegliato sul loro nome effondendo in loro il
sentimento d’essere vicendevolmente custodi e custoditi. Furono esempi
d’indimenticabili esibizioni: L’esibizione è voce, è gratitudine, è l’attesa
gratificata, la lacrima consolata, l’istante in cui sfiori il cuore delle
persone che accorreranno verso te per ringraziarti, è il sacro giardino della
condivisione, è incontro, è spirito d’appartenenza, l’incontro è resurrezione,
nella misura in cui il singolo diviene parte costituente di una comunità.
L’esibizione è l’occasione in cui è possibile riconoscersi ed
essere riconosciuti l’uno immagine e somiglianza d’un altro. È l’umiliazione
destata da ostili sentenze di coloro che non riconoscono e non credono
nell’invisibile ed insostituibile tempo dedicato ad ideare ed ordire la trama
dell’esibizione.
Essi furono testimonianze di surreali cambiamenti. Furono voci
che fra queste righe sottintesero un messaggio:
«Per il bene di chi sto
parlando? Per chi brilla la mia luce? “
Ian: «Julian; la malinconia di cui parli, la sento come una mancanza
di equilibrio, come una dissonanza musicale, un ritmo alterato. Ian si accostò
alla finestra della biblioteca abbandonata. Vedete? Fuori una tempesta sta
imperversando, ascoltate il frastuono assordante della pioggia che diluvia e si
riversa violentemente contro le vetrate di questa finestra. Fuori da me tutto
accade con un vertiginoso ritmo da cascata, dopo che Ian ebbe pronunciato
queste parole rapprese il suo sguardo su una goccia condensatasi sulla vetrata.
Vedete? Questa goccia?» Nora, Fiona, Nathan e
Julian ascoltavano con curiosità le parole di Ian. «Il
mite cadere di questa goccia. È per natura diverso dal piombare precipitoso
delle gocce di pioggia, esse sono veloci, accelerate, in balìa della gravità e
dei venti; l’ostinato attecchire di questa goccia di rugiada sulla vetrata, la
rallenta.
Il mite cadere di questa goccia somiglia all’atmosfera d’una
stanza familiare.
Un canapè, quattro sedie, ordinatamente disposte intorno ad un
tavolino ellittico che regge un vaso, recipiente un bouquet di alidi fiori che
più non possono appassire.
Su questo tavolino, stanno un libro aperto, simbolo di
saltuarie letture, un archetto di violino in legno pernambuco con il nasetto in
avorio rifinito in madreperla; il suo violino barocco, invece, giace a terra in
attesa del suo violinista. Quattro sedie circondano ordinatamente il tavolino,
i loro cuscini sono impreziositi da trame di tessuto ‘damasco’.
Questi particolari, visti così compiutamente, son ambrati
dall’insolita luce d’un lampadario a forma di candelabro in porcellana custode
di lumi di candele e dal giocondo fulgore che il simbolo dell’intimità familiare
irradia; lo stesso focolare effonde l’inconfondibile profumo della legna arsa.
هالة
Queste fiammelle bruciando realizzano un’aura che spiritualizza
la sostanza reale che si eleva di dignità, d’un attributo di lontananza astrale
benché essa rimanga vividamente presente al bianco chiaro di luna, che
candeggia le calde tinte discrete dei barlumi rossastri del lampadario.»
«Che
cosa vuoi dirci Ian?» Chiese Fiona.
Ian: «In me c’è una quiete che non può conciliarsi con l’euforia del
mondo esterno. Vedete? La violenza con cui la pioggia si schianta? Questa
veemenza irrompendo sulla vetrata, la sommuove. Così lo stabile sostegno che
custodiva la goccia, ora diviene il sisma che la precipita e la infrange.
Nathan. Il sisma di cui leggevi te, Nathan. Lo stesso.
Nora, Fiona, Nathan e Julian dovreste essere più magnanimi tra
di voi. Siate gentili, siate teneri poiché ogni persona sta combattendo una
dura battaglia invisibile agli occhi altrui. Cercate sempre di pensare alla
persona con cui vi state relazionando, quando comunicate con lei, questo giova
molto alla qualità del dialogo, e
rendetevi conto del punto di vista dell’altro prima di discutere con
lui, e novantanove volte su cento finirete con l’essere in buoni rapporti con
lui.
Riflettete sui significati della voce: ‘I care’. Alle volte
basta un gentile riconoscimento delle frasi sconnesse e violente che subiamo,
alle volte basta tendere una mano perché si rassereni il tono violento del
procedere d’un dialogo. Isoliamo ed accantoniamo la parte violenta, rispondiamo
nel merito di ciò che esiste di benevolo e fruttuoso nella parola del prossimo.
Il riconoscimento positivo degli argomenti, anche quando sono espressi in modo
scomposto, questo è il compito, il merito ed il valore della creatività nella
retorica. Inoltre. Talvolta non riconosciamo questa latente prospettiva quando
parliamo degli altri e lasciamo intendere alle altre persone di parlare in nome
loro.
Queste parole, talvolta
le più grevi e sconnesse, in verità le riferiamo inconsciamente a noi stessi.
Julian, dicesti che le disposizioni del carattere sono presenti in ciascun
singolo in misura dissimile sensibilmente alle contingenze della vita. Sì,
talvolta noi stessi possiamo sentirci colpevoli dei peccati che giudichiamo
appartenere alle altre persone.»
Fiona:«Talvolta le parole sconnesse e violente sono un modo per
richiamare l’attenzione, talvolta le domande pronunciate con rovinosa enfasi,
sono le richieste di coloro che non sono ascoltati, credo che in queste domande
siano celate le questioni più umanamente rilevanti e meritevoli di
considerazione.» 12
Nora: «La sera della vigilia di Natale una bambina si adagiò dinanzi
al presepio. Un velo di variopinti lumi mitigavano il quotidiano viver la
Natività rifrangendosi sulle miriadi di gocce di rugiada iridescenti che
mantenevano fresco il muschio, un tappeto morbido color verde intenso.
Lo sguardo colmo di meraviglia della bambina si rapprese sulle
statuine del presepio, erano terracotte, rappresentazioni carismatiche ed
espressive, accuratamente dipinte e vestite con tessuti. Improvvisamente la
statuina del mendicante cadde. La bambina avvertì questa contingenza come il
fatto più clamoroso e greve a cui lei avesse mai assistito, divenne triste e
pronunciò a gran voce le parole: Questa statuina è caduta, è caduta! Davvero
non lo vedi?. Lei attirò l'attenzione della madre che accorse lesta dalla sua
bambina; quando la madre ridestò l’equilibrio della statuina del mendicante,
mentre rassicurava la bambina sussurrandole che l’accaduto non aveva valore, la
piccola smise di essere irrequieta. Questa bambina vuole forse sussurrarci che
l‘altruismo, e l'attenzione dedicata a coloro che sono caduti sono tra i valori
umani più rilevanti.»13
Ian: «Ricordate, ciascuno di noi ha la responsabilità della
possibilità di porre il limite di tempo alla relazione con il prossimo, non
pronunciate mai le definitive parole ‘è tardi’ con tanta leggerezza di cuore.
Le parole ‘è tardi’ sono divine, ché solo Dio può scandire il
tempo del nostro vivere e del nostro morire. Lo sguardo di ciascuno; materno o
giudice. Paziente, quieto ed accogliente, attende; o fuggevole e selettivo,
abbandona. Vitale, libero e ben disposto; o vuoto, distratto ed impenetrabile.
Vendicativo o comprensivo e conciliante. Sì, gli sguardi scandiscono vicendevolmente
il tempo delle relazioni.
Ian condivise un verso del manoscritto Siddhartha, di Hermann
Hesse. 15»
Julian: «Un caro amico un giorno mi raccontò una vicenda per provare a
comunicarmi che le nostre parole; le parole talvolta non rendono onore alle
indicibili sfumature della realtà:
Un giudice un giorno condannò due uomini ad espiare i loro
misfatti. I due uomini furono condotti in due carceri diversi dove avrebbero
dovuto sopravvivere a tre anni di detenzione scanditi, secondo la sentenza del
giudice, dai medesimi diritti e dai medesimi doveri.
Il primo carcerato rischiò di morire a causa delle quotidiane
percosse subite, dei miserevoli atti omicidi compiuti nei suoi confronti, un
giorno venne urgentemente condotto all’ospedale per essere disintossicato da
una iniezione non letale di veleno non prevista dalla condanna del giudice.
Il secondo carcerato non subì mai ciò che dovette subire il
primo carcerato, furono per lui tre anni di paziente attesa vissuta in un clima
di quiete secondo i precetti dichiarati nella sentenza del giudice.
Al termine dei tre anni di reclusione i due superstiti furono
intervistati, essi furono interrogati con le medesime domande; a queste domande
risposero con le medesime parole. Nessuno divenne mai conscio della palese
disparità difficilmente rimediabile di patimenti che i due carcerati subirono.»
L’icosaedro
Erano tramontate le ore del primo mattino quando i giovani
videro Nora entrare in biblioteca, mentre raggiungeva il tavolino dove stavano
discorrendo. Il suo sguardo era vago ed insicuro; sembrava voler dire.
Finalmente.
Nora recitò i consueti formali saluti di circostanza, sembrava
che parlare con uno dei giovani conoscenti o con l’altro non facesse alcuna
differenza.
Ian chiese a Nora di uscire dalla stanza rassicurandola e
chiedendole di ascoltare attentamente le loro parole. Presto la avrebbe
richiamata.
Ian colse un Icosaedro che teneva nella tasca della camicia. Lo
fece rotare sul tavolo; il dado si fermò. Ian chiese a Iris che era seduta al
suo fianco: «Quali
dei colori del dado puoi vedere restando immobile?» Iris rispose: «Vedo distintamente quattro colori: il bianco, l’ametista,
l’ambra e l’azzurro fiordaliso.» Ian chiese a Julian che era seduto di fronte a lui ciò che
aveva domandato a Nora. Julian rispose: «Vedo distintamente il colore bianco, l’argento e l’oro.»
Nathan allora domandò a Julian: «Quale tra i colori che hai pronunciato ti piace meno?»
Julian rispose: «Il colore bianco.» Nathan disse: «Perché? Julian.» Julian: «È un colore spento, vuoto, inutile e per me è come se nemmeno
esistesse.»Nathan:
«Grazie
Julian.»
Ian aggiunse: «Io vedo i colori celeste, grigio cenere e porpora.»
Ian ripose l’icosaedro nella tasca della sua camicia e chiese a Nora di
entrare.
Ian: «Nora, quali sono i colori del mio dado?»
Nora rispose: «Il
bianco, l’ametista, l’ambra, l’azzurro fiordaliso, il bianco, l’argento, l’oro,
il celeste, il grigio cenere, il porpora. Ian: «Nora, quale colore piace di meno a Julian? E perché?»
Nora: «Il bianco, perché crede che sia spento, vuoto e inutile, il
bianco per Julian è come se non esistesse.»
Ian disse: «Vedete? Il nostro dialogo
ha permesso a Nora di vedere con i nostri occhi.»
Ian colse nuovamente l’icosaedro e lo posò sul tavolo; per un
istante lo osservò, poi disse: «In verità i colori diversi dell’icosaedro sono venti.»
Ian chiese a Nora: «Quanti colori ci hai ricordato?» Nora: «13 colori.»
Ian: «Nora, se fossi rimasta seduta con noi a rivelare i colori
dell’icosaedro, quanti colori avremmo conosciuto di questo icsaedro? Nora:”14 o
15 colori al massimo, credo.»
Ian: «Dunque non avremmo conosciuto tutti e venti i colori del dado,
giusto?»
Tutti annuirono. Riflettete, la verità è un valore raro come un
esemplare di leone nero persiano, è saltuariamente conoscibile.
Ian: «Ora. Immaginate se l’icosaedro fosse Nathan. Siamo giunti ad
ora a queste conclusioni. Il riconoscimento di un unico colore non definisce la
complessità dell’icosaedro, la sua ricchezza qualitativa; Inoltre potete
convenire che il giudizio di Julian: Credo che il bianco sia spento, vuoto e
inutile. Non indica un’intima proprietà oggettiva dell’icosaedro, bensì un
giudizio soggettivo di Julian sull’oggetto. Inoltre le nostre prospettive non
furono sufficienti per conoscere la verità dell’icosaedro.
Dunque discorrendo della prospettiva di Julian a discredito di
Nathan, possiamo concludere che la prospettiva di Julian non è sufficiente per
caratterizzare compiutamente Nathan, le parole di Iris: Nathan, ricordati di
una cosa. C’è almeno una persona che la pensa diversamente. Ne costituiscono la
prova. Il giudizio di Julian è soggettivo e superficiale: Nathan ha onestamente
pronunciato queste parole: Non puoi giudicare nessuno al di là di quanto
conosci di lui; ed è ben poco quel che tu ne conosci. Infine è palese che
Nathan non sia un oggetto; Nathan è un osservatore ed il preminente conoscitore
di se stesso, egli solo conosce tutte le sfumature che lo caratterizzano;
dialogando direttamente con la fonte certamente potremmo accedere alle
sfumature che compongono la sua verità.
Evidentemente non possiamo rivolgerci ad un icosaedro affinché
ci riveli i colori che sono celati ai nostri occhi, tuttavia possiamo ascoltare
il nostro compagno Nathan.
Dunque. Abbiamo pronunciato nomi di colori diversi del dado. Se
la voce dell’immodestia ammanta l’umile voce del rispetto, se sentenziamo che
il colore che percepiamo non esprime solo la qualità d’un lato dell’icosaedro
risultante dalla nostra prospettiva, bensì la totalità dell’icosaedro, ovvero
la Verità; nella misura in cui ciascuno di noi pecca della vanagloria di
affermare di conoscere il tutto, la Verità; ove e quando non può che conoscere
la parte, la propria, personale prospettiva. (Questa attitudine è diveuta
consueta e coercitiva.) Le nostre risposte si negheranno reciprocamente,
saranno in una contraddizione irriconciliabile, giusto?»
Julian e Nora annuirono. Ian: «Ora vi chiedo. Chi tra noi ha ragione?»
Ian attese risposta; nessuno rispose, attendevano con curiosità
le parole di Ian.
«Se
ciascuno di noi scegliesse di imporre la propria prospettiva sulle idee degli
altri credo che presto lasceremmo questa stanza infelici e dispiaciuti per aver
discusso così vivacemente con i nostri amici per la causa idiota dei colori
d’un dado. Potrebbe accadere, sovente si giunge alla guerra a causa di
futilità.
Il paradiso non è una realtà astrale, il paradiso è reale nella
misura in cui si realizzano nel reale gli irenici valori che sorgono dall’idea
che ciascuno di noi ha di esso.»
Nora: «A proposito, miei compagni. Ero ancora un bambina, quando il
mio bisnonno mi consegnò un breve scritto dicendomi:
Piccola Nora, abbi cura di queste mie scritture, sono
importanti; potrebbero esserti utili nei giorni futuri.
Non mi separai mai da questo prezioso lembo di carta; Nora
colse il messaggio; e lo presentò ai compagni con premura. «Vedete?
Il tempo ne ha sfumato l’inchiostro, alcune parole sono inintelligibili, sono
tuttavia impresse nella mia memoria.»
La conciliazione
La parola ‘Dialetheia’
Doppia verità: Una verità,
la cui negazione, è a sua volta vera.
Ad esempio.
Nadia e Noah stanno osservando un dipinto.
L’interpretazione del dipinto è identica in Nadia ed in Noah?
No, poiché l’unità del dipinto si divide rispettivamente nelle due percezioni,
le prospettive di Nadia e di Noah. I sentimenti che l’osservazione del dipinto
desta in Nadia ed in Noah avranno sfumature discordi poiché sono originati da
due soggettivazioni diverse.
Ognuno vede il quadro a proprio modo, la percezione dell’uno non
è la percezione dell’altro. La negazione classica ‘non è’ significa che una
delle percezioni è in contraddizione con l’altra.
Tuttavia le percezioni contraddittorie possono conciliarsi
coesistendo senza interrompere l’unità di questa verità.
Possiamo salvaguardare la felicità e la pace in grazia della
conciliazione di percezioni contraddittorie, una contraddizione che non
presuppone l’annientamento di una delle due soggettivazioni.*
Coloro che agiscono in nome della pace approderanno alle verità
e ne saranno custodi, coloro che intraprendono il percorso verso le verità
saranno sorgenti ed esempi di pace. 17
I compagni ringraziarono vivacemente Nora per il dono delle
parole del suo bisnonno.
* La negazione paraconsistente.
Nora con sorpresa riconobbe che la predizione del suo bisnonno
si era avverata, ringraziò calorosamente i compagni.
Ian ringraziò Nora ed aggiunse: «Ora vi chiedo.
Restando noi immobili ad osservare l’icosaedro inamovibile,
come avremmo potuto sapere senza dialogare vicendevolmente quali fossero i
colori celati ai nostri occhi dal dado?»
Ian ripose il dado sul tavolino. Disse: «Nathan,
Julian, Iris, Nora, quando vi esortai a credere in queste mie parole: Io
conosco quali sono i colori che solo Nora tra noi può vedere. Fidatevi.
Voi dalle mie parole comprendeste che i colori dell’icosaedro
che Nora vide erano celati ai miei occhi.
Nonostante questo vi fidaste di me, e domandaste a me, non
(Talvolta mai!) a Nora di rivelare i colori dell’icosaedro.
Dunque io con un tono consapevole vi dissi: I colori
dell’icosaedro sono l’acquamarina, l’amaranto e l’ametista. Voi credeste
fermamente alle mie parole. È una
possibilità.»
Nora, basita ammutolì.
Ian: «Immaginiamo: Nora ora è confusa, non può negare l’evidenza
poiché i veri colori dell’icosaedro che solo lei può vedere sono l’argento, il
ciano ed il color azalea. Nora è consapevole che io vi stia mentendo e con le
proprie parole timidamente argomenta i motivi secondo cui ciò che ho divulgato
sia falso. Tuttavia le mie argomentazioni furono ai vostri occhi più valide ed
infine accoglieste come veritiere le mie supposizioni. Ma sappiate questo. Il
fatto è che ciò che accoglieste non fu la verità che avreste potuto conoscere
solo interrogando ed ascoltando Nora, bensì la mia affermazione insincera
rivolta a screditare la veritiera prospettiva di una nostra compagna.»
Nathan interruppe Ian: «Siamo la generazione che perse il cielo conquistandolo. Abbiamo
imparato la presunzione di sapere e di conoscere le verità che riguardano gli
altri e nemmeno ne parliamo con loro per accertarci della correttezza delle
nostre supposizioni. Siamo certi di agire correttamente, siamo certi di agire
per il bene degli altri. In verità esistono realtà che non sappiamo di non
sapere.»
Nora: « Inoltre abbiamo assimilato il timore di domandare.»
Iris: «Perché, Nathan, secondo te?»
Nathan: «Il domandare presuppone l’ostentazione della nostra
inettitudine ed ignoranza.»
Forse abbiamo timore dell’incertezza, dell’assenza di risposte,
d’essere colti impreparati.
Perché questi tempi, rovinosamente celeri e solerti, ci dicono
che dobbiamo sempre sapere, il tempo ci impone la paura della ghigliottina che
ci sussurra che se non sappiamo rispondere all’istante allora veniamo con
indicibili velocità denotati impreparati, indecisi, insicuri ed inconsapevoli e
dunque veniamo ricusati, e rinnegati nel peggiore dei casi.
Ma il danno può non essere il fatto di non avere le risposte.
Il danno è certamente che abbiamo rinunciato ad attenderci. Ci doniamo poche possibilità
per essere preparati. Per dimostrare di bastare.»
Ian: «Abbiamo perduto l’umiltà paziente d’ascoltarci.
Se solo comprendessimo che ciascuno di noi possiede il
meraviglioso potere, connotato di delicate responsabilità, di rallentare il
tempo della vita di relazione. Vi esorto a riconoscere ed a riqualificare il
valore di questo simbolo.» Ian segnò su un foglio il simbolo :
;
I metronomi dell’amistà
Nathan intravvise dietro una tralucente vetrina d’uno scaffale
della biblioteca in antico metronomo meccanico ‘Maezel’ in pregiato legno
d’ebano, dopo aver concordato con il libraio di poterlo utilizzare, lo posò sul
tavolo ed iniziò a parlare:
Immaginiamo che questo oggetto possa rappresentare la vita
delle relazioni.
Nora domandò con curiosità: «In qual modo, Nathan?»
Nathan: «Il metronomo è un oscillatore armonico, è simbolo dell’ordine
del tempo. Il pendolo capovolto è provvisto di un’asta graduata, vincolata ad
un centro d’oscillazione, e di un peso, congiunto all’asta che nominiamo lente,
può traslare lungo la sua lunghezza.
Il meccanismo del metronomo si fonda sulla legge
dell’oscillazione del pendolo. La frequenza delle pulsazioni del metronomo
dipende dalla posizione della ‘lente’, la frequenza dei battiti aumenta nella
misura in cui la lente si avvicina al punto di centro d’oscillazione.
Immaginate che la relazione tra due persone possa tramontare
nell’istante in cui il metronomo che la scandisce rintocca il suo ultimo
tintinnio; due variabili possono
intercedere in questa contingenza. Il numero dei rintocchi che precedono
l’ultimo suono del metronomo e la frequenza dei rintocchi.
Le lealtà silenziose, le leggi dell’infanzia che dormono in
noi, i taciti accordi perlopiù stipulati con noi stessi, la consonanza di
sentimenti, l’ eufonia delle volontà, la simpatia, l’empatia e l’unipatia, le
promesse che sinceri asseriamo con una seconda anima, a cui teniamo fede.
L’indulgenza, la disponibilità a perdonare ed il dono di nuove possibilità
concorrono ad accrescere il numero di rintocchi antecedenti l’ultimo battito.
Le attitudini
partecipano a definire la posizione della lente lungo l’asta: Parole impietose,
grevi ed immobili, indifferenze, diffidenze, noncuranze, preclusioni, violenze,
silenzi comminati e trascurati avvicinano la lente al centro d’oscillazione.
Parole ponderate e buone, la consapevole e responsabile
iniziativa di vegliare, custodire e d’aver cura allontanano la lente dal centro
d’oscillazione, moderando la frequenza dei rintocchi ed estendendo il tempo di
vita della relazione.»
Iris: «Il cuore è il metronomo dell’amistà.»
Julian: «Hai ragione, comprendo e credo in ciò che stai dicendo, Nathan.
Dopotutto. . . »
Nathan recise sul nascere l’intervento di Julian: «Che
diritto hai te di parlare Julian?»
Iris: «Nathan, per favore, permetti a Julian di parlare, Julian sta
provando ad andare oltre a ciò che è accaduto ieri, sembra voler fare ammenda,
ascoltalo, te ne prego.»
Nathan annuì e con un gesto di riguardo suggerì a Julian
d’averlo perdonato e di volerlo ascoltare.
Julian: «La società di oggi insegna ancora ad essere homo homini lupus. »
Fiona: «Il prossimo deve delle risposte, il prossimo deve adempiere ad
alcuni requisiti minimi per essere accolto, altrimenti noi sentenziamo con
leggerezza: ‘Il prossimo!’»
Julian: «Vi diranno. Se non sai otterrai un giudizio negativo e perderai
il tuo futuro. Tuttavia, intanto, questa retorica sta asfissiando il nostro
presente. 16
Nathan, devi sapere una cosa, in verità ho scritto un libro,
tuttavia non lo ho mai pubblicato.
«Colsi la copia del manoscritto che donai a queste persone in
cui riposi la mia fiducia. La mia fiducia fu elusa.
‘Non sarai mai uno scrittore, non si diviene scrittori da un
giorno all’altro, dovresti avere almeno una laurea in letteratura, non è così
semplice, non sei nessuno.’
‘Abbi la premura di non ledere la sensibilità dei tuoi
lettori.’
‘A mio avviso queste tue parole non sono dissimili ai primi
puerili vagiti d’un pargolo innocente, ingenuo ed inconsapevole di non aver il
diritto di pronunciarsi in merito a realtà sì delicate. Le persone non
dedicheranno il loro tempo alle tue inezie. Non sarai compreso.Non sarai
ascoltato.’
‘Il tuo saggio è florido di parole oneste, di simboli della
perfetta coerenza umana.
Tuttavia giungerà il giorno in cui la tua celestialità decadrà
dinnanzi a coloro che infine proveranno le tue grevi ed evidenti incoerenze.‘
Dissero.
La persona più severa, colse un fiammifero, lo avvivò. Dinnanzi
a me arse le pagine vergate pronunciando queste parole: ‘L’incandescenza di
queste fiamme e la cenere che lenta e silenziosa decade esprimono la misura
rivelatrice della fiducia che ripongo in te ed in ciò che hai scritto. ‘
Infine rinunciai a condividere i frutti del privilegio della
scrittura, del mio paziente pensare, mi arresi all’ineludibile pensiero delle
conseguenze dell’atto della pubblicazione. Ne siamo consapevoli; il nostro
pensiero vira le sue tonalità al costante intercedere dei secondi: Ebbi timore
del gradiente delle infinite idee che i miei scritti avrebbero potuto
originare.
Tuttavia, ora comprendo che quelle parole avevano origine da
una logica dell’esclusione e da una pretenziosa e fuorviante idea di
eccellenza.»
Iris: «Ci sono due modi di scrivere, di parlare, di ascoltare e
di leggere. Con la mente e con il cuore.
Inoltre quando si legge un manoscritto sarebbe bene vedere
altresì oltre la storia dell'autore, in grazia di questa astrazione si
coglierebbero dei medesimi orizzonti, inverati nelle effigi della china sulla
carta, le loro inconsuete sfumature, i loro desueti e puri valori latenti.
Meravigliose personalità, scrittori eleganti, studenti e
pensatori eccelsi, artisti illuminati, lavoratori umili ed onesti che
sacrificano la loro vitalità creativa in nome di ciò che odono dalle altre
persone ed a causa del timore di ciò che se ne dirà. Julian, non privare coloro
che potrebbero riconoscere la tenue favilla d’un timido valore nei tuoi
manoscritti poiché ritieni che vi sia la possibilità di non poter incontrare
questi gentili lettori.
Il talento è perseverare, definire nel tempo della vita le
sfumature della sfera della propria identità, specialmente ove e quando le
ineluttabili condizioni sono avverse. Te ne prego. Julian. Sei ancora in
tempo.»
Ian: «Semplicemente immaginate se ciascuno di noi dovesse
trascrivere un manoscritto. Ne avremmo, come Julian, le facoltà; allora quante
pagine desterebbero le imminenti ed attempate memorie ora sommerse nei meandri
di animi umilmente taciturni. È una verità. Tuttavia talvolta scegliamo di non
scrivere, di non parlare, questi fatti, d’altra parte non significano che non
sappiamo vedere, non significa che non sappiamo credere, non significa che non
sappiamo ascoltare, non significa che non sappiamo comprendere. Oso assumere
che talvolta la scelta di non esprimersi abbia luogo a causa di legittime
problematicità oppure in nome del rispetto e della cordiale e comprensiva bontà
che dedichiamo al prossimo nella fede di veder il prossimo adottare la medesima
attitudine nei nostri confronti. »
Dunque Ian aggiunse con tono enigmatico:
«Un giorno, lungo un livido e spazioso corridoio d’un ospedale
intravvidi una lastra di metallo, sulla quale erano incise le parole:
“Quando l’apparenza non inganna.”
Non dissimuliamo perentoriamente le evidenze a cui talvolta
assistiamo; non crediamo d’esser noi stessi ed il prossimo ciechi e sordi
dinanzi alle evidenze.»
Nathan disse pensieroso: «Non sarai compreso. Dissero. . .
Julian.»
Julian: «Nathan, a cosa
vuoi alludere?»
Nathan: «Stavo pensando
al mimetismo dei manoscritti.»
Julian: «Nathan, non ti
capisco. . .»
Nathan: «Uno scrittore conferisce alle parole del manoscritto
autografo soggetti contestuali definiti, discendenti dai pensieri dell’autore.
Tuttavia è probabile che i lettori, in misura della loro
naturale disposizione alla fantasia o all’evidenza, leggendo ed interpretando
queste medesime parole, vi attribuiscano soggetti contestuali, sfumature di
senso e di valore dissimili rispetto allo spirito, alle riflessioni,
all’immaginazione che hanno originato queste espressioni.
Sì i lettori rispondono soggettivamente, in grazia dei loro
ricordi e delle loro consapevolezze alla domanda: in merito a cosa ha scritto?
Nell’eventualità del fraintendimento risiede l’azzardo, la cecità, il paradosso
' letterario ' del ‘gatto di Schrödinger’ che appartengono alla scrittura
dedicata.
Le arti del canto, della danza, della musica, della
letteratura. . . annoverano altresì la gestione dello spirito creativo del
sentimento che plasma curiose relazioni di contesti simbolici liberamente
interpretabili. Queste arti non contemplano l’astrazione dal sentimento, la
disciplinata esattezza e la determinatezza gnoseologica e attuativa
dell’attitudine all’apprendimento puramente mnemonico, delle scienze mediche,
matematiche, ingegneristiche e
legislative, esecutive e giudiziarie in ottemperanza della funzione "giudicante"
e della funzione "requirente" affinché siano attribuite giustamente,
equamente e disinteressatamente le responsabilità civili e penali.
14
Uno scrittore potrebbe mai essere sì lucidamente razionale,
incontestabile, inconfutabile da determinare in grazia delle sue parole la
coincidenza dei destini delle parole, dei pensieri, dei sentimenti che sono ora
scolpiti sulla carta e che saranno intesi dai futuri lettori?
Credo che questo illustre esito, i manoscritti sorti da esso,
l’attitudine alla lettura, ed alla disposizione dell’immaginazione, non
fantasiosa, bensì inerente alle parole lette, siano analogamente alla memoria,
elementi cardinali del ponte della contemporaneità tra i tempi passati ed il
tempo presente.»
Nora: «Sai. Julian. Ho gioiosamente dedicato del tempo alla
paziente e attenta lettura del manoscritto che mi donasti alcuni anni or sono.
Sono onesta, le tue fiabe possiedono una luce incantata. La scrittura non è una
passione frivola. Julian le tue fiabe potrebbero un giorno luminare di speranza
i sogni dei bimbi che talvolta potrebbero, nel buio e nel silenzio, cullarsi
dell’immaginazione che doneresti loro. »
Fiona: «L’incoerenza oggettiva può non essere necessariamente
un disvalore, essa può essere l’immagine di un cambiamento coerente con una
soggettiva crescita latente. Il fatto di pronunciare e di giustificare il senso
delle nostre scelte, contribuisce a disvelare il valore dell’incoerenza
oggettiva. »
Ian: «Julian. La scrittura è una passione che annovera la
solitudine. Le scelte d’una vocazione, d’un vitale lavoro, ogni nostra scelta è
dimidiata. (Questa è la medesima qualità che caratterizza la parola. Nota
numero 12.
Dialetheia) Scegliendo una posizione mancheremo dove e quando abbiamo ricusato.
»
“Ogni scelta ha un suo
rovescio, ovvero una rinuncia, e così non c’è differenza tra l’atto di
scegliere e l’atto di rinunciare.”
Italo Calvino
Ora, Nathan rivolgendosi a Julian, disse: «Perché
Julian? È un peccato, lo avrei letto volentieri; ora conosci i mio pensiero, al
di là di ogni logica dell’esclusione io ritengo che la scrittura sia l’atto del
meditato consiglio; sai, Julian, i consigli sono una forma di nostalgia. Colui
che pronuncia consigli rivela alle altre persone le proprie personali
consapevolezze avendole in origine accuratamente ordinate in grazia di
relazioni che infondono senso e significato ad un passato che altrimenti
sarebbe rimasto nel dimenticatoio.
Con queste mie parole, Julian, ho provato a dimostrarti che,
nonostante io sia cauto nell’accettare a priori ed acriticamente consiglio,
sono incline ad accoglierlo, sono propenso a non ostacolare coloro che si
propongono di dispensarlo.»
Julian ringraziò Nathan.
Ian: «Pretendiamo di scorgere a priori la scintilla della garanzia o
il luccichio del guadagno immediato, ove non scorgiamo queste luci,
abbandoniamo. Dio solo saprà, in verità quanto avremo abbandonato. Noi,
certamente, non lo sapremo.
Lo spirito vitale del credo, della fiducia e della paziente
curiosità: Il pensiero che ciò che ora è invisibile e latente presto si
rivelerà nelle sue più maestose qualità, consente di vedere.
Poiché crediamo, vedremo.
Tuttavia ci ostiniamo a non credere, a diffidare delle realtà
ialine. Non perdiamo la fede in ciò che ora non sappiamo riconoscere, o non
possiamo vedere.»
Fiona: «Perdonami. Non è possibile vedere ciò che non è
visibile.»
Ian: «Fiona, non posso che riconoscere la correttezza di questa
tua parziale verità, tuttavia io credo che la vista non sia la sola facoltà che
abilita l’uomo alla consapevolezza delle contingenze che incontriamo. »
Fiona: «Ian, non ti capisco. »
Ian: «Julian è uno scrittore, credo che egli tra noi sia colui
che comprenderà, in grazia della sua naturale disposizione alla scrittura, la
chiave di lettura di queste parole:
Ora noi tutti ci troviamo in questa biblioteca.
Rapprendete il vostro sguardo su alcuni tra gli oggetti che
sono situati in questo luogo; vi prego di descrivere ai vostri conoscenti ciò
che di questi oggetti riuscite a cogliere. »
Essi descrissero dettagliatamente le apparenze di alcuni
oggetti:
Iris descrisse il prezioso lampadario della sala di lettura,
Nathan colse il metronomo che precedentemente il libraio aveva loro consegnato
con cortesia, Fiona concentrò l’attenzione sulla marmorea lastra ove erano
incise le parole: ‘VOLO UT SIS’, Julian non presentò alcun oggetto, tuttavia
mantenne un atteggiamento di stupore nel mentre di questa insolita vicenda. I
giovani notarono che talvolta Julian sottraeva loro la sua attenzione per
rivolgerla ai manoscritti abbandonati della biblioteca.
Ian: «Vedete. Le apparenze di questi oggetti che voi avete
accuratamente descritto esprimono compiutamente ciò che voi vedete, tuttavia le
contingenze che avete visto le avete accolte come realtà piovute dal cielo.
Realtà dovute e date che voi stessi assumete aprioristicamente in nome di un
vostro arbitrario giudizio di necessità. In grazia di questa consapevolezza
dovremmo rispettare le altre persone e noi stessi riconoscendo la dignità delle
opere quotidiane. Mi sorprende il fatto che nessuno di voi abbia scelto di descrivere
le qualità di uno dei manoscritti che sono qui esposti. Ora mi avete compreso,
i manoscritti sono un adeguato esempio di ciò che vorrei esprimere. »
Ian dunque si rivolse a Juian: «Julian il tuo libro potrebbe un
giorno apparire tra i libri di questa biblioteca. Credo che lo meriteresti. Il
verbo meritare è la chiave di lettura del concetto che sto esplorando in vostra
compagnia. Se solo avessimo la volontà di veder oltre l’oggettività della
superficialità riconoscendo le latenti ed intime verità delle realtà che
incontriamo. Ad esempio di questi abbandonati manoscritti potremmo riconoscere
le avversità, il coraggio, l’alone di speranza, l’aura di resilienza, le cure,
che hanno condotto questi scrittori a tracciare su tali bianche pagine queste eredità,
forse guarderemmo con meno sufficienza la contingenza di queste realtà.
Forse, in grazia d’uno spirito di riconoscimento e di
gratitudine, saremmo orientati ad incontrare queste realtà al fine di
comprendere il senso; la volontà consigliera che ha condotto questi uomini a
segnare in questi volumi alcune parole, non altre.»
Nora: «La sinonimia delle parole ‘volume’ e ‘libro’ è curiosa:
Sì. Un libro è lo scrigno custode di commendevoli parole. Significa che queste
parole trovano un luogo sicuro e stabile in questa realtà in cui le parole
libere hanno vita breve poiché sono esposte alle correnti avverse come una
lacrima di rugiada che i fendenti delle brezze invernali precipitano nel
tumultuoso fiume, ed in esso questa goccia disperde la sua forma ed il suo
significato originali, abbandonandosi al caotico quotidiano fluire del tempo.»
Nathan d’un tratto intervenne: «Ian. Il tuo propositivo tono di
voce mi sussurra che non sei ancora giunto al nocciolo della questione che
abbiamo vagliato. Dunque ti chiedo. Perché, secondo te è importante riconoscere
ciò che è invisibile?»
Ian: « Iris ci consigliò che le persone sono assimilabili ai
manoscritti. Il fatto di vedere esclusivamente l’apparenza può decadere nel
pre-giudizio, l’attitudine che sottrae la possibilità di conoscere ciò che è
latente ed altresì nondimeno reale ed esistente.
Fiona: « Sì. Le parole custodite nelle pagine di questi
preziosi manoscritti costituiscono la ragion d’essere di queste opere
letterarie, la qualità estetica della copertina allude indicativamente alla
latente trama. Non sacrifichiamo le realtà custodite alla superficie delle
reltà custodi. Talvolta una familiare foglia verde smeraldo può custodire e
velare al nostro elusivo sguardo una giadeite. »
Iris: « La povertà è altresì la cecità dinnanzi alle ingenti
esclusività latenti della realtà.
Il nostro spirito, ridestato dai valori dell’accoglienza, dalla
fiducia, dall’umiltà e dalla curiosità, ci condurrà a dischiudere i manoscritti
ancestrali per sfogliarne le pagine.
Similmente, in grazia di educate preghiere, giungeremo ad
ascoltare le pagine inedite del libro dei tempi; le parole che raccontano le
esperienze di coloro che condividono il nostro presente percorso di vita.
Si può pensare che non si debba riscrivere la storia perché la
storia perfetta è già stata scritta, è intoccabile e può essere solo letta.
Certo, questa storia è fondamentale conoscerla approfonditamente.
Tuttavia è parimenti necessario riconoscere d’esserne parte
attiva. È importante riconoscere il nostro privilegio di esserne i presenti
responsabili scrittori creativi.
Ciascuna persona nella quotidianità è insegnante poiché la
scelta che egli rivela durante ciascun istante del suo vivere è immagine
d’esempio per coloro che vi assistono.»
Ian trascrisse ordianatamente sul suo diario alcune riflessioni
personali in merito alla tematica dell'ereditarietà delle memorie, egli
iniziò a leggere:
«L’eredità che
ciascuna creatura dona è il tempo dedicato ed altruistico della sua vita.
Ciascuna creatura può realizzare la propria atipica ed
immensurabile eredità in solitudine, tuttavia essa si disvela alle altre
creature nei momenti dell’incontro reale e negli istanti della reminiscenza:
Il valore dell’incontro, di questa eredità è il riflesso della
qualità delle floride memorie che le creature infondono vicendevolmente. Sì
miriadi di sfere spirituali, contemporaneamente intessendo i loro gradienti di
luce, possono avvivarsi o divenire fievoli. Sì miriadi di sfere logico –
razionali, simultaneamente confutandosi o accogliendosi, delineano i confini di
ciascun individuale pensiero.
Nel tempo dell’incontro, nell’irenica attitudine al bene,
proiettiamo in coloro che ci ascoltano le nostre amorevoli intuizioni, le
nostre speranze rivolte alla solidarietà, alla fiducia ed al desiderio di
felicità per altri sul piano della solidarietà.
Oppure in essi proiettiamo i nostri funesti egoismi, le voci e
le attitudini sconnesse della banale cecità che talvolta risorge dal nostro
male. In questa bianca, allucinante cecità, riconosciamo il valore dell’Umile
consapevolezza di non poter presentarci dinnanzi a coloro che ci sono vicini,
vuoti ed immemori della vitalità, dell’empatia, del rispetto (D'altronde il
rispetto può divenire un disvalore se degenera nell'armosfera rarefatta dell'
apatia e dell'evasività.) e delle qualità umane utili ad essere noi stessi un
valore, un dono che rivitalizza le persone che ci sono accanto, non divenendo
per esse un danno.
"I vuoti di oblio non esistono. Nessuna cosa umana può
essere cancellata completamente e al mondo c'è troppa gente perché certi fatti
non si risappiano: qualcuno resterà sempre in vita per raccontare. E perciò
nulla può mai essere «praticamente inutile,» almeno non a lunga scadenza."
Hannah Arendt
La dinamica armonia del tempo dedicato. Dedicare tempo ad una
contingenza, significa trascurare il medesimo tempo ad una dissimile
contingenza contemporanea.
Il buonsenso dell’attitudine conciliante che si rivela nella
misura in cui giudichiamo le scelte definitive e risolutive o transitorie ed
emendabili.
La misura della serietà, della chiarezza e dell’onestà dei
nostri propositi. Delicati equilibri orientano la qualità delle memorie che
doniamo.»
Nathan propose ai suoi conoscenti una introduzione sul fenomeno
fisico dell’iridescenza. 18
Egli metaforicamente accostò questo concetto all’assunto
dell’onerosità della memoria, ovvero della maggiore o minore gravosità
dell'onere del ricordo e del pensiero.
Nathan: « Immaginate che la sfera di cristallo sia immagine
della nostra anima custode della memoria, della coscienza, del pensiero e
dell’emotività, dell’affettività, e del sentimento. Immaginate che il sole, la
fonte di luce bianca sia la realtà che quotidianamente viviamo e stabilizziamo
nella nostra memoria. Immaginate che le onde luminose multicolore siano
immagini dei nostri variopinti ricordi; ciascun ricordo possiede
caratteristiche tonalità e sfumature. È naturale pensare che l’unione di
ricordi vicendevolmente dissonanti si risolvano nell’armonico e ordinato sentimento
della diafaneità. Ad esempio è evidente che i ricordi felici compensino i
ricordi infelici. È similmente concepibile che l’unione di ricordi consonanti
gravi, talvolta in misura eccedente, sull’intensità del sentimento naturalmente
coerente con il tenore di questi ricordi e sulle attitudini che ne conseguono.
Una coscienza si tinge dei colori dei ricordi come una sfera di cristallo
assume i colori dell’iride.
Sì la sfera della nostra anima è istoriata dell’iridescenza
delle memorie.
Tuttavia io credo che la misura dell’onerosità dei ricordi non
sia una necessità che subiamo. È irrefutabile che non ci è consentito di avere
alcun dominio sulle caratteristiche cromatiche di una sfera di cristallo, o di
una leggiadra e fuggevole sfera di acqua saponata che stiamo osservando. Non
possiamo che subire passivamente le gioconde nuance d’iride che di esse
avvertiamo.
Diversamente la qualità e l’onerosità delle memorie sono misure
che possiamo attribuire altresì soggettivamente.
Fiona: «Un ricordo a cui una persona attribuisce valore può
essere un disvalore agli occhi di una seconda persona.
Una memoria che una persona riconosce essere lieve può essere
giudicata greve da una seconda persona.»
Nathan: «Se I’iridescenza dei ricordi dovesse gravare in modo
eccedente su noi, potremmo pensare a questo esempio, potrei nominarlo
‘l’esempio dei ricordi lievi’-
ll disegno di geometria
descrittiva e la teoria delle ombre ammette; nell’ipotesi in cui due ombre,
originate da due fonti di luce convergenti e da due solidi dissimili,
collimino; che il contrasto e l‘opacità della superficie di coincidenza delle
ombre siano identici, non maggiori della traslucenza delle ombre originarie.»
Iris: «Io credo che i ricordi abbiano naturalmente un valore,
il nostro privilegio e la nostra responsabilità risiedono nel valore, nelle
sfumature che vi conferiamo. La nostra responsabilità consiste nella delicata
moderazione del valore e della gravosità che dedichiamo a ciascun nostro
ricordo. Potremmo trascurare e dimenticare con leggerezza un ricordo in verità
per noi fondamentale. Potremmo giudicare un ricordo greve in modo eccedente e
definitivo, questo ricordo potrebbe ristagnare. Ne parlasti te, Ian. Dicesti
che se non riusciamo a rimettere in moto questi ricordi, riaffiorando ci
trascinano nel nostro profondo.»
Ian: «La nostra responsabilità consiste inoltre nel buonsenso
di realizzare una attitudine coerente con il contesto reale imminente.
Non dimentichiamo che la ‘mappa’ suggestiona il ‘territorio’ e
che il ‘territorio’ condiziona la ‘mappa’. 20
I nostri ricordi, ‘il nostro pensiero e la moderazione del
valore e della gravosità che dedichiamo ai ricordi’ e la realtà presente, sono
relazionati vicendevolmente ed esiste tra loro una reciproca suggestione. In
grazia di questa abilità, di questo buonsenso potremmo divenire ulteriormente
consapevoli e protagonisti delle nostre quotidiane attitudini e dunque delle
memorie che doniamo. L’immaginazione, il sentimento, l’intuito sono le abilità
umane innate che ammettono un nostro vitale privilegio: L’immedesimazione. La
virtù dell’immedesimazione è dunque garante della nostra possibilità di vedere
oltre e di attribuire valore a ciò che non ci è dato di vedere. Sì la normalità, la povertà, la semplicità,
l’essenzialità delle realtà più lievi ed educate possono essere riconosciute in
nome del rispetto che l’archetipo dell’umiltà merita. Sì le attitudini
sconnesse possono essere ricondotte all’archetipo della preghiera dell’ascolto.
»
Nora: «Somigliamo alle relazioni che instauriamo con coloro che
ci sono accanto.»
Lei condivise con i suoi conoscenti una esperienza che la
entusiasmò.
κρυστάλλινη
πόλη
La leggenda della città
cristallina.
Nora: «Durante un mite inverno della mia infanzia ebbi il
privilegio di recarmi nella città dell’amore e della raffinatezza, Parigi, dove
mi fu donata la possibilità di assistere ad una memorabile esibizione teatrale
che ebbe luogo all’Opéra Garnier. Questo luogo solenne, durante la serena e
tetra notte della mia avventura a Parigi, ospitava 1900 persone; essi erano
emozionati e fiduciosi dinnanzi al tenue affievolirsi delle luci, il preludio
che annunciava l’esordio della compagnia teatrale ‘Cristalli di anime’.
Il titolo della recita fu ‘κρυστάλλινη πόλη και τέσσερις
διάβολοι’. L’esibizione teatrale fu la
rappresentazione dell’omonimo racconto fiabesco di cui i ‘Cristalli di anime’
furono autori.
Questa esperienza immaginaria fu ambientata nel paese angelico
‘κρυστάλλινη
πόλη’. Questo luogo cristallino ed incantato
fu un ambiente arido. L’unica sorgente pubblica di acqua della città dei
cristalli era il ninfeo custode della ‘fontana dei savi’ che fu realizzata in
quarzo ialino dai savi maestri vetrai. La pubblica linfa ialina custodita dalla
‘fontana dei savi’ divenne gradualmente una proprietà privata di coloro che,
capitalizzando questo bene, lo isolavano dalla circolazione. Rare persone
benestanti incrementarono le loro ricchezze mentre i numerosi umili aggravarono
la loro miseria.
La ‘Ialina fontana’ divenne la banca pubblica di ‘κρυστάλλινη
πόλη’ rispettivamente amministrata dai savi
maestri vetrai e dagli ‘angeli’.
Gli ‘angeli’ erano le rare persone che eccellevano nell’arte
del suono dei cristallofoni, alle loro esibizioni si attribuiva il nome di
‘voci degli angeli’.
In questa città furono annoverate due arti tradizionali: l’arte
scultorea di plasmare il cristallo al fine di realizzare rifiniti ed esili
calici e l’arte della ‘musica delle sfere’ che consiste nel suono dei
cristallofoni. L’acqua era preziosa in ‘κρυστάλλινη πόλη’, in grazia di essa, i cittadini potevano attingere il
brillante naturale, abbeverarsi, e dedicarsi alle due tradizionali arti.
L’arte del suono dei cristallofoni era considerata la passione
socialmente più influente; l’arte scultorea fu giudicata umile e povera, veniva
denigrata a mero espediente al fine di garantire la possibilità di suonare i
cristalli.
Quando l’acqua divenne rara, questo elemento assunse
naturalmente la qualità di valuta di ‘κρυστάλλινη πόλη’.
I savi maestri vetrai e gli angeli, essendo i giudici dei
manufatti dei vetrai e delle esibizioni musicali dei musicisti dei cristalli,
elargivano la preziosa rugiada a coloro che si dedicavano alle due arti
tradizionali in misura dipendente dalla validità del loro lavoro. Tuttavia, a
causa del costante diminuire della linfa ialina essi divennero estremamente
severi e selettivi.
In ‘κρυστάλλινη πόλη’ coloro che erano privi di acqua cadevano in miseria, non
potevano più suonare i cristalli, la loro voce non poteva più essere udita,
vennero denigrati con i nomi ‘taciturni’ o ‘dimenticati’.
Il ‘canto’ dei cristallofoni poveri d’acqua era il suono acuto
e malinconico del pianto, questi musicanti erano qualificati dalla virtù del dono,
dell’altruismo e dalla disposizione morale a fare il bene, alla generosità.
Essi furono nominati ‘malinconici’ o ‘prodigi’.
I cristallofoni di coloro che possedevano quantità ingenti
d’acqua emettevano sovente suoni grevi ed insolenti, ad essi fu attribuito il
nome di ‘eminenti avari’.
I conoscenti di Nora ascoltavano meravigliati il suo racconto;
dunque Nora non sospese la sua narrazione e diede loro notizia della tipicità
della recita teatrale che ammirò con commozione.
Il valore che caratterizzò essenzialmente la recita fu la
leggerezza. Una qualità che fu magistralmente raccontata in grazia di questi
elementi: La luce, l’acqua, l’aria, il fuoco ed il cristallo.
Il nome che fu attribuito alla leggenda della città cristallina
fu ‘Θρύλος
των τεσσάρων διαβόλων. La leggenda
dei quattro diavoli.’ *
I dialoghi, i propositi ed i pensieri dei personaggi furono
rappresentati non in grazia della parola, bensì mediante il gesto, l’arte
‘light painting’ e il suono dei calici di cristallo, che sono metaforicamente
simbolo dell’anima di coloro che li suonano e di coloro che realizzano questi
manufatti.
Talvolta, nell’arco della recita un uomo mascherato, avvivò ed
estinse i lumi di un candelabro.
* Il diavolo di
fuoco (Fire whirl), il diavolo della neve (Snow whirl), il diavolo della
polvere (Dust whirl), il diavolo d'acqua (Water whirl) sono rari fenomeni
atmosferici provocati da veementi flussi d’aria che impongono ad un ambiente
uno stato di completo disordine, originando tornado di moderate dimensioni e
costituiti da elementi naturali dissimili.
Il calore e le luminescenze delle fiammelle commemoravano la
magnanimità degli interpreti, esemplificava la lenta e smarrita ascesa del
cereo e livido fumo ne esemplificava le attitudini sconnesse e riprovevoli.
La recita
Atto I
La bambina musicante del
diamante rosso.
Le origini del diavolo del
fuoco.
Una bambina fu la protagonista del primo atto della recita κρυστάλλινη
πόλη και τέσσερις διάβολοι. Era buio.
Intorno a me fu il silenzio. Un improvviso bagliore luminò la leggiadra
immagine di una gracile e timida bambina che indossava una maschera bianca.
Lei dopo aver chinato il capo in qualità di ossequio nei
confronti del pubblico, si sedette dinanzi al proprio cristallofono. Sfiorando
i suoi calici floridi d’acqua poté compiere un aureo concerto polifonico.
Tuttavia, nel mentre della sua esibizione, uno dei suoi calici cadde. Questa
disavventura le fu fatale. La bambina rimase pietrificata al cospetto del
rimprovero di un severo giudice, la cui voce fu rappresentata dal suono greve
ed impetuoso di un cristallofono suonato da un uomo. D’un tratto l’uomo con la
mano sinistra indicò la bambina e successivamente una sfera di cristallo che
sosteneva con la mano destra. Presto egli avrebbe frammentato i sogni della
timida bambina lasciando cadere sui suoi calici colmi d’acqua la sfera di
cristallo.
Il tono del dialogo che ora riconobbi fu l’aggressività,
immagine d’una disarmonia di anime. I frammenti di cristallo ferirono la
bambina, alcune gocce del suo sangue caddero altresì nell’unico calice che le
era rimasto intatto. Nel buio intravidi l’uomo tracciare un segno luminoso nel
vuoto. Presto nel buio apparve ai miei occhi la frase luminescente ‘Non meriti di
suonare! Sarai una ‘dimenticata’!’
Quel giorno testimoniò l’epilogo dei meravigliosi concerti
della timida bambina.
Lei, perdendo la sua celestiale voce, rimase priva d’amore
fraterno. Fu respinta dai suoi vicini cittadini, il suo calice non era ialino come
i calici dei suoi vicini cittadini, divenne color porpora e risuonava con il
delicato tocco del suo indice rosso carminio una melodia monodica e tetra, nel
buio un bambino tracciò un segno luminoso, ora la frase luminescente che
apparve fu: ‘La malinconica bambina, musicante del diamante rosso.’
Presto la timida bambina divenne mendicante d’acqua. L’apatica
atmosfera a cui non aveva mai assistito e che non aveva mai vissuto, la memoria
del sangue che dovette versare ingiustamente sui suoi cristalli, destarono in
lei i sentimenti dell’ira e del rancore. Involontariamente vide se stessa
avvolta da un’aura invisibile che la emarginò.
La speranza è figlia della perseveranza. Il lavoro nobilita. Il
movimento, non la stasi avrebbe ravvivato la speranza e la fiducia che la
timida bambina riponeva in lei ed in ciò che realizzava suonando il
cristallofono.
Nel buio della notte la bambina si avvicinò alla ‘fontana dei
savi’. Il fatto di vedere le ialine stille protette dai cristalli e custodite
nel cuore della fontana, certamente non dissetava la malandata bambina, sì
accresceva la sua sete e ridestava il suo malcontento.
Intanto la bambina ‘malinconica’ si sentì svenire, perse le
forze e la speranza, poté a stento effondere l’ultimo sfavillio della sua vita,
l’ultimo tintinnio del suo diamante rosso.
Accadde in questo momento un miracolo: La bambina intravvide le
ialine stille evaporare. Esausta e disidratata, ora lei cadde e perse
coscienza.
Le parole ‘Il candelabro della vita’ apparvero nel buio
luminescenti.
Un misterioso ragazzo discese dall’alto sul palco dove era
situato un curioso candelabro di cristallo. Quattro candele erano custodite da
quattro sostegni tinti dei colori delle cere: argento, ambra, acquamarina,
bianco tralucente. Il misterioso giovane mascherato spense la fiammella del
sostegno ambrato della lumiera cristallina, l’unico lume del candelabro.
L’ultimo malinconico pianto della musicante del diamante rosso
fu udito da un giovane vetraio che indossava una maschera nera.
Il giovane vetraio le dedicò le sue cure e le realizzò dieci
esemplari unici di calici color cremisi in grazia dei quali la nuova voce della
giovane non sarebbe più stata dimenticata.
I simboli
‘χιόνι
αποτελείται από παγοκρυστάλλους οι οποίοι σχηματίζονται απευθείας από υδρατμούς’
‘La neve consiste di cristalli di ghiaccio formati direttamente
dal vapore acqueo.’ apparvero nel buio luminescenti.
Il diavolo di fuoco, aveva donato la neve alla città dei
cristalli. Il cuore della fontana dei savi si empì di neve.
Sì colei che fu dimenticata divenne una fonte fondamentale di
ricchezza. I cittadini lodavano la timida bambina come una divinità; poiché il
suo spirito era l’unica fonte di calore che poteva sciogliere la neve che lei
stessa aveva creato, i cristalli d’acqua custoditi dal cuore della fontana dei
savi.
Il misterioso giovane mascherato ravvivò la fiammella del
sostegno ambrato della lumiera cristallina.
Atto II
Il mendicante bambino.
Le origini del diavolo dei
cristalli.
Il protagonista del secondo atto fu un bambino ‘malinconico’.
Egli interpretò questa scena iconica che fu musicata da queste melodie
discordi: Il triste e tenue canto monodico del calice del bambino ed il tono
satirico del cristallofono di un cinico e vile interlocutore:
Quando ‘l’eminente avaro’ si imbatté nello sguardo questuante
del giovane, lesto lo congedò con ingrata cortesia asserendo di poter a stento
mantenere la sua famiglia. Egli disse: ’Mi dispiace. I nostri sono tempi di
siccità.’Il giovane si accostò alla serrata finestra dell’abitazione dell’uomo,
che si rivelò essere ingeneroso, ed intravvide all’interno dell’abitazione un
pregiato santuario custodire una artificiale cascata florida di miriadi di
ialine stille.
Il bambino tradito contristò intravvedendo il carezzevole
spirito famigliare fiorente di serenità sui volti degli inquilini. Mentre la
fiammella del sostegno tralucente della lumiera cristallina smise di ardere, il
lume della candela ambrata ancora brillava.
Questa disavventura intrise d’apatia e di nichilismo l’animo del bambino
‘dimenticato’, l’aura d’arida accidia che lo avvolse lo emarginò. Questo fu il
giorno in cui un tornado di polveri cristalline rovinò la città dei cristalli.
Presto il fenomeno che fu nominato ‘diluvio dei cristalli’ avrebbe causato
nuove siccità in ‘κρυστάλλινη πόλη’. Il fenomeno miracoloso della discesa dal cielo dei frammenti
di cristalli si sostituì alle consuete precipitazioni nevose che arricchivano
la città dei cristalli. Egli abbandonandosi alla sua miseria lasciò cadere a
terra la sua ultima proprietà. Un vuoto ed inutile calice di cristallo. Il
cristallo si infranse in frammenti che, ovunque dislocandosi, effusero i mesti
crepiti che furono uditi dalla bambina musicante dei diamanti rossi. Lei lo
abbracciò e gli dedicò le sue cure. L’aura focosa, florida di vitalità, della
bambina riesumò l’arida e vuota aura del bambino ‘dimenticato’; il predestinato
‘diavolo dei cristalli’. Presto il ‘diavolo dei cristalli’ comprese di aver
ereditato la miracolosa responsabilità di essere cagione della polvere bianca
cristallina che ammantò ‘κρυστάλλινη πόλη’. La bambina, il ‘diavolo del fuoco’, in grazia delle sue
abilità naturali aiutò il bambino ‘dimenticato’, il ‘diavolo dei cristalli’, a
forgiare i suoi nuovi calici ed a restaurare la ‘κρυστάλλινη πόλη’. Sì colui che fu dimenticata divenne una fonte fondamentale
di ricchezza. I cittadini lodavano il bambino come una divinità in grazia del
miracolo che aveva compiuto ripristinando la città dei cristalli.
La fiammella della candela argentata del candelabro della vita
arse nuovamente.
Atto III
Gelicidio. Le origini del
diavolo del ghiaccio.
La protagonista del terzo atto fu una giovane vetraia
inesperta. L’artigiano di κρυστάλλινη πόλη, il ‘diavolo dei cristalli’ realizzava quotidianamente con
semplicità decine di calici di incomparabile bellezza e sonorità, egli era
venerato ed avvalorato similmente ad un oracolo. Questa artigiana lottava per
ogni singolo calice che realizzava. Sebbene dedicasse impegno e dedizione al
suo mestiere, poteva per miracolo realizzare due calici adeguatamente sonori
nell’arco d’un giorno. I suoi risultati furono giudicati deludenti. Nessuno
ebbe l’umiltà di suonare i suoi calici imperfetti. Nessuno immaginò i suoi
sentimenti, nessuno mai si immedesimò in ciò che viveva. Nessuno mai si
interessò di cosa realizzava e nessuno si dimostrò volenteroso di essere per
lei esempio dell’arte di plasmare i cristalli in melodiosi calici. Lei dovette
soffrire la disavventura di assistere all’annientamento del suo tempo dedicato,
all’annichilimento della sua identità, alla profonda umiliazione discendente
dai pregiudizi di disvalore, di inconsistenza e di insensatezza che furono
attribuiti alle sue opere. Tuttavia un sogno rasserenava le sue notti: 'Un
celebre musicante di calici compiva un duetto* con un mendicante ‘dimenticato’.
Il crepuscolo insorge e incendia il gelicidio di vitalità abiurando le distanze
dei lumi solari. I lumi della nuova speranza effondono il tetro odio* di calore
e di luce.'
*Duetto: Composizione per due esecutori strumentali, con le due
parti di uguale importanza.
* "L’oscurità non esiste in quanto tale, è un concetto che
noi abbiamo creato per descrivere il nostro sentimento nel momento in cui
esperiamo l’assenza di luce. L’oscurità è naturalmente ed ontologicamente l’assenza
di luce.
La freddezza non esiste in quanto tale, è un concetto che noi
abbiamo creato per descrivere il nostro sentimento nel momento in cui esperiamo
l’assenza di calore. La freddezza è naturalmente ed ontologicamente l’assenza
di calore.
L’odio non esiste in quanto tale, è un concetto che noi abbiamo
creato per descrivere il nostro sentimento nel momento in cui esperiamo
l’assenza di Dio. L’odio è ontologicamente l’assenza di Dio."
Albert Einstein
La piccola artigiana talvolta si dedicava all’arte della
scultura dei cristalli, in verità lei eccelleva in questa arte, le statuine che
realizzava erano meravigliose; tuttavia nessuno credette in lei quando
timidamente espose il suo creato ad una esperta vetraia, colei in cui riponeva
la sua fiducia. Tuttavia lei dovette desistere dinanzi alla inattesa sfiducia
che le fu intimata: ‘Questi ninnoli né ora né mai ti frutteranno. Le ialine
stille non cadono dal cielo dalla notte dei tempi. Devi Meritarle! Sei uno
spreco di tempo e di preziosi cristalli! ’ Lei disse frammentando le statuine
di cristallo ed intimidendo la giovane artigiana. ‘Ora dovrai realizzare con
questi frammenti nuovi calici, mi auguro per te che risultino adeguati se non
vuoi divenire una mendicante ‘dimenticata’. ’
Il diavolo dei cristalli, che aveva ascoltato queste
riprovevoli parole, intervenne a tutela della giovane artigiana:
‘Le cure, la premura e la sollecitudine, non il rimprovero e
l’intimidazione, sovente agevolano ed incoraggiano l’apprendimento e
l’attitudine alla creatività.
Onora l’umile quotidiana prosternazione di quest’anima in fiore
e forse le tue opere avranno il valore di una statuina di questa giovane
artigiana. Le tue funeste parole non rendono onore al tuo prestigio. Gli audaci
sì gradualmente e arduamente quieti ascendono, sì banalmente e stoltamente ‘di
gran carriera’ discendono.’
Gradualmente il cuore della giovane artigiana raggelò. Un
glaciale spirito di tagliente e penetrante disamore la ammantò e la emarginò.
Tuttavia, il momento topico dell’atto terzo della recita che
avvivò di meraviglia il pubblico, fu la rappresentazione teatrale dell’analogia
miracolosa tra il cuore della giovane artigiana e la città dei cristalli:
Contestualmente all’assiderarsi del cuore di lei, si verificò
la nuova, atipica, ed inattesa disavventura del gelicidio. Un sottile velo di
ghiaccio e di galaverna ammantò κρυστάλλινη πόλη.
Presto la donna dal gelido cuor, il diavolo del ghiaccio,
divenne consapevole di aver ereditato la miracolosa responsabilità di essere
cagione del gelicidio.
Lei, in grazia delle sue nuove abilità naturali creò alcune
meravigliose sculture di ghiaccio, che gradualmente il ‘diavolo del fuoco’
scioglieva, divennero nuove naturali fonti di acqua, le nuove banche pubbliche
di κρυστάλλινη
πόλη.
Sì colui che fu dimenticata divenne una fonte fondamentale di
ricchezza.
Ora i lumi del candelabro risplendevano. Arsero nuovamente le
fiammelle della candela bianca e della candela acquamarina del candelabro della
vita.
Atto III
Epilogo
Il custode del ‘candelabro della vita’ si rivelò essere il
‘diavolo dell’acqua’, in grazia della sua aura piovvero miriadi di sante ialine
stille, momentaneamente egli ridestò dalla siccità la città dei cristalli, che
nuovamente ingiunse quando egli perse la sua innata abilità.
Sì il custode del ‘candelabro della vita’ annunciò al ‘diavolo
del fuoco’, al ‘diavolo dei cristalli’ ed al ‘diavolo del ghiaccio’ d’essere i
prescelti, i tre protagonisti, coloro che combattono in prima fila per
assolvere all’onere ed all’onore di esser le fonti di vitalità naturale
dell’universo dei cristalli; in nome della responsabilità di compiere e di
custodire l’equilibrio sociale di κρυστάλλινη πόλη.»
Inaspettatamente Julian si rivolse a Nora: «Nora,
lascerò che tu mi faccia una domanda. Quella che vuoi. Nora prometto di
risponderti senza trovare scuse.»
Nora: «Lo sa qualcun altro?» Julian: «Cosa?» Nora: «Di questo nostro viaggio insieme.» Julian sospese il suo respiro. Il suo silenzio aveva
annichilito ogni nuova possibile iniziativa di dialogo. Nora rimase allibita
per la mancata risposta di Julian; Iris pensò tra sé: «Nora
non vuole sostenere che si sarebbero potuti voler bene di più.»
Con uno sguardo docile, Julian si alzò dalla sedia e disse a
Nora di dover parlare con lei in privato: «Nora. Perché hai voluto andare? Ricordo ancora le parole che
pronunciasti: Mi dispiace, stare senza di me ti farà bene, prendi il tuo tempo.»
一日三秋
Un giorno, tre autunni
«Mi
sei mancata, Nora. Mi sono preoccupato per te. Ti ho sempre ascoltata. Non ti
ho mai trascurata. La condotta rivolta al prossimo è la condotta rivolta a noi
stessi, come stai?»
Nora: «Julian. Volevo di più.” Julian: «È lo hai ottenuto?» Nora: «Ottenni ciò che sognavo, tuttavia per me non fu mai bastevole,
desiderando di trovare altrove, scialacquai le amistà che un tempo avevo
avvalorato.»
Julian: «Vedi?
Tutti meritano di riposare.»
Nora colse dalla tasca della propria borsa un foglio
increspato. Julian si sorprese: «Questa è la lettera che ti donai il giorno del nostro
fidanzamento.
Perché l’hai increspata? Molte parole sono sbiadite.»
‘Io,
tuo sole, bruciando luminerò il tuo volto. Sarai abbracciata dai miei lumi non
appena varcheranno le buie notti dell’universo. E sarai carezzata dei miei lumi
sin quando sceglierai di non celarti all’ombra d’un muro.’
Nora lacrimando pronunciò le parole: «Perdonami,
non lo meritavi.»
Julian e Nora si riconciliarono e raggiunsero i compagni.
Capitolo VI
L’Occhio del tempo
Iris invitando Nora a sedersi le disse: «Sai,
Nora, ieri io, Nathan, Ian e Julian abbiamo iniziato un manufatto con le nostro
foto ricordo. Anche te, Nora ne hai portato alcune?»
Nora annuì. Iris: «Tuttavia se mi consentite,
prima di concludere questo lavoro vorrei condividere con voi alcune
tematiche affinché vi possa essere possibile comprendere il senso ed il motivo
per cui ho scelto, dopo questi anni di separazione, di scrivere le lettere e di
condurvi qui.
Tutto ha fatto sì che le nostre vie si compissero in questa
biblioteca abbandonata, dunque procedo. Vi vorrei rendere partecipi di alcuni
studi di letteratura che in passato furono necessari a tracciare questo schema
logico che accompagnò e strutturò la mia tesi di laurea relativa ad un tema che
mi sta a cuore: ‘Le età del vivere.’ “
Iris, dopo aver pronunciato queste parole colse un foglio dalla
propria borsa e lo posò sul tavolo. «Potreste aiutarmi ad approfondire con le vostre idee questi
appunti?»
Sulla pagina erano stilate con un’elegante calligrafia le
seguenti parole:
Simboli di vita
Linea, circonferenza,
spirale, arena, onda.
La quarta età:
Il valore dell’istante di
vita.
Vedere l’oceano in una
goccia di rugiada.
Anamnèsi, sentimento,
percezione, immaginazione, futuro sogno utopico, sogno onirico, allucinazione.
Variabile prima
L’equilibrio del centro.
Variabile seconda
L’Occhio del tempo.
Nathan, Ian, Julian, Nora e Fiona si rivelarono disponibili,
consapevoli ed illuminanti in grazia delle parole che condivisero.
I simboli della vita
Il primo simbolo della vita
La linea
Il batter d’ali d’una
farfalla.
Iris colse cinque fogli bianchi e vi scrisse la parola ‘Linea’:
«Ricordate
l’esempio dell’icosaedro che ci presentò Ian? Immaginate, ora l’icosaedro, la
verità che andiamo svelando consiste in questo tema: La linea rappresenta la
vita; possiate ora esprimere le vostre prospettive trascrivendo le vostre idee
sul foglio che vi ho consegnato.»
I giovani appuntarono le loro idee e le condivisero vicendevolmente:
Julian: «Il proceder lineare della vita, le tre età: La tenera età. La
verde età, la giovinezza e la terza età, l’anzianità.»’
Nathan: «L’evidenza attesta che la concezione moderna del mondo intima
una visione rettilinea della vita promuovendo una ideologia del terrore fondata
sulla memoria indotta della morte nella sua accezione di decadenza del tempo
lineare.
Tuttavia, un libro della Bibbia, il Cantico dei Cantici
testimonia che l’Amore sa vegliare ed attendere. Un’attesa che si compie nel
dono di possibilità sempre nuove, nella graduale e crescente attitudine ad
ascoltare.»
Nora: «La vita è una questione di direzioni: Ogni decisione è una
scelta a favore di una realtà, a danno di
realtà infrante.»
L’Universo delle relazioni
umane è le entità ombra
Ian: «L’interpretazione a molti mondi.»
I compagni di Ian si voltarono verso di lui con perplessità.
Ian: «Durante gli anni in cui imparavo la fisica, incorsi in questo
pensiero concepito da Hugh Everett e consolidato da David Deutsch secondo cui
ogni evento è un punto di diramazione per l’intero universo, le realtà
conseguenti le diramazioni, le realtà parallele sono ugualmente reali e non
restano reciprocamente separate del tutto, ma possono interagire tra loro
mediante connessioni qualitativamente diverse.
Tuttavia un osservatore vede realizzarsi solo una delle due
alternative perché fa egli stesso parte di uno dei due possibili ‘stadi’ o
‘livelli’ dell’intero Universo.
Non si può più assumere l’esistenza di una natura senza un
osservatore che attivamente ne riconosca l’esistenza. »
“Le leggi della natura non hanno a che fare con le particelle
elementari, ma con la conoscenza che si possiede su tali particelle, quindi in
definitiva col contenuto della nostra mente.”
Werner Heisenberg, Philosophical Problems
of Quantum physics.
Fiona: «Ricordi, Nathan? Mi parlasti di questo quando alludesti al
barlume del sole che appare inesistente allo sguardo che vede la notte, le
stelle e il biancore della luna.
Parlasti dell’iridescenza d’un arcobaleno che appare
inesistente al viandante del deserto.
Parlasti della via lattea, dicendomi che l’opalescenza del
fiume di stelle non esiste per le generazioni luminate dai bagliori
artificiali.»
Ian ringraziò Fiona per le preziose parole che aveva condiviso
e parlò ai compagni d’un curioso esperimento effettuato dal fisico David
Deutsch e di curiose entità invisibili che lo studioso nominò ‘Entità ombra’. 19
«Nell’
universo delle relazioni umane l’anamnèsi
ovvero le memorie, i ricordi potrebbero essere le entità ombra che ci
relazionano, fin dall’istante in cui ci separiamo, nei momenti della nostra
vicendevole lontananza.»
Iris: «Dopotutto, non siamo inoltre influenzati dalle memorie di
coloro che non sono più in vita?»
Iris: «Tuttavia si va avanti, ovunque veloci, siamo talmente lontani,
talmente soli nella nostra scelta di direzione da non scorgere più che giocando
a superarci ci voltiamo tutti le spalle ed il tempo del nostro incontro non è
che un labile istante, il tempo di uno sguardo sfuggevole. Non è più concesso
all’uomo, non ci concediamo, di scorgere a che punto della propria strada sia
il suo simile.
Vorremmo che le persone non andassero così presto. Non c’è
tempo non perché non vi sia tempo. Non c’è tempo perché abbiamo imparato a non
dedicare più tempo al nostro prossimo. Stiamo diventando incapaci di
valorizzare le persone.
Mentre non doniamo il nostro tempo pretendiamo il tempo del
nostro prossimo: Forse, talvolta concediamo ad un’altra persona nella misura e
nel limite in cui l’altra persona concede.
I più semplici atti di gratuità: l’incontro creativo e la
volontà d’approfondire la conoscenza sono raramente donati e spesso richiesti.
Nulla si dona in più rispetto a quanto si riceve. Credo che l’altruismo inteso
come creatività e reciproco dono ravvivi la relazione interpersonale.
Coloro che hanno imparato a stare soli, nell’incontro con
un’altra persona, cercano una autentica relazione interpersonale alimentata
dall’altruismo inteso come creatività e reciproco dono.
Essi, nell’incontro con l’altra persona, diffidano di relazioni
di circostanza ed utilitaristiche in cui l’assenza di dono reciproco si traduce
in stasi della creatività e della curiosità, in reciproca svalutazione. In noia
o danno. In un contesto di egoismi l’assenza di dono reciproco si traduce in
stasi della creatività e della curiosità, in reciproca svalutazione. In noia. E
le relazioni congelano. L’umanità di una persona si compie nella misura in cui
essa dona a coloro che non possono o non vogliono donare.»
Nora: «Iris.
Non dimenticare il valore della reciprocità.» Iris: «Tuttavia non c’è alcun equilibrio tra diritti e doveri.
Delegando responsabilità ed obliando i doveri nei confronti dei nostri
fratelli, riconosciamo di meritare i diritti.
Se i doveri non esistono i diritti si trasformano in pretese ed
aspettative.
Questo è il modo in cui perdiamo le persone, a causa delle
incomprensioni e delle aspettative. Raramente è diverso.
A volte vogliamo così tanto da una persona… quando non può
adempire alle nostre richieste e sostenere le nostre aspettative, si allontana
da noi. L’eccessiva pretesa di qualità riconosciute può divenire un ostacolo
per la realizzazione di una relazione.
Qualunque relazione, è sempre radicata dalle aspettative e
raramente dall’amore. Il tipo di amore che l’attitudine a dedicarsi esemlifica
permettendo di trattenere nulla e dare tutto senza chiedere ritorni. Se la
relazione fosse fondata, alimentata e protetta da questo spirito, le
aspettative e i fraintendimenti non dovrebbero mai sorgere. »
“Potei sperimentare che l’uomo, quando soffre, si fa una
particolare idea del bene e del male, e cioè del bene che gli altri dovrebbero
fargli e a cui egli pretende, come se dalle proprie sofferenze gli derivasse un
diritto al compenso, e del male che egli può fare a gli altri, come se
parimenti dalle proprie sofferenze vi fosse abilitato. E se gli altri non gli
fanno il bene quasi per dovere, egli li accusa, e di tutto il male ch’egli fa
quasi per diritto, facilmente si scusa. “
Il fu Mattia Pascal, Luigi Pirandello
Nathan: «L’istante di ciascuna nostra vita può esser come il batter
d’ali d’una farfalla: Lontano, nello spazio e nel tempo può originare il caos
d’un tornado. La vita d’una relazione è sì sensibile alle condizioni iniziali,
l’incontro. Immaginate, due traiettorie sono inizialmente coincidenti, dopo un
istante una delle due traiettorie interrompe il suo procedere parallelamente
rispetto alla prima traiettoria. Divergono.
L’ infinitesima variazione della condizione iniziale delle
traiettorie implica il loro inconciliabile evolversi ed il loro terminare
lontane, in posizioni radicalmente diverse tra loro.”
(Teoria del caos, Attrattore di Lorenz)
Ian: «Iris, cosa pensi?”
Libri infiniti
Iris: «Credo che possiamo pensare a ciascuno di noi come ad un libro
composto da un numero finito di pagine che si riscrivono in ogni istante, che
in ogni istante rivivono nei ricordi di coloro che le hanno lette, in questo
forse risiede il nostro essere un libro infinito.
Alcuni studi previdero per me la lettura e l’approfondimento di
libri composti da centinaia di pagine talvolta inintelligìbili. Mi chiedi, alla
fine, che cosa ho imparato da tutto questo?
Può l’approfondirsi di una relazione e la risoluzione delle
incomprensioni insite in essa essere la scelta di continuare a leggere un
libro, ridefinendone il giudizio dopo e durante la lettura di ogni sua pagina?
Può essere la scelta di non rifiutarlo negandosi a priori la possibilità di
arricchirsi delle sue scritture solo perché è infinito, indefinito e complesso?
Può la nascita di una relazione essere la curiosa ricerca
spontanea della lettura di parole nuove? E soprattutto della rilettura delle
parole!
Credo che per incontrare del buono in un libro non sia necessario
leggerlo tutto in modo approfondito, alcune pagine, talvolta le prime, possono
custodire molte ricchezze.
Ma forse siamo divenuti letture appartate prematuramente. Si
volta pagina troppo distrattamente, troppo velocemente, prematuramente.»
Il miracolo dell’incontro
Iris colse dalla propria borsa il cucirino d’oro ed una
spagnoletta intorno alla quale era avvolto del filo di flanella color cobalto.
Colse con la mano destra alle estremità i due fili mentre con la mano sinistra
custodiva le due spagnolette che rotearono su se stesse non appena Iris traeva
lontano da sé i fili che infine scinse con le forbici dalle loro custodie.
Mia madre, fu una sarta, negli anni della giovinezza mi disse
che al fine di realizzare una tessitura avrei dovuto cardare e filare i fili: «Piccola,
il cucito è come il gioco degli scacchi; non puoi giocare a scacchi senza prima
aver disposto ordinatamente le pedine.»
La cardatura consiste nel rendere parallele le fibre tessili,
la filatura torce le fibre trasformando il fuso cardato in filato sottile.
Inizialmente Iris dispose parallelamente i fili color cobalto e
color porpora.
Iris inviluppò vicendevolmente il filo color cobalto ed il filo
color porpora che s’inanellarono in un filato color viol ametista mentre
pronunciava queste parole: «Vedete. Questo è il miracolo dell’incontro.»
L’abbraccio dei Deva
Nathan: «Ricordo che all’età di quattro anni chiesi a mio padre, che fu
un mirabile cantastorie, di raccontarmi una fiaba sugli angeli custodi.
Ricordo mio padre cogliere un recipiente di cristallo, vi versò
dell’acqua e disse: Nathan, le fiabe restano nel cuore quando tutto il resto se
ne va. Questo recipiente di cristallo è il nostro cuore, l’acqua che vi sto
versando è il sangue che vi infonde vita.
Colse un pennino ed un calamaio. Imbevette il pennino di china
e ne lasciò cadere una goccia nel recipiente che presto dissolse, come se non
fosse mai esistita nella purezza e trasparenza che caratterizzavano il
cristallo. Piccolo, alcune calunnie ed iniquità sono docili come questa lacrima
di china.
Poi colse il calamaio colmo di nero inchiostro, riversando la
china nel recipiente, disse: Vedi, Nathan? Questa tetra cascata di anelli color
ebano? Presto sfumeranno, tuttavia ottenebrando la trasparenza dell’acqua.
Colse poi una calamita ed un’ampolla color antracite. Il
liquido custodito nell’ampolla era ferrofluido.
Il liquido, colato nel recipiente di cristallo celermente vi
piombò alla base; osservai con meraviglia ciò che accadde: L’acqua non dissolse
il fluido che improvvisamente s’istigò acuminandosi sottilmente quando la
calamita fu accostata al cristallo che, fine, si incrinò e come una lacrima di
Batavia frammentò diffondendo il fluido color ebano.
I ricordi che ristagnano di cui parlavi te, Ian.
Nathan, ho provato a raccontarti che i cuori possono epurare
gli animi, proprio come quella pianta; pronunciando queste parole indicò una
piantina liana in fiore. Sai, si chiamano Tillandsie le piante che epurano
l’ambiente trattenendo le polveri che lo inquinano.
Piccolo, può accadere che un cuore lacerato divenga fonte
d’iniquità e di calunnie. Questo non deve mai accadere, non devi permetterlo,
non permettere alle ferite di cambiarti in ciò che non sei; se un giorno il tuo
cuore dovesse soffrire, ricordati:
Le ali del tuo angelo custode abbracciando il tuo cuore lo
rammenderanno e lo purificheranno.
Mio padre colse una candida ed argentea piuma e la posò sul
tetro fluido che ora giaceva immobile sul piano del tavolo. La piuma si
rapprese del fluido color ebano.
Ricordo d’aver raccolto la piuma e d’averla delicatamente
soppesata, chiesi poi: Questa piuma, così greve, come possono le ali del mio
angelo custode volare ancora?
Mio padre mi raccontò una fiaba: Nathan, il titolo della favola
che sto per raccontarti è l’abbraccio dei Deva. La parola Deva, piccolo,
significa, colui che emana luce, l’angelo. Se le ali celesti d’un Deva,
purificando i cuori, si tingono d’ebano; solo, non potrà volare per giungere
alla cascata aurea. Inestinguibili lumi d’un arcobaleno inghirlandano queste
cristalline acque che assumono variopinte sfumature.
Padre, l’angelo deve giungere alla cascata per depurare le sue
ali?
Sì. Gli angeli hanno imparato dai sette Deva che per giungere
alla cascata devono sostenersi vicendevolmente:
Abbracciandosi gli angeli dispiegano le ali per solcare e
vincere quell’aria che si oppone ad essere solcata.
Nathan, una catena è resiliente quanto il suo anello più
labile.
L’abbraccio dei Deva sovviene al debole volitare degli angeli
le cui ali sono più grevi e deboli.
Dopo che con fatica i Deva avranno solcato le correnti avverse,
queste, non ingrate, li spingerà avanti sino alla cascata aurea sostenendoli.
Padre, potresti raccontarmi la vicenda dei sette Deva?
Nathan, i sette Deva sono coloro che intrapresero per primi il
volo sino alla cascata aurea. Nella notte delle due stelle cadenti purtroppo
solo cinque di loro vi giunsero.
Che cosa accadde? Domandai.
I Deva originari, ammaliati dai bagliori dell’agiatezza,
persero due dei loro compagni:
Il cherubino, Vehuel, Ariel, Mikael, Eyael, Caliel, Aladiah
volitavano verso la cascata quando Ariel disse: Guardate l’arcobaleno aureo! Si
sta dissolvendo!
I Deva videro le sfumature d’iride, avvicendandosi, confondersi
in una nebulosa di nebbie multicolori che presto si allinearono, nuovamente
compiendosi in fasce aurorali curvilinee.
Ariel: Questi arcobaleni di profilo sembrano poterci condurre
alla cascata aurea. Possiamo adagiare le nostre ali e proseguire incamminandoci
lungo questa via.
Il cherubino era scettico: Ariel, non hai visto? L’arcobaleno
potrebbe presto frammentarsi, potrebbe persino, avvolgendosi a noi, divenire
una sfera infrangibile. La via che consigli è incerta, avanziamo volando!
Nessuno dei sei Deva diede ascolto alle parole del cherubino,
gli angeli giunsero a sfiorare la via aurea che Ariel aveva consigliato.
Ariel: Potete tutti rasserenarvi, la via aurea ci sostiene,
possiamo incamminarci.
Presto i Deva dovettero riconoscere che il cherubino era stato
previdente:
La via aurea si divise in sette sentieri, i Deva si separarono.
I sentieri rosso scarlatto e rosso porpora di Mikael e di Eyael
si congiunsero, sì i due angeli giunsero volitando abbracciati alla cascata.
Caliel intraprese il sentiero giallo che lo condusse al
principio della via aurea. Incamminandosi lungo il sentiero blu marino, giunse
alla cascata.
Il sentiero violetto era finalmente giunto al termine ed Ariel
vide di essere il primo ad essere giunto alla cascata aurea; Le sue acque erano
ai suoi occhi terse e tralucenti; si adagiò affinché le sue ali potessero
purgarsi, improvvisamente si accorse che le sue ali non divenivano candide
bensì color ebano, Ariel si accorse che la cascata era come d’incanto divenuta
fonte d’illuvie che si rappresero nelle ali di Ariel che presto, grevi, lo
avrebbero precipitato.
Il sentiero blu marino permise al cherubino di giungere alla
cascata Aurea.
Aladiah approdò alla meta dopo aver percorso il sentiero verde
giada.
Quella che vide, purtroppo, era il riflesso della cascata
aurea; non appena si accostò all’illusoria rapida, si sbilanciò e precipitò.
Vehuel intraprese il sentiero indaco che terminava con un
rondeau.
L’angelo, dopo aver percorso l’anello del rondeau vide che il
sentiero indaco della via aurea era svanito. Vehuel era amareggiato, sapeva
che, solo, non poteva volare; l’eterno anello lo avrebbe recluso.
Tuttavia il cherubino, dopo aver purgato le sue ali, soccorse
Vehuel ed insieme approdarono alla cascata aurea.
Piovvero, in quella notte, due stelle cadenti.»
Ian: «Immaginate: due recipienti di cristallo s’avvicendano
reciprocamente le acque. Sarebbe bello che un cuore potesse guarire grazie al
battito di un altro, come un angelo custode che può volare in grazia
dell’abbraccio e del battito d’ali d’un fratello.»
Le parole di Nora scandirono gli ultimi istanti di confronto
tra i giovani all’imbrunire della seconda giornata del loro viaggio: «Se
i Deva fossero ritornati nel luogo in cui la via aurea divise i loro percorsi
avrebbero potuto raggiungere la cascata volando insieme. Nessuna stella cadente
sarebbe piovuta.
Un giorno forse capiremo di dover tornare verso coloro che ci
stanno attendendo, per ricominciare a viverci.»
Il secondo simbolo della
vita
La circonferenza
Light painting
Iris colse cinque fogli bianchi e vi scrisse la parola:
‘circonferenza’: «La circonferenza rappresenta la vita?»
Nathan: «Ad esempio, io rammento, la profetica rivelazione di Friedrich
Wilhelm Nietzsche in merito all’idea pre - cristiana dell’eterno ritorno
dell’uguale.»
20
Ian:«Il ‘déjà vu’
potrebbe essere un segno di questo tuo pensiero, Nathan.»
Nora: « I cristalli del tempo* rappresentano una testimonianza del
concetto del ritorno dell'uguale.»
*Sitografia: I cristalli del tempo.
Fiona colse la Bibbia e lesse un brano dell’Ecclesiaste ai
compagni: «La natura è espressione del ritorno: Il ciclo
della natura, è bene ricordarlo, altrimenti chi sa dove finiremo.»
E sorge il sole e il sole tramonta,
anelando al suo luogo dov’ egli risorge.
Soffia a mezzogiorno poi gira a tramontana
e volgendo, volgendo il vento se ne va
e sopra le sue spire ritorna il vento.
Tutti i fiumi se ne vanno al mare
e il mare non si piena:
la donde scorrono i fiumi,
là essi ritornano a scorrere.
Ecclesiaste,
I, 4-7
Fiona: «La quotidianità degli incontri; forse talvolta si giudica
monotona e soffocante, un alienante ripetersi di eventi. Amo stimarla per ciò
che talvolta dona: L’incontro con la persona.
L’ opportunità di agire per le felicità in ciascuna situazione
in cui si incontrano persone sconosciute o persone conosciute. Nell’istante in
cui verranno a noi donate possibilità, se si sarà passivi e distratti, come il
secondo scultore del ghiaccio e della neve, non si attribuirà ad esse il valore
che meritano; Se si commette un errore, si diventa consapevoli di tale fatto ma
con il passare del tempo si dimentica; accade così che si ripetono
continuamente gli stessi errori e le possibilità donateci inesorabilmente
decresceranno.»
Le parole di Fiona incuriosirono Iris che fu colta da
un’intuizione. Iris colse un foglio nero e vi tracciò con il compasso un
cerchio bianco, infine segnò d’oro il punto dove tangevano le estremità della
curva:
Iris tolse il pendente della propria collana, un anello d’ambra
e lo posò sul tavolo; dalla propria borsa colse due cucirini che custodivano un
filo color verde acquamarina ed un filo color magenta, un ago d’oro ed un ago
di platino.
Dunque immise le estremità dei due fili negli occhielli degli
aghi e ad essi annodandoli affinché ciascuno dei due fili non potesse separarsi
dal proprio ago.
Iris chiese a Fiona di sostenere in alto con il pollice e
l’indice l’anello d’ambra Infine disse: «Vedete questo prezioso anello d’ambra? Immaginate che possa
coincidere con il punto dorato che ho disegnato sul foglio.
Immaginate: La gemma d’ambra rappresenta l’istante
dell’incontro tra due persone. Possiamo immaginare che le due persone siano
figurate da due aghi; dunque i fili potrebbero delineare i percorsi di vita delle
due persone. L’istante dell’incontro è la presente possibilità d’allearsi in nome delle felicità.»
Iris chiese a Fiona di alzarsi in piedi, la giovane delle
lettere colse i due aghi ed i due cucirini, si dispose di fronte a Fiona, si
chinò ed adagiò a terra le due spagnolette. Con il pollice e l’indice della
mano destra Iris custodiva l’ago di platino ed il filo color magenta, con la
mano sinistra custodiva l’ago d’oro ed il filo color acquamarina. Iris chiese
ai compagni di restare in silenzio. La giovane delle lettere confluì i due aghi
all’interno dell’anello di ambra, nel silenzio i due preziosi metalli,
toccandosi suonarono d’una melodia breve ed argentina. Iris proseguì la sua
esibizione, avvolgendo con parsimonia l’ago di platino lungo il filo color
turchese e l’ago d’oro lungo il filo color magenta; I due aghi nuovamente
conversero riecheggiando all’interno dell’anello d’ambra. L’incantata atmosfera
silenziosa che aveva realizzato Iris fu increspata dallo scorrere su un bianco
foglio di due penne stilografiche. Ian pronunciò queste parole dopo aver
presentato ai compagni questo disegno:
«Iris,
è quello che stai realizzando te, non è vero? L’anello del destino si è
compiuto, ho compreso perché hai disegnato un anello bianco; il colore bianco è
il connubio dei colori magenta ed acquamarina.»
Fiona: «L’ago d’oro avanzando secondo il verso orario si avvolge al
filo color magenta dell’ago di platino ed esso procedendo solitario secondo il
verso antiorario si avvolge al filo color acquamarina dell’ago d’oro.
Incantevole. La reminiscenza; la risonanza dei ricordi nel
silenzio della solitudine, il ritorno della memoria di coloro che abbiamo
incontrato e conosciuto indica la via da seguire affinché possa esistere una
nuova possibilità di incontrarsi e ricongiungersi.»
“Tuttavia nello stesso istante in cui, con orrore vi
accorgerete, nonostante tutti i vostri sforzi, non solo non vi sarete
avvicinati alla mèta , ma anzi ve ne sarete in certo modo allontanati, in
quello stesso istante voi avrete raggiunto la mèta e scorgerete su di voi che
nel frattempo non hanno mai cessato di amarvi e di guidarvi in segreto.”
I fratelli Karamzov, Fiodor Dostoevskij
Julian: «Giungere a destinazione è altresì importante per ricordare il
viaggio.»
Iris: «Sì, Julian. La memoria del passato è una ricchezza
inesauribile.»
Fiona: «Il tempo diviene rilevate nel ricordo nella misura in cui la
memoria vi distende le vicende vissute nelle età antecedenti. Le verdi età
risultano le più significative poiché sono le età dedicate alla curiosità che
conduce ad assimilare le contingenze della realtà, queste prime età sono
inoltre necessariamente le più valorizzate dai ricordi successivi. Ogni età della vita d’una persona si reitera
nelle età successive in grazia dei ricordi che i sentimenti dell’istante
presente nuovamente valorizzano. Dunque la realtà presente non è semplicemente
tale, è in potenza la sorgente fondamentale dei ricordi, dei pensieri e dei
ripensamenti, ovvero delle fonti d’ispirazione per le età che verranno.»
Kotobuki, whishes for a
long life. Light painting
Il terzo simbolo della vita
Arena dispersa d’ una
clessidra incrinata
Il tempo è liquido?
Nathan: «Abbiamo compreso quanto sia importante e delicato l’istante
dell’incontro.
Ma l’incontro è davvero un istante fuggevole?»
Ian: «Dunque mi domandate perché la polvere d’arena dovrebbe
esprimere la vita; a mio avviso con alcune persone niente conta, niente è
importante, né parole, né opere, né tempo.
La bellezza del delfinare della cultura: Ghirlande di parole
preziose riaffiorano sempre uguali. Tuttavia questi simboli sono saltuariamente
riconosciuti e ricordati. Sordità, cecità ed amnesie sono i peccati che
affondano la cultura.
Talvolta i simboli hanno il medesimo, profondo significato
poiché sono immagini riflesse dei medesimi archetipi, tra cui, ad esempio,
l’amore e la saggezza. »
“Science sees signs; Poetry
the thing signified.“
J. C. and A. W. Hare
Fiona: «Si corre sempre verso altro, in ogni istante cercando
altrove, si va oltre perdendo il qui e
l’ora. Scorriamo soli come scorrono le gocce d’acqua d’un fiume, acqua come il
tempo del ‘Noi’, acqua che non sai mai come trattenere, incoerente arena
dispersa d’ una clessidra incrinata; l’onda rovinosa delle condizioni, rotò la
clessidra e l’ultimo frammento d’arena cadde.
Provando a raccogliere la sabbia del tempo, più serri con
convinzione la mano e più scivola come l’acqua che zampilla dalle nostre mani
raccolte in preghiera. Puoi solo osservare la loro sagoma frammentarsi in mille
diamanti che sempre più lontani rilucono nei ricordi.
L’ abitudine viene dunque cancellata nella forma del frammento
ed è triste trovarsi in questo segmento di tempo dove ogni ricordo è sospeso.
Sguardi inappagati, rapidi, fuggevoli, impazienti che vedono,
vogliono, ottengono e rifiutano; poi
vedono, vogliono, ottengono e rifiutano . . .»
Nathan: «Sì, la felicità sembra sempre miseria mentre la tieni tra le
mani. Ma quando l’abbandoni impari quanto fosse preziosa.»
Nora: «Talvolta la reminiscenza d’una felicità vissuta può essere più
rilevante e gratificante d’una felicità imminente.
La memoria non solo è preziosa, come la felicità, di cui ha
parlato Nathan, sì è vitale, la nostra memoria è la nostra coerenza d’idee e di
sentimenti che ci relaziona alle altre persone, in grazia del riconoscimento
delle identità e del ricordo delle esperienze condivise si realizza il
reciproco senso di appartenenza.»
Iris: «Alcune persone pronunciano con i loro silenzi o con parole
biasimevoli queste parole immobili: Se esisti o no, è indifferente. Davvero
temo queste parole che hanno il potere di disertare la memoria, renderla
indistinta sabbia del tempo, arena ambrata, elusa dalle variopinte sfumature
che cernevano un distinto incontro.»
Fiona: «Perché ho il sentimento che tutto sia così precario?»
Julian: «Lo scrisse Iris: Il centro non regge. Iris potresti condividere
con noi questo tuo pensiero? »
Il centro interiore. I valori Shanti ed Ikigai
生き甲斐
Iris: «Lo stelo della quercia pendente si posa sul disteso manto
erboso; un bambino si meraviglia dell’incantato equilibrio della quercia.»
Iris, pensierosa, ripeté le parole di Nathan: «Il
sentimento di meraviglia del bambino che osserva un albero inclinato. . .
Perché un bambino dovrebbe percepire come incantato, l’equilibrio della quercia
inclinata?»
Fiona: «Il bambino è consapevole che imitando il portamento della
quercia madre, in un istante si troverebbe con le spalle al suolo.»
Iris: «Talvolta possiamo pendere e cadere come il bambino imitando
l’albero della vita. Consideriamo che un simbolo che possa rappresentare la
vita sia una spirale.
Più siamo vicini al suo centro più la nostra vita vive ed
amplia i suoi orizzonti di senso. Più ci allontaniamo, più la nostra vita si
disgrega e naufraga in balìa dell’inerzia del reale, dell’onda del conformismo.
La nostra attitudine è la variante che definisce il nostro
oscillare nella spirale della vita.»
Matrioske
Ian: «Siamo come le matrioske: livelli dissimili costituiscono le
nostre identità: Supponiamo che il centro della spirale coincida con la nostra
intima identità, il nucleo d’una matrioska.
Mentre i suoi avvolgimenti successivi potrebbero coincidere con
le nostre cedevoli identità sovra-strutturate, ovvero le generiche
molteplicità, che cerchiamo di costruire sulla periferia del nostro io, con cui
cerchiamo d’ aver luogo nelle realtà che incontriamo in modo da non cadere nel
nulla; io sono, io possiedo . . . Tuttavia il nucleo profondo, fondamentalmente,
il nostro essere originariamente ed originalmente unico non viene in tal modo
riscoperto, bensì nuovamente velato. Queste molteplici identità
sovra-strutturate orientano la consapevolezza di sé a tal punto che
nell’apparire mondano si giudicano, erroneamente, le labili, transitorie e
decidue identità molteplici coincidenti con lo stabile nucleo fondamentale
dell’io. Non è così. Il nostro baricentro spirituale, l’armonioso connubio di
cuore e mente, il nucleo della matrioska, è sorgente d’integrità ed autentico
compimento nella realtà della pura novità che ciascuno di noi è. »
Iris: «Nella misura della volontà, del coraggio, della concentrazione
è possibile giungere a questo stato di equilibrio, di consapevolezza e di
padronanza di sé stessi.
La libertà è un valore. Tuttavia altresì il valore della
libertà può divenire un disvalore, ove e quando le libertà di una persona
eccedono opprimendo le libertà di altre persone.
"Il bene, in tutte le sue espressioni, è docile e piano,
procede per gradi e non oltrepassa mai il limite. "
Porfirio
Queste sono le qualità rivolte al compimento della propria
vocazione, l’intima ragion di vita che il vocabolo giapponese 生き甲斐 (Ikigai)
esemplifica.
La pura coscienziosità è fuggevole come la polvere d’arena e
scorrevole come l’acqua. Tuttavia l’immaginazione può plasmare un’idea di
coscienziosità non labile, ad esempio possiamo pensare che la Vera
coscienziosità possa rivelarsi quando l’invisibile intuito si unisce al
visibile coscienzioso, affiorando in superficie.
Questa è la consapevolezza che può cambiare le persone in
persone migliori. Questa Solidarietà, questa bontà, questa bellezza salverà il
mondo; una persona alla volta, ma lo salverà. »
Ian: «Colui che fonda la sua vita sulle effimere realtà esterne
caotiche e ribelli, persegue l’espressione trascurando di coltivare il proprio
accrescimento interiore. Cosicché tale vita, segnata dalla preoccupazione
dell’oggettivazione, cade in rovina, quando perde le realtà esterne, o quando
incontra qualche disinganno. Il suo centro di gravità cade fuori di lui; cerca
altrove, non importa dove, una soddisfazione che venga dal di fuori. Colui che
coltiva una passione è fruttuoso in grazia della sua scelta di alimentare la
propria fluidità interiore, nel momento in cui le effimere realtà esterne
dovessero mancare, egli troverà salvezza nelle realtà di cui è egli stesso
artefice. A questo titolo possiamo dire
che il suo centro di gravità cade già in parte dentro di lui. Colui che
persegue l’accrescimento interiore e la saggezza, egli può giungere ad
abbracciare i principi di cui la parola Shanti è custode: la spiritualità,
l’umile compiutezza dei contenuti della mente e dell’anima, la magnanimità, una
sensazione di attualità, una concentrazione consapevole del valore dell’istante
presente, una serena imperturbabilità, caratterizzata dall’assenza di
distrazioni nel qui e ora che è tutto ciò che abbiamo.
L’apprendimento è una forma di educazione all’attenzione.
Nathan: «Tuttavia io credo che sia possibile assimilare i valori della
consapevolezza, della rettitudine e della integrità altresì errando.»
“Quel che conta in una vita umana non sono gli eventi che vi
dominano il corso degli anni – o anche dei mesi – e nemmeno dei giorni. È il
modo con il quale ogni minuto si connette al minuto seguente e quel che a
ognuno costa, nel corpo, nel cuore, nell’anima – e soprattutto nell’esercizio
della facoltà d’attenzione – compiere, minuto per minuto, quella connessione.
Felici dunque coloro che trascorrono l’adolescenza e la
gioventù soltanto a sviluppare questo potere d’attenzione. Gli studi sono
vicini a Dio a causa dell’attenzione che ne è l’anima. Chiunque attraversi gli
anni di studio senza sviluppare in sé una simile attenzione ha perso un grande
tesoro.”
Simone Weil
Egli diviene pieno di sé – non nel senso dell’orgoglio, ma
d’un’intima rara ricchezza condivisibile. Egli cede memoria, intelletto,
intelligenza; sperimentando queste privazioni pronuncia parole di preghiera, di
meditazione, di contemplazione, di pace.
Un uomo di tal tempra rifugge i peccati, i vizi e le
dipendenze, i peccati sono delle eccedenze, per questo si pagano. Egli tende,
secondo la sua direzione individuale, e condivide i suoi profondi concetti con
le arti, con le scritture.
Di quest’uomo possiamo dire che il suo centro di gravità cade
interamente in lui.
Se ci allontaniamo dal nostro centro. Se perdiamo noi stessi,
si perde se stessi nella misura in cui gli altri scelgono per noi; se il centro
più non tiene, si va in giro per piccole storie, incerte mete, intimità
provvisorie. Riuscirà la convergenza di mille accidentati impulsi, a tenerci
ancora assieme? Se non siamo in noi stessi, che cosa resta da dare a chi ti
chiede di essere un punto di riferimento riconoscibile? »
Nora intravide e riconobbe il titolo di un libello che aveva
letto durante gli anni della sua giovinezza, lei colse il manoscritto che era
riposto in uno scaffale della biblioteca e condivise con i compagni un passo di
‘L’idea Dominante’ di Voltairine de Cleyre, pubblicato nel 1910. 21
Il quarto simbolo della vita
La spirale
Fiona si rivolse ad Iris: «Grazie alla tua poesia ‘Il filo rosso del destino’ ho pensato
ad un racconto relativo al simbolo della vita ‘la spirale’.
Due astri rompono la
fatalità delle loro orbite
Immaginate, vi sono due persone, un filo rosso le unisce. Un
devastante tornado imperversa ed avvolgendo queste persone, le scaglia lontano
dalla loro quiete originaria.
La furia del tornado assottiglia il filo rosso che li univa.
Lontane e sole, il loro legame rivive dei passati ricordi in cui erano vicini.
La serendipità del caotico avvenire del tornado, il trovare una cosa non
cercata e imprevista mentre ne stavano cercando un’altra, permette a queste
persone d’incontrarsi, ma non si riconobbero e si lasciarono andare. In balìa
dell’inerzia del tornado le due persone si incontrano nuovamente si riconoscono
ma, distratte e straziate da venti violenti, pentiti, si divisero. Intanto,
l’invisibile e resiliente filo rosso dei ricordi aveva emendato il loro legame;
Vissero insieme senza saperlo. Le loro anime si erano parlate senza parole.
Quando i loro sguardi si incrociarono; Un ricordo che univa le due persone
riaffiorò: In tempi sereni, nuotavano in una grotta, dovevano tuffarsi in acqua
nel momento giusto, andando oltre la schiuma potevano giungere nella grotta. La
marea doveva essere al punto giusto. Ricordarono di dover essere in acqua nel
preciso momento in cui la marea cambiava. Ogni volta temevano di farsi sfuggire
la marea, di restare indietro, di sbagliare il tempo. Sì, avevano imparato che
l’istante presente del loro incontro avrebbe potuto essere l’ultimo.
Dunque con coraggio s’avversarono all’inerzia del tornado che
celermente li separava allontanandoli dal quieto occhio del vortice.
Quando, nuovamente, si avvicinarono colsero il lembo sgualcito
del loro filo rosso, lo annodarono vicendevolmente, quando già il tornado li
aveva allontanati con una presa ferma sul filo lo traevano verso loro stessi
riducendo le loro distanze. Sì le due persone non si persero ed in grazia del
filo rosso, vincendo le forze avverse del tornado, raggiunsero la quiete
dell’occhio del tornado. »
Nora: «Il
pensiero di Fiona somiglia all’idea di Ian, ricordate le sue parole? In me c’è
una quiete che non può conciliarsi con l’euforia del mondo esterno. Vedete? La
violenza con cui la pioggia si schianta? Questa veemenza irrompendo sulla
vetrata, la sommuove.
Così lo stabile sostegno che custodiva la goccia, ora diviene
il sisma che la precipita e la infrange. »
Julian: «Dunque? Quali sarebbero le cause del nostro squilibrio? »
Iris:«Quale è il tuo pensiero Julian?»
Julian: «Se nessuno parla con voi, allora è una mia responsabilità. Il fatto è, per come la vedo io, che il danno
consiste nell'atto di umiliare gli interlocutori a marionette senza cuore,
senza mente e senza nome che non potranno tagliare i loro fili. Questa
attitudine può appartenere a ciascun
singolo in misura dissimile e decade nel sofismo interessato, nel dire e nel
non dire allo stesso tempo, nelle banalizzazioni e nelle generalizzazioni, nel
far credere che tutto possa farsi e disfarsi; nella volontà consapevole di
sostenere un’idea e il suo opposto dimenticando il cambio di opinione e l’atto
stesso del dimenticare, nel cavilloso argomentare orientato al disorientamento
dell'interlocutore che è dunque impossibilitato a comprendere realmente di cosa
si tratta, oso aggiungere che per qualcuno va bene il persistere di questo stato
di confusione; ma non per me. Talvolta si decade nel sofismo poiché è il
compromesso immediato per lasciar fluire il tempo ammettendo inalterato lo
stato di potere decisionale che il 'sofista' possiede e che ha a cuore. 11
Nathan: «Ad esempio, la durata di un monologo ha fondamentale importanza
sul consenso dell’interlocutore, che può essere a sua insaputa condotto verso
il raggiungimento di un obiettivo che lo stesso individuo può persino ritenere
essere connaturale al completamento dei propri obiettivi. Talvolta un sofista
può aumentare la probabilità di ottenere consenso nella misura in cui sia in
grado di perpetuare nel tempo un concetto. »
Julian: «Il nulla o il poco è ciò che vogliono che sia conosciuto dagli
interlocutori, se ciò non fosse, coloro che detengono il potere decisionale lo
perderebbero. La falsità è statica, autoconservativa, è un rituale che perpetua
se stesso talvolta, mediante dissonanza cognitiva indotta che impietrisce e
abbatte la capacità critica e la curiosità, talvolta mediante il conformismo.»
Fiona: «Imparai che la falsità ha perlomeno tre nature:
La voce della falsità può pronunciare parole in latente
antitesi con una verità; parole che occultano alcuni elementi fondamentali di
una verità, l’omissione, e parole che alleviano la gravità di una verità
falsificandone la qualità.
La verità abbraccia il cambiamento, nella sua accezione di
esigenza di ascolto (talvolta di coloro che sono inascoltati), non è un dato di
fatto, è una creazione che può originarsi da volontà paladine dei valori tra
cui l’umanità, la solidarietà e la magnanimità.»
Iris: «Alla fine non vi ho più raccontato la seconda parte del
concerto di cui vi parlai ieri. Credo che questo sia il momento giusto. La
locandina della seconda parte del concerto presentava queste parole:
La registrazione: Finzione e inganno, quando l’inizio della
musica è la fine dell’uomo.
Inaspettatamente il direttore d’orchestra mosse gentilmente la
bacchetta: Il pianista, gli arpisti e i violinisti cominciarono a suonare una
calda melodia tranquilla, piacevole che mi cullò per alcuni minuti fin quando
una dissonanza mi gelò.
Pur ancor discernendo distinta la melodia dei violini, vidi che
i crini degli archetti dei violini non sfioravano le corde dei rispettivi
strumenti ma si muovevano a vuoto. Presto non solo i violinisti, sì anche gli
arpisti avrebbero deposto gli archetti; tuttavia continuavamo ad udire la
musica registrata. Misi a fuoco il significato di ciò a cui stavo assistendo
solo quando intervenne la voce lirica della soprano cantare ed improvvisamente
interrompersi; la messa in scena teatrale previde che la sua voce si sentisse
anche quando lei, accasciandosi a terra, tacque. Il sipario si chiuse.»
Ian: «L’assefuazione alla finzione ed alla falsità è simile
all’abitudine con cui sopportiamo e felicemente accogliamo suoni con
un’intensità sonora e disarmonie crescenti. »
Nora: «La consapevolezza fa l’oratore: Talvolta si diffida di quello
che si vede, tuttavia nessuno ci permette di acquisire gli strumenti
sostanziali e retorici per difendere il nostro pensiero dalla parola che
ascoltiamo con dubbio e sfiducia, dunque si tace donando il proprio prezioso
silenzioso consenso o si parla e questa importante voce viene ritenuta debole
poiché priva di fondamento ed infine cade nel dimenticatoio.»
Fiona: «Le parole possono rivelare la verità, tuttavia possono altresì
adombrarla. Conoscere è saper vedere oltre, saper leggere, interpretare,
verificare di persona e non fidarsi di quello che ti dicono. La conoscenza ti
fa dubitare. »
Iris: «Tuttavia, talvolta, quando il presente non sia sorgente di
senso, potrebbe rinsavire la lettura delle antiche scritture e i ricordi di cui
siamo eredi.»
Nora: «Le antiche scritture e i ricordi di cui siamo eredi compongono
il libro dei tempi di cui scrivesti nelle lettere, Iris?»
Iris sorpresa e grata per le parole di Nora, le annuì.
Ian: «Sii cauto in ciò che pensi, Julian, talvolta il pensare può
ridursi a inventare ragioni per dubitare.»
Nora: «Inoltre la verità non sempre è innocua e pacifica, talvolta mentiamo
per proteggere, talvolta siamo insinceri per il nostro bene e per il bene di
coloro che ci sono vicini, per tutelare e liberare dal dolore che una nostra
prospettiva potrebbe originare.
Ian: «Credo che sia nostro onere riconoscere che una verità non può
avere origine da un solo sguardo, tuttavia quello stesso sguardo che scorge un
lato della verità può rivelarsi nella realtà con sincerità, con falsità o con
sospensione di giudizio, criticità e curiosità. Siamo responsabili di questa
scelta.»
Fiona: «La dottrina futurista; non istituì questa celerità, la
esemplificò, fu una traduzione del pensiero degli uomini d’un tempo; tuttavia,
oggi ritengo che sia anacronistica e deleteria nel suo latente trascurare
l’umanità degli uomini.»
Nathan: «L’
economia vive grazie al reddito ed esso è più elevato e viene riscosso più
frequentemente se tutto avviene più celermente, tuttavia questo tempo celere è
inconciliabile con il tempo del vivere umano, la persona umana non è
commutabile ad un automa cibernetico-virtuale o meccanico. Dovremmo divenire
consapevoli di questa efferatezza per avversarsi al suo tacito e latente
fluire. »
Iris: «Nel giorno d’una importante festività, potremmo donare ai
nostri piccoli, un bianco fiore d’ibisco.
I piccoli, forse avrebbero atteso di ricevere in dono uno
smartphone o un tablet, forse questi bambini si sarebbero indispettiti; o forse
il loro sguardo si sarebbe avvivato di meraviglia ascoltando queste parole:
La regina della notte
Tesoro, apprendi il tuo sguardo sulle impercettibili venature
che delicatamente delineano la superficie d’ogni petalo. Non ti ricordano forse
il tronco d’un albero ed i suoi ramoscelli, le radici di quest’albero che si
irradiano nei meandri della madre terra, il fulmine.
L’effigie dell’alveo d’un fiume che diviene un ruscello ed in
fine un corso d’acqua, le fessure o i canaletti che gli zampilli d’acqua
incidono in seno ad una roccia o ad un’arida distesa desertica? Non ti
ricordano la forma del tuo corpo, le tue vene e le tue arterie; i labirinti del
cuore, della mente e della memoria ricordano queste venature. Sai. Queste
qualità naturali si lasciano enunciare grazie ad una sola parola: La
frattalità.
Perdonami, avrei voluto donarti il fiore più raro e prezioso
del mondo, la ‘regina della notte’; questo fiore fiorisce una volta all’anno e
soltanto nel buio della notte, all’incedere del crepuscolo desiste perdendo il
suo turgore. È un fiore che non può essere raccolto senza danneggiarlo
irreparabilmente e non c’è alcuna possibilità di acquistarlo, anche perché la
sua vita dura poche ore.
Esistono realtà inestimabili nella loro caducità, fragilità e
solitudine, come questo fiore. Abbi cura di te stesso e veglia sulle persone
che incontrerai come se fossi il custode di una ‘regina della notte’.»
Un riverente silenzio seguì le parole di Iris, dunque Julian
continuò il discorso di Nathan.
Julian: «Il celere tornado di cui stiamo parlando ci vincola nella sua
inerzia che lacera e destabilizza ogni relazione disgregando l’istante presente,
rendendo il mondo un precario, frammentato e disarmante vento d’addii che
talvolta e sovente inconsapevolmente
alimentiamo. Forse vi siete anche voi imbattuti in questa evidenza.
Tutto questo per cosa? In nome di un progresso e di una crescita che sovente
intimamente non sentiamo nostri?»
Ian: «La lesione delle relazioni interpersonali se si traduce in una
tendenza sociale condivisa, accolta e non risolutamente contestata può
degenerare in un vento d’addii che disarma coloro, i rari, che propongono una
tendenza più umana in cui si riconosce e si sostiene la rilevanza delle
relazioni interpersonali e si ricusa la superficiale e spietata
intercambiabilità delle persone.»
Iris: «Miei cari compagni, le vostre parole sono meravigliose!
Salvaguardano la concezione di persona come soggetto, non come oggetto fin
troppo semplicemente intercambiabile; salvaguardano la relazione interpersonale
stessa valorizzando la cautela nel compiere atti di abbandono.»
“Verso le cose, si può agire senza amore: si può, senza amore,
spaccare del legno, fabbricare dei mattoni, battere del ferro; ma nei rapporti
fra uomo e uomo, l’amore è così indispensabile com’è, per esempio, la prudenza
nei rapporti dell’uomo colle api. Tale è la natura delle api: se tu non sei
prudente con loro, tu nuocerai alle api ed a te stesso. Così per le relazioni
cogli uomini. E ciò non è che giustizia, perché l’amore reciproco fra gli
uomini è la legge fondamentale della vita umana. Senza dubbio, un uomo non può
costringersi all’amore come al lavoro; ma non per questo qualcuno potrà agire
senza amore cogli uomini, soprattutto se egli stesso ha bisogno di loro.”
Lev Nikolayevich Tolstoy
Nathan: «Ed è questo disarmante vento che realizza l’illusione della
vanità del tempo, una illusione che si alimenta in grazia d’una euforia che
insegna a non perdonare, a non accogliere e che destituisce le attitudini alla
gentilezza, tenerezza e fraternità animate da sentimenti magnanimi, l’umiltà e
la sensibilità avvilendole ad inconcludenti dispendi di tempo.»
Ian: «Inoltre, la stessa celerità nega a ciascun uomo il tempo di
approfondire la conoscenza di qualunque realtà con cui entra in relazione; così
impariamo e diveniamo esempio della tendenza all’ apparente superficialità del
tempo, dello spazio, dei sentimenti, delle parole, delle immagini; lo stesso
vale per le persone. Quando ci sono accanto spesso abbiamo la presunzione di
pensare che ci saranno comunque a prescindere. Che comunque vada saranno lì ad
aspettarci, che c’è tempo, le diamo per scontate.»
La superficialità del
sentimento o amore liquido
Lettura inerente:”Zygmunt
Bauman, amore liquido, editori Laterza, 2003
Iris: «Parliamo del sentimento che è costruttivo dei rapporti umani.
Sembra una cosa da niente, tuttavia nessuno più ci pensa.
L’attitudine ad amare è decaduta nell’apparenza della futura
promessa che seduce, che ora soddisfa e presto stanca e nella speciosità
dell’oggetto seriale facilmente conseguibile ed altrettanto semplicemente
intercambiabile e sacrificabile.»
La liquidità del tempo
Nathan: «L’ illusione della superficialità esorta ad abbandonare il
nostro più intimo passato, e con esso, le persone con cui lo abbiamo condiviso.»
Julian: «L’idea di non aver più tempo per perdonare ed essere perdonati,
o per realizzare ciò che non abbiamo realizzato è illusoria, come quella di
perdere per sempre una speranza o una persona ancora in vita.»
Iris: «Nathan ci ricordò che in vita, metronomi diversi scandiscono il
nostro vivere.
Ora, non è il momento, tuttavia il tempo verrà.
Fin da ora ogni istante del nostro vivere scandisce il
cangiante divenire del verso libero dell’ora che fu, di già inaugurando il
momento del consonare risonante dei nostri cuori.»
Nora:«Dunque state dicendo che questo celere tornado dichiara la
catastrofe del passato; le sue ricchezze divengono rovine abbandonate e
dimenticate come se di fatto non esistessero per coloro che, distratti e
delusi, in nome d’una rigorosa e selettiva pretesa cercano altrove, ovunque ed
in ogni istante in un eterno malcontento?»
Julian:«Sì, la celerità è una forma di amnesia e di dimenticanza, tutto
da scoprire, tutto da dimenticare.»
Nathan: «Perché cercare altrove è l’agire simbolo di questa celerità che
decontestualizza ed insegna ad esistere nel presente in nome dell’attesa d’una
realtà che non esiste; l’ipotetica, illusoria e lontana età dell’oro: il
futuro.»
“Futuro! So molto bene che non ci sarai. Non ci sarai nel
destino originale delle parole, non ci sarai nella speranza d’una parola data e
d’una lettura prestata, non ci sarai nei garanti ed utopici canti d’ingannevoli
sirene che desiderano tentare il loro Ulisse. Non ci sarai, non sarai neppure
un ricordo, e quando ti penserò, penserò un pensiero che oscuramente cerca di
ricordarsi di te.”
Da “il futuro” di Julio Cortázar
Fiona: «Il fantasma del futuro distrae il presente; Se il diavolo ti
invita sempre a veder lontano il tuo futuro, ci deve essere qualcosa di
meraviglioso nel tuo istante presente che lui non vuole che tu veda.»
“ Il maggior ostacolo alla vita è proprio l’attesa: fa
dipendere tutto dal domani e, intanto,
sciupa l’oggi. Tu vorresti organizzare quanto è nelle mani del
destino, e ti lasci sfuggire ciò che è
già nelle tue. A quale scopo? A cosa vorresti arrivare? Tutto quanto deve
ancora venire è incerto. Vivi il presente. “
Seneca
Nora. «Inoltre il vizio di cercare altrove non risolve le
inquietudini, porta altrove le questioni irrisolte, con te. Per colmare un
vuoto devi riporvi ciò che lo ha provocato, empiendolo con altro l’abisso
diverrà più vasto.»
Ian: «Dovremmo rallentare il pensiero, dovremmo scegliere di
realizzare il nostro tempo personale e specifico, dovremmo stabilire un tempo
che si dia il tempo, qualunque felicità reale annovera le qualità della libertà
e della creatività. La libertà da un tempo coercitivo e la creatività di un tempo che riflette
l’umana e personale resilienza di
ciascun singolo.
In ogni caso l’unico tempo in cui credo è il tempo della vita e
l’unico tintinno d’orologio che annovero è il palpito del cuore, per questo non
temo il quotidiano divenir libero.»
Nora: «Le parole di Fiona sulla quotidianità degli incontri
significano che la felicità è desiderio di ripetizione?»
Iris: «Forse, come intendi, la felicità può coincidere con il sogno,
un desiderio rivolto al futuro. Io immagino che le felicità siano come topazi,
rubini, zaffiri, quarzi, diamanti, gemme che risplendono riflettendo e
rifrangendo i magmatici lumi nelle profonde oscurità; credo che il significato
più profondo e rilucente di felicità non si rivela nella memoria o nel sogno di
una realtà anacronistica, sì nell’amore del tempo presente, per questo, forse
chi ora è felice, rende felici anche gli altri.»
La superficialità del
vedere
Ian: «La medesima insensata celerità acceca, abbiamo la polvere negli
occhi, il pulviscolo che il tornado ha realizzato, non sappiamo più vedere
oltre il nostro passo, i limiti del nostro campo visivo sono fondamentali,
tuttavia non costituiscono i confini del mondo; non sappiamo più vedere ciò che
è evidente, non riconosciamo ciò che è invisibile.»
Julian: «Ian, non prendermi in giro, ciò che le persone dicono, la
scelta di un atteggiamento, il loro esimersi dal reagire, il loro delegare, il
loro pretendere giudicando, come agiscono, come reagiscono, è ciò che sono.
Punto. »
Iris tacque sorpresa, per un istante:
«Con
calma leggendo i titoli di alcuni libri disposti ordinatamente sui ripiani
della scansia vetrata, poté scorgere la luce del sole rifrangersi su di essa e
frammentarsi in mille aloni variopinti che sfumavano le copertine dei libri lì
custoditi.
Forse; tuttavia ho sempre pensato che potesse esistere un
margine di benevolenza nell’agire delle persone, ho sempre creduto che ci fosse
di più di quello che vedo, un margine invisibile, un pensiero fraterno, una
volontà che può non riuscire a compiersi in tutta la sua qualità affabile.»
Nathan: «Un’apparente infinità di immagini scorrono celermente lungo
molteplici dimensioni virtuali che sospendono la loro istantanea permanenza
reale nello spazio degli screen che registrano immagini, contemporanee o
registrate, che quotidianamente incrementiamo. Assumiamo, sovente
acriticamente, le immagini, che molteplici fonti diverse originano. In mancanza
di doverosi segnali di pausa diveniamo dipendenti di tali dimensioni virtuali,
nella misura in cui ne soffriamo l’astinenza. »
Fiona: «Sì. Viviamo in un museo poliedrico di specchi, che riflettono
suoni ed immagini, i cui versanti sono definiti da screen di televisori,
proiettori, tablet, smartphone o visori di realtà virtuale che mantengono
impegnato il nostro sguardo ovunque scegliamo di rapprenderlo, stancandoci. I
media e noi stessi virtualizziamo la realtà naturale con immagini che in gran
parte sono prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni
immagine, come forma e come significato, come ricchezza di significati
possibili e palesemente finalizzate a selezionare e a dividere qualunque
qualità di relazione, talvolta le relazioni d’amistà.
Questa nuvola d’immagini si dissolve immediatamente come sogni
che non lasciano traccia nella memoria. Ma non si dissolve una
sensazione d’estraneità e disagio.»
Ian: «Nathan, le immagini sono le clastiche schegge virtuali di
realtà naturali che compongono l’ordine del reale. Dovremmo tornare ad imparare
a riconoscere quell’ordine naturale che la finzione virtuale tenta
aggressivamente di disgregare. I sogni ed il mondo virtuale sono estremamente
simili, non hanno luogo, non hanno sostanza nel reale, la medesima evanescenza
li caratterizza, quando riapri gli occhi entrambi diventano ricordi. Tuttavia i
ricordi originati dalla virtualità sono vanescenti, sono essenzialmente
qualificati dalla caducità tipica della memoria a breve termine. »
Julian: «Tuttavia non possiamo non riconoscere che la virtualità sia un
fatto. Nonostante sia intimamente caratterizzata da ambienti evanescenti e
ialini la virtualità ha concreta rilevanza nelle realtà naturali e sociali
poiché altera costantemente le attitudini umane. Essa simulando il reale,
talvolta lo implementa, talvolta lo impoverisce.»
Ian: «Le tangibili ed umane essenze d’amistà e d’amore realizzano una
dinamica di relazione sincera, autentica, essenzialmente consistente e fiorente
di vitalità che in ogni istante risorgono nuove in grazia della coesistenza dei
sensi.»
Julian: «Pensiamo al cyber-vandalismo ed al costante stato di
distrazione e perdizione indotte dall’ubiqua virtualità; esse testimoniano la
misura della possibile gravità e della criminalità insita nella gestione
irresponsabile, nella flebile conoscenza e nella inesperienza di una realtà, la
virtualità in cui possiamo scegliere di non avventurarci o, diversamente,
inoltrarci con cautela.»
La superficialità e
l’avventatezza della parola
Ian: «L’urlo di parole avventate è l’esternazione più immediata del
viver in questo uragano. Ne consegue il non ascoltare.
Dunque, talvolta, mi chiedo dove vadano a finire tutte le
parole dette, dato che sono così poco ascoltate.
Queste parole superflue, pronunciate o registrate compongono,
insieme al caratteristico frastuono meccanico dell’era delle macchine, la
baraonda che ogni giorno contesse la nostra distrazione. Distraendoci ci
allontaniamo dal nostro centro interiore perdendo il presente.
“L’attenzione è il solo cammino verso l’inesprimibile, la sola
strada al mistero. È l’accordare a qualcosa una considerazione estrema è la
scelta di accettare di soffrirla fino alla fine, e non soltanto di soffrirla ma
di soffrire per essa, di porsi come uno schermo tra essa e tutto quanto può
minacciarla, in noi e al di fuori di noi.
Qui l’attenzione raggiunge forse la sua più pura forma, il suo
nome più esatto: è la responsabilità, la capacità di rispondere per qualcosa o
qualcuno, che nutre in misura uguale la poesia, l’intesa fra gli esseri,
l’opposizione al male. Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale,
non è, in essenza, se non disattenzione.
Chiedere a un uomo di non distrarsi mai, di sottrarre senza
riposo all’equivoco dell’immaginazione, alla pigrizia dell’abitudine,
all’ipnosi del costume, la sua facoltà di attenzione, è chiedergli di attuare
la sua massima realizzazione. È chiedergli qualcosa di molto prossimo alla
santità, in un tempo che, diversamente, sembra perseguire soltanto, con cieca
furia e agghiacciante successo, il divorzio totale della mente umana dalla propria
facoltà di attenzione.”
Simone Weil, Quaderni.
Oggi essere rivoluzionari significa rallentare più che
accelerare. Significa dare valore alla fragilità, significa dedicare attenzione
a chi cade.»
Nathan: «Sì, Ian, questo mondo è inappropriato alla logica di senso
poiché domina la dimensione illogica della comunicazione il cui principio
essenziale è l’incoerenza e la decontestualizzazione che scindono i legami
realizzando frammentarietà abbandonate a sé stesse, giustapposte di elementi
logicamente inconciliabili e sensibili ad equivoci di fondo. Questa
comunicazione scompone la logica del tempo, proponendo in ogni istante uno
spettacolo senza memoria. 22
Nathan: «La serena pace sarebbe garante di disciplinate accoglienze e la
calma quiete sarebbe responsabilmente custode di stabili resilienze. Tuttavia,
diversamente, come si può aver luogo e sentire d’essere parte integrante d’un
luogo e d’un tempo inesistenti poiché desistono al costante cambiamento in ogni
istante di un caotico e oppressivo divenire. Un divenire, un pandemonio, un
uragano che alimenta le violente dislocazioni, gli abbandoni e le
compenetrazioni di frammenti inconciliabili di realtà.
Questo uragano origina il persistere del contemporaneo vuoto di
senso, lo stato di leggerezza e di sospensione a mezz’aria di vite straziate
come oggetti schiantati che irradiano altrove i loro inconsistenti
irriconoscibili ed innominabili frammenti: il nichilismo.» 23
Iris: «Inoltre, l’inerzia del tornado, il conformismo erede di un rigoroso
determinismo ci vincola a tal punto che non è ammesso deviare il cammino,
rispetto a ciò che il tornado ha stabilito per noi.»
24
Nora: «Dunque l’avventatezza di questo uragano ci spinge dove non
vorremmo andare?»
Fiona: «Non lo so, tuttavia posso condividere con voi questa personale
avversità:
Il tornado delle circostanze non solo mi stava suggerendo di
oltrepassare una linea. Io non ero ancora pronta.
Credo di essermi resa conto che al di là di quella linea si
trovasse qualcosa che non volevo in nessun modo. L’inerzia mi travolse e mi
obbligò a superarla definendo la mia direzione. Ti chiedi mai quando è stato il
momento esatto in cui hai sbagliato? Il momento in cui la tua realtà si è
istoriata degli scenari che te stesso hai odiato sin dall’infanzia e che non
avresti mai immaginato di vivere? L’istante origine di una realtà in cui si
comprende di non poter più scegliere, non per averlo scelto, per non aver
scelto. Oltre quella linea, la solitudine, il tipico aspetto dell’universo. Il
tipico aspetto dell’universo è buio, buio pesto. E’ così buio che se steste
guardando la stella più vicina a voi, e quella stella esplodesse come una
supernova, e la guardaste direttamente nel momento in cui la sua luce vi
raggiunge, comunque non sareste in grado di vedere neanche una scintilla. Ecco
quanto è vasto e buio l’universo. E questo nonostante il fatto che una
supernova è un evento talmente luminoso, che vi annienterebbe da una distanza
di svariati anni luce. E’ anche molto freddo là - meno di tre gradi al di sopra
dello zero assoluto. Ed è anche molto vuoto.
Il vuoto là, è un milione di volte meno denso del vuoto che al
momento possiamo realizzare sulla terra. Quindi ecco quanto è diverso un tipico
posto nell’universo da questo posto. Ed ecco quanto a-tipico è questo posto. Il
posto con voi.
Il buio, il freddo, il vuoto, il silenzio mi resero in quel
periodo esausta, avevo soprattutto sonno, non un sonno sereno, quieto ed
antalgico, non un sonno immemore dei tediosi oneri della vita che rinsavisce lo
spirito, una insonnia allucinante che distrae il dì, un’ostinata amnesia che di
notte inibisce i sogni onirici, custodi di speranze che non ricordo.»
Ian: «Ricorda, Fiona. Nathan ci consigliò che nulla è definitivo,
intoccabile, ovvio o immobile. La linea di cui ci hai parlato è in verità una
illusione, la riparazione d’una disavventura può compiersi nella misura in cui
riponi la tua fede nella rosea e fiduciosa attitudine che
ammette la cautela nel credere che le vicissitudini della vita
coincidano con il perfetto e definitivo finimondo.»
Nathan: «Il valore del sacrificio non gode di buona considerazione e
l'attitudine al sacrificio vuol essere elusa.
L'evidenza disvela che il valore attribuito al riconoscimento
conseguente ad un sacrificio, nel reale può tuttora rivelarsi
contrattualmente, pecuniariamente, cuturalmente, umanamente discriminante e concorde all'etica del
privilegio.
Nora: «Il riconoscimento può tuttora essere esiguo ed iniquo rispetto
all'oggettivo valore di merito coerente con il tempo e le risorse umane
dedicate a questo sacrificio.»
Nathan: «Sì.
Inoltre, la paziente attitudine ad investire le proprie energie in ciò che non
si rivela essere immediatamente una fonte di guadagno e riconoscimento,
talvolta può essere giudicata fine a se stessa, risultando vana agli impazienti
occhi che giudicano. La severità di giudicare le scelte definitive e radicali è
dominante. Dunque ciò che accogliamo e ciò a cui dedichiamo il tempo presente
significa, secondo questo pensiero, il definitivo abbandono, oggettivamente
riconosciuto, di ciò che nelle intenzioni soggettive sarebbe stato
temporaneamente, assolutamente non per il tempo della vita, trascurato.
Le tipiche parole severe in nome di ciò che nel presente si
sacrifica sono:
Hai preso la tua decisione. Ora puoi solo guardare avanti,
verso ciò che hai accolto. Ti è proibito voltarti verso le realtà che hai
ricusato e che hai definitivamente perduto.
Questo pensiero impaziente è velenoso poiché non dona rispetto,
non attribuisce valore al tempo della vita.
Il veleno di questo avventato pensiero ammette la spietatezza
di togliere la vita ad una realtà, altresì relazionale, prima del tempo del
riconoscimento della meta di questa realtà, prima del tempo del puro compimento
delle qualità in potenza di questa realtà.»
Nora: «Inoltre esser come 'foglie al vento' non è onesto.»
Iris: «Sono sconcertata. Davvero Fiona. Se solo avessi parlato con me
ti sarei stata accanto, ti avrei teso la mano, credo in verità che nessuno tra
noi ti avrebbe trascurata se solo avesse avuto consapevolezza di questo periodo
della tua vita.»
Fiona: «Ti ringrazio infinitamente per le tue parole, Iris. La solitudine
attende con fiducia il cuore delle persone, non lo esige reclamandolo a gran
voce. Iris, la realtà testimonia che la solitudine è una realtà poliedrica:
La solitudine può essere un attitudine ed un sentimento
presente in ciascun uomo in misura variabile.
Può essere un fatto concreto che trova il suo estremo
compimento nel critico fenomeno sociale dell’atomizzazione e dell’Hikikomori.
La solitudine potrebbe essere un ambiente mentale adeguato alla
creazione ed al consolidamento dell’integrità e delle strutture metacognitive
individuali necessarie nelle dinamiche di relazione interpersonale.
Le parole di Julian alludevano alle attitudini che non solo
possono qualificare definitamente una comunità o un individuo.
Molteplici attitudini sono latenti in ciascuno di noi e
costituiscono il nostro carattere e la nostra identità. Lo abbiamo compreso;
l’attitudine alla resilienza è una variabile, la resilienza è evidentemente
dipendente dalla vitalità, dall’integrità, dalla emotività, dalla sensibilità,
dall’umiltà, dall’audacia individuali… dalle contingenze di una singola vita.
Inoltre l’attitudine alla resilienza ed all’autonomia, non deve implicare
l’attitudine all’abbandono.
Il valore di somma resilienza non è una costante, non è innata,
è inumana. La solitudine perfetta è
immagine e somiglianza del greve fardello della somma resilienza. Non è
ammissibile che un uomo pretenda che un fratello sia costantemente,
autonomamente e sommamente resiliente, poiché egli sta domandando ad un uomo di
non essere umano. »
Fiona lesse un verso della bibbia: ‘Il giovane ricco.’
“Uscito sulla strada, un tale gli corse incontro e gettandosi
ai suoi piedi gli domandò; “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita
eterna?”. Gli disse Gesù: ”Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, all’infuori
di uno solo: Dio. Conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere
adulterio. Non rubare. Non testimoniare il falso. Non frodare. Onora tuo padre
e tua madre. Quello gli rispose: ”Maestro, tutte queste cose le ho osservate
sin dalla mia fanciullezza. Allora Gesù, guardandolo, lo amò e gli disse: ”Ti
manca ancora una cosa. Va’, vendi tutto ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un
tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi!”. A queste parole, però, quello corrugò
la fronte e se ne andò rattristato, perché aveva molte ricchezze.”
Marco 10, 17-27
Fiona: «La dialettica ‘dovizia | povertà’ è polisemantica poiché è
relativa alla qualità del suo complemento attributivo.
Un uomo dovizioso di denaro può essere povero d’animo
caritatevole, un uomo povero di denaro può essere dovizioso dell’attitudine
alla saggezza. . . Sì un uomo dovizioso può necessitare dell’aiuto d’un uomo
povero.
Sì non è perentorio che solamente i doviziosi siano meritevoli
del rispetto e della riconoscenza insiti nella facoltà di essere in potenza un
valore per il prossimo.
Incoronati saranno solo i vincitori; ma deve consolarci il
fatto che, per vincere, basta non consentire, e non cedere davanti
all’ingiustizia.
Rancé
La vita è il simbolo (συμβάλλω) universalmente conciliante che abbraccia i valori inediti di
cui ciascun uomo è erede ed oblatore.»
Iris: «Fiona. Inoltre, la parabola che hai condiviso con noi cela un
secondo significato: Gesù amò il giovane ricco a priori, ovvero quando ancora
non aveva coscienza della sua attitudine nei suoi confronti.»
Fiona: «Sì.
Un giorno potremmo evincere che in passato non abbiamo riconosciuto, a coloro
che abbiamo ricusato, il valore che in realtà avrebbero meritato. Torneremo
indietro, umilmente pronunciando ad essi le nostre ammende. Sì essi potranno
rispondere che è tardi, che non ci attendono più, che hanno voltato pagina.»
Nathan: «Fiona, non ricordi le parole di Julian: L’idea di non aver più
tempo per perdonare ed essere perdonati, o per realizzare ciò che non abbiamo
realizzato è illusoria, come quella di perdere per sempre una speranza o una
persona ancora in vita.
Perché invece che alimentare, questo disarmante vento d’addii
che non dona valore alla vita, a ciò che siamo, alle nostre scelte, non si
sceglie d’arrestare questi reciproci pregiudizi che accumulano solo malinconie
e rimpianti?»
Nora colse nuovamente il libello ‘Voltairine de Cleyre. The
Dominant Idea, 1910’ e ne condivise con i compagni un passo. 21
Nathan: «Vorrei provare a rispondere alla tua domanda, Nora. Il tempo
del nostro vivere è un valore inestimabile che possiamo mettere a frutto.»
Nathan scrisse su un foglio queste parole e le presentò ai
compagni:
«L’opera
umana trova significato nella qualità della gratuità compiuta.»
“You do not belong to you. You belong to the universe. Your
significance will remain forever obscure to you, but you may assume that you
are fulfilling your role if you apply yourself
to converting your experiences to the highest advantage of others.”
Richard Buckminster Fuller
Come il vaso d’una
clessidra
La parola clessidra ha origini greche; in greco la voce κλεψύδρα
si compone di due termini: κλέπτω, che significa rubare e ὕδωρ che significa acqua. La clessidra, lo sapete, fu un orologio
usato nell’antichità, formato essenzialmente da un vaso contenente acqua o
sabbia, che può gradatamente vuotarsi dal fondo che affluisce in un secondo
vaso: la valutazione del tempo trascorso si ricava dall’abbassamento del
livello nel vaso, oppure dalla quantità di liquido o sabbia affluita in un
altro vaso collocato inferiormente.
Tuttavia, che cosa possiamo vedere in questa immagine: il tempo
della vita esiste e si rivela nell’aura dolce del divenire che muta, che non
sta, infatti l’acqua o l’arena a poco a poco innova la sua sede affluendo nel
secondo vaso. Il tempo della vita esiste e si rivela nella relazione, non nella
solitudine; un vaso ricco d’acqua o d’arena dove li riverserebbe in mancanza
d’un secondo recipiente? »
Julian: «Semplice, sta; immobile e saturo delle sue ricchezze.»
Nora: «Oppure sciala le sue ricchezze, il vaso riversa l’acqua o
l’arena a terra, dove il tempo del vivere decade nell’impossibilità di
riconoscerne il volto: Così l’umido
alone d’acqua, irradiato dai caldi lumi solari, tenue vaporando, sfuma.
Così l’arena, nemmeno carezzando la terra, si disperde in
cielo, condotta da confusi venti astrali.»
Ian: «Julian. Se sta immobile non può donare. Vive il tempo che non
vive e che non scorre, la stasi del tipico aspetto dell’universo.»
Nathan: «Interessante. Il tempo della vita esiste e si rivela nell’atto
del dono ciascuno da all’altro ciò che l’altro ha bisogno. Ed è solo il dono
che genera e rigenera. Dopotutto ciascuno di noi è come uno dei due vasi di una
clessidra.»
Fiona: «Tuttavia siamo parti infinitesime del tempo.
Siamo così infinitesimi nel tempo e nello spazio; provando
semplicemente a fermarci comprenderemmo che la realtà, nelle sue generalità, si
svolgerebbe comunque ostinata ed in considerevole misura indifferente alla
nostra assenza:
Carl Sagan
scrisse:“Siamo materia stellare che medita sulle stelle.”
Siamo come polvere di diamante nell'universo, sì in verità
possiamo chiaramente riconoscere l'illusione della gravità delle nostre inquietudini e l'illusione della consistenza
dei nostri egoismi *, tuttavia scorgendo in una goccia di rugiada, gli oceani;
nei giocondi istanti che si avvicendano, eternità nuove; nell' esiguità e nella
povertà dell' umiltà e della magnanimità, l'immensa e florida nobiltà d'animo;
nella semplicità, la coomplessa compiutezza; i tuoni dei silenzi nei cieli
degli animi; potremmo vedere e riconoscere nei cuori e nelle menti di ciascuna
donna e di ciascun uomo dissimili conciliabili universi di cui l'universo
naturale è materno custode.
Per questo ciascun istante di ogni vita naturale ha un valore,
non dev'essere strumentalizzato ed annichilito; affinché gli uomini non
offendano loro stessi ed affinché non offendano la loro natura madre con
dispotiche pretese e con arbitrarie tendenze a giudicare il prossimo alla
stregua di una marionetta senza cuore, senza mente e senza nome.
La natura può sopravvivere senza l’uomo, tuttavia l’uomo non
può sopravvivere senza la natura, il disastro di Černobyl’ ne è un evidente
esempio. »
Iris: «L’unica
modo di vivere il tempo è crescere, e l’unica maniera di crescere è nascere
nuovi. Mettere al mondo una persona non avviene una singola volta. Avviene ogni
istante in cui riconosciamo il volto, pronunciamo il nome, vegliamo sulla sua
fragilità, custodendola in un abbraccio. In grazia di questa attitudine viviamo
il tempo e consentiamo a questa persona di vivere il tempo. Il tempo ha valore
soltanto in misura della vita che vi infondiamo.»
*
In bibliografia: La testimonianza di Greta Thunberg.
Nora: «Quando non sapremo più cosa dire, quando non sapremo più cosa
fare, significa che sarà giunto il tempo di rallentare, di fermarsi, di
accogliere l’atmosfera della tranquillità, di respirare lasciando liberaramente
fluire i nostri pensieri, riconoscendo il rilievo e la consistenza di ciò che è
stato realizzato ed intravvedendo i valori celati nelle parole che sono state
pronunciate, tra le immagini di vita di cui siamo stati artefici o eredi. Sì
lasciando parlare la memoria si troveranno le domande e le risposte giuste. In
grazia di questo tempo dedicato, se dovessimo nuovamente errare, (Decadere
nell’abbaglio o nel traviamento.) il nostro non sarà un eterno cadere. La
nostra memoria e consapevolezza giungerà alle origini di questi valori, le cui
sfumature definiscono intimamente ed ontologicamente la nostra identità. Sì
risorgeremo come fenici dalle braci della memoria di valori umani, ancestrali
archetipi, ereditati, ideati ed insorti sulle ‘στήλη’ stele del cuore e della mente. Sì resterà essenzialmente viva
l’identità, riconoscibile il volto, fedele e veritiera l’indole. »
Fiona condivise un racconto d’una vicenda che avvenne durante
la sua infanzia:
Racconti di un eclettico
marinaio
La tradizionale locanda era un luogo rivierasco, ordinato ed
accogliente; il salone dove desinavano gli ospiti era ammobiliato con antichi e
preziosi cimeli; una bilancia a stadera in rame del XX secolo, una radio
d’epoca, una macchina da cucito singer del XIX secolo, un prezioso orologio a
pendolo non funzionante, una ruota d’una carrozza, un modello in legno e
tessuto d’un veliero, un dipinto realizzato con la tecnica ‘dripping’,
elaborata nella sua forma più tipica da Jackson Pollock, alcuni ritratti in
carboncino e forbiti disegni in china raffiguranti elementi architettonici.
Ivi un anziano mi diede il benvenuto donandomi una conchiglia;
mi presentai all’umile e gentile ristoratore pronunciando il mio nome ed egli
mi accolse cordialmente.
Ora, non mi congedò; altresì prese un foglio di carta ed un
carboncino e mi chiese di pronunciare una parola che egli avrebbe scritto sul
foglio bianco; Io gli consigliai la parola: ‘creatività’.
Egli colse il carboncino con la mano sinistra e compose la
parola ‘creatività’ scrivendo rispettivamente le lettere nell’ordine:
à, t. i, v, i, t, a, e, r, c; iniziando ad incidere dal lembo
destro del foglio sino a terminarne la scrittura vicino al lembo sinistro della
pagina.
L’anziano aggiunse: Sai, Leonardo da vinci scriveva in questo
modo; Sin dall’infanzia scrivo e disegno
specularmente ma presto dovetti imparare a scrivere con la mano destra.
In seguito mi presentò un ritratto in carboncino che realizzò
durante gli anni della giovinezza: Era il ritratto di suo padre che dovette
disegnare in solitudine e mantenere segreto per decenni poiché era un’opera
realizzata con un metodo (Il mancinismo) che un tempo era ricusato e
severamente punito. Il temperamento coinvolgente dell’anziano pittore mi
incuriosì; dunque continuai ad ascoltarlo.
Mi rivelò di essere stato un marinaio nel fiore degli anni
della giovinezza: Nella mia vita ho esplorato diversi paesaggi marittimi:
Vorrei ora raccontarti dei torridi giorni estivi dell’anno 1975, gli anni della
mia giovinezza che trascorsi su una piattaforma petrolifera dove, all’età di
anni lavorai con mio padre aiutandolo adempiendo alle sue richieste. Il cielo
era terso, nessuna onda all’orizzonte increspava la superficie del mare che
rifletteva i lumi solari rendendo roventi i metalli della piattaforma. Mi
consideravo fortunato: le mansioni a cui dovetti adempiere, cuoco e cameriere,
non mi esponevano alle sofferenze derivanti dalla necessaria resilienza alle
incessanti ore di lavoro alienante e miseramente ricompensato di inserviente
che riguardava primariamente il trasporto e l’assemblaggio di elementi ferrosi
tra cui le aste utilizzate per le trivellazioni che, quotidianamente in
condizioni atmosferiche umanamente insostenibili reificava centinaia di
giovani.
In questo arido luogo imperversava l’impossibilità di
intrattenere normali rapporti sociali durante la permanenza sulla piattaforma
segnata dall’ineluttabile muto lavoro.
Le contingenze naufragavano dinanzi ai miei occhi ed io,
nonostante avessi amato sottrarre dall’estenuante lavoro a cui i miei coetanei
adempivano con solerzia e straordinaria umiltà, dovetti desistere ché sottrarre
loro il tempo di lavoro dedicandolo all’amicizia ed al riposo (in verità
meritato e necessario) avrebbe comportato l’interrompersi della coatta
assiduità e l’imminente sofferenza di nuove severe pene.
Un meriggio divenni consapevole d’un’ fatto:
Sulla piattaforma sovente si lesinava limitando ai giovani i
pasti essenziali alla loro sussistenza.
Abitudinariamente mi era richiesto di cucinare una quantità di
vivande affinché venissero saziate venti persone adulte; un giorno mio padre mi
disse di non cuocere due chili di pasta, bensì cinque. Io rimasi sorpreso; ero
convinto che tale provvedimento avrebbe comportato uno spreco inutile. Ciò che
aggiunse mio padre avvalorò questa convinzione: ‘Figlio mio, servi in tavola le
vivande per venti commensali e getta in mare le pietanze che non hai servito.’
Ebbi fiducia della decisione di mio padre e gettai in mare le
vivande.
Mi meravigliai assistendo a ciò che accadde: Un numero
indefinito di ragazzi che dovettero digiunare per un lungo periodo si tuffarono
in mare e di questi alimenti si saziarono. Tutti osservarono con stupore ciò
che accadde, fin da ora furono devolute ai giovani le quantità e le qualità di
vivande adeguate alla loro resilienza.»
Dunque Nora condivise con i compagni questo passo:
“E innanzitutto, contro l’accettata formula del Materialismo
moderno, ‘Gli uomini sono ciò che le condizioni producono’, io stabilisco
un’affermazione opposta, ‘Le condizioni sono ciò che gli uomini producono’.
In altre parole, la mia concezione della mente, o del
carattere, non è che sia un inefficace riflesso di una momentanea condizione di
materia e forma, ma un agente rinnovatore attivo, che reagisce sul suo ambiente
e trasforma le condizioni qualche volta lievemente, qualche volta molto,
qualche volta, sebbene non spesso, totalmente.”
Voltairine de Cleyre The Dominant Idea,
1910
Iris: «Queste parole di Voltairine de Cleyre sono custodi di valori
controcorrente; esse sono immagine d’una dottrina della liberazione dalle
condizioni della realtà.
In memoria del movimento
“Weiße Rose”.
Promosso da un gruppo di
studenti cristiani
attivo dal giugno 1942 al
febbraio 1943.
Tale pensiero anticonformista, tale mentalità è ragguardevole,
merita il medesimo rispetto che abbiamo osservato in merito all’attitudine
d’Amor fati (L’ amore per il fato, per il destino, l’inane rassegnazione, L’accoglienza passiva
della realtà, l’attitudine a far coincidere la propria volontà con il corso
degli eventi, con la loro causalità, con l’eterno ritorno dell’uguale.)promossa
dalle parole di Ian che ha condiviso per noi alcuni versi del manoscritto
‘Siddhartha’.»
Julian: «Forse la prospettiva di Amor fati Hermann Hesse e la
prospettiva destrutturante di liberazione dalle condizioni di Voltairine de Cleyre 25
non si confutano reciprocamente, bensì si
completano vicendevolmente.*
*Potremmo
ritenere che esse sono classiche contraddizioni in una logica paraconsistente.
La quarta delle ‘Quattro nobili verità’; il Nobile Ottuplice
Sentiero, il cui simbolo è la Ruota del Dharma ammettono come possibile la liberazione dalle
Condizioni causali e la annoverano come fonte di serenità e di pace.
Nora: «Il padre del marinaio compì un miracolo, egli fu un esempio di
vita da annoverare, egli non combatté la realtà esistente.
Bensì creò un nuovo modello che rese obsoleto il modello
precedentemente esistente.»
Nathan: «Dunque lo abbiamo compreso, il mondo cambia continuamente.
Tuttavia, davvero l’attitudine è semplicemente lo specchio di quei cambiamenti?
No, può non essere solo questo, l’attitudine può inoltre essere l’agente
rinnovatore attivo di quei cambiamenti.» Julian: «In che modo?»
Nathan: «In questa dinamica che si impone lacerando le relazioni è
importante realizzare logiche di relazione di svariate qualità, logiche nella
misura in cui esse non vertono più sulla composizione di ciò che è, ma sulle
relazioni che si tessono tra le realtà ad esempio le connessioni logiche fonti
di comprensione di senso, queste parole potrebbero esemplificare questa idea:
Ricordate? La memoria, o l’anamnèṡi, ad esempio costituisce la
relazione tra il visibile e l’invisibile, Ian condivise con noi questo concetto
parlando dell’ “Interpretazione a molti mondi”, ed Iris disse che la Vera
coscienziosità, la consapevolezza che può cambiare le persone in persone
migliori, può rivelarsi quando l’invisibile si unisce al visibile affiorando in
superficie.
Julian, durante questi tre giorni in cui si è svolto il nostro
incontro noi tutti abbiamo già risposto, credo adeguatamente, a questa tua
domanda.»
Iris: «Abbiamo parlato del valore della memoria, dopotutto siamo tutti
frutto della nostra storia, dell’iniziativa rivolta alla volontà di incontrare,
dell’equilibrio nella stabilità del nostro centro interiore, della
concentrazione, concentrarsi su qualcosa, non è semplice perché la nostra
attenzione si volge verso tante direzioni nello stesso tempo, inoltre possiamo
spostare l’attenzione non solo con gli occhi, bensì anche con il pensiero.»
Nora: «Abbiamo anche chiarito che l’attenzione non riguarda solo
quello su cui ci stiamo concentrando bensì anche la nostra capacità di filtrare
le informazioni escludendo le distrazioni.»
Fiona: «Iris ha parlato del valore della lettura che amplia gli
orizzonti di senso in grazia di variopinti contesti che custodiscono relazioni
ordinate di idee, la lettura è un proposito d’ introversione concentrata ed un
avventura nei meandri del pensiero e dell’immaginazione.»
Ian: «La memoria è il contenuto ed il capitale dell’immaginazione.
L’immaginazione è innata e pura nei neonati e nei fanciulli in tenerissima età,
poiché la loro memoria è vergine e libera dai vincoli logici che assimiliamo
crescendo, i bambini creano innocenti associazioni curiose ed inconsuete di
parole. L’immaginazione fanciullesca, insieme alla volontà creativa ed
all’attitudine a veder oltre tipica dei più giovani, nelle verdi età, ovvero
quando il contenuto mnemonico diviene consistente, può divenire fonte di
libertà di pensiero rispetto all’odierna rigida strutturalizzazione metalogica
ed origine di illustri scoperte e saggezze.
Inoltre i valori della logica
(l’innata attitudine a relazionare) della consapevolezza, della saggezza
umana (Attitudini ad attribuire e riconoscere i significati e le cornici di
contesto), non sono assolutamente
sostituibili con l’affaire virtuale, nella sua accezione di enciclopedia,
talvolta vaga ed astrusa, talvolta ordinata e valevole.»
Fiona: «Iris, credo che noi tutti vorremmo conoscere il motivo del
nostro viaggio insieme.»
Iris rispose: «Riconosciamo,
impariamo a vedere che la nostra vita quotidiana è ricca di doni. Chi provvede
all’essenziale, il dono del conforto, il dono del consiglio, il dono
dell’ascolto, il dono del per-dono, il dono della libertà, il dono della
possibilità.
Ho sempre creduto che un giorno avremo compreso che noi tutti
abbiamo vicendevolmente donato molto più di quanto avremmo mai creduto. Questo
viaggio ne è stato la testimonianza. Non trovo le parole per ringraziarvi.
Non mi sarei affatto meravigliata se qualcuno avesse trovato
insufficiente la mia proposta di condivisione di questi momenti con voi, sia
nelle parole che ho scelto su un piano quanto mai concreto, sia nei temi che vi
ho proposto.»
Ian: «Iris, perché credi che giudicheremo carente ciò che hai
realizzato per noi?»
Iris: «La memoria mi esorta a riconoscere che purtroppo oggi il verbo
ricusare abbia conquistato una latente positiva considerazione a discredito
dell’attitudine all’accoglienza disinteressata, al riconoscimento dei valori
insiti nelle umili realtà della vita.
Ad esempio, Julian mi dicesti: Iris, non credere, io ti dico,
che poiché tu fai questo, la realtà di questi labili legami tra noi tutti
cambierà!
Ian disse: A mio avviso con alcune persone niente conta, niente
è importante, né parole, né opere, né tempo.
Forse, talvolta il pensiero eccedente annovera l’avventatezza e
la necessità costante del giudizio e del pregiudizio. Le Condizioni che sono intimamente connesse
al culto della Ragione, che ambisce a divulgare una idea di Ragione
perfettamente infallibile, talvolta, dominando sulla spiritualità e
sull’intuito umani, commette dei grevi misfatti.
Sono cosapevole che vi siano tematiche che in questo momento di
condivisione non abbiamo considerato e che tuttavia avrebbero meritato di
essere approfondite con serietà ed
urgenza. Mi auguro che presto verrà il tempo di nuovi incontri, possiate in
futuro tornare a sfogliare queste pagine della vostra memoria. Miei compagni,
ora cercate voi la via di voi stessi, siate giudici riflessivi in merito alle
parole che avete udito dalla mia voce, ed annoverate con cautela la voce del
prossimo come oracolo della Verità. Tuttavia ascoltatelo, in ogni tempo
custodendo il ricordo delle sue parole, potrebbero rivelarsi preziose. Sarei
lieta se un giorno si possa accendere con voi un dialogo su tutta questa nostra
vicenda.
Il valore del dialogo.
Immagino i manoscritti di questa biblioteca abbandonata
inghirlandarsi di variopinti aloni.
Queste aure sono i sentimenti, le idee propositive, le
responsabilità, le premure degli scrittori che metaforicamente sono le
quintessenze del peso del nero inchiostro di cui le candide pagine sono
astutamente intrise.
Queste parole sorgono a nuova vita, in grazia di nuove cure,
dei sentimenti, delle saggezze, delle idee critiche dei lettori, ed immagino i
manoscritti luminarsi dei lumi dei lettori che cangiano le tinte dei
manoscritti.
Ed immagino gli incontri, i dialoghi tra questi scrittori ed i
loro lettori, sì essi giovano l’un l’altro di questi lumi, delle loro
prospettive, dei sentimenti, delle idee propositive che le sole attitudini alla
lettura ed alla scrittura, talvolta, non possono disvelare.
Abbiamo compreso il valore della memoria.
Volevo riscrivere i miei ricordi con qualcosa di bello, mi
ripropongo di far rivivere nei miei pensieri questi momenti.»
Fiona, osservando gli sguardi dei compagni comprese che
avrebbero tutti desiderato dell’altro tempo per stare insieme.
Iris colse dalla propria borsa cinque alidi quadrifogli che
dispose ordinatamente sul tavolo. Consegnò a ciascuno dei compagni un
quadrifoglio dicendo: «Ora, ciascuno di voi possiede un quadrifoglio. Chiedo a
ciascuno di voi di donare il quadrifoglio ad una persona tra voi cinque, ora
ciascuno di voi possiede un quadrifoglio.»
Ian ringraziò Iris, con queste parole: «Un
rapido e noncurante sguardo vede d’una conchiglia ‘Ostrea’ l’apparenza
esteriore, le sue livide lamelle opache, ondulate e scabre. Il curioso, umile e
paziente sguardo può riconoscere le recondite madreperlate iridescenze della
perla, l’opale del mare, di cui l’Ostrea è custode.
Nelle umili realtà, non pretenziose, sono latenti i beni più
generosi.»
Successivamente Iris colse cinque buste da lettera e cinque
fogli di carta pergamena. Infine disse ai compagni: «Consegnerò
a ciascuno di voli uno di questi cinque fogli, se volete, potete lasciare
alcune parole su questo foglio che donerete a qualcuno di noi in queste buste
da lettera.»
Fiona colse il proprio quaderno da disegno e ne colse un
foglio.
Fiona: «Iris, questo è il tuo foglio, non ha una carta pregiata quanto
le pergamene che ci consegni, tuttavia meriti certamente anche tu di
partecipare con noi.» Iris ringraziò Fiona.
I giovani trascrissero sui fogli sei frasi che infine i giovani
donarono vicendevolmente. Iris: «Ora coloro che vogliono condividere le parole che hanno
trascritto possono parlare.»
Nora vide il messaggio che Julian le aveva consegnato e tacque:
Il messaggio fu: «Tutto quello che ho realizzato lo realizzai per te.»
Anche Ian tacque, il messaggio che Ian ricevette da Iris fu: «Sai,
non potrò stare accanto a te, per sempre vegliando.»
Fiona condivise il messaggio che Nathan le aveva scritto: «Volo
ut sis.»
Nathan, dopo aver visto le parole di Fiona, tacque: «Nathan,
finora non ho mai udito l’ultimo tintinnio del nostro metronomo dell’amistà.»
Julian non condivise il messaggio che ricevette da Nora:
Quando Nora ricevette la pagina da Iris, durante gli istanti in
cui i compagni trascrivevano, lei osservò in silenzio il candido foglio di
pergamena, lasciando abbandonata la penna sul tavolo; nell’istante in cui lei
consegnò la lettera a Julian, Nora espressione nebulosa, insieme malinconica e
consolante; avvilita e rasserenante; distante, tuttavia incoraggiante.
Fu manifesto agli occhi di tutti i compagni che Nora aveva
donato a Julian il bianco enigma del suo silenzio. Iris, dopo aver ricevuto da
Ian la propria pagina di pergamena, ne condivise il contenuto con i compagni: «
Iris, ovvero Ἶρις , iride,
la personificazione dell’arcobaleno, la messaggera degli Dei.»
Iris ringraziò solennemente Ian ed aggiunse: «Ora ciascuno di voi è custode delle parole che scrisse, delle
parole che accolse leggendo le pergamene donate ed infine delle parole che udì
dalle voci di coloro che condivisero con tutti noi il contenuto della missiva
ricevuta.
Questo è il valore delle idee e della memoria, per questo
infine propongo a ciascuno di voi di dare in prestito le letture che avete
portato con voi ad una persona tra noi, questa persona potrà inoltre
sottolineare alcuni passi del libro che ha ricevuto, prima di riconsegnarlo
nella fede che i libri consultati ed i componimenti dialogici che ereditiamo e
di cui siamo eredi non divengano le necropoli delle parole.»
Nathan aggiunse alle parole di Iris: «La memoria è il portale delle necropoli.»
I giovani accolsero felicemente la proposta di Iris, le letture che furono
vicendevolmente scambiate furono: L’ insostenibile leggerezza dell’essere di
Milan Kundera, Metaphysique du bonheur réel di Alain Badiou, L’indicibile
tenerezza di Eugenio Borgna, La banalità del male di Hannah Arendt, Ecce Homo
di Friedrich W. Nietzsche, Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro, Siddhartha di
Hermann Hesse ed Oceano mare di Alessandro Baricco.
Iris: «Nathan condivise con noi la poesia ‘Il futuro’ di Julio
Cortázar, mi auguro che il dono di queste letture sia auspicio dell’avverarsi
di un nostro nuovo futuro insieme e che sia un monito affinché sia possibile
riunirci per raccogliere i semi che abbiamo seminato. Nulla accade, nulla si
muove in assenza d’una volontà e d’un primo immobile atto volto alla
condivisione d’un desiderio di relazione. Intanto, la memoria, l’entità ombra
d’una realtà sospesa nella latente unione d’universi lontani, pazientemente
ordisce la trama del suo compimento.»
L’eredità di un diario
Orizzonti d’anime consorti
Parte seconda
La giovane donna dagli occhi ardesia presentò il diario alla
madre.
L’ anziana donna si meravigliò leggendo l’incipit del diario:
«Una
pietra d’ Acquamarina incastonata al centro d’una lastra d’ardesia:
Effigie di rare sfumature d’ iridi di lei; il ricordo
d’inobliabili occhi.»
Lei onfidò alla figlia:
«Questo
diario fu scritto dal nonno e dal padre tuo, come è possibile che tu ne abbia
una copia?
La giovane disse alla madre queste parole:
«Lui
ci ha sempre amate. Ci ha sempre atteso, lo sapevi. Perché non lo abbiamo mai
raggiunto?»
La madre pianse:
«Tuo
padre era molto povero in passato, dovette allontanarsi da noi quando avevi solo
dieci anni per andare a lavorare lontano; prima di partire ricordo che mi disse
queste parole:
Non piangere tesoro, tornerò presto. Le tue lacrime sono
preziose; non sprecarle per ciò che ti rattrista, risparmiale per ciò che ti
rende felice. C’è chi pensa di essere alla fine della vita e non si è accorto
che la vita è appena iniziata.»
La giovane donna dagli occhi ardesia entrò nella locanda, il
ragazzo dagli occhi color liquirizia accolse lei dicendo:
«Benvenuta.
Ti stavo attendendo.»
Si sedettero al tavolo in fondo al bar.
Il giovane dagli occhi color liquirizia colse un diario, la
copertina del diario era composta da due lastre d’ardesia; una pietra d’
Acquamarina era incastonata al centro d’una delle due lastre.
«Forse,
questa giovane donna mi è destinata.»
Pensò il fu bambino dagli occhi color liquirizia.
Non lo disse ad alta voce perché sapeva che a dirle, le cose
belle non succedono. «Alcuni anni or sono tuo padre mi esortò a completare questo
diario:
Le ultime pagine le ho scritte io, avrei piacere di leggerle a
te.»
Lei rispose: «Sai, anche io scrissi su questo diario alcuni anni orsono, ero
una bambina. Prego, leggi, ti ascolterò con attenzione.»
Il ragazzo cominciò a leggere:
«Non
trovi che la gente sia formata dal paesaggio in cui cresce?
Il paesaggio ha formato tutto ciò che penso, faccio, sono.
Vidi il mare
Una mattina, superai il cancello della mia abitazione, vidi il
mare:
Il mare donando l’orizzonte al mio sguardo, mi rassicurò; vidi
il mare accogliermi;
Udii la voce del mare pronunciare una parola:
Benvenuto.
Vidi la scogliera
Una mattina, superai il cancello della mia abitazione, vidi la
scogliera:
Vidi un muro a due dimensioni che, come una catena d’alture,
con ostinata indifferenza velava l’orizzonte ai miei occhi.
Udii la voce degli scogli:
Non mi accoglievano, esigevano ch’io fossi degno di vedere
l’orizzonte. Avrei dovuto meritarlo; avrei dovuto affrontare le scogliere per
provare a vedere l’orizzonte.
Un giorno quell’uomo solitario mi disse queste parole.
«Sai,
sono passati molti anni da quei giorni.»
Raccontava,
«Quei
giorni, i giorni di una domanda mai pronunciata, i giorni di una domanda
inascoltata.
Io sto andando, non restare indifferente, di’ qualche cosa
affinché ciò non accada!
Non udii alcuna voce. Da quei giorni di divorzio iniziai a
recarmi alle nove in punto in questo luogo abbandonato nell’attesa di chi mi
vuole bene.»
Essi furono come scogliere, ché inibirono il fluire dell’onda
dei legami.
Egli era come il mare, avrebbe accolto con un ‘benvenuto’
coloro che si fossero presentati alla locanda.
Quando dissi “buongiorno” a quell’uomo solitario fui come il
mare per lui, fui come l’orizzonte.
Sai, l’anima è come l’orizzonte, le relazioni, i legami umani,
sono incontri d’anime, incontri d’orizzonti:
L’incontro tra orizzonti è prezioso quanto raro.
Con un gesto innalzerai sul mare della tua anima una scogliera
che veli il tuo orizzonte ai suoi occhi:
Ed il prossimo volgerà il suo sguardo da te cercando serenità
al cospetto d’orizzonti che può vedere, raramente intraprenderà il viaggio tra
le onde della tua anima per vedere il tuo orizzonte oltre la scogliera che hai
realizzato.
Santi siano i rari ch’ intraprenderanno questo viaggio, essi
cercheranno il prossimo, lo accoglieranno, lo perdoneranno.
Il prossimo con un gesto innalzerà sul mare della sua anima una
scogliera che veli il suo orizzonte ai tuoi occhi:
E volgerai il tuo sguardo dal prossimo cercando serenità al
cospetto d’orizzonti che puoi vedere, raramente intraprenderai il viaggio tra
le onde della sua anima per vedere il suo orizzonte oltre la scogliera che ha
realizzato.
Santi siano i rari ch’ intraprenderanno questo viaggio, essi
cercheranno il prossimo, lo accoglieranno, lo perdoneranno.
La virtù della fedeltà conferisce unità alla nostra vita:
Se con un gesto tradirai chi ha sempre agito per il tuo bene,
se sconvolgerai il mare della sua anima, tormenterai il suo sereno mare
d’immense onde che celeranno ai tuoi occhi il suo orizzonte che egli non
avrebbe mai voluto velar ai tuoi occhi.
Se con un gesto il prossimo tradirà te che hai sempre agito per
il suo bene; se il prossimo sconvolgerà il mare della tua anima, egli
tormenterà il tuo sereno mare d’immense onde che celano ai suoi occhi il tuo
orizzonte che non avresti mai voluto velar ai suoi occhi.
abbaglio, il male bianco
Caligine di cenere confonde rifrangendo variopinte sfumature
d’orizzonti sereni, or si vedon incanutire d’una cinerea
incomprensione la calda ed ambrata tinta d’un sole nascente.
L’ineluttabile
Le condizioni della realtà sono come un uragano che,
imperversando, travolge le serene acque delle anime; schermando gli orizzonti
consorti segna la separazione delle anime.”
Il bambino dagli occhi color liquirizia disse alla donna queste
parole:
«Questo
diario ti appartiene.»
Lei rispose:
«Questo
diario non è mai appartenuto a te,
questo diario non è mai appartenuto a me,
in verità, è sempre appartenuto a noi.»
Queste parole divennero origine del legame tra il fu bambino
dagli occhi color liquirizia e colei che fu la bambina dagli occhi color
ardesia.
L’agoraio d’oro, un diario impreziosito d’una pietra d’
Acquamarina,
dono dei genitori di colei che fu la bambina dagli occhi color
ardesia.
L’indivisibile legame dei genitori del fu bambino dagli occhi
color liquirizia.
Questi, furono esempi, eredità, simboli, sigilli d’un legame
che si rivelò divenire indivisibile.
Fine
IL DIARIO COLOURFULSHARE
Light painting.
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OPERE LETTERARIE AUTOGRAFE
Esegesi di letture
Mosaico di frammenti di lettura.
Tesi
Delega di responsabilità pesonale.
Creatività complessa e intuitiva.
Limiti del vedere.
Reciprocità.
Riflessione sul tema delle attitudini devianti.
Haloes.
OPERE ARTISTICHE AUTOGRAFE
colourfulshare.blogspot.com/p/dipinti.html
NOTE
Premessa.
Questo manoscritto presenta alcune riflessioni che interessano
i soggetti: ‘uomo’, ‘singolo’, ‘fratello’, ‘persona’.
Tali riflessioni sono ambivalenti, ovvero sono correlate sia al
sesso femminile, sia al sesso maschile.
1
Non siamo innocenti, siamo responsabili delle nostre decisioni.
Tuttavia siamo davvero smarriti e soli al cospetto dell’arcano della scelta che
ai nostri occhi si rivela illusoriamente inedita?
In verità non lo siamo.
Scegliamo consapevolmente nella misura in cui abbiamo coscienza
degli elementi di confronto che costituiscono il bivio della scelta.
L’istante presente della relazione consente in grazia del
dialogo e dell’ascolto di vedere con gli occhi di coloro con cui ci
relazioniamo.
Questo mio manoscritto non è custode di tesi definitive ed
immutabilmente valide. Inoltre queste pagine non sono custodi di alcuna rivelazione.
L’ archetipo della giustizia, è innato nella nostra mente, l'archetipo
dell'amistà è innato nel nostro cuore.
Il libro 'I Ching'.
Esagramma tredicesimo.
Amistà. Comunione concorde.
Poiché le scritture furono depositarie di umili ed eminenti valori
umani, ciò che nella benevolenza e nella creatività vai cercando è altresì
stato sfiorato nelle scritture del passato: Miriadi di autentiche eredità
ancestrali; non decadenti epitaffi, ombre del passato.
La lettura consente di vedere con gli occhi di coloro che hanno
visto, è la chiave d’inestimabili dimenticatoi, custodi di saggezze
consolidate.
Siamo custodi del
presente e siamo eredi del passato. Il
vedere e l’aver visto consentono il sognare e il prevedere.
2
Lo scritto “nihil” esemplifica una prospettiva sulla condizione
del compositore, del poeta.
Il foglio bianco, simbolo del non-sense del nihil, si pone come
primo ineluttabile ostacolo alla creativa realizzazione di un’opera e come
radice d’infinite possibilità.
Il coraggio e la forza di volontà sono le fonti dello spirito
d’iniziativa che, scegliendo di oltrepassare l’ostacolo di una realtà ancora
incerta, nebulosa, sfuggente (la bianca tela) ; traduce in fatto
creativo l’identità del compositore, del
poeta.
In verità ciascun singolo,
nel momento in cui decide di mettersi in gioco è in questo senso un
compositore, un poeta.
3
“La maggioranza degli spettatori asserì d’aver veduto sul petto
dell’infelice sacerdote una lettera scarlatta. Circa l’origine di essa, si fornirono
varie spiegazioni che dovettero necessariamente esser tutte ipotetiche. Certuni
affermarono che il sacerdote, il giorno stesso in cui Hester rivestiva per la
prima volta l’insegna infamante, aveva iniziato delle pratiche di penitenza, in
seguito proseguite con tanti metodi infruttuosi, infliggendosi un’orrenda
tortura.
Altri ancora, più in grado d’apprezzare la speciale sensibilità
del sacerdote e lo straordinario influsso del suo spirito sul corpo,
sussurrarono la propria opinione secondo cui lo spaventoso simbolo era effetto
del rimorso ch’era andato rodendolo fin dai precordi, per manifestare alla fine
il pauroso decreto del Cielo con la presenza visibile della lettera. Scelga il
lettore tra queste teorie. Noi abbiam fatto luce del nostro meglio su quel
portento, e saremmo contenti, ora che ha adempiuto al suo ufficio, di
cancellarne l’impronta profonda dalla nostra memoria, ove la lunga meditazione
l’ha ribadito con una nitidezza quanto mai sgradevole. Notiamo tuttavia la
singolare circostanza per cui certuni, che assisterono a tutta la scena e
dichiararono di non aver mai distolto gli occhi dal sacerdote, negarono che sul
suo petto vi fossero impronte di sorta, più di quante ne siano sul petto d’un
neonato. E neppure, a sentir loro, le sue estreme parole avevano riconosciuto,
o quanto meno implicato lontanamente, un benché minimo nesso tra lui e la colpa
a motivo della quale la lussuriosa donna recava da tanto tempo sul seno la
lettera scarlatta. Secondo quei testimoni degni del massimo rispetto, il
sacerdote, conscio d’essere in punto di morte; conscio inoltre che la riverenza
della moltitudine lo collocava di già tra i santi e gli angioli, aveva voluto
dimostrare al mondo, spirando tra le braccia di quella donna caduta, quanto sia
affatto insignificante ciò che agli occhi dell’uomo è il fior fiore della
virtù. Dopo ch’ebbe consumato la vita lottando pel bene spirituale del genere
umano, egli aveva fatto della sua morte una parabola, allo scopo d’imprimere
nell’animo dei fedeli la triste e grandiosa lezione secondo cui, nella stima
dell’Infinita Purità, siamo tutti indistintamente peccatori. Essa era stata
intesa a insegnar loro come il più santo tra di noi, altro non abbia fatto che
superare i suoi simili fino a poter discernere più chiaramente la Misericordia
che volge in basso lo sguardo, e ripudiare più compiutamente il fantasma del
merito umano, che ambisce ad innalzare il suo. Senza voler contestare una
verità di tanto momento, non possiamo fare a meno di ritenere questa versione
della storia del sacerdote se non un semplice esempio di quell’ostinata fedeltà
con cui gli amici d’un uomo, e specialmente d’un ecclesiastico, ne sostengono
talvolta l’integrità del carattere, quando delle prove, chiare come la luce del
mezzodì sulla lettera scarlatta, lo proclamano invece un essere falso e
colpevole.”
La lettera scarlatta, Nathaniel Hawthorne
4
Lettera a una professoressa, 1967
scritto da alcuni ragazzi (insieme a Don Lorenzo Milani)
“Così è stato il nostro primo incontro con voi. Attraverso i
ragazzi che non volete. L’abbiamo visto anche noi che con loro la scuola
diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno.
Ma se si perde loro la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani
e respinge i malati.”
“La scuola ha un problema solo: I ragazzi che perde.”
“Il danno più profondo lo fate agli scelti.
Ogni volta ha visto la sua pagella migliore di quella dei
compagni che ha perso.
I professori che hanno scritto quelle pagelle gli hanno
impresso nell’anima che gli altri 99 sono di cultura inferiore.
A questo punto sarebbe un miracolo se la sua anima non ne
sortisse malata.”
“Una scuola che seleziona distrugge la cultura.”
5
Le Creatività.
La responsabilità è ciò che
attende fuori dell'Eden della creatività. (Nadine Gordimer)
I
The wisdom of not knowing.
La fase di stasi apparente,
attitudine apparentemente ed esteriormente infruttuosa.
(Valori puramente
assimilati)
Ambienti tipici: Sedi della cultura, delle arti e
dell’artigianato. Biblioteca, istituti scolastici, università, accademie.
Fonti: Ascolto acritico di oratori rinomati e lettura acritica
dei manoscritti autografi custodi delle riflessioni dei pensatori del passato.
L’apprendimento metacognitivo di un assunto, che avviene in
grazia di assimilazione mnemoniche passive, accresce e valorizza le
consapevolezze basilari funzionali alla creatività attiva.
La qualità e la quantità delle consapevolezze assimilate
qualifica e caratterizza il valore della creatività.
II
Fase di Movimento, di
cambiamento, di novità.
(Si enunciano nuove
differenze.
Valori puramente aggiunti
alle consapevolezze del passato.)
Ambiente tipico: La solitudine nella sua concezione di libertà
dall'atto dell'assimilazione mnemonica passiva della cultura definita dai
pensatori del passato.
Atto dell'originare e del temprare la prospettiva individuale.
Pensiero e riflessione: Giudizio di valore o atto critico del
confutare le consapevolezze assimilate durante il percorso di apprendimento
metacognitivo.
La genialità risiede nell’attitudine dedicata alla creatività
che rappresenta la ragion d’essere dell’apprendimento.
Conoscere l’arte, la scienza, l’architettura, la musica, la
letteratura, l’artigianato... ≠
Essere l’arte, la scienza, l’architettura, la musica, la letteratura, l’artigianato…
6
“Ma quindi noi
cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo
desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena meraviglia; egli fa
sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. Il quale
tintinnio segreto talvolta noi non udiamo distinto, meno ascoltiamo
quell’angolo d’anima d’onde esso risuona.
I segni della sua presenza e gli atti della sua vita sono
semplici e umili. Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio
vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando
cose non vedute mai; quello che parla, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle
stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che
piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra
ragione. Egli è quello che nella morte degli esseri amati con un gesto, una
parola, ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella follia
pronuncia, senza pensarci, la parola grave che ci frena.
Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole
d’amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo.
Egli fa umano l’amore, perché accarezza esso come sorella,
accarezza e consola la bambina che è nella donna. Egli ci fa vivere il tempo,
ché ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che
odora, ora vuol toccare la selce che riluce.”
Giovanni Pascoli, Il fanciullino
7
Syn-ballein significa unire, armonizzare, mettere insieme. Da
syn-ballein deriva il termine “simbolo”, immagine che ci riconduca, che ci
unisca ad una realtà più grande.
“In fact a man in love or one consumed with hatred creates
symbols for himself, as a superstitious man does, from a passion of conferring
uniqueness on things or persons. A man who knows nothing of symbols is one of
Dante’s sluggards. This is why art mirrors itself in primitive rites or strong
passions, seeking for symbols, revolving round the primitive taste for
savagery, for what is irrational.
Cesare Pavese
8
La Divina Commedia di Dante Alighieri col commento di G.
Biagioli tomo primo, Parigi, dai torchi di Dondey – Dupré. Versi 61 – 63.
61 – 63 si congiunsero come se fossero stati corpi di calda
cera. Mischiar lor colore; confondendosi le due forme insieme, debbesi il natìo
colore dell’una e dell’altra confondere ancor esso. Né l’un né ec. Costruzione:
e già né l’un colore né l’altro colore non sembrava quello ch’egli era prima
che si congiungessero sì fattamente.
64 – 67 Qualsivoglia lettore che legga anche per la ventesima
volta queste parole, lo vedi meravigliarsi di quanto bellezza esse siano. Chi
vuole comprendere le mie parole, accenda da un capo un pezzetto di tela bianca,
e vedrà un color bruno preceder via via la fiamma, il qual colore bruno non
essendo né il primitivo della tela, né quello che sarà poi dopo l’incendio. Né
bianco, né ancor nero, si è quel terzo colore che rappresenta quello dei
confusi colori.
Immagini il lettore il passar che fa il natìo colore della
tela, prima in bruno, poi in nero. Per papiro s’intenda come vuole Venturi la
carta, così detta dal papyrus, arbuscello che nasce in Egitto in luoghi
paludosi; ovvero, Lombardi ce ne fa la testimonianza, il lucignolo è fatto del papiro
ch’è un’erba detta giunco.
La Divina Commedia di Dante Alighieri col commento di G.
Biagioli tomo primo, Parigi, dai torchi di Dondey – Dupré.
9
Di ciò che si rappresenta,
dell’ opinione altrui.
Ciò che rappresentiamo, o, in altri termini, la nostra
esistenza nell’opinione altrui non ha importanza alcuna per la nostra felicità.
Servendo di base al sentimento dell’onore, questa proprietà può
avere un’influenza salutare sulla buona condotta di moltissime persone, a guisa
di succedaneo della loro moralità; ma in quanto alla sua azione sulla felicità
reale dell’uomo, e soprattutto sulla quiete dell’animo e sull’indipendenza, le
due condizioni sì necessarie alla felicità, essa è piuttosto perturbatrice e dannosa
che favorevole. Si è per questo, che, dal nostro punto di vista, è prudente
metterle un limite e, con saggie riflessioni, moderare questa grande
sensibilità riguardo l’opinione altrui tanto nel caso che carezzi quanto nel
caso che ferisca, in tutti e due pende dal medesimo filo.
Altrimenti restiamo schiavi dell’opinione e del sentimento
degli altri.
Per conseguenza un giusto apprezzamento del valore di ciò che
si e in sé stesso e per sé stesso confrontato con ciò che si è solamente agli
occhi altrui contribuirà molto alla nostra felicità. Il primo termine del
confronto comprende quanto riempie il tempo della nostra esistenza, il
contenuto intimo di questa.
Di ciò che si è e di ciò
che si ha
Il luogo dove si trova la sfera d’azione di tutto questo è proprio
la coscienza dell’uomo. Invece il luogo di tutto ciò che siamo per gli altri è
la coscienza altrui; è la figura sotto la quale noi vi appariamo, come pure le
nozioni che vi si riferiscono.
Ora queste sono cose che, direttamente, non esistono affatto
per noi; tutto ciò non esiste che indirettamente, vale a dire se non in quanto
stabilisce la condotta degli altri verso di noi. Ed anche questo non entra
realmente in considerazione che in quanto influisce su ciò che potrebbe
modificare quello che siamo in noi e per noi stessi.
Ciò posto, quanto succede in una coscienza straniera ci è, a
tal titolo, perfettamente indifferente, e, a nostra volta, noi vi diverremo
indifferenti a misura che conosceremo abbastanza la superficialità e la
futilità dei pensieri, i ristretti limiti delle nozioni, la piccolezza dei
sentimenti, l’assurdità delle opinioni e il numero considerevole di errori che
s’incontra a misura che impareremo per esperienza con qual disprezzo si parla,
all’occasione, di ciascuno di noi quando non si teme o non si crede che lo
sapremo — ma soprattutto allorquando avremo inteso una sol volta con qual
disdegno si parla dell’uomo, il più degno di stima. Comprenderemo allora che
attribuire un alto valore all’opinione degli uomini è far loro troppo onore.
Il danno è il non trovare la felicità in ciò che si è
realmente, ma nell’immaginazione altrui.
In tesi generale è la nostra natura che costituisce la base del
nostro essere, e per conseguenza anche della nostra felicità.
Sarà dunque molto utile per la nostra felicità il conoscere per
tempo questo fatto così semplice che ognuno vive anzitutto ed effettivamente
nella sua propria coscienza e non nell’opinione degli altri, e che allora
naturalmente la nostra condizione reale e personale, quale la determinano la
salute, il temperamento, le facoltà intellettuali, è cento volte più importante
per la nostra felicita di ciò che piace agli altri fare di noi.
L’illusione contraria rende infelice. Esclamare con enfasi:
«L’onore vale più della vita» è dire realmente: «La vita e la
salute sono niente; ciò che gli altri pensano di noi, ecco l’importante».
Quando si vede come quasi tutto ciò che gli uomini cercano
durante l’intera loro vita, ha per scopo finale di elevarli nell’opinione
altrui; quando si vede che il risultato definitivo a cui si tende è di ottenere
più rispetto da parte degli altri, tutto ciò non prova, ahimè! se non la
grandezza dell’umana follia. Noi dobbiamo dunque dissuaderci dall’attribuire un
valore troppo alto all’opinione altrui. Se nondimeno, come ce lo insegna
l’esperienza, il fatto si presenta ogni giorno, la stoltezza parla vilmente.
Se ciò che la maggior parte degli uomini stima di più è
l’opinione altrui a loro riguardo, e se essi se ne preoccupano più che di
quanto accade nella loro propria coscienza, esiste immediatamente per loro; se
dunque, per un rovesciamento dell’ordine naturale, è l’opinione altrui che
sembra loro esser la parte reale dell’esistenza, e la propria cocienza, la
parte ideale;
se fanno di ciò che è derivato e secondario l’oggetto
principale, e se l’immagine del loro essere nel giudizio degli altri sta loro
più a cuore che il loro essere stesso; tale apprezzamento diretto di ciò che
direttamente non esiste per alcuno costituisce quella follia a cui si è dato il
nome di vanità, «vanitas» per indicare con questa parola il vuoto ed il
chimerico di tale tendenza. Si può facilmente comprendere che essa appartiene
alla categoria di quegli errori che consistono nell’obliare lo scopo per i
mezzi.
Infatti il prezzo che noi annettiamo all’opinione altrui e la
nostra costante preoccupazione a questo riguardo passano quasi ogni limite
ragionevole, talmente che tale preoccupazione può esser considerata come una
specie di mania generalmente diffusa, o piuttosto innata. In tutto ciò che facciamo,
come in tutto ciò che ci asteniamo di fare, noi prendiamo in considerazione
l’opinione altrui quasi prima d’ogni altra cosa, e si è da una tal cura che in
seguito ad un esame profondo vedremo nascere la metà circa dei tormenti e delle
angosce che abbiamo provato.
E quante vittime non fa di frequente! Essa si mostra già nel
fanciullo poi in ogni stadio della vita.
Per noi tutti, ben di sovente, le nostre inquietudini hanno in
vista quasi interamente l’opinione altrui.
L’invidia e l’odio partono egualmente, in gran parte, dalla
stessa radice.
Il solo mezzo di liberarci da questa follia universale sarebbe
di riconoscerla distintamente per una follia, e, a tale scopo, renderci conto
ben chiaramente fino a qual punto le opinioni, nei giudizi degli uomini, siano
in massima parte e molto di frequente false, distorte, erronee ed assurde;
considerando inoltre quanto talvolta può essere errato il nostro stesso
giudizio relativo all’opinione altrui; quanto l’opinione altrui abbia poca
influenza reale sulla nostra persona nella maggior parte dei casi; quanto in
generale essa sia iniqua e spietata, talmente che non vi sarebbe chi non si
ammalerebbe dalla collera se sentisse in che tono si parla e cosa si dice di
lui; quanto infine l’onore non abbia, propriamente parlando, che un valore
indiretto e non immediato..
Se potremo riuscire ad ottenere la guarigione di questa follia
generale, guadagneremo infinitamente in calma di spirito ed in soddisfazione,
ed acquisteremo integrità, un contegno più fermo e più sicuro, e un portamento
molto più sciolto e più naturale.
L’influenza affatto benefica d’una vita ritirata sulla nostra
tranquillità d’animo e sulla nostra soddisfazione proviene in gran parte perché
essa ci sottrae all’obbligo di vivere costantemente sotto lo sguardo altrui e,
per conseguenza, ci toglie la preoccupazione incessante sulla loro possibile
opinione: ciò che ha per effetto di renderci a noi stessi. In tal maniera
sfuggiremo egualmente a molti mali effettivi la cui causa unica è questa aspirazione
puramente ideale, o, per dire più correttamente, questa deplorabile demenza; ci
resterà pure la facoltà di prestare maggior cura ai beni reali.
Noi dobbiamo stimare felici coloro che, guadagnando sé stessi,
guadagnano cosa che ha prezzo.
Inoltre come è più felice quel paese che ha meno bisogno o non
ha affatto bisogno d’importazione, così è felice l’uomo a cui basta la
ricchezza interna, e che per la sua felicità non domanda che poco, od anche
nulla, al mondo esterno, non dobbiamo, a nessun titolo, aspettarci gran cosa
dagli altri, e in generale dal di fuori.
Ognuno deve adunque essere e fornire a sé stesso ciò che v’ha
di migliore e di più importante. Quanto più succederà così, tanto più per
conseguenza l’individuo troverà in sé stesso le sorgenti delle felicità
interiori.
Le sorgenti esterne della felicità e del piacere sono di lor
natura eminentemente incerte, equivoche, fuggevoli, aleatorie, quindi soggette
ad arrestarsi facilmente pur anche nelle circostanze più favorevoli. È
importante sapere ciò che si ha da sé stessi. Ciò è e resta la sorgente vera, e
sola permanente della felicità. Colui che ha molto in sé stesso è simile ad una
camera dell’albero di Natale, illuminata, calda, gaia, in mezzo alle nevi ed ai
ghiacci d’una notte di dicembre.”
Aforismi sulla saggezza nella vita ,
Arthur Schopenhauer
10
Riflessioni sul tema della necessità dell'amistà.
In bibliografia:
Come vivere una vita
serena? Lezioni dal più lungo studio sulla felicità.
Il fenomeno della Spietatezza relazionale
L’altruismo
e la reciprocità sono garanti dell’equilibrio e dell’armonia della relazione.
La
reciprocità è garante della biunivocità relazionale che si compie in grazia
della concatenazione di gratuità. (Il dono, l’altruismo che è il puro valore
aggiunto che rivitalizza e rinnova la relazione.)
Tuttavia
oggi sono malauguratamente fiorenti e dominanti le attitudini il cui archetipo
è l’egoismo.
Se
l’altruismo degenera in egoismo radicale l’equilibrio relazionale decade e la
relazione perde vitalità ed infine sfiorisce in grazia dei fenomeni della
spietatezza relazionale e dell’abbandono.
Le attitudini antinomiche della carità e dell’abbandono
Amistà e carità
“Donde viene che mentre
parlando delle cose umane si dice che occorre conoscerle prima di amarle, ciò
che è diventato proverbiale, i santi invece dicono, parlando delle cose divine,
che occorre amarle per conoscerle, e che nella verità si penetra soltanto per
mezzo della carità.”
Pascal
Due
persone creano un clima relazionale costantemente e nuovamente rivitalizzato
dall’altruismo e dalla reciprocità.
L’equilibrio
relazionale non può decadere, certamente può divenire instabile nella misura in
cui una delle due persone sospende la sua vitalità relazionale (questa persona
in questa contingenza rivela attitudini coerenti con l’archetipo dell’egoismo:
apatia, distacco, allontanamento.)
Poiché
vive un periodo di fragilità delega la responsabilità della sussistenza della
relazione all’altra persona.
L’altruismo,
la premura e la curiosità condurranno la seconda persona a riconoscere il
valore dell’incontro che chiarifica, confutando o confermando I pregiudizi e le
invenzioni.
Tali
sono le premesse concrete, l’orizzonte di coscienza, che sono garanti della
limpida consapevolezza in seno all’agire rivolto al prossimo.
Lei ora,
è più consapevole, per questo può agire coerentemente, abbracciando le
vicendevoli esigenze di amistà.
Eventualmente
rammenderà con il proprio contributo gratuito (altruismo, il puro valore
aggiunto , che può compiersi nell’iniziativa dell’incontro, nel paziente
ascolto e nel dialogo rispettoso e conciliante) le ferite della prima persona
e, con esse sanando il disquilibrio relazionale. Se colei che in passato non aveva abbandonato
dovesse vivere un periodo di fragilità, la prima persona sarà riconoscente e vi
dedicherà le proprie cure.
L’iniziativa,
la causa relazionale prima, il principio, deve altresì fondarsi sulla
responsabilità autoreferenziale, non può perentoriamente fondarsi sulla delega.
Abbandono
In un
clima relazionale in cui domina il dirittismo e la pretenziosità, (In cui si
ammettono i diritti e si ricusano i doveri, le responsabilità e l’altruismo nei
confronti della persona coinvolta nella relazione.
In cui
ogni benedire e buon agire siano perentoriamente dovuti.)
L’equilibrio
relazionale può decadere. Certamente questo Equilibrio può divenire instabile
nella misura in cui una delle due persone sospende la sua vitalità relazionale.
Poiché
una persona vive un periodo di fragilità, lei delega la responsabilità della
sussistenza della relazione all’altra persona. Tuttavia ora, secondo le
premesse dell’archetipo dell’egoismo, tale eventualità sovente implica il
definitivo scoramento della relazione: le due persone si allontanano.
Probabilmente
in futuro non si incontreranno poiché in esse si tempreranno le invenzioni, i
sentimenti di delega di responsabilità, di timidezza, di tristezza, di
rammarico, di rincrescimento e di ritorsione che progressivamente nel tempo
annichiliscono l’intenzione di rivivere sentimenti di empatia e di uni-patia,
l’attitudine del dono, la volontà di mantenere i contatti e la fede in un nuovo
incontro. Ed è ora che parliamo dei valori della fiducia, del perdono, della
grazia, della comprensione, della clemenza, e della magnanimità e dei disvalori
dell'analfabetismo emotivo ed affettivo, dell’odio, del tradimento, della
vendetta, della apatia, della scortesia, del rancore e della condanna.
Il
perdono è una goccia sbiancante di altruismo sulla nera trama dell’egoismo e
della solitudine. Il perdono può ravvivare lo spirito d’iniziativa rivolto a
ridefinire i termini della relazione.
La voce
dell’egoismo dirà che la vita è difficile per tutti che si deve essere ‘umili’
(Nell’accezione corrotta di umiltà, che degenera nel silenzio sofferto e dunque
nel dovere della muta individuale resilienza)
ed è qui, altresì nella santa e intima sfera della fragilità e della
sofferenza umana che si impongono le patetiche, disumane e profane retoriche
nichiliste dell’indifferenza, della comparazione e della competizione.
11
La vera umiltà è disinteressata.
La dissimulazione dell’umiltà.
L’atto
di affermare ciò che è, tuttavia con un’attitudine ed un tono che lasciano
intendere il contrario di ciò che è.
Ironia o dissimulazione del pensiero.
Atto di
affermare il contrario di ciò che si pensa con tono tuttavia che lascia
intendere il vero sentimento. Alterazione spesso paradossale, allo scopo di
sottolineare un aspetto della realtà di un fatto mediante l'apparente dissimulazione
della sua vera natura o entità.
Sono
retoriche che possono orientare l’attenzione degli interlocutori talvolta
rivolte alla delega di responsabilità, allo svilimento ed all’annichilimento di
tematiche in verità imminenti, urgenti e rilevanti e sovente interessate alle
utilità del consenso e del proselitismo.
12
L’importanza insita nell’attitudine a prendersi cura di coloro
che stanno ai margini.
Premessa: L’Utilità
Marginale.
Si attribuisce valore ad un bene non in base alla soddisfazione
totale conseguente al suo possesso, bensì in base alla soddisfazione
conseguente all’ultima aggiunta, quella meno desiderata al nostro consumo.
Ordinariamente l’acqua, diversamente dai diamanti, è largamente
disponibile; in tali circostanze l’ultima goccia di essa ha un’utilità nulla.
Ma se ci troviamo nel
deserto, in una condizione di indubbia scarsità di acqua, non c’è nulla contro
cui si potrebbe scambiare un’altra goccia.
La costante possibilità di possedere distrae il cuore e
impedisce di apprezzare ogni cosa e ogni momento: Quando in una famiglia è
disponibile solo una briciola di cibo ad essa si attribuisce un immenso valore.
Il Darwinismo sociale
La dottrina del darwinismo sociale promosse la sopravvivenza
del più adatto, Herbert Spencer ne fu il teorico.
Secondo la concezione spenceriana i poveri e le vittime erano i
deboli:
“Mi limito semplicemente ad applicare le teorie di Darwin alla
razza umana. Solo coloro che riescono ad andare avanti (sotto la pressione imposta
dal sistema), alla fine riescono a sopravvivere. Costoro devono essere gli
eletti della loro generazione.”
Herbert Spencer
Ad Herbert Spencer va accreditata l’idea conseguente che nulla
deve interrompere o intralciare questo processo.
“Coloro che non sopravvivono al sistema sono indegni e possono
essere legittimamente assoggettati e sacrificati. L’intero sforzo della natura
è di sbarazzarsi dei falliti della vita, ripulendo il mondo della loro presenza
e facendo spazio ai migliori.”
Herbert
Spencer
Gli
eventi storici furono testimonianza delle disumane conseguenze del pensiero
spenceriano, la memoria ci induce dunque a discreditare e a ricusare le forme
di applicazione di questa teoria, alla realtà.
Pëtr
Alekseevič Kropotkin si oppose radicalmente al darwinismo sociale confutandone
il fondamento:
Idee che confutano il
darwinismo sociale
“Cambiano gli strumenti in maniera rivoluzionaria tuttavia non
cambiano i vecchi meccanismi, tu sei deprivato e arrivi deprivato, tu sei
fortunato ed arrivi fortunato.
Perché la rivoluzione possa essere più che una parola, perché
la reazione non ci riporti domani alla situazione di ieri, la conquista di oggi
deve comportare lo sforzo di essere difesa; il povero di ieri non può essere il
povero di domani.”
Pëtr Alekseevič Kropotkin
Inoltre illustri personalità pronunciarono parole di dissenso
nei confronti dei principi Spenceriani che diniegano qualsiasi riconoscimento
di valore ai non eletti:
La parabola del seminatore
La parabola del seminatore ci consiglia di non deplorare il
fallimento, bensì di riconoscerlo come valevole ipotesi di crescita.
Socrate un giorno chiese a un giovane:“Ti esti?” Il giovane non
sapeva, era in dubbio. Il maestro non lo rimproverò, esortò il discente a
cercare la risposta, Socrate lo avrebbe atteso per ascoltarlo. Socrate aiutava
i giovani a conoscere, risvegliava in loro la curiosità per ciò che non hanno
ancora conosciuto ed i giovani amavano imparare.
Un chicco di grano che non dà frutto si stima essere inutile,
come se fosse inesistente; viene calpestato ed abbandonato a se stesso. Socrate
si comportava diversamente con quei chicchi di grano, li coglieva e donava loro
con le proprie cure la possibilità di divenire diversi. Credendo umilmente di
essere esso stesso un chicco di grano povero non condannava, non risvegliava in
coloro che lo ascoltavano la paura di sbagliare; non rimproverava, bensì
accoglieva e donava ciò che poteva donare.
Umiltà e sobrietà
“La sobrietà e l’umiltà non hanno goduto nell’ultimo secolo di
una positiva considerazione. La scomparsa dell’umiltà, in un essere umano
eccessivamente entusiasmato dalla possibilità di dominare senza alcun limite,
può solo finire col nuocere alla società. Nessuna persona può maturare in una
felice sobrietà se non è in pace con sé stessa. E parte di un’adeguata
comprensione della spiritualità consiste nell’allargare la nostra comprensione
della pace, che è molto più dell’assenza di guerra. La pace interiore delle
persone è molto legata al bene comune, perché, autenticamente vissuta, si
riflette in uno stile di vita equilibrato unito a una capacità di stupore che
conduce alla profondità della vita nella capacità di non sottostimare e
deplorare il diverso: rendersi presenti serenamente davanti ad ogni realtà, per
quanto piccola possa essere, ci apre molte possibilità di comprensione e di
realizzazione personale.
Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli
altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri, che vale la pena di
essere buoni e onesti.
La costante possibilità di possedere distrae il cuore e
impedisce di apprezzare ogni cosa e ogni momento: Quando in una famiglia è
disponibile solo una briciola di cibo ad essa si attribuisce un immenso valore.
In condizioni di abbondanza una briciola di cibo è del tutto
priva di valore e, sottovalutandola, si abbandona.
Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo
consumistico compulsivo, le persone finiscono con l’esser travolte dal vortice
del superfluo. Il consumismo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno -
economico.
L’essere umano accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete
della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e, nel complesso, lo
fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e giusto.
Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finché
conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che
possiedono la libertà sono quelli che fanno parte di una minoranza. In questa
confusione, l’umanità postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di sé
stessa che possa orientarla, e questa mancanza di identità si vive con
angoscia. Abbiamo troppi mezzi per esigui e miseri fini.
La situazione attuale del mondo “provoca un senso di precarietà
e di insicurezza, che a sua volta favorisce forme di egoismo collettivo. Più le
persone diventano autoreferenziali e si isolano nella loro coscienza, più il
loro cuore diviene vuoto, il consumismo diventa un precario anestetico ma non
colma il vuoto che si vive. In tale contesto non sembra possibile che qualcuno
accetti che la realtà gli ponga un limite. In questo orizzonte non esiste
nemmeno un vero bene comune. Se tale è il tipo di soggetto che tende a
predominare in una società, le norme saranno rispettate solo nella misura in
cui non contraddicono le proprie necessità. L’ ossessione per uno stile di vita
consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare
soltanto crisi sociali, violenza e distruzione reciproca.
È sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da
sé stessi verso l’altro. Senza di essa non si riconoscono le altre creature nel
loro valore proprio, non interessa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli
altri, manca la capacità di porsi dei limiti per evitare la sofferenza di chi
ci circonda. L’ atteggiamento fondamentale di auto - trascendersi, infrangendo
la coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende possibile
ogni cura per gli altri e fa scaturire la reazione morale di considerare
l’impatto provocato da ogni azione e da ogni decisione personale al di fuori di
sé. Quando siamo capaci di superare l’individualismo, si può effettivamente
produrre uno stile di vita alternativo e diventa possibile un cambiamento
rilevante nella società.”
Papa Francesco
13
La natura altruistica e
relazionale
Il pensiero di Maurice
Nédoncelle
L’altruismo è una attitudine innata della natura umana.
La conoscenza è una attività incline all’ apertura creativa,
razionale, caratteriale, emozionale verso l’altro: Le realtà naturali ( che
annoverano la conoscenza delle creature viventi, tra cui le persone), virtuale
e artificiale.
Il dono e l’altruistico
spirito di condivisione
“Per chi? Surreali
cambiamenti”
L’altruismo trova compimento nell’attitudine del dono. Il dono
della parola, l’esibizione di una vocazione, l’intima voce di arti e creatività
diverse.
L’atto per il tramite del quale si conosce una persona è di
tipo intuitivo, non razionale. L’intuizione, non la riflessione è la logica
segreta della percezione.
La percezione della persona è il tempo d’origine della
relazione.
Approfondimento:
Innsaei, the Sea within, Regia di Hrund Gunnsteinsdottir, Kristín Ólafsdóttir,
Germania,2016.
La reciprocità e la vicendevole relazione
L’intuizione, nella percezione dell’altro è la relazione
reciproca tra la coscienza di sé e la coscienza dell’altro. La dinamica
vicendevole della reciprocità origina e vivifica nuove empatie orientando la
relazione interpersonale.
Non può esistere reciprocità tra:
- Una
persona che percepisce un ente privo di coscienza poiché è inconsapevole di
essere percepito.
- Una persona
che percepisce una persona a sua insaputa.
La relazione è un arricchimento reciproco
La dinamica della relazione arricchisce le coscienze: Il
naturale spirito di condivisione è origine di una proiezione, la proiezione è
un dono; la coscienza che riceve questo dono, lo assimila integrandolo con le
sue qualità caratterizzanti ed infine lo proietta nuovamente in nome dello
spirito di condivisione e di riconoscenza.
Si avranno soltanto le ricchezze che si avranno donato.
Quando una persona accoglie il mio desiderio di conoscenza di
lei, vuol anche che io le permetta di conoscermi. La curiosità è l’anello
mancante della catena.
Le continuità di reciprocità del sentimento, della curiosità e
della volontà di promozione tra una singolarità ‘Io’ ed una seconda singolarità
‘Tu’ danno vita ad un nuovo stato di equilibrio relazionale che nominiamo ‘Noi’
caratterizzato dalle relazioni di identità
‘Io’ = ‘Noi’
e
‘Tu’ = ‘Noi’.”
“L’universo personale non è altrettanto il luogo privilegiato,
in cui lo spirito attende che un altro spirito lo desti e lo doni a sé stesso?”
Jacques Lefèvre d’Étaples
La negazione classica alle relazioni di identità:
‘Io’ = ‘Noi’
e ‘Tu’ =
‘Noi’ otteniamo una contraddizione: Il singolare è plurale. Non può
essere.
Applicando la negazione classica alle relazioni di
identità ‘Io’ =
‘Noi’ e ‘Tu’
= ‘Noi’ otteniamo una discrasia
di significati: Il singolare è plurale, tuttavia se applichiamo la dialettica
della negazione paraconsistente (Descrizione a pagina 104) possiamo riconoscere il significato latente insito nella
relazione ‘il singolare è plurale’.
14
Un’etica del merito.
La consapevolezza del
percorso.
Non soppesare la qualità del merito attribuito, semplicemente
in base ad una osservazione provvisora ed imminente.
Equilibrio del merito
Nelle eventualità di:
Disquilibrio del giudizio di merito subìto (o attribuito) nelle
sue accezioni di qualità del riconoscimento conseguente a attitudini sincere,
utili e benevoli.
Disquilibrio del giudizio di merito subìto (o attribuito) nelle
sue accezioni di qualità della pena imputata alle condotte dannose e
deliberatamente inique.
Le variabili della misura individuale della libertà decisionale
e delle individuali possibilità attuative sono fondamentali nell’ottica della
salvaguardia dell’equilibrio del merito oggettivo subìto ed attribuito.
15
La bellezza d’ogni vita. La semplicità insita nell’essere umili
e pii. Il valore e la rarità dell’ascolto esente d’ogni impazienza, pretesa,
lode o biasimo. Il valore dell’attenzione. L’ascolto della natura, (il fiume)
che non è un ostacolo al cammino dell’uomo; in grazia della natura possiamo
rivelare i più profondi valori, tra cui il valore dell’ascolto sereno, che può
attendere senza desiderio, senza pregiudizio. Il valore della parola ponderata.
Il tempo non esiste.
“Il fiume si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e
alla foce, alla cascata, alle rapide, nel mare, in montagna, dovunque in ogni
istante, e che per lui non vi è che presente, neanche l’ombra del passato,
neanche l’ombra dell’avvenire?”
Allora considerando la vita, si riconosce che è anch’essa un
fiume, soltanto ombre, ma nulla di reale, separano le età della vita, la tenera
età, la giovinezza e l’anzianità.
“Nulla fu, nulla sarà: Tutto è, tutto ha realtà e presenza. Non
era forse tempo ogni dolore, non era forse tempo ogni tormentarsi e aver paura?
E non sarebbero stati superati e soppressi tutto il peso, tutta l’ostilità del
mondo, non appena si fosse superato il tempo , non appena si fosse superato il
tempo, non appena si fosse trovato il modo di annullare il pensiero del tempo?
L’acqua è la voce della
vita
Non è vero, amico, che il fiume ha molte voci, moltissime voci?
Così è, ammise, tutte le voci delle creature sono nella sua.
L’abbaglio del pregiudizio e dell’impazienza insita nel
giudizio.
Accadeva talvolta che uno dei viaggiatori, dopo aver guardato
in volto uno dei barcaioli, cominciasse a raccontare la propria vita, rivelasse
sofferenze, confessasse torti, chiedesse consolazione e consiglio.
E accadeva anche che arrivassero curiosi, ai quali era stato
raccontato che vivevano a questo traghetto due saggi o santi. I curiosi
facevano un mare di domande, e non ricevevano l’ombra d’una risposta. Non
trovavano né saggi né santi ma solo due anziani buoni e che parevano muti,
forse anche un po’ scemi. E i curiosi ridevano e conversando tra loro
ammiravano con quanta stoltezza e leggerezza il popolo accetti e sparga simili
voci senza fondamento.
Il tema della ricerca
La parola ‘Serendipità’
Serendipità {Ingl. serendipity, da Serendip, antico nome
dell’isola di Ceylon: voce coniata da H. Walpole nei Tre principi di Serendip
pubblicato nel 1754.}
Il trovare una cosa non cercata e imprevista mentre se ne cerca
un’altra.
“Accade a volte che un sognatore o un bambino si rompano gli
occhi nell’intento di vedere con precisione, di sorprendere nel cielo
crepuscolare il momento in cui compare ciascuna delle prime stelle. Ben tesa è
la curiosità, allora; ben vigile, l’attenzione; in uno stato come di ossessione
le pupille.
Mai però si raggiungerà il risultato desiderato. Una livida
solitudine permane nel punto preciso dove con tanta ansia si guarda. In cambio,
un poco più lontano, qualche cosa è successo. Niente ivi c’era prima; ma ora,
ma adesso, rispende la più brillante delle stelle. Senza volerlo il nostro
sguardo si rapprende nella luce.”
E. D’Ors, Diario Europeo, 1946
No, l’uomo che cerca veramente, l’uomo che veramente vuol
trovare, non può accogliere nessuna dottrina. Ma quell’altro uomo, quello che
ha trovato, quello può ammettere ogni dottrina, ogni via, ogni meta.
Disse Siddhartha: “Che cosa dovrei mai dirti, io, o venerabile?
Forse questo, che tu cerchi troppo? Che tu non pervieni a trovare per il troppo
cercare? Quando qualcuno cerca allora accade facilmente che il suo occhio perda
la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori di quella che cerca, e che egli
non riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla in sé, perché pensa sempre
unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo
scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: esser libero,
restare aperto, non avere scopo. Tu, venerabile, sei forse di fatto uno che
cerca, poiché, perseguendo il tuo scopo, non vedi tante cose che ti stanno
davanti gli occhi.
I limiti della parola.
La saggezza non è comunicabile. La saggezza che un sapiente
tenta di comunicare ad altri, ha sempre un suono di follia. La scienza si può
comunicare, ma la saggezza no. Si può trovarla, si può viverla, si possono fare
miracoli con essa, ma dirla e insegnarla non si può.
Dialetheia
Ho trovato un pensiero, che tu riterrai di nuovo una pazzia:
D’ogni verità anche il contrario è vero! In altri termini: Una verità si lascia
enunciare e tradurre in parole soltanto quando è unilaterale. E unilaterale è
tutto ciò che può essere concepito in pensieri ed espresso in parole, tutto
unilaterale, tutto dimidiato, tutto privo di totalità, di sfericità, di unità.
Quando il sublime nel suo insegnamento parlava del mondo, era costretto a
dividerlo. Non si può far diversamente, non c’è altra via per chi vuol
insegnare. Ma il mondo in sé, ciò che esiste intorno a noi e in noi, non è mai
unilaterale. Mai un uomo è interamente santo o interamente peccatore. Sembra
così, perché noi siamo soggetti all’illusione che il tempo sia qualcosa di
reale. Il tempo non è reale. E se il tempo non è reale, allora anche la
discontinuità che sembra esservi tra il mondo e l’eternità, tra il dolore e la
beatitudine, tra il male e il bene, è un’illusione.
Nel peccatore è, già ora, oggi stesso, il futuro benedetto, il
suo avvenire è già tutto presente, tu devi venerare in lui, in te, in ognuno il
benedetto potenziale, il benedetto in divenire, il benedetto nascosto. Forse è
questo che ti impedisce di trovar pace. Le troppe parole.
L’idea dell’Amor fati
Il mondo, non è imperfetto, o impegnato in una lunga via verso
la perfezione: no, è perfetto in ogni istante, ogni peccato porta già in sé la
grazia. La meditazione profonda consente la possibilità di abolire il tempo, di
vedere in contemporaneità tutto ciò che è stato, ciò che è e ciò che sarà, e
qui tutto è bene, tutto è perfetto. Per questo a me par buono tutto ciò che
esiste.
Ho avuto bisogno del peccato, di riconoscere la mia fragilità,
della voluttà, dell’ambizione al possesso, della vanità, ed ho avuto bisogno
d’un indicibile disperazione, per imparare la rinuncia a resistere, per
imparare ad amare il mondo, per smettere di confrontarlo con un certo mondo
immaginato, desiderato da me, con una specie di perfezione da me escogitata, ma
per lasciarlo, invece, così com’è, e amarlo e appartenergli con gioia.
Siddhartha si chinò, alzò una pietra da terra e la soppesò
sulla mano. “Questa è una pietra, e forse entro un determinato tempo, sarà
terra, e di terra diventerà pianta. Bene. Un tempo io avrei detto: “Questa
pietra è soltanto una pietra, non vale niente: ma poiché forse nel ciclo delle
rinascite può diventare pianta, vita e spirito, per questo io attribuisco anche
a lei un pregio”. Così avrei pensato un tempo. Ma oggi invece penso: questa
pietra è pietra, ed è anche pianta, è anche Dio, io l’amo e la onoro non perché
un giorno o l’altro potrebbe diventare questo o quello, ma perché essa è ed è
sempre stata, tutto: e appunto questo fatto, che sia pietra, che ora mi appaia
pietra, proprio questo fa sì che io l’ami, e veda un senso e un valore nella
sua esistenza, nel suo aver luogo con me in questo istante.
Amore
“Gli uomini sono sempre miei simili. Per questo posso amarli.
L’amore mi sembra di tutte la cosa principale. Penetrare il mondo, spiegarlo,
disprezzarlo, può essere il compito dei grandi filosofi e dei grandi
scienziati.
Ma a me importa solo di poter amare il mondo, di non
disprezzarlo, di non odiare il mondo e me; a me importa solo di poter
considerare il mondo, e me e tutti gli esseri con amore, ammirazione e
rispetto.”
Le parole, non le posso amare. Ecco perché le dottrine non
contano nulla per me. “
“Qui noi siamo nel pieno groviglio delle opinioni, In piena
disputa sulle parole . Poiché io non posso negare che le mie parole sull’amore,
siano in contrasto, in apparente contrasto, con le parole del Sublime. Appunto
per questo diffido tanto delle parole, perché
so che questo contrasto è illusorio. So che sono d’accordo con il
Sublime. Come potrebbe non conoscere l’amore, lui che ha riconosciuto nella sua
caducità, nella sua nullità l’intera condizione umana, e che pure ha tanto
amato gli uomini da impiegare tutta una lunga vita laboriosa unicamente a soccorrerli. In lui mi sono più
cari i gesti della sua mano che le sue parole.”
La causalità della vita
“La vita: un’eterna catena, contesta di cause e effetti. Una
perfetta concatenazione, senza soluzioni di continuità, limpido come un
cristallo, non dipendente dal caso. L’unità del reale, la connessione di tutti
gli avvenimenti, l’inclusione di ogni essere nella stessa corrente (L’idea
dell’ubiquità del fiume e della contemporaneità di tempi diversi), nella stessa
legge di causalità, del divenire, del morire e del rinascere, questo risplende
dalla tua sublime dottrina, o Sublime. Ma ora, secondo la tua stessa dottrina,
in un punto è interrotta questa unità e consequenzialità di tutte le cose: La
tua dottrina del superamento del mondo, della liberazione.
Il Sublime parlò con voce chiara e cortese: “Tu hai udito la
dottrina e torna a tuo onore di avervi riflettuto così profondamente. Tu vi hai
trovato una falla, un errore. Possa andar tu oltre con il pensiero. Permetti
solo che io ti metta in guardia, o tu che sei avido di sapere, contro la
molteplicità delle opinioni e contro le dispute puramente verbali.
Le opinioni non contano niente, possono essere belle o odiose,
intelligenti o stolte, ognuno può adottarle o respingerle. Ma la dottrina che
hai udito da me, non è mia opinione, e il suo scopo non è di spiegare il mondo
agli uomini avidi di sapere. Un altro è il suo scopo: la liberazione dal
dolore. Questo è ciò che insegno, null’altro.”
1922. Hermann Hesse. Siddharta.
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Nelle scuole elitarie il metodo di valutazione sovente può
prevedere che i giudizi attribuiti agli studenti siano normalizzati secondo la
distribuzione normale gaussiana, o la ‘campana di Gauss’.
Osservando questo grafico si realizza che solo una parte di
coloro che sono giudicati vengono accolti con un giudizio favorevole, gli altri
vengono sovente ricusati o sospesi nell’ incertezza di una possibile, tuttavia
improbabile, futura accoglienza. Tale eventualità può ripresentarsi, talvolta
più rigidamente, nel mondo del lavoro. È ovvia la conclusione a cui si può
pervenire: Questa logica dell’odierna realtà economica automatizzata implica
l’acuirsi del divario esistente tra coloro che sono poveri, dei requisiti
richiesti; essi resteranno poveri o impoveriranno ulteriormente, e coloro, i
rari, che sono ricchi di qualità eccezionali che coincidono perfettamente con
un sistema talvolta estremamente aprioristico, talvolta estremamente connotato
da eccessive severità o inflessibili conformità a regole o a principi limitanti
ed inibenti, aridi di duttilità intellettuali e morali.
Questi ‘rari’ in grazia del supporto di coloro che giudicano
possono divenire più ricchi. Infine il grafico dimostra che questo divario è sfavorevole
per la maggioranza che raccoglie coloro a cui sono attribuiti i valori di
normalità (o mediocrità) ed insufficienza a motivo d’un criterio di giudizio
che, assuefatto d’una dannosa discriminazione culturale, sceglie di mutilare
sul nascere i fiori che necessitano di più tempo o di cure diverse per divenire
rigogliosi, sovente questo criterio di giudizio, avido nel misurare il
quoziente intellettivo o il livello di intelligenza, si è rivelato manchevole,
estraneo al conferimento di valore ed alla attenta valutazione di qualità
intellettive, creative ed umane incomputabili che il “quoziente di
intelligenza” potrebbe sottovalutare o trascurare, questo sistema è vincolato
alle medesime lacune che hanno determinato lo scialacquìo di innumerevoli ed inestimabili
virtù umane.
Il sapere e, soprattutto le sfumature delle intelligenze, non
si possono valutare sula base di una distribuzione matematica.
La lontananza dalla realtà, la cecità di questa retorica
dell’esclusione può essere molto pericolosa.
Le retoriche dell’ homo oeconomicus implicano dunque
l’esclusione, e la meritocrazia, la competizione, la necessaria efficienza.
L’alienazione. L’atomizzazione culturale e sociale sono alcune conseguenze di
queste attitudini.
Queste retoriche sono istituite e promosse da una ideologia
che, sacrificando una maggioranza pregiudicata inadeguata e manchevole, dedica
le proprie maggiori risorse e attenzioni a quei soggetti che già appaiono
eccellenti.
Lettura consigliata: Don Lorenzo Milani “Lettera a una
professoressa”, 1967.
Nella misura in cui si condanna il non sapere e si attribuisce
un giudizio negativo a coloro che non hanno una risposta adeguata pronta
all’istante, si possono mettere in crisi la creatività e il puro ragionamento,
la meraviglia e la novità, le fonti dell’identità.
(Approfondimento: Emotional short-circuits: the intelligence
behind mistakes)
Inoltre se si pone una domanda semplice non si sa più
rispondere. Si ammettono risposte vincolate, non creative, e qui può morire la
curiosità che, insieme all’umiltà, è l’inizio dell’attitudine alla cultura.
Dalla notte dei tempi viene fatto oggetto di discredito colui
che vede diversamente. E come possiamo comprendere se una risposta è
‘adeguata’? Certo se abbiamo un termine di paragone. Ed il termine di paragone
più immediato, è la relazione di identità – dunque ritrascriviamo identiche le
saggezze dei pensatori del passato e di realizzare analogamente ciò che è stato
già ideato. (La ritrascrizione identica di una realtà presuppone la rielaborazione e l’ assimilazione soggettive
della realtà incontrata: La ritrascrizione identica è dunque
un’attitudine attiva, non passiva.)
Un uomo può essere insegnante, nella sua accezione di severo
giudice, nella misura in cui si pretende dal prossimo una risposta ed si
attribuisce un giudizio selettivo (positivo o negativo) che può determinare la
non disponibilità all’ascolto nell’ipotesi in cui egli non abbia ottemperato
alla domanda. Sovente, i giudici più inconsapevoli sono i meno magnanimi ed i
più intransigenti. Tuttavia, forse, vorremmo solo sentirci meritati.
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La convivenza delle prospettive esiste nella misura in cui vi
sia equilibrio di rilevanze fattuali che prevede che ciascuna prospettiva
partecipante abbia diritto di parola, diritto di essere ascoltata ed accolta
come esistente e compartecipante in quanto sfumatura di senso della verità,
soggetto del dialogo, ricercata e esaminata confrontando prospettive diverse.
Ciascuna prospettiva deve inoltre assolvere alle responsabilità derivanti da
tali diritti.
La convivenza delle prospettive è fonte di un clima relazionale
pacifico e aperto alla ridefinizione delle idee e dei giudizi in seno alle idee
(risultanti dalla domanda, dall’ascolto e dalla parola) ed agevola la ‘messa a
fuoco’ della conoscenza della verità soggetto del dialogo.
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L’Iridescenza. Interferenza su lamina sottile.
Il sole irradia la luce bianca, la luce composita dei colori
dello spettro cromatico.
Quando la luce bianca tange la superficie della sottile lamina
di cristallo alcuni fasci di luce sono riflessi, altri sono rifratti, deviano
il loro percorso giungendo ad illuminare la superficie interna della sfera di
cristallo determinando le sue singolari qualità cromatiche.
Le continue variazioni di fase delle onde incidenti sulla superficie
interna ed esterna del cristallo comportano:
L’interferenza distruttiva delle onde luminose, la sfera di
cristallo mantiene la sua diafaneità.
L’interferenza costruttiva delle onde luminose, la sfera di
cristallo assume i colori dell’iride.
La distanza percorsa e la riflessione sono i fattori che
cambiano la fase delle onde luminose.
Le condizioni di interferenza dipendono dallo spessore della
lamina e dall’angolo di osservazione, che incidono sulla distanza percorsa
dalle onde di luce.
Durante l’osservazione, le qualità cromatiche della sfera di
cristallo, l’intensità e la posizione relativa delle onde di luce, variano.
La frequenza di questa variazione è maggiore nell’esempio della
sfera di acqua saponata, che è sensibile alle variazioni costanti formali e
relative allo spessore della lamina.
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L’esperimento di Young implicò fenomeni di interazione tra
fotoni originati da fenditure diverse. Due onde luminose, quando interferiscono
costruttivamente, producono le bande chiare; la sovrapposizione delle medesime
onde che interferiscono distruttivamente danno origine alle bande scure.
Se trasferiamo un fotone alla volta attraverso una delle
fenditure tali interferenze dovrebbero annullarsi e dovremmo rivelare il fotone
presumibilmente in una posizione qualsiasi.
Tuttavia, David Deutsch, che eseguì questo esperimento, rivelò
una configurazione di luci ed ombre che si avvicendavano secondo bande chiare e
scure alternate.
David Deutsch concluse che dovevano esistere entità originate
da fenditure vergini, non rilevabili, che deviavano i fotoni e che ne
presentavano il medesimo comportamento.
David Deutsch nominò queste entità invisibili, “fotoni ombra”
di cui si può dedurre l’esistenza solo grazie al fenomeno di interferenza con
le entità visibili.
Deutch afferma poi che la teoria quantistica predice, e gli
esperimenti lo confermano, che l’interferenza avviene per tutti i tipi di
particelle.
Dunque esistono realtà non osservabili, vastissime, ma
altrettanto reali di quelle tangibili in quanto i fenomeni di interferenza tra
elementi visibili ed elementi invisibili sono reali.
La realtà nella sua globale complessità contiene molti universi
paralleli, (Il multiverso) ciascun universo possiede le proprie caratteristiche
chiavi di lettura, non esistono universi privilegiati.
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La ’ἀνακύκλωσις’
Esiste un vocabolo greco che allude all’idea di storia come
concatenazione necessaria di cause ed effetti. Lo storico greco Polibio formulò
l’ipotesi della ciclica successione temporale delle forme politiche: l’“ἀνακύκλωσις, anakýklōsis.”
La ’ἀνακύκλωσις
γνωστική’, la anakýklōsis cognitiva
Questa prospettiva è custode del sodalizio degli universi della
realtà e della virtualità. È stato documentato che la teoria dell’ anakýklōsis
cognitiva può agevolare l’apprendimento culturale.
Premessa Senza contesto non esistono la cultura e il dialogo.
Un bene culturale decontestualizzato è privo di senso.
“La mappa mentale non è il territorio. Dì qualunque cosa tu
scelga sull’oggetto, e qualsiasi cosa tu possa dire non è vera.”
Alfred Korzybski
Il pensiero, la percezione o la comunicazione della percezione
implicano una trasformazione, una codificazione, tra l’idea conseguente
all’assimilazione e l’entità che viene assimilata, tra la realtà che viene
comunicata e la sua comunicazione.
“L’informazione è
notizia di una differenza.”
Gregory Bateson
Il braille, il sistema di scrittura e lettura a rilievo per non
vedenti, esemplifica questa prospettiva:
La percezione tattile della differenza di spessore tra la
superficie piana ed i punti in rilievo implicano l’acquisizione
dell’informazione di posizione relativa tra i punti. Per l’organo sensoriale
della vista il discorso è lo stesso.
L’apprendimento dipende altresì dalla percezione della
differenza che è sempre limitata da una soglia.
Se la carta braille in grazia della quale è stata acquisita una
parola viene incenerita, smetteranno di esistere i punti relativamente
relazionati sulla carta? È indubbio che nel reale (Il territorio) non sia più
possibile riconoscerli. Tuttavia nel contesto mentale della memoria (La mappa),
tali punti non hanno subìto alcuna modifica poiché la differenza relativa ai
punti ha avuto luogo nel contesto reale. Il tempo e lo spazio della mappa
mentale sono in relazione con il tempo e lo spazio del territorio condiviso e
reale (La mappa mentale riassume le differenze del territorio), tuttavia tra
essi non esiste perentoriamente una relazione di identità.
Dunque concludiamo che a livello cognitivo, l’atto del vedere
implica una modifica del reale, una rielaborazione soggettiva della realtà,
“vedere” significa astrarre.
Argomento della tesi
È dunque logico pensare che l’incremento della quantità e della
qualità delle differenze coincida con
l’incremento dell’apprendimento.
L’anakýklōsis cognitiva prevede la circolarità ricorsiva delle
fasi di apprendimento metacognitivo che si reiterano ordinatamente nei tempi
contestuali (reale e mentale) e negli spazi (multidimensioni) della realtà e
della virtualità.
La ricontestualizzazione
Osservando in successione reiterativa i contesti reali ed i
contesti virtuali si gemmano nuove differenze;
(Le differenze di contesto sono assimilabili alle differenze di
prospettiva “Capitolo Icosaedro”.
Il cambiamento di contesto si percepisce come differenza.) e si
aggiungono progressivamente nuovi livelli di consapevolezza, nuovi itinerari,
nuovi lati prospettici del medesimo oggetto.
Gli specchi che abilitano le dinamiche di riflessione e di
risonanza dei ricordi qualitativi relativi all’oggetto (aventi luogo nella
mappa mentale) sono i contesti reali e virtuali (le multidimensioni).
Le relazioni (Il confronto) tra le differenze contestuali
mettono in attività e stabilizzano la memoria.
La rielaborazione
La rielaborazione dell’oggetto può consistere nella sua
ricostruzione virtuale tridimensionale.
Dunque la pluralità di contesti può definire la conoscenza
dell’oggetto.
I limiti di questa teoria
Tuttavia la gestione delle numerose multidimensioni reali e
segnatamente virtuali; il riconoscimento ed il giudizio di priorità relativi ai
livelli gerarchici di valore dei contesti può essere legittimamente ingestibile
per numerose persone.
La gestione costruttiva delle relazioni tra le multidimensioni
reali e virtuali esige il contributo di menti adeguatamente flessibili,
estremamente logiche e rigorose.
La flessibilità mentale è una proprietà umana innata in ciascun
uomo e ciascuna donna, la flessibilità mentale abilita alla razionalità, il
ragionamento consente la relazione logica delle idee.
Man’s achievements rest upon the use of symbols.... we must
consider ourselves as a symbolic, semantic class of life.
Alfred Korzybski
La misura della flessibilità mentale è una qualità relativa,
dipendente dalle contingenze della vita di ciascun singolo e dall’innata
vocazione di ciascun singolo alla razionalità o all’intuito ed all’istinto.
I limiti della razionalità.
Una critica all’iniquità.
Ammettendo la razionalità come unico onnipotente principio
gnoseologico si può incorrere nello smarrimento dell’illimitatezza della
conoscenza*. È tuttavia illuminante la consapevolezza evidente che la coscienza
della complessità del reale non può prescindere dalla naturalezza e dalla
semplicità dell'intuito e del sentimento.
La
problematizzazione eccedente.
Talvolta l’atto della creazione di un dubbio, in verità
semplicemente eludibile, può implicare il riconoscimento di non avere le
facoltà e le competenze per gestirlo e per potere risolverlo affinché divenga
utile. L'atto di problematizzare, ovvero di creare il dubbio può allontanare
dalla meta originale rendendo più vuoti, insoddisfatti ed infelici.
«Non pregiudicare e non chiamare stolto nessuno tra voi,
giacché in verità noi non siamo né saggi né stolti. Siamo verdi foglie
sull'albero della vita, e la vita stessa è al di là della saggezza e, certo, al
di là della stoltezza.»
(Khalil Gibran)
La
semplificazione eccedente.
D’altra parte l’attitudine irreversibile a semplificare può
rivelarsi infruttuosa e talvolta dannosa, può decadere in
decontestualizzazioni , banalizzazioni
ed amnesie di realtà imminenti valevoli e rilevanti.
La disponibilità
all’organizzazione
e la disposizione ad affrontare il cuore dei
problemi.
Valutazione delle priorità (contingenze incombenti o remote),
della misura del grado di responsabilità e della misura della rilevanza del
contributo personale.
La variabile del contesto.
Ciò che è prossimo, familiare, imminente, urgente merita la
medesima considerazione di ciò che è distante, diverso, sfuocato, obliato,
estraneo?
* In bibliografia: Oltre il limite quantistico. Di David
Deutsch e Artur Ekert.
Non è indubbio che la virtualità sia perentoriamente
illuminante e consona al naturale processo di apprendimento:
Le molteplicità (Sovrapposizioni disarmoniche di suoni e
immagini) potrebbero talvolta essere accolte come ingestibili nonsense ed
assimilate aprioristicamente, inconsapevolmente, senza coscienza e facoltà di
autonomo controllo. Tali molteplicità potrebbero inoltre favorire le dinamiche
di “overthink” e la vaga comprensione del significato del proprio agire altresì
in relazione all’affaire virtuale.
21
“L’idea dominante del mondo occidentale, l’unica reale grande
idea della nostra epoca, non copiata da una qualunque altra età, non finta, non
portata in vita da qualche congiura, è il culto delle Cose. Non la creazione di
cose belle, non il piacere di spendere energia vitale in lavoro creativo;
piuttosto l’indecente e spietata spinta ed esasperazione a sprecare e a drenare
l’ultima goccia di energia, solamente per produrre quantità eccedenti di cose
nella migliore delle ipotesi in gran parte superflue e vuote.
Per quale scopo si produce? La maggior parte dei produttori non
lo sa, e ancor meno se ne preoccupa. Ma è posseduto dall’idea che deve farlo,
ognuno lo fa, e ogni anno la produzione di cose prosegue maggiormente e più
velocemente, nondimeno gli uomini si danno da fare disperatamente per allungare
l’elenco delle cose create. E con quale tormento del corpo, sotto quale
tensione e preoccupazione di pericolo e paura del pericolo.
l’Anima del Tempo Moderno è più sorprendente con i suoi occhi
irrequieti, nervosi, sempre esploranti gli angoli dell’universo, con le sue
mani irrequiete, nervose che per qualche inutile duro lavoro sempre si allungano
e afferrano.
E certamente la presenza di cose vuote in abbondanza, ha
prodotto il desiderio del possesso di cose, l’esaltazione del possesso di cose,
la vana avidità non degli affamati che contornano i marciapiedi e palesemente
questuanti un’elemosina, ma della folla.
E se qualche archeologo di un futuro lontano volgerà il suo
sguardo alla nostra civiltà, dove le ceneri delle eccedenti odierne proprietà
avranno inargentato il verde della natura, vedrà l’efferata idea del culto
delle cose impressa, nulla di più.
Oggetti il cui segreto è dimenticato, ma il cui compito era la
sopravvivenza di un attempato sistema disumano, l’alienazione, l’annichilimento
degli uomini, il dar loro una mancia iniqua, il loro licenziamento come se
fossero ingranaggi dozzinali, come oggetti semplicemente intercambiabili. Ma
l’idea dominante dell’epoca e di un paese non significa necessariamente l’idea
dominante di una qualunque singola vita. Non metto in dubbio che in quei
lontani giorni, di un lontano passato, sotto il pesante fardello della
imperturbabilità di altri uomini, là si dessero da fare anime irrequiete,
attive, ribelli che detestavano tutto ciò che l’antica società rappresentava, e
col cuore in fiamme cercavano di rovesciarla.
Sono sicura che nel mezzo di tutto ciò che la viva intelligenza
ha creato, ci fossero quelli che andavano in giro con occhi bassi, non gradendo
niente di tutto quello, cercando qualche più elevata rivelazione, disponibili
ad abbandonare le gioie della vita, pur di avvicinarsi a qualche lontana e
sconosciuta utopia di cui i loro compagni non sapevano.
Sono certa che nei secoli bui, quando la maggior parte degli
uomini pregava e si umiliava, e si feriva, c’erano alcuni, molti, che
consideravano il mondo come uno scherzo fortuito, che disprezzavano o
compativano i loro ignoranti compagni, e cercavano di ottenere le risposte
dell’universo ai loro interrogativi, con una perseverante quieta ricerca. Sono
sicura che c’erano centinaia di migliaia di loro, di cui noi non abbiamo mai
sentito parlare.
Ed ora, oggi, benché la Società intorno a noi sia dominata dal
Culto delle Cose, e durerà segnata così per l’eternità, non c’è nessuna ragione
per cui non dovrebbe esistere un’anima individuale. Poiché apparentemente
l’unica cosa davvero di valore per il mio vicino, per tutti i miei vicini, è
correre dietro ai dollari, non c’è nessuna ragione per cui io dovrei correre
dietro ai dollari e dedicarmi all’aberrante follia che sostiene lo sgargiante spettacolo.
È veramente possibile che il lato esteriore di una creatura
umana valga di più del lato interiore?
Questo è il mio pensiero. Il concepire una cosa più elevata di
se stessi e vivere seguendo quella direzione è il solo modo di vivere
degnamente. Il traguardo per il quale lottare dovrebbe, e deve, essere qualcosa
di molto lontano da ciò che è il quotidiano indottrinamento: Io esorto a
pensare criticamente, a ridestarsi, a riconoscere che siamo condizionati da
cattivi esempi divenuti famosi e potenti. (La violenza, l’iniquità, la cieca
eccedenza, l’insincerità perentoria ed interessata, la delega di responsabilità
e le attitudini originate dall’archetipo dell’odio.)
Ho detto in precedenza che la dottrina, che gli uomini sono
niente e le condizioni tutto, è stata ed è la rovina.
I nostri giovani, animati dallo spirito degli antichi maestri
che credevano nella supremazia delle idee nel loro entusiasmo anticipano il
vangelo delle Condizioni, – presto la pressione dello sviluppo materiale
potrebbe annientare il sistema relazionale – essi danno questa eventualità
corrotta al punto da durare solo pochi anni, e allora essi stessi saranno
testimoni della trasformazione, parteciperanno delle sue gioie. Tale è la mia
utopia.
Tuttavia i pochi anni trascorrono e niente accade; l’entusiasmo
si raffredda.
Guardate i nostri
giovani, questi stessi idealisti, ora sono intelligenti uomini d’affari di
successo, professionisti, possessori di proprietà, leader finanziari,
insinuatisi nei ceti sociali che una volta disprezzavano, guardateli mentire,
truffare, adulare, comprare e vendere se stessi per qualsiasi piccola pretesa a
buon mercato. L’Idea delle Condizioni Dominanti si è impadronita di loro, le
loro vite in essa sono inghiottite; e quando chiedete per quale ragione, vi
dicono che le Condizioni li hanno costretti a fare così.
Se gli citate le loro menzogne, sorridono con tranquilla
compiacenza di sé, ti assicurano che quando le Condizioni pretendono menzogne,
le menzogne sono molto di più rispetto alla verità, che gli espedienti sono
qualche volta più efficaci che la condotta onesta, che l’adulazione e l’inganno
non importano se lo scopo da ottenere è allettante, e che nelle attuali
Condizioni la vita non è possibile senza tutto questo; che si è sul punto di rendere
possibile che in qualsiasi momento le Condizioni facciano più facile dire la
verità che mentire, ma fino a quel momento un uomo deve fare attenzione a se
stesso, sicuro! E così il cancro va avanti a corrompere e l’uomo diventa
incarnazione della bancarotta morale generata dal Culto delle Cose.
Tale è la realtà, la forza e l’influenza corruttrice delle
Condizioni.
I nostri giovani, fossero cresciuti con una concezione della
vita meno materiale, non fosse stata corrotta la loro volontà dal ragionamento
intellettuale su ciò che è fuori della loro esistenza, dalla loro accettazione
della loro propria inesistenza, le aspirazioni altruiste dei loro anni giovani
si sarebbero sviluppate e sarebbero state rafforzate dall’esercizio e
dall’abitudine; e la loro protesta contro l’epoca poteva essere scritta
durevolmente, e per qualche scopo.
Deridono. Ma avrebbero il diritto di deridere, potrebbero
averlo, se le nostre vite non fossero dominate in prima istanza da desideri più
insistenti di quelli che volentieri vorremmo avere, che gli altri credono che
noi riteniamo molto cari?
È la vecchia storia: “Mira alle stelle, e puoi raggiungere la
cima del pilastro, ma mira al suolo e raggiungerai il suolo”.
Non è da supporre che chiunque conseguirà la piena
realizzazione di ciò che si prefigge, anche quando quei propositi non
coinvolgono un’azione congiunta con altri, sarà inferiore, in qualche misura
sarà vinto da un’opposizione concorrente o inerte. Ma qualcosa otterrà, se
continua a puntare in alto.
Cosa, allora, avrei? Voi chiedete. Avrei uomini che investono
se stessi con la dignità di uno scopo più alto della ricchezza, che scelgono
una cosa da fare nella vita al di fuori della produzione di cose, e se ne
ricordano – non per un giorno, non per un anno, ma per tutta la vita. E allora
tengono fede a se stessi!
Non difendendo una cosa oggi e domani baciando le mani dei suoi
nemici, con quel pianto debole e codardo in bocca, “Le Condizioni mi rendono
così”. Esaminatevi attentamente, e se amate i beni e il potere e la ricchezza
più della vostra propria dignità, umana dignità, oh, ditelo, ditelo! Ditelo a
voi stessi e attenetevi. Ma non soffiate caldo e freddo in un solo respiro. Voi
uomini onesti e benevolenti che avete il coraggio di investire in voi stessi,
voi che avvalorate il lato interiore delle creature umane, voi che state
andando per la retta via predicate la retta e stretta via.
Altrimenti voi, mentre state andando gioiosamente per quella
ampia non predicate la retta e stretta via. Predicate quella ampia, o non predicate
affatto; ma non ingannate voi stessi, non ingannate gli altri.
Ma se scegliete la libertà e l’orgoglio e la forza della
singola anima, e la libera fraternizzazione degli uomini, come lo scopo che la
vostra vita deve manifestare, allora non vendetelo.
Credete che la vostra anima è forte e manterrà la sua strada; e
lentamente, attraverso un’aspra lotta magari la forza crescerà.
Alla fine della vita potrete chiudere gli occhi dicendo: “Io
non sono stato dominato dall’Idea Dominante della mia Epoca; ho scelto la mia
propria fedeltà e l’ho servita. Ho dimostrato con una vita che c’è in un uomo
ciò che lo salva dalla tirannia assoluta delle Condizioni, che infine conquista
e rimodella le Condizioni, il fuoco immortale della Volontà Individuale, che è
la salvezza del presente e del futuro”.
Abbiamo Uomini, Uomini che vogliano dire una parola alle loro
anime e mantenerla – mantenerla non quando è facile, ma mantenerla quando è
difficile – mantenerla quando la tempesta imperversa e c’è un cielo venato di
bianco e prima un tuono azzurro, e gli occhi sono accecati e le orecchie
assordate dalla guerra di cose contrarie; e mantenerla sotto il cielo a lungo
plumbeo e la grigia depressione che mai si dirada. Resistete fino all’ultimo: è
ciò che significa avere un’Idea Dominante, che le Condizioni non possono
spezzare. E tali uomini create e annientate le Condizioni.
1910. Voltairine de Cleyre. “L’Idea
Dominante”.
22
Il vocabolo ‘olistico’, che deriva dal vocabolo greco “ὀλός” che significa ‘tutto, intero, compiuto’, rappresenta
l’essenziale antitesi logica delle frammentarietà di cui siamo consapevoli.
Any entity must be treated as-a-whole; in other words, that an
entity is not an algebraic sum, a linear function of its elements, but always more
than that.
Alfred Korzybski
Non è possibile determinare il significato di un frammento
isolatamente considerato, poiché esso dipende dalle connessioni che il
frammento intrattiene con il resto del suo universo. In particolare, possiamo
giudicare insensato un enunciato decontestualizzato.
La nostra realtà implica la dispersione immaginaria dell’ordine
insito nella consistenza del pensiero che dissolve nel vago nella misura in cui
ingiunge la disattenzione, non la concentrazione che, agevolando il ragionamento
creativo, realizza nuove sensate relazioni.
Il riduzionismo culturale
Il fenomeno del riduzionismo culturale implica la paralisi e la
discrasia del linguaggio e la flebilità dell’attitudine conoscitiva. I
significati del linguaggio si dissolvono in enunciati anonimi, vuoti, astratti,
generici e decontestualizzati. L’espressività decade in questo clima di
chiusura caratteriale.
“Recuperare la memoria di un passato che non è stato ancora
sor-passato ma continua a rispecchiarsi in altri luoghi della vita che magari
ci sono vicini, e che non sempre, e anzi di rado, riusciamo a scorgere:
distratti, come siamo, dalla fatica di vivere e dalla stanchezza ma, più di
sovente, dalla noncuranza e dalla indifferenza, dalla apatia e dalla fuga dalle
nostre responsabilità.
Non si spenga in noi la memoria di quello, che è avvenuto nel
passato.
Il dolore dell’anima, la infelicità, la sventura, che vive nel
cuore di tante persone ci dovrebbe fare riflettere sui doveri della
solidarietà, e invece noi passiamo accanto ai dolori della loro anima distratti
e indifferenti, noncuranti e pieni d’affanno per le cose banali della vita. È
necessario educarci a riconoscerne le tracce anche in forme di vita solo
apparentemente estranee al dolore dell’anima, come sono quelle della timidezza
e della fatica di vivere, della solitudine e del rifiuto della vita, che non si
curano senza la nostra testimonianza umana e la nostra solidarietà concreta:
nutrita non di sole parole ma di gesti orientati a lenire la disperazione che è
in fondo il nocciolo segreto di ogni dolore e di ogni sventura nei loro
sconfinamenti senza fine.”
Simone Weil
23
Il nichilismo è alle porte: da dove ci viene costui? Il più
inquietante fra tutti gli ospiti?
Un libro sui giovani: Perché i giovani, anche se non sempre ne
sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano
la giovinezza, ma perché, un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra
loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella
prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni
rendendole esangui.
Le famiglie si allarmano , la scuola non sa più cosa fare, solo
il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento, della
distrazione e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti
che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non
riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche
promessa.
Il presente diventa un assoluto da vivere con la massima
intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di
seppellire l’angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume
i contorni del deserto di senso. Interrogati, non sanno descrivere il loro
malessere perché hanno ormai raggiunto quell’analfabetismo emotivo che non
consente di riconoscere i propri sentimenti e soprattutto di chiamarli per
nome. E del resto che nome dare a quel nulla che li pervade e gli affoga? Nel
deserto della comunicazione.”
F.Nietzsche. Frammenti postumi, 1885-1887.
24
La realtà “aurea” e la
sociologia della devianza
L’evidenza è testimone dei limiti della odierna realtà “aurea”.
I limiti della realtà “aurea” sono strutturali poiché costituiscono
le Condizioni della sua stessa esistenza e sussistenza.
Le Condizioni di questa realtà sono strutturate su questi tre
principi: Libertà, Felicità e Futuro.
Tuttavia la Libertà di questa realtà “aurea” è una libertà
prescritta, intimata e limitata, circoscritta. Dunque, per definizione è una
non libertà.
I dettami economici prescrivono ed intimano una Idea di Libertà
che è cieca alle idee di libertà individuali:
La soppressione delle libertà individuali
È concepibile che l’idea intima ed individuale di libertà non
sia perentoriamente conforme all’idea di Libertà promossa dalla realtà “aurea”.
Le Condizioni della realtà “aurea” circoscrivono e riducono il
sentimento individuale ai determinati modelli collettivi e di massa dominanti
(Il modello dispotico economico).
Le condizioni prescrivono e intimano insidiosamente un’idea di
Felicità coerente con il modello economico. È indubbio che l’idea di felicità
individuale potrebbe non conciliarsi con l’idea di Felicità che la realtà
“aurea” prescrive. Inoltre questa Felicità è radicalmente selettiva poiché si
compie nella logica del privilegio. La felicità reale è intima, non è
oggettivabile.
Il Determinismo delle Condizioni è sordo. Ricusando
l’attitudine del dialogo, ricusa l’ascolto delle volontà di espressione delle
libertà individuali.
Il Determinismo delle Condizioni è cieco: Volgendo il suo
sguardo al Futuro Evanescente, non vede il presente reale.
Il Determinismo della realtà “aurea” è coercitivo nella misura
in cui si impone come entità che delibera i requisiti minimi che devono essere
acquisiti e le attitudini adeguate che la sua idea di Futuro, fondata su
mendaci algoritmi che determinano i margini di sicurezza,
statuisce predestinando e ordinando le successive sequenze esistenziali future
delle vite dei singoli.
L’insegnamento si compie quotidianamente in nome di promesse, o
intimazioni relative a idee di future sicurezze e garanzie professionali,
familiari che nella realtà che è e che ne sarà si riveleranno infondate,
ipocriti ed esse stesse deviante rispetto ad una idea umana di serenità,
libertà e felicità. (Imperversano le dinamiche di atomizzazione sociale e di
disoccupazione; l’accoglienza e la magnanimità possono arginare o risolvere
queste avversità; non la selezione, la competizione e la discriminazione.)
La felicità reale non è calcolabile.
In verità questa realtà “aurea” dimostra nei fatti la sua
disposizione insidiosamente e perentoriamente oppressiva in merito alle
attitudini ‘Devianti’. (La sociologia della devianza.)
“Come avere ancora ideali quando su questa terra ci sono
ciechi, sordi o folli? Come potrei rallegrarmi della luce che un altro non può
vedere o del suono che non può udire? Mi sento responsabile delle tenebre di
tutti, e mi considero un ladro di luce. Non abbiamo sottratto la luce a coloro
che non vedono? O il suono a quelli che non sentono? La nostra lucidità non è
responsabile delle tenebre dei folli? Non so perché, ma quando penso a tutte
queste cose perdo tutto i l coraggio e tutta la volontà; trovo inutile il
pensiero e vana la compassione.”
Emil Cioran
La decisione alternativa e dunque inconsueta, la ‘devianza’ del
proprio cammino rispetto ad un percorso che si prevede essere in comune con una
collettività, viene ricusato dalle attitudini di una maggioranza che ha accolto
i valori propri della realtà “aurea” e denigrato con le parole: sogno,
illusione, follia; raramente incoraggiato, sostenuto e accolto come ipotesi di
iniziativa creativa.
L’agire avventatamente d’un animo avventuroso trova il suo
intimo significato e la sua ragion d’essere nel sussistere d’un centro
immobile, d’una rettitudine interiore, dell’integrità equilibrata, intrisa dei
valori che fondano l’intima ed idea di felicità, umana e condivisibile.
Lettura inerente:”Matrioske”
25
“Io penso che questo categorico determinismo sia un grande e
deplorevole errore.
Credo che la Mente non sia una entità totalmente irresponsabile
che detta le regole personali alla maniera di un Imperatore Assoluto, senza
logica, conseguenza o relazione.
Credo che il dominio assoluto della Materia sia del tutto un
madornale errore alla pari della natura senza rapporti della Mente.
La dottrina del Determinismo Materialistico ha prodotto
mutevoli, autogiustificanti, indegni caratteri che sono questo oggi e saranno quello
in un altro momento, qualsiasi cosa e niente per principio. “Le mie condizioni
mi hanno fatto così”, piangono, e non c’è di più da dire; povere immagini
riflesse!
Ciò di cui abbiamo bisogno è una vera valutazione del potere e
del ruolo dell’Idea. Io non credo di essere in grado di dare una simile vera
valutazione, io non credo che altri – anche intelletti molto più grandi di me –
saranno in grado di farlo per molto tempo a venire. Ma io almeno sono in grado
di suggerirlo, di mostrare la sua necessità, di darne una grossolana
approssimazione.”
Voltairine de Cleyre The Dominant
Idea, 1910.
Bibliografia
essenziale
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2015.
Alessandro Baricco. Oceano mare, Feltrinelli, 2013.
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Bertolt Brecht. Vita di Galileo, Einaudi, 2005.
Cesare Pavese. Il mestiere di vivere, Diario 1935 – 1950, ET
scrittori, 2014.
La Divina Commedia di Dante Alighieri col commento di G.
Biagioli tomo primo, Parigi, dai torchi di Dondey – Dupré. Versi 61 – 63.
David Deutsch. La trama della realtà, Einaudi, 1997.
David Deutsch. L’inizio dell’infinito, spiegazioni che
trasformano il mondo, Einaudi, Torino, 2013.
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Eugenio Borgna. L’ indicibile tenerezza, In cammino con Simone
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F.Nietzsche. Frammenti postumi, 1885-1887.
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e per nessuno, Adelphi, 1976.
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Gregory Bateson. Mente e natura, Un’unità necessaria. Adelphi,
1984.
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millennio, Mondadori, 2016.
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gaudium, Cantagalli, 2014.
Lorenzo Milani. Lettera a una professoressa, Libreria Editrice
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Milan Kundera. Insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi,
1989.
M.K. Gandhi. Antiche come le montagne, I pensieri del Mahatma
sulla verità, la non violenza, la pace, Mondadori, Milano 1987.
Monica Amandini. Ontologia della reciprocità e riflessione
pedagogica, Saggio sulla filosofia dell’amore di Maurice Nédoncelle, Vita e
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Nathaniel Hawthorne. La lettera scarlatta, Einaudi, 2008.
Oliver Sacks. L’occhio della mente, Adelphi, 2011.
Oscar Wilde. L’ usignolo e la rosa, Mondadori, 2000.
Peter Wohlleben. La Vita Segreta degli Alberi, MACRO EDIZIONI,
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The Art of Being Fragile | Alessandro D’Avenia:
(https://www.youtube.com/watch?v=izHbS7rETVg)
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Come vivere una vita serena? Lezioni dal più lungo studio sulla
felicità:
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I cristalli del tempo:
https://www.nature.com/news/the-quest-to-crystallize-time-1.21595
Ricerche di Suzanne Simard: La simbiosi mutualistica
(micorriza).
Zhang Huan. Ashman cenere impalpabile.
http://www.darsmagazine.it/zhang-huan-ashman-cenere-impalpabile/#.XCPT_yXck0M
L’intervento dedicato alla Salvaguardia della biosfera di Greta
Thunberg alla Cop 24, la conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento
climatico:
https://www.youtube.com/watch?v=VFkQSGyeCWg
Oltre il limite quantistico. Di David Deutsch e Artur Ekert.
http://download.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/2012/10/29/152115499-a22b1fb4-8aac-4d52-96a3-9c5af8b417b2.pdf
Rappresentazioni allegoriche del ritorno dell'uguale :
Una rotazione simultanea del tesseratto lungo due piani
ortogonali in R4:
https://it.wikipedia.org/wiki/Tesseratto_(geometria)#/media/File:Tesseract.gif
Proiezione nello spazio 3-dimensionale di un iperottaedro che
ruota contemporaneamente su due piani ortogonali in R4 :
https://it.wikipedia.org/wiki/Esadecacoro#/media/File:16-cell.gif
Filmografia
La pazza della porta accanto. Un film con Alda Merini, Regia di
Antonietta De Lillo, Italia, 2013.
Innsaei, the Sea within, Regia di Hrund Gunnsteinsdottir, Kristín Ólafsdóttir,
Germania,2016.
Nise - The Heart of
Madness, Regia di Roberto Berliner, Brasile, 2016.