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giovedì 19 luglio 2018

José Saramago. Cecità.


 

 

 J O S É   S A R A M A G O

 

 

 

C E C I T À

 

 

 

F R A M M E N T O  D I  L E T T U R A

 

 

 

                                                

 

 

 

 

 

 

 

José Saramago, Cecità, Einaudi, Torino, 1966

Si sconsiglia la lettura di “Cecità” di José Saramago ai minori di 18 anni

In una città qualunque, di un paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando si accorge di perdere la vista. All’inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero, ma non è così. Gli viene diagnosticata una cecità dovuta a una malattia sconosciuta: un “mal bianco” che avvolge la sua vittima in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l’inizio di un’epidemia che colpisce progressivamente tutta la città, e l’intero paese. I ciechi vengono rinchiusi in un ex manicomio e costretti a vivere nel più totale abbrutimento da chi non è stato ancora contagiato. Scoppia la violenza tra i disperati, violenza per sopraffare o soltanto per sopravvivere, in un’oscurità che sembra coprire ogni regola morale e ogni progetto di vita. Ma una donna che è miracolosamente rimasta immune dalla malattia si finge cieca per farsi internare e poter stare vicina al marito. Un gesto d’amore individuale diventa la possibilità di restituire agli uomini una speranza collettiva. Toccherà a lei inventare un itinerario di salvazione, recuperare le ragioni di una solidale pietà. Saramago ha scelto la via dell’affresco apocalittico per denunciare con intensità di immagini e durezza di accenti la notte dell’etica in cui siamo sprofondati. Paradossalmente, è proprio il mondo delle ombre a rivelare molte cose sul mondo di chi credeva di vedere. E quell’esperienza estrema è anche l’ultima occasione per confrontarsi con le domande ultime sul destino dell’uomo, malato di egoismo e di violenza, e sulle vie di un possibile riscatto.

 

Se puoi vedere, guarda.

Se puoi guardare, osserva.

Libro dei consigli

 

Finalmente si accese il verde, le macchine partirono bruscamente, ma si notò subito che non erano partite tutte quante. La prima della fila di mezzo è ferma, dev’esserci un problema meccanico, l’acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o un’avaria nell’impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito elettrico, a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe la prima volta. Il nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui marciapiedi vede il conducente dell’automobile immobilizzata sbracciarsi dietro il parabrezza, mentre le macchine appresso a lui suonano il clacson freneticamente. Alcuni conducenti sono già balzati fuori, disposti a spingere l’automobile in panne fin là dove non blocchi il traffico, picchiano furiosamente sui finestrini chiusi, l’uomo che sta dentro volta la testa verso di loro, da un lato, dall’altro, si vede che urla qualche cosa, dai movimenti della bocca si capisce che ripete una parola, non una, due, infatti è così, come si viene a sapere quando qualcuno, finalmente, riesce ad aprire uno sportello, Sono cieco. Non lo si direbbe.

 

Il semaforo aveva già cambiato colore, alcuni passanti curiosi si avvicinavano al gruppo, e i conducenti che, dietro, non sapevano cosa stesse succedendo, protestavano contro quello che ritenevano un normale incidente di traffico, un faro rotto, un parafango ammaccato, niente che giustificasse quella confusione, Chiamate la polizia, gridavano.

Una voce disse, mi occupo io della macchina e accompagno questo signore a casa. Si udirono mormorii di approvazione.

Dai finestrini della macchina spiavano facce voraci, avide di novità.

Il cieco si portò le mani agli occhi, le agitò, Niente, è come se stessi in mezzo a una nebbia, la cecità dicono sia nera, Invece io vedo tutto bianco.

Non mi ringrazi, oggi a lei, Sì, ha ragione, domani a lei.

All’improvviso tutto quello zelo insospettì il cieco, ovviamente non avrebbe fatto entrare in casa uno sconosciuto che, in fin dei conti, poteva star benissimo escogitando, in quel preciso momento, come sottomettere, legare e tramortire lo sventurato cieco indifeso, per poi impossessarsi di quanto avesse trovato di valore. Non è necessario, non si disturbi, disse, sono a posto, e mentre chiudeva la porta lentamente ripeté, Non è necessario, non è necessario.

La cecità avrebbe comunque potuto essere relativamente sopportabile se la vittima di una simile sventura avesse mantenuto un ricordo sufficiente, non solo dei colori, ma anche delle forme e dei piani, delle superfici e dei contorni, supponendo, è chiaro, che la suddetta cecità non fosse di nascita. Era arrivato persino al punto di pensare che il buio in cui i ciechi vivevano fosse in definitiva soltanto la semplice assenza di luce, che ciò che chiamiamo cecità fosse qualcosa che si limitava a coprire l’apparenza degli esseri e delle cose, lasciandoli intatti al di là di quel velo nero. Adesso, però, si ritrovava immerso in un biancore talmente luminoso, talmente totale da assorbire, non solo i colori, ma le stesse cose e gli esseri, rendendoli in questo modo doppiamente invisibili.

Se fossi cieco, sognavo di chiudere e aprire gli occhi diverse volte, e ogni volta, come di ritorno da un viaggio, di ritrovare ad attenderlo, salde e inalterate, tutte le forme e i colori, il mondo a lui noto. Avvertiva, tuttavia il rodere sordo di un dubbio, forse si trattava di un sogno ingannevole, un sogno da cui prima o poi si sarebbe dovuto svegliare, ma senza poi sapere quale realtà ci sarebbe stata ad attenderlo.

Si fece silenzio, e lui disse, Sono cieco, non ti vedo. La moglie lo rimproverò, per favore, non mi spaventare, guardami, qui, sono qui, la luce è accesa, Lo so che ci sei, ti sento, ti tocco, immagino che tu abbia acceso la luce, ma io sono cieco. Lei cominciò a piangere, gli si aggrappò, Non è vero, dimmi che non è vero. Vedo tutto bianco, e si lasciò andare a un triste sorriso. La moglie gli si sedette accanto, lo abbracciò forte, lo baciò sulla fronte, sulle guance, dolcemente sugli occhi, Vedrai che passerà, non eri mica malato, nessuno si ritrova cieco così, da un momento all’altro.

Niente, vedo sempre lo stesso bianco, per me è come se la notte non ci fosse.

Il cieco disse, Se mi tocca restare così, la faccio finita. Per favore, non dire fesserie, ci basta già quanto ci è successo. A essere cieco sono io, non tu, tu non puoi sapere che cosa mi è successo.

Lui, a capo chino non cessava di domandarsi com’era possibile che una disgrazia così grande gli stesse capitando, proprio a lui, A me, perché.

A vote succede, stiamo ancora dormendo e i suoni esterni attraversano già il velo dell’incoscienza in cui siamo ancora avvolti, come in un lenzuolo bianco. Come in un lenzuolo bianco lei gli sfiorò lievemente il viso, come a dire, tranquillo, sono qui, e lui abbandonò il capo sulla spalla di lei.

Vedo tutto bianco. Il medico gli domandò, non le era mai accaduto prima, voglio dire, la stessa cosa di adesso, o qualcosa di simile. Mai. E mi dice che è avvenuto all’improvviso. Sì, dottore, Come una luce che si spegne, Più come una luce che si accende.

Lei si avvicinò, gli posò la mano sulla spalla, disse, Vedrai, tutto si risolverà.

Non le riscontro alcuna lesione, i suoi occhi sono perfetti. Lei congiunse le mani in un gesto di gioia ed esclamò, Te l’avevo detto io, te l’avevo detto io, tutto si risolverà.

Se i miei occhi sono perfetti, come dice, allora perché sono cieco, Per il momento non glielo so dire. Pensa ci sia qualcosa a che vedere con il cervello, è una possibilità, ma non credo. Quello che voglio dire è che se lei è di fatto cieco, la sua cecità, in questo momento, è inspiegabile.

Il problema sta nella rarità del caso, personalmente, in tutta la mia vita professionale, non mi si è mai presentato niente di simile, e oserei dire in tutta la storia dell’oculistica, Pensa che potrei guarire, Teoricamente, giacché non le riscontro lesioni la mia risposta dovrebbe essere affermativa, Ma a quanto pare non lo è, Solo per prudenza, solo perché non voglio darle speranze che potrebbero dimostrarsi prive di fondamento.

Quella notte il cieco sognò di essere cieco.

Nell’offrirsi di aiutare il cieco, l’uomo che avrebbe poi rubato la macchina non aveva, in quel momento preciso, alcuna intenzione malevola, anzi, al contrario, non fece altro che obbedire a quei sentimenti di generosità e altruismo che, come tutti sanno, sono due delle migliori caratteristiche del genere umano e che si possono riscontrare persino in criminali.

In fin dei conti, questi o gli altri, non è poi così grande la differenza tra l’aiutare un cieco per poi derubarlo e preoccuparsi per una vecchiaia caduca pensando solo all’eredità. Fu soltanto quando era ormai vicino alla casa del cieco che l’idea gli si presentò con la massima naturalezza, proprio come, si può dire, se avesse deciso di comprare un biglietto della lotteria solo per aver visto il venditore, senza provare alcuna emozione, comprandolo per vedere cosa ne venisse fuori, rassegnato in anticipo a quanto la volubile fortuna gli avrebbe portato, qualcosa o niente, c’è chi direbbe che agì secondo un riflesso condizionato della propria personalità. Gli scettici sulla natura umana, che sono molti e ostinati, sostengono che se è vero che l’occasione non sempre fa l’uomo ladro, è anche vero che lo aiuta molto. Quanto a noi, ci permetteremo di pensare che se il cieco avesse accettato la seconda offerta del buon samaritano, in definitiva falso, in quell’istante estremo in cui la bontà avrebbe potuto ancora prevalere, e cioè l’offerta di restare a fargli compagnia fino all’arrivo del la moglie, chissà se l’effetto della responsabilità morale derivante dalla fiducia così accordata non avrebbe inibito la tentazione criminale e fatto venire a galla quanto di luminoso e nobile sarà sempre possibile ritrovare persino nelle anime più perdute.

La coscienza morale, che tanti dissennati hanno offeso e molti di più rinnegato, esiste ed è esistita sempre, non è una invenzione dei filosofi quando l’anima non era ancora che un progetto confuso. Con l’andar del tempo, e delle attività di convivenza, la coscienza è sfumata nel colore del sangue e nel sale delle lacrime, e, come se non bastasse, degli occhi abbiamo fatto una sorta di specchi rivolti all’interno, con il risultato che, spesso, ci mostrano senza riserva ciò che stavamo cercando di negare con la bocca. A questo, in generale, si aggiunga la circostanza particolare che, negli animi semplici, il rimorso provocato da una cattiva azione sovente si confonde con paure ancestrali di ogni tipo, dal che risulta come il castigo del prevaricatore finisca per essere, né più né meno, due volte meritato.

Il rimorso, espressione esasperata di una coscienza.

Il medico prese la scheda dell’uomo che si era ritrovato cieco, la lesse una volta, due volte, rifletté per alcuni minuti e infine chiamò al telefono un collega con il quale ebbe la seguente conversazione, Vuoi saperne una, oggi mi è capitato un caso stranissimo, un uomo che ha perso completamente la vista da un istante all’altro, l’esame non ha mostrato alcuna lesione. Dice di vedere tutto bianco.

L’ agnosia, la cecità psichica, potrebbe essere, ma allora si tratterebbe del primo caso con queste caratteristiche, perché non c’è dubbio che l’uomo è cieco, l’agnosia, lo sappiamo, è l’incapacità di riconoscere quel che si vede, infatti, ho pensato anche a questo, alla possibilità che si tratti di un caso di amaurosi, ma ricordati cosa ti ho detto all’inizio, questa cecità è bianca, esattamente al contrario dell’amaurosi, che è tenebra totale, a meno che non esista un’amaurosi bianca, una tenebra bianca per così dire, sì, lo so, non s’è mai vista.

Il fatto che l’agnosia e l’amaurosi si riscontrassero identificate e definite con precisione nei libri e nella pratica non significava che non potessero sorgere delle varianti, delle mutazioni, ammesso che il termine sia adeguato, e quel giorno sembrava arrivato.

Il medico consultò i libri specialistici, alcuni vecchi, dei tempi dell’università, altri recenti, qualcuno di recente pubblicazione, che non aveva ancora avuto il tempo di studiare. Cercò negli indici, uno dopo l’altro, metodicamente, si mise a leggere tutto quello che trovava sull’agnosia e l’amaurosi, con la scomoda impressione di sapersi un intruso in un campo che non era il suo, il misterioso territorio della neurochirurgia, sul quale non possedeva più che alcuni scarsi lumi. Nel cuore della notte, allontanò i libri che stava consultando, si stropicciò gli occhi stanchi e si abbandonò sulla sedia. In quel momento l’alternativa gli si presentava con la massima chiarezza. Se fosse un caso di agnosia, adesso il paziente vedrebbe quello che aveva sempre visto, cioè non gli si sarebbe verificata alcuna diminuzione dell’acutezza visiva, è che il cervello, semplicemente, sarebbe diventato incapace di riconoscere una sedia là dove ci fosse una sedia, in altre parole avrebbe continuato a reagire correttamente agli stimoli luminosi trasmessi dal nervo ottico, ma, per usare termini comuni, alla portata di gente poco informata, avrebbe perso la capacità di sapere che sapeva, e, tanto più, di esprimerlo. Quanto all’amaurosi, nessun dubbio. Perché effettivamente si trattasse di amaurosi, il paziente avrebbe dovuto vedere tutto nero, fatto salvo, è chiaro, l’uso del verbo, vedere, trattandosi di tenebre assolute. Il cieco aveva affermato categoricamente di vedere, sempre facendo salvo il verbo, un colore bianco uniforme, denso.

Adesso la casa del medico era silenziosa, sul tavolo i libri sparpagliati, Che cosa sarà, pensò, e all’improvviso ebbe paura, come se anche lui fosse sul punto di diventare cieco un attimo dopo e già lo sapesse. Trattenne il respiro e aspettò. Non successe niente. Successe un minuto dopo, mentre radunava i libri per riporli nella scaffalatura. Prima capì di non vedere più le mani, poi seppe di essere cieco.

La complessità della trama dei rapporti sociali, sia diurni che notturni, sia verticali che orizzontali consiglia di moderare qualsiasi tendenza a giudizi perentori, definitivi, pecca da cui, per eccessiva sufficienza nostra, forse non riusciamo mai a liberarci.

Indubbiamente questa donna va a letto per denaro, il che consentirebbe probabilmente, senza ulteriori considerazioni, di classificarla come prostituta di fatto, ma, siccome ci va solo quando vuole e con chi vuole, non è da disdegnare la probabilità che proprio questa differenza di diritto debba determinarne cautelativamente l’esclusione dalla cerchia, intesa come un tutto. Lei, come la gente normale, ha un mestiere, e, sempre come la gente normale, approfitta delle ore che le restano per concedere qualche gioia al corpo e sufficienti soddisfazioni alle necessità, quelle specifiche e quelle generali. Senza pretendere di ridurla a una definizione basilare, ciò che infine si dovrà dire di lei, in senso lato, è che vive come meglio le aggrada e che, per giunta, ne trae tutto il piacere che può. L’uomo con cui si sarebbe trovata era già suo conoscente. Fece fermare il tassì un isolato prima, si confuse tra le persone che procedevano nella stessa direzione, come lasciandosene trasportare, anonima e senza alcuna colpa notoria. Entrò nell’albergo con naturalezza, attraversò l’atrio dirigendosi al bar. Era arrivata con alcuni minuti di anticipo, quindi doveva aspettare, l’ora del l’appuntamento era stata combinata con precisione. Trecentododici era il numero che l’aspettava, è qui, bussò discretamente alla porta, dieci minuti dopo era nuda, al quindicesimo gemeva, al diciottesimo sussurrava parole d’amore che non aveva più necessità di fingere, al ventesimo cominciava a perdere la testa, al ventunesimo sentì il corpo dilaniato dal piacere, a ventiduesimo gridò, Ora, ora, e quando ritornò in se disse, esausta e felice, Vedo ancora tutto bianco.

L’oculista si trovava in casa quando lo colpì la cecità, ma perché, essendo medico, alla disperazione non si sarebbe certo consegnato con le mani legate, come fanno quelli che del corpo si accorgono solo quando gli duole. Pure in una situazione come questa, angosciato, con una notte d’ansia davanti, fu ancora capace di rammentare ciò che scrisse Omero nell’Iliade, poema della morte e della sofferenza, più di qualunque altro, Un medico, da solo, vale più di un uomo, parole che non dovremo intendere come espressione direttamente quantitativa, bensì principalmente qualitativa, come non si tarderà ad appurare.

Il medico voleva che giungesse rapidamente la luce del giorno, lo pensò con queste precise parole, la luce del giorno, sapendo che non l’avrebbe vista. In verità, un oculista cieco non poteva servire a molto.

Finse di dormire ancora quando la moglie si alzò. Sentì il bacio che lei gli diede sulla fronte, molto dolce, come se non volesse svegliarlo da quello che credeva un sonno profondo, forse aveva pensato, poverino, si è coricato tardi, studiando lo straordinario caso di quel povero cieco. Rimasto solo lasciò che due lacrime, Saranno bianche, pensò, gli inondassero gli occhi e gli scivolassero sulle tempie, da un lato e dall’altro della faccia, adesso comprendeva la paura dei suoi pazienti quando gli dicevano, Dottore, mi pare che sto perdendo la vista.

Ci sono mille ragioni per cui il cervello umano si chiuda, si limitò ad allungare le mani fino a toccare il vetro, sapeva che la sua immagine era lì a guardarlo, l’immagine vedeva lui, lui non vedeva l’immagine.

Udì la moglie entrare in camera, Ah, sei già alzato, disse lei, e lui rispose, Sì. Subito dopo la sentì accanto a sé, Buongiorno, amore mio, si rivolgevano ancora parole affettuose dopo tanti anni di matrimonio.

Non vedo, e aggiunse, Credo di essere stato contagiato dal malato di ieri. Con il tempo e l’intimità, le mogli dei medici finiscono anch’esse per capirne qualcosa di medicina, e questa, così vicina al marito in tutto, aveva imparato abbastanza per sapere che la cecità non si diffonde per contagio, come una epidemia, la cecità non si prende solo perché qualcuno che non lo è guarda un cieco, la cecità è una questione privata fra un individuo e gli occhi con cui è nato. In tutti i casi, un medico ha l’obbligo di sapere ciò che dice, l’università è lì per quello, e se, oltre all’essersi dichiarato cieco, ammette apertamente di essere stato contagiato, chi è la moglie, sia pure la moglie di un medico, per dubitarne. È comprensibile, quindi, come la povera signora, davanti al l’irrefutabile evidenza, finisse per reagire come una qualsiasi moglie normale, ne conosciamo già due, abbracciando il marito, offrendo le naturali dimostrazioni di dolore, E adesso, cosa facciamo, domandava fra le lacrime.

La logica e l’efficacia dettavano che la comunicazione di quanto stava accadendo fosse fatta direttamente e il più presto possibile a un alto funzionario responsabile del Ministero della Sanità, ma non tardò a cambiare idea quando si rese conto che il presentarsi come semplice medico con un’informazione importante e urgente da comunicare non era sufficiente a convincere l’impiegato di medio livello con cui alla fine, dopo molte suppliche, la centralinista aveva acconsentito a metterlo in contatto. L’uomo volle sapere di cosa si trattasse prima di passargli il diretto superiore, ed era chiaro che qualunque medico con senso di responsabilità non si sarebbe messo ad annunciare il sorgere di una epidemia di cecità al primo subalterno che gli fosse comparso davanti, il panico sarebbe stato immediato. Gli rispondeva l’impiegato, Lei afferma di essere un medico, se vuole che le dica che ci credo, ebbene sì, ci credo, ma ho degli ordini, o mi dice di cosa si tratta, o non procedo, è una questione confidenziale, Le questioni confidenziali non si trattano per telefono, sarà meglio che venga personalmente, Non posso uscire da casa, Vuole dire che è malato, Sì, sono malato, disse il cieco dopo un attimo di esitazione, In questo caso dovrà chiamare un medico, un medico vero, ribatté l’impiegato e, affascinato dal proprio spirito, riagganciò il telefono.  L’insolenza lo colpì come uno schiaffo. Solo dopo alcuni minuti riacquistò la serenità sufficiente per raccontare alla moglie la villania con cui era stato trattato.

Dopo, come se avesse appena scoperto qualcosa che fosse obbligato a sapere da lungo tempo, mormorò, triste, è di questa pasta che siamo fatti, metà di diffidenza ed indifferenza e metà di cattiveria.

Come stai, è ciò che diciamo quando non vogliamo fare la parte del debole, abbiamo detto, Bene, e stavamo morendo, ciò che normalmente si suole definire come prendere il coraggio a quattro mani, un fenomeno che solo nella specie umana è stato osservato.

Il resoconto del medico fu breve ma completo, senza perifrasi, senza parole in più, senza ridondanze, e fatto con una secchezza clinica che, tenendo conto della situazione, finì per sorprendere anche il direttore, Ma lei è davvero cieco, domandò, Totalmente, In tutti i casi, potrebbe trattarsi di una coincidenza, potrebbe non esserci stato realmente, in senso stretto, un contagio, D’accordo, il contagio non è dimostrato, ma qui non è che è diventato cieco lui e sono diventato cieco io, ciascuno a casa propria, senza esserci visti, l’uomo mi si è presentato cieco per una visita e io sono diventato cieco poche ore dopo, Come faremo a ritrovarlo, Ho il nome e l’indirizzo all’ambulatorio, Manderò qualcuno immediatamente, Un medico, Sì, un collega, chiaro, Non le sembra che dovremmo comunicare al ministero cosa sta capitando, Per il momento lo trovo prematuro, pensi all’allarme che causerebbe una notizia del genere, per Dio, la cecità mica si attacca, Neanche la morte si attacca, e ciò nonostante moriamo tutti, Beh, se ne stia a casa mentre mi occupo della faccenda, poi la manderò a prendere, voglio vederla, Si ricordi che se sono cieco è per avere visitato un cieco, La certezza non c’è, Ma c’è, quanto meno, una buona supposizione di causa ed effetto, Senza dubbio, tuttavia è ancora troppo presto per trarre conclusioni, due casi isolati non hanno alcun significato statistico, A meno che a questo punto non siamo già più di due, Capisco il suo stato d’animo, ma dobbiamo pur difenderci da pessimismi che possono rivelarsi infondati, Grazie, Ci risentiamo, A presto.

Era di nuovo il direttore sanitario, ma la sua voce, adesso, era diversa, Abbiamo qui un ragazzo che è diventato cieco anche lui all’improvviso, vede tutto bianco, la madre dice di essere stata ieri con il figlio.

Finché non si fossero trovate la terapia e la cura e, chissà, magari un vaccino per prevenire l’insorgenza di casi futuri, tutte le persone che erano diventate cieche, nonché quelle che vi fossero state in contatto fisico o in vicinanza diretta, sarebbero state radunate e isolate, in modo da evitare ulteriori contagi, i quali, nel verificarsi, si sarebbero moltiplicati più o meno secondo ciò che matematicamente si suole denominare come progressione geometrica. Quod erat demonstrandum, concluse il ministro.

La commissione agì con rapidità ed efficacia. Prima di sera erano già stati radunati tutti i ciechi di cui si aveva notizia, e anche un certo numero di presunti contagiati, quanto meno quelli che era stato possibile identificare e localizzare con una rapida operazione di rastrellamento effettuata soprattutto negli ambienti familiari e professionali dei colpiti dal la perdita della vista. I primi a essere trasportati nel manicomio furono il medico e sua moglie. C’erano soldati di guardia. Il portone fu aperto giusto per farli passare, e subito richiuso. A mo’ di corrimano, una grossa corda andava dal portone alla porta principale dell’edificio, Un po’ più avanti, sulla sinistra, c’è una corda, afferratela e proseguite, sempre diritto, fino ai gradini, i gradini sono sei, li avvisò un sergente. All’interno la corda si divideva in due, una diramazione a sinistra, l’altra a destra, il sergente gli aveva urlato, Attenzione, il vostro lato è il destro. Mentre trascinava la valigia, la moglie guidava il marito verso la camerata che si trovava più vicina all’ingresso.

Quando raggiunse di nuovo il marito, gli domandò, Riesci a immaginare dove ci hanno portato, No, e stava per aggiungere In un manicomio, ma lui la prevenne, Tu non sei cieca, non posso consentirti di restare qui, Sì, hai ragione, non sono cieca, Gli chiederò di portarti a casa, dirò che li hai ingannati per restare con me, Non vale la pena, da fuori non ti sentono, e an che se ti sentissero non ti darebbero retta, Ma tu vedi, Per il momento, la cosa più sicura è che diventerò cieca anch’io uno di questi giorni, o fra un minuto, Vattene via, per favore, Non insistere, del resto scommetto che i soldati non mi farebbero neanche metter piede sui gradini, Non ti posso obbligare, Infatti no, amore mio, non puoi, resto per aiutare te, e gli altri che verranno, ma non dir loro che ci vedo, Quali altri, Non crederai che saremo gli unici, è una follia, Per forza, siamo in un manicomio.  Gli altri ciechi arrivarono insieme. Li avevano presi nelle rispettive case, uno dopo l’altro.

Era una creatura semplice, incapace di mentire, anche a fin di bene.

Nel manicomio avrebbero dovuto apprendere a spese dei propri dolori. Il ragazzino piangeva, voleva la mamma, e la ragazza cercava di calmarlo, Ora viene, ora viene, gli diceva, solo perché diceva Ora viene, ora viene, sembrava quasi che stesse vedendo entrare dalla porta la madre disperata.

Probabilmente pensavano non ci fosse nessun altro nelle stesse condizioni, e non avevano perduto la vista da sufficiente tempo perché il senso dell’udito gli si fosse avvivato al di sopra della norma.

Fu pronunciata tre volte la parola Attenzione, poi la voce attaccò, Al Governo rincresce di essere stato costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e suo dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo attraversando, quando sembra si verifichi qualcosa di simile a una violenta epidemia di cecità, provvisoriamente designata come mal bianco, e desidererebbe poter contare sul senso civico e la collaborazione di tutti i cittadini per bloccare il propagarsi del contagio, nell’ipotesi che di contagio si tratti, nell’ipotesi che non ci si trovi unicamente davanti a una serie di coincidenze per ora inspiegabili. La decisione di riunire in uno stesso luogo le persone colpite, e, in luogo prossimo, ma separato, quelle che con esse hanno avuto qualche tipo di contatto, non è stata presa senza seria ponderazione. Il Governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch’essi, da cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando anche che l’isolamento in cui adesso si trovano rappresenterà, al di là di qualsiasi altra considerazione personale, un atto di solidarietà con il resto della comunità nazionale.

Detto ciò, richiamiamo l’attenzione di tutti alle istruzioni che seguono.

Chi abbandonerà l’edificio senza autorizzazione verrà immediatamente passato per le armi, ripeto, immediatamente passato per le armi.

Tre volte al giorno saranno depositate razioni di cibo alla porta d’ingresso, a destra e a sinistra, destinate, rispettivamente, ai pazienti e ai sospetti di contagio.

Gli internati non dovranno contare su alcun tipo di intervento dall’esterno nell’ipotesi che fra di essi si verifichino malattie, nonché l’insorgere di disordini o aggressioni.

I sospetti di contagio che dovessero diventare ciechi passeranno immediatamente nell’ala destinata a coloro che già lo sono, quindicesimo, questa comunicazione sarà ripetuta tutti i giorni, a questa stessa ora, per conoscenza dei nuovi ammessi. Il Governo e la Nazione si aspettano che ciascuno compia il proprio dovere. Buonanotte.

Il medico disse, Gli ordini che abbiamo sentito non lasciano dubbi, siamo isolati, più isolati di quanto probabilmente lo sia mai stato nessuno, e senza speranza di potere uscire da qui prima che si scopra il rimedio per la malattia, La sua voce mi è nota, disse la ragazza, Sono medico, sono un oculista, è il medico che ho consultato ieri, è la sua voce, Sì. E quel piccino che sta con lei, Non è mio, io non ho figli, Ieri ho visitato un ragazzino, sei tu, domandò il medico, Sì.

Il medico tese la mano incerta verso la moglie e la incontrò a metà strada. Lei andò a baciargli il viso, nessuno avrebbe potuto più vedere.

Sembrava che vedessero e non vedevano.

Disse la ragazza, Sarebbe meglio che lei, dottore, fosse il responsabile, è pur sempre un medico, A cosa serve un medico senza occhi né medicine, Ma è per l’autorità. La moglie del medico sorrise, Penso che dovresti accettare, se gli altri sono d’accordo, è chiaro. Non credo sia una buona idea, Perché, Per il momento siamo solo in sei, ma domani saremo certamente di più, verrà gente tutti i giorni, sarebbe come scommettere sull’impossibile contare che fossero tutti disposti ad accettare un’autorità che non hanno scelto e che, per giunta, non avrebbe niente da dare in cambio della loro deferenza, il che sarebbe come supporre che riconoscerebbero un’autorità e una regola, Allora sarà difficile vivere qui, Saremo molto fortunati se sarà solo difficile.

Ciascuno tirerà l’acqua al proprio mulino.

Spinto forse da queste parole, uno degli uomini si alzò bruscamente in piedi, questo signore è il colpevole della nostra infelicità. Mentre indicava nella direzione in cui credeva stesse l’altro. Il drammatico gesto risultò comico perché il dito puntato, accusatore, indicava un innocente comodino.

Vi state comportando in maniera stupida, rimproverò il medico, se avete in mente di far diventare questo posto un inferno, continuate pure, siete sulla buona strada, ma ricordatevi che siamo in mano a noi stessi, aiuti da fuori, nessuno, avete sentito cosa ho detto.

Ma questa cecità è talmente anomala, talmente al di fuori di quanto la scienza conosce, che non potrà durare sempre, E se dovessimo rimanere così per il resto della vita, Noi, Tutti quanti, Sarebbe terribile, un mondo di ciechi, Non voglio neanche immaginarlo.

Dalle finestre, che partivano a metà della parete e arrivavano a un palmo dal soffitto, entrava la luce opaca e azzurrata del primo mattino. Non sono cieca, mormorò, e subito allarmata si sollevò sul letto, la ragazza dagli occhiali scuri che occupava la branda di fronte poteva aver sentito. Dormiva. Nel letto accanto, appoggiato alla parete, anche il ragazzino dormiva, Ha fatto come me, pensò la moglie del medico, gli ha dato il posto più riparato, ben fragili mura gli saremmo, un semplice sasso in mezzo alla strada, con la sola speranza che il nemico, quale nemico, qui non verrà nessuno ad attaccarci, potremmo aver rubato e assassinato, ma non verrebbero certo ad arrestarci.

Siamo talmente lontani dal mondo che fra poco cominceremo a non saper più chi siamo, neanche abbiamo pensato a dirci come ci chiamiamo, e a che scopo, a cosa ci sarebbero serviti i nomi; noi, qui, ci conosciamo dal modo di parlare, il resto, lineamenti, colore degli occhi, della pelle, dei capelli, non conta, è come se non esistesse, io vedo ancora, ma fino a quando.

Il minimo incidente, in queste condizioni, può trasformarsi in tragedia, probabilmente è proprio quanto si aspettano, che finiamo tutti uno dopo l’altro.

La moglie del medico si alzò dal letto, si chinò sul marito, stava per svegliarlo, ma non ebbe il coraggio di strapparlo al sonno e restituirlo alla coscienza di essere ancora cieco.

Lei osservava e serenamente desiderò di essere cieca anche lei, di attraversare la pellicola invisibile delle cose e passare al loro interno, verso la propria folgorante e irrimediabile cecità.

Non avevano bisogno di vedere per sapere che stavano entrando dei ciechi. La moglie del medico si alzò, istintivamente sarebbe andata ad aiutare i nuovi arrivati, a rivolger loro una parola gentile, a guidarli fino alle brande, a informarli. Non si mosse, ma disse al marito, Stanno arrivando.

Quando coloro che un istante prima erano salvi dalla cecità, erano diventati ora ciechi e avevano cominciato perciò a lamentarsi, gli altri li avevano messi fuori senza pensarci due volte, senza neanche dar loro il tempo di congedarsi da un parente o da un amico che fosse lì con loro.

Sarà meglio che cominciate a contarvi, e che ciascuno dica chi è. Immobili, i ciechi esitarono, ma qualcuno doveva pur iniziare, due uomini parlarono contemporaneamente, capita sempre, tacquero tutti e due, e fu il terzo a cominciare.

Dove sei, dimmi dove sei, Qui, sono qui, diceva lei piangendo e camminando vacillante per la corsia, con gli occhi spalancati, le mani in lotta contro il mare di latte in cui entravano. Più sicuro, lui avanzò verso di lei, Dove sei, dove sei, adesso mormorava come se pregasse. Una mano incontrò l’altra, un istante dopo erano abbracciati, un corpo solo, i baci cercavano i baci, a volte si perdevano nel vuoto perché non sapevano dov’erano i visi.

Allora si udì la voce del ragazzino domandare, C’è anche mia madre. Seduta sul letto, la ragazza mormorò, Verrà, non ti preoccupare, che verrà.

Come del resto non c’è da sorprendersi che cerchino tutti di stare il più possibile uniti, ci sono molte affinità fra loro, alcune già note, altre che si riveleranno adesso.

La gioia e la tristezza possono fondersi, non sono come l’acqua e l’olio.

E se un’ultima ombra di rancore le ottenebrava ancora lo spirito, questa si dissipò di certo quando il ferito gemette miserevolmente.

Chi è costui, la risposta venne dal primo cieco, è medico, un medico degli occhi, Questa è la più bella che ho sentito in vita mia, disse l’autista, guarda un po’ se ci doveva toccare l’unico medico che non ci servirà a niente, Ci è toccato anche un autista che non ci porterà da nessuna parte, ribatté con sarcasmo la ragazza.

Vado a dirgli che abbiamo una persona con una grave infezione e non ci sono medicine, Ricordati dell’avviso, Sì, ma forse davanti a un caso concreto, Ne dubito, Anch’io, ma è nostro dovere tentare. Sul pianerottolo la luce del giorno stordì la donna, e non perché fosse troppo intensa, nel cielo si muovevano nuvole scure, forse stava per piovere, In pochissimo tempo ho perduto l’abitudine al chiarore, pensò. Nello stesso istante un soldato gridò loro dal portone, Alt, tornate indietro, ho ordine di sparare, e subito dopo, con lo stesso tono, puntando l’arma, Sergente, qui ce ne sono alcuni che vogliono uscire, Non vogliamo uscire, negò il medico.

 

Ve lo consiglio caldamente, disse il sergente mentre si avvicinava, e, spuntando dietro le grate del portone, domandò, Cosa c’è, Uno si è ferito a una gamba e presenta un’infezione conclamata, ci servono immediatamente antibiotici e altri medicinali, Gli ordini che ho sono molto chiari, uscire, non esce nessuno, entrare, solo cibo, Se l’infezione si aggrava, il che avverrà di certo, il caso può divenire rapidamente fatale, Non mi riguarda, Allora lo comunichi ai suoi superiori, Senta un po’, signor cieco, adesso gliela comunico io una cosa a lei, o ve ne tornate immediatamente là da dove siete venuti, o vi beccate una pallottola, Andiamo, disse la moglie, non c’è niente da fare, non è colpa loro, hanno una gran paura e obbediscono agli ordini, Non voglio credere che stia accadendo per davvero, è contrario a ogni principio umanitario, Farai meglio a crederci, perché non ti sei mai trovato davanti a una verità tanto evidente, Siete ancora lì, urlò il sergente, conterò fino a tre, se al tre non sarete scomparsi dalla mia vista state pur certi che non rientrerete più, uuuno, duuue, treee, ecco fatto, parole benedette, e rivolto ai soldati, Neanche se fosse mio fratello, senza spiegare a chi si riferiva, all’uomo che era andato a chiedere i medicinali o all’altro, dal la gamba infettata.

Il ferito domandò se avrebbero mandato le medicine, Come sa che sono andato a chiederle, domandò il medico, L’ho immaginato, lei è medico.

Riassumendo quanto aveva scoperto sui libri prima di diventare cieco, il medico disse, Non credo la si possa definire in senso stretto una malattia. In realtà gli occhi non sono che lenti, obiettivi, è il cervello che vede realmente, proprio come l’immagine compare sulla pellicola.

Per quanto tempo dovremo rimanere qui. Per lo meno finché saremo incapaci di vedere, E per quanto tempo, Francamente penso che non lo sappia nessuno, è una cosa passeggera, o durerà per sempre, Magari lo sapessi.

Non domandano, i ciechi. Presumono di sapere. A quanto appare agli occhi d’altri ciechi sembrava che sapessero, ma non sapevano.

Per la prima volta da quando era entrata qui dentro, la moglie del medico si sentì come se, a un microscopio, stesse osservando il comportamento di certi esseri che non potevano neanche sospettare la sua presenza, e questo le parve improvvisamente indegno, osceno, Non ho il diritto di guardare se gli altri non possono guardare me, pensò.

Il vitto continuava a essere per cinque. Siamo undici, urlò ai soldati, e lo stesso sergente rispose, State tranquilli, sarete molti di più, e lo disse con un tono di scherno.

 

Così aveva stabilito il destino.

 

Tacevano, come se ancora non riuscissero a rendersi conto di cosa gli era capitato.

Improvvisamente si udirono, provenienti dalla strada, grida confuse, ordini impartiti fra gli urli, un furioso schiamazzo. I ciechi della camerata voltarono tutti la faccia verso la porta, in attesa. Non potevano vedere, ma sapevano cosa sarebbe accaduto nei minuti seguenti. La moglie del medico, seduta sul letto accanto al marito, disse a bassa voce, Era inevitabile, l’inferno preannunciato sta iniziando.

Non ti allontanare, da ora in poi non potrai fare niente. Le grida erano scemate, adesso si udivano rumori confusi nell’atrio, erano i ciechi, condotti in gruppo, si scontravano gli uni contro gli altri, alcuni avevano perso l’orientamento, nessuno poteva opporsi al delirio di questa onda, ma per la maggior parte inciampavano agitando penosamente le mani come chi sta affogando. Qualcuno cadde, non fu soccorso, ma calpestato.

Avevano paura di perdersi nel labirinto che s’immaginavano.

Si avventurarono nell’ignoto. Come alla ricerca di un ultimo e ancora sicuro rifugio.

Al Governo rincresce di essere stato costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e suo dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo attraversando. . .

Si levò un coro indignato di proteste, Siamo rinchiusi, Moriremo tutti qui, Il diritto non esiste, Dove sono i medici che ci avevano promesso, ecco una novità, le autorità avevano promesso medici, assistenza, fors’anche una cura completa. Il medico non disse che, se avessero avuto bisogno di un medico, c’era lui. Non lo avrebbe detto mai più. A un medico non bastano le mani, un medico cura con farmaci, droghe, composti chimici, combinazioni di questo e di quello, e qui non ce n’è traccia, né c’è la speranza di ottenerne.

Avvertiva l’ambiente pesante, teso, ormai ai limiti di un conflitto, che si era creato dopo l’arrivo degli ultimi ciechi. Ciechi da pochi giorni e senza l’aiuto di nessuno.

Mio Dio, quanto ci mancano gli occhi, vedere, vedere, sia pur appena delle vaghe ombre, stare davanti a uno specchio, guardare una macchia scura diffusa e poter dire, Quella è la mia faccia, ciò che ha luce non mi appartiene.

Si fece buio. Si udirono degli urli. Poi il silenzio, se qualcuno piangeva lo faceva sommessamente, il pianto non attraversava le pareti.

Non dobbiamo pensare al peggio, Io ci penso, o forse è la cecità che sta pensando per me.

I ciechi si addormentarono. Alcuni si erano coperti anche la testa, come se desiderassero che l’oscurità, un’oscurità autentica, una nera oscurità potesse spegnere definitivamente quei soli offuscati in cui si erano trasformati i loro occhi. E mormoravano sognando, forse vedevano in sogno ciò che sognavano, forse dicevano, Se questo è un sogno, non voglio svegliarmi. I loro orologi erano tutti fermi, si erano dimenticati di caricarli o avevano pensato che non ne valesse la pena, solo quello della moglie del medico continuava a funzionare.

Come un branco di lupi improvvisamente risvegliati, i dolori accorsero da tutte le direzioni per rientrare subito dopo nel lugubre cratere cui si alimentavano. Il freddo e la febbre gli fecero serrare i denti. Il ferito pian piano avanzò fra i ciechi addormentati. Dove va a quest’ora, che cosa aveva in mente. Sono io che devo andare, quando mi vedranno in questo stato si renderanno conto immediatamente che sto male. Mi medicheranno la gamba, mi cureranno come potranno e mi porteranno in un ospedale, ci sarà pure un ospedale riservato ai ciechi. Se vogliono, possono pure riportarmi qui. Non me ne importa. Continuò ad avanzare.

All’improvviso, senza che lo avesse calcolato, la coscienza si svegliò e lo rimproverò aspramente di essere stato capace di derubare un povero cieco.

La coscienza non era disposta a dibattiti casuistici, le sue ragioni erano semplici e chiare, Un cieco è sacro, un cieco non lo si deruba.

Dimenticando per un istante di essere cieco, girò la testa come per accertarsi di quanto gli mancava ancora e si ritrovò davanti lo stesso biancore senza fondo. Sarà notte, sarà giorno, si domandò, beh, se fosse giorno mi avrebbero già visto, inoltre c’è stata solo una colazione, e molte ore fa. Lo sgomentavano lo spirito logico che stava scoprendo in se stesso, la rapidità e la giustezza dei ragionamenti, si vedeva diverso, un altro uomo. Sarebbe stato pronto a giurare di non essersi mai sentito tanto bene in vita sua.

Molto lentamente, nello spazio fra due sbarre verticali, come un fantasma, cominciò ad apparire una faccia bianca. La faccia di un cieco. La paura fece ghiacciare il sangue del soldato, e fu la paura a fargli puntare l’arma e sparare una raffica a bruciapelo.

I soldati avevano finito di equipaggiarsi e aspettavano in riga, con i fucili in mano. Accendete il faro, ordinò il sergente. Uno dei soldati salì sulla piattaforma del mezzo. Qualche secondo dopo la luce abbagliante illuminò il portone e la facciata dell’edificio. Non c’è nessuno, animale, disse il sergente, e si accingeva a proferire amenità quando vide che si stava spandendo, nella luce violenta, una pozza nera. L’hai fatto fuori, disse. Poi, ricordandosi degli ordini rigorosi che gli erano stati dati, urlò, Fatevi indietro, questo sangue è contagioso. I soldati indietreggiarono, timorosi, ma continuarono a guardare la pozza di sangue che lentamente si spargeva negli interstizi fra i sassolini del marciapiede. Credi sia morto, domandò il sergente, Sì, rispose il soldato, ora, mentre era contento per l’ovvia dimostrazione della sua buona mira, divenne cieco. In quel momento un altro soldato urlò nervosamente, Sergente, sergente, guardi lì. Nel pianerottolo della scala, in piedi, illuminati dalla luce bianca del proiettore, si vedevano dei ciechi, più di una decina, Fermi lì, strillò il sergente, un solo passo e faccio fuoco su tutti. Alle finestre dei palazzi di fronte alcune persone, risvegliate dagli spari, guardavano spaventate da dietro i vetri.

Aveva visto, dietro le finestre chiuse del corridoio che proseguiva nell’ala riservata ai sospetti di contagio, più basse in quella parte dell’edificio, volti allarmati, di persone in attesa della propria ora, di quel momento inevitabile in cui avrebbero dovuto dire alle altre Sono diventato cieco, o di quando, se avessero tentato di nascondere l’accaduto, le avrebbe denunciate un gesto sbagliato, un movimento del capo alla ricerca di un’ombra, un inciampo ingiustificato in chi gli occhi ce li ha.

Se prima di ogni nostro atto ci mettessimo a prevederne tutte le conseguenze, a considerarle seriamente, anzitutto quelle immediate, poi le probabili, poi le possibili, poi le immaginabili, non arriveremmo neanche a muoverci dal punto in cui ci avrebbe fatto fermare il primo pensiero. I buoni e i cattivi risultati delle nostre parole e delle nostre azioni si vanno distribuendo, presumibilmente in modo alquanto uniforme ed equilibrato, in tutti i giorni del futuro, compresi quelli, infiniti, in cui non saremo più qui per poterlo confermare, per congratularci o chiedere perdono. D’altro canto c’è chi dice sia questa l’immortalità di cui tanto si parla.

Davanti alla morte, quel che ci si aspetta dalla natura è che i rancori perdano forza e veleno, certo, è vero, si dice tuttavia, L’odio non si consuma, e prove non ne mancano nella letteratura e nella vita.

Si vede che sono persone educate, e hanno sempre qualche cosa da dirsi, altri non hanno più parlato, ma in loro, probabilmente, l’attuale tristezza ha prevalso sul precedente amore, con il tempo si abitueranno.

Era venuto a sostituire l’altro sergente, che era diventato cieco.

Due soldati, reagirono in maniera esemplare davanti al pericolo. Dominando, Dio solo sa come e perché, una legittima paura, avanzarono fino alla soglia della porta e vuotarono i caricatori. I ciechi cominciarono a cadere uno sull’altro, mentre crollavano al suolo venivano colpiti da altre pallottole che ormai erano un puro spreco di munizioni, fu tutto in credibilmente lento, un corpo, un altro corpo, sembrava non finissero più di cadere.

Se mai ancora un soldato dovesse dar conto delle pallottole che spara, questi potrebbero giurare sulla bandiera di aver agito per legittima difesa, e per giunta anche per difesa dei loro compagni disarmati che erano in missione umanitaria e all’improvviso si erano visti minacciati da un gruppo di ciechi numericamente superiore. Indietreggiarono correndo all’impazzata verso il portone, coperti dai fucili che gli altri soldati del picchetto puntavano tremanti fra le sbarre di ferro, come se i ciechi rimasti vivi fossero stati in procinto di compiere una sortita di vendetta. Illividito dallo spavento, uno di quelli che avevano sparato diceva, Là dentro non ci torno neanche se mi ammazzano, e infatti non ci tornò. Di punto in bianco, quello stesso giorno, verso la fine del pomeriggio, all’ora della consegna andò ad aumentare di uno il numero dei ciechi, fortuna sua che era dell’esercito perché, altrimenti, sarebbe rimasto lì a far compagnia ai ciechi borghesi, colleghi di quelli che aveva ammazzato a fucilate, e Dio sa cosa gli avrebbero fatto.

Il sergente aggiunse poi, La cosa migliore sarebbe lasciarli morire di fame. Come sappiamo, non manca chi lo abbia detto e pensato più volte, per fortuna un prezioso residuo di senso umanitario a questo gli fece dire, D’ora in poi lasceremo il cibo a metà strada.

Riunendo le parole come meglio poté, ricorrendo al ricordo di altre parole analoghe ascoltate in occasioni più o meno simili, disse, All’esercito rincresce di essere stato costretto a reprimere con le armi un moto sedizioso responsabile della creazione di una situazione di rischio imminente, della quale non ha avuto alcuna colpa direttamente o indirettamente, e avvisa che da oggi in poi gli internati andranno a ritirare il cibo fuori dall’edificio, essendo avvertiti fin d’ora che subiranno le conseguenze qualora si manifesti un tentativo di alterare l’ordine, com’è accaduto adesso e com’era accaduto la notte scorsa. Fece una pausa, non sapendo molto bene come fosse conveniente concludere, si era dimenticato le parole appropriate, che sicuramente c’erano, seppe solo ripetere, Non è stata colpa nostra, non è stata colpa nostra.

 

Il lume che precede illumina due volte, lo hanno già detto gli antichi di ogni tempo e luogo, e gli antichi non erano mica degli idioti in queste faccende.

 

Chi ci dice che questa cecità bianca non sia proprio un male dello spirito.

Il male, che, come tutti sanno, è sempre stato il più facile da compiere.

Può tanto l’immaginazione, e in circostanze morbose come questa pare possa tutto.

Fra i ciechi c’era una donna che dava l’impressione di trovarsi contemporaneamente dappertutto, aiutando a caricare, comportandosi come se guidasse gli uomini, cosa evidentemente impossibile per una cieca.

Tale era l’avvilimento che uno di essi arrivò al punto di dire, e ciò dimostra quanto fossero disperati, Se proprio dobbiamo diventare ciechi, se è questo il nostro destino, tanto varrebbe trasferirci subito, almeno avremmo di che mangiare.

Con più che censurabile disonestà, vollero far credere di essere in maggior numero di quanti fossero di fatto. Malintenzionati e cattivi d’animo furono anche quelli che non solo tentarono, ma riuscirono a ricevere il cibo due volte.

Il vantaggio di cui godevano questi ciechi era quello che si potrebbe definire l’illusione della luce. In verità, per loro non faceva differenza che fosse giorno o notte, crepuscolo del mattino o dell’imbrunire, silente alba o rumoroso mezzodì, i ciechi erano sempre circondati da uno splendente biancore, come il sole nella nebbia. Per costoro la cecità non significava vivere banalmente circondati da tenebre, ma all’interno di un bianco splendore luminoso.

Il radicale ed elegante metodo del passo avanti. Riconoscere l’errore.

La dura esperienza della vita, maestra suprema di tutte le discipline.

Cieco, cieco, cieco, e senza riuscire a dominarsi cominciò a piangere silenziosamente. Adesso regnava un dolente silenzio.

Si domandava se sarebbe mai arrivata a diventare cieca come loro, quali ragioni inesplicabili l’avevano preservata fino ad allora.

Fissò meglio lo sguardo, vide che la lancetta dei secondi non si muoveva. Si era dimenticata di caricare quel maledetto orologio, o maledetta lei, maledetta io, che neppure quel semplicissimo dovere avevo saputo compiere, dopo appena tre giorni di isolamento. Non riuscendo a dominarsi, scoppiò in un pianto dirotto, come se le fosse appena successa la peggiore delle disgrazie. Il medico pensò che la moglie fosse diventata cieca, che fosse accaduto ciò che tanto temeva, e sragionando stava quasi per domandarle Sei diventata cieca, ma all’ultimo istante udì il suo mormorio, Non è questo, non è questo, e poi, in un lento sussurro, quasi inudibile, con le teste nascoste sotto la coperta, Sono una stupida, non ho caricato l’orologio, e continuò a piangere, inconsolabile.

 

Ancora singhiozzante, la moglie del medico si alzò dal letto, abbracciò la ragazza, Non è niente, un po’ di tristezza che mi ha assalito all’improvviso, disse, Se lei, signora, che è tanto forte, comincia a scoraggiarsi, allora significa che per noi non c’è davvero salvezza, si lamentò la ragazza. A cosa serve avere gli occhi limpidi, e belli come lo sono questi, se non c’è nessuno a vederli.

Abbiamo tutti i nostri momenti di debolezza, per fortuna siamo ancora capaci di piangere, il pianto spesse volte è una salvezza, ci sono circostanze in cui moriremmo se non piangessimo.

Per noi non c’è salvezza, ripeté la ragazza, Chissà, questa cecità non è come le altre, com’è venuta, così potrebbe scomparire.

Qualcuno era andato, al ritorno aveva trovato il letto occupato, non era stato fatto apposta, l’altro si era alzato, si erano incrociati strada facendo, ovviamente a nessuno dei due era venuto in mente di dire, Veda un po’ di non sbagliare letto quando torna. In piedi, la moglie del medico guardava i due ciechi discutere, quasi non muovevano il corpo, avevano imparato in fretta che solo la voce e l’udito erano adesso di qualche utilità, avrebbero potuto litigare e venire alle mani come si suol dire, ma un letto scambiato non valeva tanto, se tutti gli errori della vita fossero come questo, basterebbe mettersi d’accordo, Il due è mio, il tre è il suo, sia chiaro una volta per tutte, Se non fossimo ciechi, questo sbaglio non sarebbe avvenuto, Ha ragione, il guaio è che siamo ciechi. La moglie del medico disse al marito, Il mondo è tutto qui dentro.

Non possiamo fidarci, Io fuori non ci vado, Neanche io, Qualcuno dovrà pur andare, se vogliamo mangiare, Non so se sia meglio morire fucilato, o morire di fame a poco a poco, Io vado, Anch’io, Non è necessario andare tutti, I soldati potrebbero non gradire, O spaventarsi, credere che vogliamo scappare, magari è per questo che hanno ucciso. I soldati hanno avuto paura di noi, E io ho paura di loro, Quello che vorrei sapere è se diventano ciechi anche loro, Loro chi, I soldati, A mio parere, dovrebbero essere addirittura i primi. Tutti furono d’accordo, senza tuttavia domandarsene il perché, ci mancò chi ne spiegasse l’ottima ragione, Perché così non potrebbero sparare.

Ciascuno riceve la propria parte, è la maniera più semplice e più giusta, Non ha funzionato, c’è chi è rimasto a bocca asciutta, E pure chi ha mangiato il doppio, La divisione è stata fatta male, Sarà sempre fatta male se non ci saranno rispetto e disciplina. Se avessimo qualcuno che ci vedesse almeno un minimo, Sì, così troverebbe subito uno stratagemma per tenersene la maggior parte.

Abbiamo a che fare con gente onesta. No. Abbiamo a che fare con gente affamata.

Il cambiamento di tono, chiaro anche per chi non avesse ulteriori motivi di diffidenza, spaventò i ciechi. Uno di essi dichiarò, Io da qui non esco, quello che vogliono è di beccarci fuori per poi ammazzarci tutti, Io pure non esco, disse un altro, Neanche io, rincarò un terzo. Stavano lì fermi, titubanti, alcuni volevano uscire, ma la paura si stava impossessando di tutti.

Venite avanti, venite avanti, ordinò il sergente. In modo confuso, i ciechi cercavano di mettersi in fila per poter avanzare ordinatamente, ma il sergente gridò loro, Le casse non sono lì, lasciate la corda, lasciatela, spostatevi a destra, la vostra, la vostra, stupidi ignoranti, non c’è bisogno degli occhi per sapere da che lato sta la mano destra. Il desiderio dei soldati era di puntare le armi e fucilare deliberatamente, freddamente, quegli imbecilli che si muovevano davanti ai loro occhi.

Sapevano quel che era stato detto la mattina dal comandante del reggimento, che il problema dei ciechi si sarebbe potuto risolvere solo con l’eliminazione fisica di tutti quanti, gli attuali e i futuri, senza considerazioni falsamente umanitarie. La parola di un comandante di reggimento, sempre figurativamente parlando, vale quanto pesa, nessuno arriva tanto “in alto” nella vita militare senza aver ragione in tutto quanto pensa, dice e fa. Tuttavia le parole del comandante del reggimento costituiscono l’eccezione di questa regola: Queste parole dimostrano che giungere “in alto” può non aver alcun merito riconoscibile. Sono pronunciabili solo giudizi di rimprovero ad un uomo che, con tale leggerezza e cecità, consiglia ai propri uomini, che ripongono in lui cieca fiducia, di commettere un genocidio.

L’uomo cieco non sapeva che i soldati lo tenevano di mira col fucile, in attesa che calpestasse la linea invisibile per cui si passava dalla vita alla morte. Quanto ai soldati, si sa, gli danno un ordine e loro ammazzano, gliene danno un altro e loro muoiono, Sparate solo al mio comando, urlò il sergente. Queste parole fecero comprendere al cieco il pericolo in cui si trovava. Si mise in ginocchio, implorando, Per favore, aiutatemi, ditemi dove devo andare, Avanti, caro cieco, vieni avanti, disse da lontano un soldato in tono falsamente amichevole, il cieco si alzò, fece tre passi, ma si bloccò di nuovo, il verbo gli parve sospetto, vieni avanti non è vai avanti, vieni avanti vuol dire verso qui, proprio verso qui, in questa direzione, arriverai dove ti stanno chiamando, incontro alla pallottola che ti sostituirà una cecità con un’altra. Fu un’iniziativa per così dire criminale di un soldato dall’animo cattivo, che il sergente stroncò immediatamente con due strilli successivi, Alt, Dietrofront, seguiti da un severo richiamo all’ordine del disobbediente, a quanto pare appartenente a quella specie di persone cui non si può mettere un fucile in mano. Animati dal benevolo intervento del sergente, i ciechi che avevano raggiunto il pianerottolo della scala attaccarono con un fortissimo baccano che finì per servire da polo magnetico al disorientato non vedente. Ormai sicuro di sé, questi avanzò in linea retta, Continuate, continuate, diceva mentre i ciechi applaudivano come se stessero assistendo a un lungo, vibrante e intrepido sprint. Fu accolto fra gli abbracci, come si meritava, è nelle avversità, sia le provate sia le prevedibili, che si riconoscono gli amici. Non durò molto la fraternizzazione. Approfittando della confusione, alcuni ciechi violarono il sacro principio della proprietà collettiva, erano fuggiti con le casse, quelle che riuscirono a trasportare, un modo palesemente sleale di prevenire ipotetiche ingiustizie nella distribuzione. Quelli in buona fede, che ce n’è sempre per quanto se ne dica, protestarono, indignati, che così non si poteva campare, Se non possiamo fidarci gli uni degli altri, dove andremo a finire, si domandavano alcuni.

Mangiamo prima, disse uno dei ciechi, e la maggioranza pensò che sì, era meglio mangiare prima. Disgraziatamente, solo quel poco che gli era rimasto dopo l’infame furto. In quel momento, in qualche luogo nascosto, i ladri con ogni probabilità consumavano razioni doppie e triple di una vivanda che, inaspettatamente, sembrava più buona, costituita da caffelatte, per la verità freddo, biscotti e pane con margarina, mentre la gente onesta non poteva far altro che saziarsi con dosi due o tre volte minori, e non di tutto.

La cosa fondamentale è non perdere il rispetto di noi stessi.

Domandare se c’è qualcuno fra noi che conosca delle storie da raccontare la sera, storie, favole, aneddoti, tant’è, pensate che fortuna se qualcuno conoscesse la Bibbia a memoria, ripeteremmo tutto partendo dalla creazione del mondo, l’importante è che ci ascoltiamo a vicenda, peccato non ci sia una radio, la musica è sempre stata una grande distrazione, e avremmo potuto seguire le notizie, per esempio se si scoprisse una cura per la nostra malattia, che gioia sarebbe.

Poi accadde ciò che doveva accadere. Si udirono degli spari nella strada. Il ministero della sanità aveva avvisato l’esercito, Ne invieremo circa duecento.

L’ occhio che è cieco trasmette la cecità all’occhio che vede, niente di più semplice.  C’è un colonnello, qui da noi, secondo il quale la soluzione sarebbe quella di ammazzare i ciechi a mano a mano che si presentano, Morti, invece che ciechi, non modificherebbe molto il quadro, Essere cieco non è tale e quale a essere morto, Sì, ma essere morto è tale e quale a essere cieco, Beh, allora saranno circa duecento, Sì. Quello stesso giorno, nel tardo pomeriggio, l’Esercito chiamò il Ministero della Sanità, Volete sapere la novità, quel colonnello di cui parlavo è diventato cieco, Chi sa cosa ne penserà adesso dell’idea che aveva, Ci ha già pensato, si è sparato un colpo alla testa, Atteggiamento coerente, non c’è che dire, L’esercito è sempre pronto a dare l’ ”esempio”.

Da civili quali erano, senza alcun ordine, non si ricordarono neanche di mandare avanti le donne e i bambini, come negli altri naufragi. non tutti gli spari erano stati mirati in aria, uno dei conducenti si era rifiutato di andare con i ciechi, protestò che ci vedeva perfettamente, il risultato, tre secondi dopo, diede ragione al Ministero della Sanità quando aveva affermato che essere morto è tale e quale a essere cieco.

Cecità, è sempre stato il loro modo di vivere. Qui ce ne sono alcuni che gridano di paura o di rabbia, altri ancora che imprecano, qualcuno ha lanciato una minaccia terribile e inutile.

C’era da aspettarselo. In base a quanto si era concordato, c’era persino un regolamento predisposto dal Ministero della sanità, quell’ala doveva essere riservata ai contaminati, e se era vero che si poteva prevedere, con altissimo grado di probabilità, che alla fine sarebbero diventati tutti ciechi, era anche vero, obbedendo alla pura logica, che fino a quando i contaminati non fossero diventati ciechi non si sarebbe potuto giurare che fossero effettivamente destinati a diventarlo. Uno se ne sta dunque tranquillamente seduto a casa propria, fiducioso che, malgrado gli esempi contrari, almeno nel suo caso tutto finisca per risolversi al meglio, e all’improvviso vede avanzare nella propria direzione coloro che più teme. In un primo momento i contaminati pensarono si trattasse di un gruppo par loro, solo più numeroso, ma l’equivoco durò poco, quella gente era proprio cieca.

Un momento terribile fu quando si produsse un violento reflusso di gente che faceva di tutto per sottrarsi alla confusione, all’imminente pericolo di schiacciamento, all’improvviso uscirono un certo numero di quelli che erano già entrati, pensarono subito al peggio, che i ciechi stessero per tornare indietro, ricordiamoci dei precedenti, sarebbe potuta diventare una carneficina. Fortunatamente, il sergente si dimostrò ancora una volta all’altezza della situazione, sparò egli stesso un colpo in aria, con la pistola, solo per richiamare l’attenzione, e gridò con l’altoparlante, Calma, voi che state sulla scala, indietreggiate un po’, tranquilli, non spingete, aiutatevi a vicenda.

Correvano invano. Uno dopo l’altro, tutti divennero ciechi.

L’ ultima ricchezza di ciascuno, ormai perduta per sempre, chi troverà qualcosa dirà che gli appartiene.

Adesso non ci vedono più, le coppie divise e i figli smarriti, i lamenti dei calpestati, alcuni vanno in cerca dei loro amati senza trovarli, bisognerebbe essere del tutto insensibili per dimenticare, come se niente fosse, le pene della povera gente.

Una razionale regolamentazione, attenta non solo alla maggiore efficacia possibile, ma anche all’economia dello sforzo necessario a realizzare il lavoro. La mentalità che obbligatoriamente dovrà determinare comportamenti sociali creativi non si improvvisa né nasce spontaneamente.

Nel caso in esame sembra abbia avuto influenza decisiva l’azione pedagogica della cieca in fondo alla camerata, quella sposata con l’oculista, si è tanto affannata a dirci, Se non siamo capaci di vivere globalmente come persone, almeno facciamo di tutto per non vivere globalmente come animali, lo ha ripetuto tante volte che il resto della camerata ha finito per trasformare in massima, in sentenza, in dottrina, in norma di vita, quelle parole, in fondo semplici ed elementari. Probabilmente un tale stato d’animo, propizio alla comprensione delle necessità e delle circostanze, è ciò che ha contribuito, ancorché in modo collaterale, alla benevola accoglienza.

Gli era rimasto un alone di sofferenza che aveva tenuto lontana la gente. Sono disposizioni del destino, misteri degli arcani.

A quel tempo si pensava che non si sarebbe andati oltre.

L’ascolto è la vista di chi non vede.

Era una canzone, una canzone qualunque, ma i ciechi si avvicinarono lentamente, non si spingevano, si fermavano appena sentivano una presenza davanti a sé e stavano lì a sentire, con gli occhi be ne aperti in direzione della voce che cantava, alcuni piangevano, come probabilmente soltanto i ciechi possono piangere.

Nelle prime ventiquattr’ore, disse, se era veritiera la notizia che circolava, c’erano stati centinaia di casi, tutti uguali, tutti manifestatisi nella stessa maniera, rapidità istantanea, assenza sconcertante di lesioni, biancore splendente del campo visivo, nessun dolore prima, nessun dolore dopo. Il secondo giorno si parlò di una certa diminuzione nel numero di nuovi casi, si passò dalle centinaia alle decine, il che portò il Governo ad annunciare prontamente che, in base alle più ragionevoli prospettive, la situazione sarebbe stata ben presto sotto controllo. Da questo punto in avanti, salvo alcuni commenti qua e là che non si sono potuti evitare, il suo racconto non sarà più seguito alla lettera, sostituito piuttosto da una riorganizzazione del discorso orale, orientata nel senso di valorizzare l’informazione con l’uso di un corretto e adeguato vocabolario. Motivo di questa alterazione, non prevista prima, è il modo di esprimersi controllato, tutt’altro che dialettale, impiegato dal narratore, che per poco lo squalificava come relatore complementare, importante, senza dubbio, giacché senza di lui non avremmo modo di sapere quel che è successo nel mondo esterno, come relatore complementare, dicevamo, di questi straordinari avvenimenti, quando si sa che la descrizione di qualsiasi fatto ha solo da guadagnarne con il rigore e la proprietà dei termini usati.

Doveva trattarsi, dunque, secondo la nuova opinione scientifica e la conseguente e aggiornata interpretazione amministrativa, di una casuale e sfortunata concomitanza temporale di circostanze anch’esse per il momento non accertate e nella cui esaltazione patogenica ormai era possibile, rilevava il comunicato del Governo, partendo dall’elaborazione dei dati disponibili che indicano la prossimità di una chiara curva di risoluzione, osservare indizi di esaurimento. Un commentatore televisivo ebbe l’ingegnosità di trovare la metafora giusta quando paragonò l’epidemia, o quel che fosse, a una freccia scagliata verso l’alto, che, nel raggiungere il culmine dell’ascensione, si mantiene per un momento come sospesa, e poi comincia a descrivere l’obbligatoria curva discendente che, a Dio piacendo, e con questa invocazione il commentatore ritornava alla trivialità degli scambi umani e al l’epidemia propriamente detta, poi ci penserà la gravità ad accelerare, fino alla scomparsa del terribile incubo che ci tormenta, una mezza dozzina di parole, queste, che comparivano continuamente nei vari mezzi di comunicazione sociale, i quali finivano sempre col formulare il compassionevole augurio che i poveri ciechi potessero recuperare ben presto la vista perduta, promettendo loro, nel frattempo, la solidarietà di tutta la società organizzata, sia ufficiale che privata.

Non c’è bene che sempre duri, né male che perduri, oppure, in versione letteraria, Così come non c’è bene che duri sempre, non c’è male che sempre duri, massime supreme di chi ha avuto il tempo di apprendere dalla vita e dalla fortuna, e che, trasposte fra i ciechi, andranno lette come segue, Ieri vedevamo, oggi non vediamo, domani vedremo, con una leggera intonazione interrogativa nella terza parte della frase, come se la prudenza, all’ultimo istante, avesse deciso, per sì e per no, di aggiungere l’ambiguità del dubbio alla speranzosa conclusione. Disgraziatamente, non tardò a dimostrarsi l’inanità di tali voti, le aspettative del Governo e le previsioni della comunità scientifica andarono semplicemente a rotoli. La cecità stava dilagando.

Davanti all’allarme sociale, ormai sul punto di esserne travolte, le autorità promossero in tutta fretta riunioni mediche, soprattutto di oculisti e neurologi. Per via del tempo che fatalmente avrebbe richiesto la sua organizzazione, non si arrivò a convocare il congresso che alcuni preconizzavano, ma in compenso non mancarono i colloqui, i seminari, le tavole rotonde, alcune aperte al pubblico, altre celebrate a porte chiuse. L’effetto combinato della palese inutilità dei dibattiti e i casi di alcune cecità improvvise verificatesi nel corso delle sedute, portarono i giornali, la radio e la televisione, quasi tutti, a cessare di occuparsi di tali iniziative, a eccezione del discreto e sotto ogni aspetto lodevole comportamento di certi organi di comunicazione che, campando a forza di scandali di ogni tipo, delle grazie e delle disgrazie altrui, non erano disposti a perdere una sola occasione si presentasse di riferire in diretta, con la drammaticità che la situazione giustificava, la cecità improvvisa, per esempio, di un cattedratico di oculistica.

La prova del progressivo deterioramento dello stato d’animo generale la diede lo stesso Governo, modificando per ben due volte, in una mezza dozzina di giorni, la propria strategia. Prima, aveva creduto fosse possibile circoscrivere il male ricorrendo all’isolamento dei ciechi e dei contaminati in certi spazi discriminati, come il manicomio in cui ci troviamo. Poi, l’inesorabile aumento dei casi di cecità portò alcuni influenti membri del Governo, timorosi che l’iniziativa ufficiale non corrispondesse abbastanza alle richieste, il che avrebbe determinato pesanti penalizzazioni politiche, a sostenere l’idea che dovesse spettare alle famiglie sorvegliare in casa i propri ciechi, non lasciandoli uscire, al fine di non complicare il già difficile traffico e di non offendere la sensibilità di coloro che ancora vedevano con gli occhi e che, indifferenti alle opinioni più o meno tranquillizzanti, credevano che il mal bianco si propagasse per contatto visivo. In effetti, non era legittimo attendersi diversa reazione da chi, immerso nei propri pensieri, tristi, neutri o allegri, ammesso che di questi ultimi ancora ce ne fossero, vedeva all’improvviso trasformarsi l’espressione di qualcuno che procedeva nella sua direzione, configurarglisi nel volto tutti i segni del terrore assoluto, e subito dopo il grido inevitabile, Sono cieco, sono cieco. Non c’erano nervi che resistessero. Il peggio è che le famiglie, soprattutto le meno numerose, rapidamente si trasformarono in famiglie tutte di ciechi, dove quindi non c’era più nessuno a poter guidare e sorvegliare, e a proteggere dai ciechi la comunità dei vicini con vista buona, ed era chiaro che quei ciechi non potevano, per quanto fossero padre, madre e figlio, badare gli uni agli altri, o se no gli sarebbe finita come ai ciechi del dipinto, che camminano insieme, cadono insieme e insieme muoiono.

Alcune organizzazioni benefiche avevano ancora offerto volontari per andare a badare ai ciechi, quelle cure minime senza le quali la vita diviene ben presto insopportabile, persino per i vedenti. Quei poveracci diventavano immediatamente ciechi, ma almeno passava alla storia la beltà del gesto. È venuto qualcuno qui, domandò. No, rispose la moglie del medico, nessuno, Forse era una chiacchiera.

Così è fatto il mondo, che spesse volte la verità deve celarsi sotto la menzogna per raggiungere i propri scopi.

La conseguenza fu che persero le ultime illusioni coloro che ancora ne avevano.

Alcuni cadevano e piangevano, C’è qualcuno che mi dia una mano ad alzarmi, ma c’erano anche quelli che, abbrutiti dalla disperazione o per carattere, imprecavano e respingevano la mano benemerita accorsa in loro aiuto, Mi lasci, arriverà anche il suo turno di diventare cieco, allora l’anima compassionevole si spaventava, scappava via, si perdeva nella densità di quella nebbia bianca, subitamente consapevole del rischio che la bontà gli aveva fatto correre, magari per diventare cieco qualche metro più avanti.

Probabilmente solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che veramente sono, disse il medico.

Avevo sentito dire che c’era gente che diventava cieca, allora ho pensato a come sarebbe stato se lo fossi diventato anch’io, ho chiuso gli occhi per provare e quando li ho aperti ero cieco, Sembra un’altra parabola, disse la voce sconosciuta, se vuoi essere cieco, lo sarai. Tacquero.

 

L’ultima cosa che ho visto è un quadro, Un quadro, ripeté il vecchio dalla benda nera, e dove si trovava, Ero andato al museo, era un campo di grano con corvi e cipressi e un sole che sembrava esser fatto con pezzi di altri soli. C’era anche una donna con un bambino in braccio, Di bambini in braccio a donne se ne vedono dovunque in pittura, In effetti, l’ho notato, Quello che non capisco è come potrebbero trovarsi in un unico quadro dipinti così diversi e di così diversi pittori, E c’erano degli uomini che mangiavano, Sono talmente numerosi i pranzi, le merende e le cene nella storia dell’arte che, in base a questa sola indicazione, non è possibile sapere chi mangiava, Gli uomini erano tredici, Ah, allora è facile, vada avanti, C’era anche una donna nuda, con i capelli biondi, dentro una conchiglia fluttuante nel mare, e intorno a lei tanti fiori, Italiano, chiaro, E una battaglia, Eccoci di nuovo come nel caso dei pasti e delle madri con bambini in braccio, non basta per sapere chi lo ha dipinto, Morti e feriti, è naturale, prima o poi tutte le creature muoiono, e i soldati pure, E un cavallo impaurito, Con gli occhi che sembravano voler fuoriuscire dalle orbite, Esattamente, I cavalli sono così, e quali altri quadri c’erano in quel suo quadro, Non ce l’ho fatta a saperlo, sono diventato cieco nel preciso istante in cui stavo guardando il cavallo. La paura acceca. Eravamo già ciechi nel momento in cui o siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi.

Di quanti ciechi ci sarà bisogno per fare una cecità.

Pensavano, Non ha importanza, nessuno mi vede, e non andavano oltre a questo pensiero.

 Per favore, un paio d’occhi, dei semplici occhi, una mano capace di condurci e guidarci, una voce che mi dica, Per di qua. Se a questi ciechi non gli diamo una mano, non tarderanno a trasformarsi in animali, o peggio ancora, in animali ciechi.

Si deve trovare un rimedio a questo orrore, non resisto. Non posso continuare a fingere di non vedere, Pensa alle conseguenze, la cosa più sicura è che tenteranno di trasformarti in una schiava, in un fantoccio, dovrai badare a tutti e a tutto. Ti chiameranno quando starai dormendo, ti insulteranno se tarderai, E tu, come vuoi che continui a guardare queste miserie, ad averle perennemente sotto gli occhi senza muovere un dito per dare aiuto, Fai già molto, Cosa faccio, se la mia preoccupazione maggiore è di evitare che qualcuno si accorga che vedo, Alcuni ti odieranno proprio per questo, non credere che la cecità ci abbia reso migliori, Neppure ci ha reso peggiori, Ma ci stiamo arrivando, pensa solo a cosa succede quando arriva il momento di distribuire il cibo, Esattamente, uno che vedesse potrebbe incaricarsi della suddivisione dei generi alimentari fra tutti gli in ternati, farlo con equità, con criterio, cesserebbero le proteste, finirebbero queste dispute che mi fanno ammattire, tu non sai cosa sia vedere due ciechi che lottano, Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di cecità, Qui è diverso, Fai pure ciò che ti sembra meglio, ma non dimenticarti di quello che siamo, ciechi, semplicemente ciechi, ciechi senza retoriche né commiserazioni, il mondo caritatevole e pittoresco dei poveri ciechi è finito, adesso è il regno duro, crudele e implacabile dei ciechi, Se tu potessi vedere cosa sono costretta a vedere io, desidereresti essere cieco, Ci credo, ma non ne ho bisogno, cieco lo sono già, Perdonami, amore, se tu sapessi, Lo so, lo so, ho passato la vita a guardare negli occhi della gente, è l’unico luogo del corpo dove forse esiste ancora un’anima, e se gli occhi si son perduti, Domani gli dirò che vedo, Spero tu non abbia a pentirtene, Domani glielo dirò, fece una pausa e aggiunse, Se finalmente non sarò entrata anch’io in quel mondo. Ma non fu ancora la volta buona. Quando al mattino si svegliò, molto presto com’era solita, i suoi occhi ve devano altrettanto distintamente di prima.

Da oggi in poi chi vuole mangiare deve pagare. Che vergogna, ciechi contro ciechi, non mi aspettavo di dover vivere per vedere una cosa del genere.

Capì immediatamente che non sarebbe stato possibile alcun dialogo diplomatico, anzi, probabilmente non ci sarebbe stato nessun dialogo.

Pressata dall’assurda speranza di ristabilire la pace perduta, di rinsaldare la giustizia, di restituire la tranquillità, una cieca si avvicinò come poté al la porta principale e gridò nel vuoto, Aiutateci. I soldati fecero finta di non aver sentito, gli ordini che il sergente aveva ricevuto da un capitano passato in ispezione erano perentori, chiarissimi, Se si ammazzano a vicenda, tanto meglio, ne restano meno. Infine, comprendendo l’inutilità dei propri appelli, tacque, si girò verso l’interno singhiozzando.

 

I ciechi che erano andati a reclamare il cibo cominciavano ormai a indietreggiare sbaragliati, completamente disorientati si scontravano fra di loro, cadevano, si rialzavano, cadevano di nuovo, alcuni non ci provavano neanche, rinunciavano, si abbandonavano prostrati a terra, esausti, miseri, contorcendosi dal dolore, con la faccia sul lastricato. Poi la moglie del medico, terrorizzata, vide uno dei ciechi della banda estrarre di tasca una pistola e alzarla bruscamente in aria. Lo sparo fece saltare dal soffitto una grande placca di stucco che andò a cadere sulle teste impreparate, aumentando il panico. Il cieco gridò, Tutti calmi e zitti, se qualcuno si azzarda ad alzare la voce, faccio fuoco, poi non vi lamentate. I ciechi non si mossero. Quello della pistola continuò, è detto e non si torna indietro, da oggi in poi saremo noi a gestire il cibo, siete tutti avvisati, e che a nessuno venga in mente di andarlo a prendere fuori, metteremo dei sorveglianti a questo ingresso, subirete le conseguenze di qualsiasi tentativo di contravvenire agli ordini, adesso il cibo si vende, chi vuol mangiare paga, Ma paghiamo come, domandò la moglie del medico, Ho detto che nessuno doveva parlare, strillò quello della pistola, agitando l’arma davanti a sé, Qualcuno dovrà parlare, bisogna sapere come dobbiamo comportarci, dove andare a prendere il cibo, se tutti insieme oppure uno alla volta, Questa vuol fare la furba, commentò uno del gruppo, se le tiri un colpo è una bocca in meno a mangiare, Se la vedessi. Poi, rivolgendosi a tutti, Tornate immediatamente nelle camerate, subito, quando avremo portato il cibo dentro vi diremo cosa dovete fare, E il pagamento, ribatté la moglie del medico, quanto ci costerà un caffelatte e un biscotto, La tizia sta proprio facendo la furba, disse la stessa voce, Lasciala a me, disse l’altro, e cambiando tono, Ogni camerata nominerà due responsabili, questi saranno incaricati di raccogliere le cose di valore, tutte, di qualsiasi tipo, soldi, gioielli, anelli, bracciali, orecchini, orologi, quello che avete, e porteranno tutto nella terza camerata del lato sinistro, cioè dove stiamo noi, e se volete un consiglio da amico, che non vi passi per la testa di tentare di ingannarci, sappiamo già che alcuni di voi nasconderanno una parte di quanto possiedono di prezioso, ma vi dico che sarà una pessima idea, se non ci sembrerà sufficiente quello che consegnerete, semplicemente non mangerete. E come facciamo, consegniamo tutto in una volta, o paghiamo in base a quello che mangiamo, A quanto pare non mi sono spiegato bene, disse quello della pistola ridendo, prima di tutto pagate, dopo di che mangiate, e quanto al resto, pagare in base a quanto si mangia, per questo ci vorrebbe una contabilità molto complicata, è meglio che portiate tutto in una volta e vedremo noi quanto cibo meritate. E tu, disse quello della pistola, non dimenticherò la tua voce, Né io la tua faccia, rispose la moglie del medico.  Nessuno parve notare l’assurdità di una cieca che dice che non dimenticherà una faccia che non ha visto. I ciechi se l’erano battuta in ritirata più in fretta che potevano, in cerca delle porte, poco dopo quelli della prima camerata stavano rendendo edotti sulla situazione i compagni, Da quanto abbiamo sentito, non credo che, per adesso, possiamo far altro che obbedire, disse il medico, devono essere molti, e il peggio è che sono armati. Io non glielo do quello che mi appartiene. Chi non vuol pagare non paghi, è suo diritto, ma in tal caso non mangerà, non può mica cibarsi a spese degli altri, Daremo tutti e daremo tutto, disse il medico, E chi non ha niente da dare, domandò il commesso di farmacia, Questi sì, mangerà di quanto daranno gli altri, è giusto come ha detto qualcuno, da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo le sue necessità.

Avevano ordine di andare a pagare il cibo. Quello di oggi, quello di domani pure, e forse quello di tutta la settimana, E dopo, alla domanda non c’era risposta, tutto quanto possedevamo è lì.

Siamo in una situazione insostenibile, è insostenibile fin da quando siamo entrati in questo posto, e malgrado ciò continuiamo a resistere, Lei, dottore, è ottimista, Affatto, ma non riesco a immaginare niente di peggio di quel che stiamo vivendo, Invece io sospetto che non ci siano limiti alla cattiveria, al male, Forse ha ragione, disse il medico, e poi, come se stesse parlando con se stesso, Qualcosa dovrà succedere, una conclusione che comporta una certa contraddizione, o c’è in definitiva qualcosa di peggio, o d’ora in poi tutto migliorerà.

Un cieco addestrato da cieco è tutta un’altra cosa, vale il suo peso in oro.

La moglie del medico si stava domandando, A cosa mi serve vedere. Le era servito per sapere dell’orrore più di quanto avesse mai potuto immaginare, le era servito a desiderare di essere cieca, nient’altro che a questo.

L’unica cosa che in fondo non voleva era che il marito si svegliasse e notasse la sua assenza ancora in tempo per domandarle, Dove vai, che probabilmente è la domanda più spesso rivolta dagli uomini alle proprie mogli, l’altra è, Dove sei stata.

Si fermò un momento, in dubbio se toccare quel filo invisibile sospeso nell’aria, come se un semplice contatto lo potesse distruggere irreparabilmente.

A dieci metri un cieco era sdraiato sopra una cieca, agganciato fra le gambe di lei, lo facevano il più discretamente possibile, erano tra quelli discreti in pubblico, ma non ci sarebbe stato bisogno di avere l’udito molto acuto per sapere in cosa erano occupati, tanto meno quando non riuscirono più a reprimere i sospiri e i gemiti, qualche parola inarticolata, che sono i segnali di come tutto stia per finire. La moglie del medico rimase lì ferma a guardarli, non per invidia, lei aveva il marito e la soddisfazione che lui le dava, ma per una impressione d’altra natura per cui non trovava un termine, avrebbe potuto essere un sentimento di simpatia, come se stesse pensando di dir loro Non badate a me che sono qui, lo so anch’io che cos’è, continuate, avrebbe potuto essere un sentimento di compassione, Anche se questo istante di supremo godimento potesse durarvi per la vita, non potrete mai, voi due, riuscire a fondervi in uno solo. Il cieco e la cieca adesso riposavano, separati, uno accanto all’altro, ma sempre tenendosi per mano, erano giovani, forse innamorati, erano andati al cinema e lì erano diventati ciechi, o forse una miracolosa coincidenza li ha riuniti qui, e, se è così, come avevano fatto a riconoscersi, questa poi, dalle voci, è chiaro, non è solo la voce del sangue a non aver bisogno d’occhi, anche l’amore, che dicono sia cieco, ha da dire la sua. È più probabile, però, che li avessero presi contemporaneamente, in tal caso quelle mani intrecciate non sono recenti, stanno così fin dall’inizio.

Fu colpita dal silenzio, un silenzio che sembrava occupare lo spazio di un’assenza, come se l’umanità, tutta, fosse scomparsa, lasciando solo una luce accesa.

Sembrava impossibile che fosse buia la notte, il giorno durava per sempre.

Deliberatamente, la moglie del medico si sforzò di pensare che quest’uomo era un ladro di cibo, che rubava quanto agli altri apparteneva per giustizia, che lo toglieva di bocca ai bambini, ma, pur pensandolo, non riuscì a provare disprezzo, e neppure una leggera irritazione, solo una strana pietà davanti a quel corpo abbandonato. Per la prima volta da quando era uscita dalla camerata ebbe un brivido di freddo, sembrava che le lastre del pavimento le stessero gelando i piedi, come se li bruciassero, Speriamo non sia febbre, pensò. No, doveva essere solo un’infinita stanchezza, una voglia di avvolgersi su se stessa, gli occhi, ah, soprattutto gli occhi, rivolti all’interno, nel punto esatto in cui la differenza fra il vedere e il non vedere è invisibile alla semplice vista.

I ciechi innamorati non si tenevano più per mano, dormivano sdraiati su un fianco, rannicchiati per mantenere il calore, lei nella conca formata dal corpo di lui, ma in definitiva, osservando meglio, si erano dati le mani, il braccio di lui sopra il corpo di lei, le dita intrecciate. Là dentro, nella camerata, la cieca che non riusciva a dormire era ancora seduta sul letto, in attesa che la stanchezza del corpo fosse tale da vincere l’ostinata resistenza della mente. Tutti gli altri sembravano dormire, alcuni con il capo coperto, come se fossero ancora alla ricerca di un’impossibile oscurità. Sul comodino della ragazza si vedeva la boccetta del collirio. Gli occhi erano guariti, ma lei non lo sapeva.

Mentre a quest’ora la camerata dei malvagi dovrà essere ormai ricca di cibo, questi poveri disgraziati qui fra poco si vedranno ridotti a cogliere le briciole dal pavimento immondo. Fu condannato il comportamento criminale dei ciechi oppressori, che preferiscono lasciare andare il cibo a male piuttosto che darlo a chi ne è tanto bisognoso.

Un resoconto discriminativo di altri mali che affliggono molte delle quasi trecento persone messe in una quarantena tanto disumana, non potrebbe tralasciare di menzionare almeno due casi di cancro in stadio avanzato, verso i quali le autorità non hanno voluto fare alcuna considerazione umanitaria al momento di cacciare i ciechi e portarli qui dentro, hanno detto testualmente che la legge, quando vien fatta, è uguale per tutti e che la democrazia è incompatibile con trattamenti di favore.

C’è sempre qualcuno che propone un’azione collettiva organizzata, una manifestazione massiccia, presentando come valido argomento la tanto spesso appurata forza espansiva del numero, sublimata nell’affermazione dialettica che le volontà, generalmente solo addizionabili le une alle altre, sono anche capacissime, in certe circostanze, di moltiplicarsi fra loro, all’infinito. Ben presto, però, gli animi si calmavano: Bastava che qualcuno, più prudente, con la semplice e obiettiva intenzione di consigliare agli entusiasti di ponderare i vantaggi e i rischi dell’azione proposta.

Come soluzione intermedia, in una delle camerate fu deciso, e della decisione si passò parola alle altre, che a prendere il cibo avrebbero mandato non i soliti emissari già castigati, ma un gruppetto nutrito, espressione ovviamente impropria, un dieci o dodici persone, le quali avrebbero fatto in modo di esprimere, coralmente, la scontentezza di tutti. Si chiesero volontari, ma, forse per effetto dei noti avvertimenti dei prudenti, in nessuna camerata furono tanti a presentarsi per la missione. Grazie a Dio, questa evidente dimostrazione di debolezza morale cessò di avere importanza, e anche di essere motivo di vergogna, quando, dando ragione alla prudenza, si venne a conoscenza del risultato della spedizione organizzata dalla camerata che aveva avuto l’idea. Gli otto coraggiosi che avevano avuto l’ardire furono cacciati. Se è vero che fu sparata solo una pallottola, non è meno vero che questa non l’avevano mirata in alto come le prime, prova ne sia che i reclamanti giurarono poi di essersela sentita fischiare vicinissimo alle teste. Se già ci fosse stata intenzione assassina, forse lo verremo a sapere in seguito, per ora si conceda al tiratore il beneficio del dubbio, e cioè, o quello sparo non fu veramente altro che un avvertimento.

I classici doveri dell’umana solidarietà e l’osservanza del vecchio e non meno classico precetto secondo cui la carità bene intesa dovrà comunque cominciare da noi stessi.

Giunse l’ordine dei malvagi di consegnar loro altri soldi e oggetti di valore, in quanto, sostenevano, il cibo fornito aveva già superato il valore del pagamento iniziale, peraltro, secondo quanto affermavano, generosamente calcolato in eccesso. Risposero afflitte le camerate che in tasca non gli era rimasto neppure un centesimo, che tutti i beni raccolti erano stati puntualmente consegnati e che, argomento quest’ultimo, davvero vergognoso, non sarebbe stata del tutto equanime una decisione che deliberatamente ignorasse le differenze di valore dei distinti contributi, e cioè, in parole povere, non andava bene che fosse il giusto a pagare per il peccatore, e che dunque non si dovevano tagliare i viveri a chi, probabilmente, aveva ancora un saldo a proprio favore. Nessuna delle camerate, ovviamente, conosceva il valore di quanto era stato consegnato dalle altre, ma ciascuna pensava di aver motivi per continuare a mangiare ancora quando alle altre fosse già finito il credito. Fortunatamente, grazie alla qual cosa i conflitti latenti morirono sul nascere, i malvagi furono categorici, l’ordine andava eseguito da tutti quanti, se differenze di valutazione c’erano state rimanevano nel segreto della contabilità del cieco scrivano. Nelle camerate la discussione fu accesa, aspra, talvolta giunse alla violenza. Sospettavano alcuni che certi egoisti e malintenzionati avessero nascosto parte dei propri valori all’atto della raccolta, e dunque fossero stati lì a mangiare a spese di chi onestamente si era spogliato di tutto a beneficio della comunità. Adducevano altri, recuperando a uso personale ciò che fino ad allora era stata un’argomentazione collettiva, che quanto avevano già con segnato, da solo, sarebbe bastato per continuare a mangiare ancora per molti giorni, invece di doversene star lì a nutrire dei parassiti.

Quanto ai castighi della giustizia interna, non furono più di qualche ceffone a caso, di qualche fiacco pugno mal diretto, si udirono per lo più insulti, e frasi appartenenti a un’antica retorica accusatoria, per esempio, Saresti capace perfino di derubare tua madre, pensate un po’, come se per commettere un’ignominia del genere, e altre ben più consistenti, ci fosse da aspettare il giorno in cui tutti fossero diventati ciechi e, avendo perduto il lume degli occhi, avessero perduto anche il faro del rispetto.

Ulteriori ingiustizie sarebbero venute ad aggravare la situazione, magari con conseguenze drammatiche immediate. Due delle camerate, per occultare il delitto di trattenuta di cui erano colpevoli, si presentarono a nome delle altre, scaricando sulle camerate innocenti colpe non loro, qualcuna era addirittura talmente onesta da aver consegnato tutto il primo giorno.

Trascorsa una settimana, i ciechi malvagi mandarono a dire che volevano donne. Così, semplicemente, Portateci delle donne. Questa inattesa ancor ché non del tutto insolita pretesa causò l’indignazione che è facile immaginare, gli sbalorditi emissari giunti con l’ordine tornarono immediatamente indietro a comunicare che le camerate, le tre di destra e le due di sinistra, compresi i ciechi e le cieche che dormivano per terra, avevano deciso, all’unanimità, di non accogliere la degradante imposizione, obiettando che non poteva abbassarsi fino a quel punto la dignità umana, in questo caso femminile, e che se nella terza camerata lato sinistro non c’erano donne, la responsabilità, se ce n’era, non si poteva addossare a loro. La risposta fu breve e secca, Se non ci portate delle donne, non mangiate. Umiliati, gli emissari ritornarono nelle camerate con l’ordine, O ci andate, o non ci danno da mangiare. Le donne protestarono immediatamente.

Le donne avevano capito che, per loro, la vittoria nella contesa verbale era un tutt’uno con la sconfitta che ne sarebbe inevitabilmente seguita, e forse nelle altre camerate la discussione non sarà stata diversa, è risaputo che le ragioni umane non fanno che ripetersi, e anche le nonragioni.

La dignità non ha prezzo, che si comincia col cedere nelle piccole cose e si finisce per perdere completamente il senso della vita. Il medico domandò allora quale senso della vita ci vedesse nella situazione in cui si trovavano.

Cosa dobbiamo fare noi, disse, era quasi una domanda, una domanda appena rassegnata a cui non c’era risposta.

Del male altrui si guarisce, del proprio si muore, parole che non pronunciò nessuna, ma che tutte pensarono, in realtà deve ancora nascere il primo essere umano sprovvisto di quella seconda pelle che chiamiamo egoismo, ben più dura dell’altra, che per qualsiasi cosa sanguina.

Quanto insegnavano gli antichi, la cui saggezza non ci stancheremo mai di lodare.

Pensare che non potesse esserci miglior premio a questo mondo del ritrovarsi distesi nel proprio letto, da soli, immaginando cose impossibili, e avvertire che una donna ti viene a sollevare le coperte molto lentamente e vi si insinua sotto, sfiorandoti lentamente il corpo con il corpo, fino ad acchetarsi poi, in silenzio, in attesa che l’ardore del sangue pacifichi l’improvviso tremore della pelle sussultante. E tutto per niente, solo perché lei lo ha voluto. Non sono mica fortune da quattro soldi.

Oppure certe cose è meglio lasciarle senza spiegazione, dire semplicemente quel che è accaduto, non interrogarsi nell’intimo.

Come quella volta, quando la moglie del medico si era alzata dal letto per andare a rimboccare il ragazzino che si era scoperto. Non se ne tornò subito a letto. Appoggiata alla parete di fondo, nel poco spazio tra le due file di brande, guardava disperata la porta all’altra estremità quella da cui erano entrati un giorno che ormai sembrava lontano e che adesso non conduceva da nessuna parte. Mentre se ne stava così, vide il marito alzarsi e dirigersi verso il letto della ragazza. Non fece un solo gesto per trattenerlo. In piedi, senza muoversi, vide come lui alzava le coperte e poi si sdraiava accanto a lei, come la ragazza si svegliò e lo accolse senza protestare, come le due bocche si cercarono e si trovarono, e poi successe quel che doveva succedere, il piacere dell’uno, il piacere dell’altro, il piacere di entrambi, i mormorii soffocati, lui disse, Scusa, non so cosa mi abbia preso, infatti avevamo ragione, come avremmo potuto noi, che solo vediamo, sapere ciò che non sa neppure lui. Sdraiati nella stretta branda, non potevano immaginare di essere osservati, il medico sì, certo, subitamente inquieto, chi sa se la moglie stava dormendo, si domandò, o se ne andava in giro per i corridoi come tutte le notti, fece un movimento per tornare nel suo letto, ma una voce disse, Non ti alzare, e una mano gli si posò sul petto con la leggerezza di un uccello, lui stava per parlare, forse per ripetere che non sapeva cosa gli avesse preso, ma la voce disse, Se non dirai niente comprenderò meglio. La ragazza cominciò a piangere, Come siamo disgraziati, mormorava, e poi, L’ho voluto an ch’io, l’ho voluto anch’io, lui non ha colpa, Taci, disse dolcemente la moglie del medico, taciamo tutti, in certe occasioni le parole non servono a niente, magari potessi piangere anch’io, dire tutto con le lacrime, non dover parlare per essere intesa. Si sedette sul bordo del letto, tese il braccio sopra i due corpi, come per cingerli nello stesso amplesso, e chinandosi verso la ragazza le mormorò sottovoce all’orecchio, Io vedo. La ragazza rimase immobile, rasserenata, ma perplessa di non provare alcuna sorpresa, era come se lo sapesse già fin dal primo giorno e non avesse voluto dirlo a voce alta solo perché era un segreto che non le apparteneva. Si voltò e a sua volta sussurrò all’orecchio della moglie del medico, Lo sapevo, non ne sono del tutto sicura, ma penso che lo sapessi, È un segreto, non puoi dirlo a nessuno, Stia tranquilla, Ho fiducia in te, Può averla, preferirei morire piuttosto che ingannarla, Devi darmi del tu, Questo no, non ne sono capace. Mormoravano all’orecchio, ora l’una ora l’altra, sfiorandosi con le labbra i capelli, il lobo dell’orecchio, era un dialogo insignificante, era un dialogo profondo, se è possibile accostare questi contrari, una piccola conversazione complice che sembrava non contemplare l’uomo sdraiato fra loro due, ma che lo implicava in una logica al di fuori del mondo delle idee e delle comuni realtà. Poi la moglie del medico disse al marito, Resta qui un altro po’, se vuoi, No, vengo nel nostro letto, Allora ti aiuto. I loro occhi risplendevano inutilmente.

 

Lui si alzò lentamente, cercando appoggio, poi rimase fermo lì accanto al letto, indeciso, come se tutto a un tratto avesse perduto la nozione del luogo in cui si trovava, allora lei, come sempre aveva fatto, lo prese per un braccio, ma adesso il gesto aveva un significato nuovo, mai come in questo momento lui aveva avuto necessità di esser guidato, ma non poteva sapere fino a qual punto, soltanto le due donne lo seppero veramente, quando la moglie del medico sfiorò con l’altra mano il viso della ragazza e istintivamente lei gliela prese per portarsela alle labbra. Parve al medico di sentir piangere, un suono quasi inudibile, come può esserlo solo quello di lacrime che scorrono lentamente fino agli angoli della bocca dove scompaiono per ricominciare l’eterno ciclo degli inspiegabili dolori e delle gioie umane. La ragazza sarebbe rimasta sola, era lei quella che doveva essere consolata, perciò la mano della moglie del medico tardò tanto a staccarsi.

 

Andiamo, solo chi dovrà morire morirà, la morte sceglie senza avvisare.

 

Perché camminate tenendovi per mano, era capitato così, ci sono gesti per cui non sempre si può trovare una spiegazione facile, e talvolta neppure quella difficile può essere trovata.

È morta, ripeté, Com’è stato, domandò il medico, ma la donna non gli rispose, la sua domanda avrebbe potuto limitarsi a ciò che apparentemente significava, Com’è stato che è morta, ma avrebbe anche potuto essere, Che cosa vi hanno fatto, orbene, né all’una né all’altra avrebbe dovuto esserci risposta, è morta, semplicemente, non importa di che cosa, domandare di cosa sia morto qualcuno è stupido, col tempo la causa si dimentica, soltanto due parole restano, È morta, e noi non siamo più le stesse di quando siamo uscite, le parole che avrebbero detto quelle donne noi non possiamo più dirle, e quanto alle altre, l’innominabile esiste, è il suo unico nome, nient’altro.

Il caso, il fato, la sorte, il destino, o comunque si definisca ciò che possiede tanti nomi, è fatto di pura ironia.

Immaginiamo, non il dialogo, ormai superato, ma gli uomini che lo hanno sostenuto, sono lì faccia a faccia come se si potessero vedere, il che in questo caso non è neanche impossibile, basta che la memoria di ciascuno dei due faccia emergere dall’abbagliante biancore del mondo la bocca che sta articolando le parole, e poi, come una lenta irradiazione da quel centro, il resto dei visi apparirà pian piano, non si dica che è cieco chi ancora sia capace di vedere così.

In questo manicomio in cui viviamo, che alle purezze dell’anima, si sa, non c’è modo di giungervi.

Forse sono la più cieca di tutti, ho già ammazzato, di questa cecità ormai non mi libero più. Si allontanò, fece alcuni passi ancora sicuri, poi proseguì appoggiandosi alla parete del corridoio, sul punto di svenire, di colpo le ginocchia le si piegarono e lei cadde lunga distesa. Gli occhi le si annebbiarono, Ora divento cieca, pensò, ma poi comprese che non sarebbe avvenuto neanche questa volta, a offuscarle la vista erano solo lacrime, lacrime come non ne aveva mai pianto in tutta la sua vita, Ho ammazzato, disse a voce bassa, ho voluto ammazzare e l’ho fatto.

C’è ancora gente là fuori, gente che vede.

Una donna aveva ucciso a coltellate il capo dei malvagi, il medico non domandò chi fosse quella donna, poteva essere solo la sua, e adesso chissà come stava, probabilmente morta anche lei.

Non abbiamo saputo resistere come avremmo dovuto quando sono comparsi con le prime pretese, Infatti, abbiamo avuto paura, e la paura non sempre è buona consigliera.

Se avessimo la vista, Se avessimo la vista, non ci avrebbero messo in questo inferno, Come sarà la vita fuori.

Allora, siccome questo mondo di ciechi è quello che è, successe quel che sempre deve succedere.

E se ora confessassi di essere stata io ad ammazzarlo, mi consegnerebbero pur sapendo di consegnarmi a una morte certa. O per effetto della fame o perché improvvisamente sedotta da quel pensiero come da un abisso, una specie di stordimento le ottenebrò la mente, il suo corpo si mosse in avanti, la bocca si aprì per parlare, ma in quel momento qualcuno le afferrò e strinse il braccio, lei guardò, era il vecchio, che disse, Ammazzerei con le mie stesse mani chi si denunciasse da solo, Perché, domandarono gli altri, Perché se la vergogna ha ancora un significato in questo inferno in cui ci hanno messo a vivere e che noi abbiamo reso più infernale del l’inferno, è solo grazie a chi ha avuto il coraggio di andare ad ammazzare.

Ma noi, cui non resta più niente se non quest’ultima e immeritata dignità, dimostriamoci almeno capaci di lottare per quanto ci appartiene di diritto. Dopo aver mandato le donne al sacrificio è il momento di mandare gli uomini, se ancora ce ne sono tra di noi.

Non mi denunciare, ma senza dubbio riconosci la mia voce, è impossibile che tu l’abbia dimenticata. Adesso è arrivato il momento di conoscere veramente chi ho salvato, di sapere chi sei, perciò parlerò, perciò dirò a voce alta e chiara perché tu possa accusarmi, se questo è il tuo destino e il mio destino, ecco, lo dico, Non andranno solo gli uomini, andranno anche le donne, torneremo là dove ci hanno umiliate perché di quell’umiliazione non resti nulla. Dovunque andrai, verrò, fu quel che disse. Il vecchio sorrise, parve un sorriso felice, e forse lo era. Fu interessante notare l’espressione di stupore degli altri ciechi, come se qualcosa fosse balenato, un primo e timido lume.

Si confuse il calendario, il cosiddetto conto dei giorni, che alcuni ciechi, maniaci per natura, o amanti dell’ordine, che è una forma moderata di mania, avevano tentato di tenere scrupolosamente, lo facevano quelli che non si fidavano della memoria, come se andassero via via scrivendo un diario. Le luci si spensero. Un cieco fece un nodo alla cordicella che aveva fra le mani, poi tentò di contarli, i nodi, i giorni, ma lasciò perdere, c’erano nodi sovrapposti, nodi ciechi per così dire. La moglie del medico disse al marito, Si sono spente le luci, non c’era più elettricità.

Alcuni, come se all’improvviso si fossero addormentati svennero, li soccorse la moglie del medico, sembrava impossibile come questa donna riuscisse ad accorgersi di tutto quello che succedeva, doveva esser dotata di un sesto senso, una specie di visione senza occhi, ma solo grazie a questo i poveri sventurati si ripresero dallo svenimento.

Se non è arrivato, non arriverà.

Disse, con una nota tetra nella voce, E soprattutto non dobbiamo separarci, se ci separiamo siamo uomini morti, E donne, disse la ragazza dagli occhiali scuri, non ti dimenticare delle donne, Vieni anche tu, domandò il vecchio, preferirei non venissi, E perché, si può sapere, Sei molto giovane, Qui dentro l’età non conta, né il sesso, quindi non ti dimenticare delle donne, No, non me ne dimentico, la voce con cui il vecchio pronunciò queste parole sembrava appartenere a un altro dialogo, le seguenti erano di nuovo appropriate, Al contrario, magari qualcuna di voi potesse vedere ciò che non vediamo noi, condurci sulla strada giusta, sarebbe chiedere troppo, una volta può bastare, e inoltre, chi ci dice che non sia morta, per lo meno non se n’è saputo niente, ricordò la moglie del medico, Le donne risorgono le une nelle altre, le oneste risorgono nelle puttane, le puttane risorgono nelle oneste, disse la ragazza. Seguì un lungo silenzio, per le donne era ormai tutto detto, gli uomini avrebbero dovuto cercare le parole, e sapevano in anticipo che non sarebbero stati capaci di trovarle.

Se non per la tristezza inconsolabile suscitata dalla cecità di cui inesplicabilmente continuavano a soffrire, i ciechi, almeno questo, erano in salvo da deprimenti melanconie causate da queste o da simili alterazioni atmosferiche, comprovativamente responsabili di tanti e tanti gesti di disperazione ai tempi assai lontani di quando gli uomini avevano occhi per vedere.

Deboli, come chi si è portato una croce sulle spalle e adesso deve aspettare che qualcuno ve lo issi i ciechi avanzarono come angeli circondati dalla propria aureola.

Fino a oggi probabilmente non lo avrà notato nessuno come siano assolutamente terribili le grida dei ciechi, sembra stiano gridando senza saperne il perché, avremmo voglia di dirgli di tacere e finisce che ci mettiamo a gridare anche noi, ci manca solo di essere ciechi, ma arriverà pure quel giorno.

I feriti bisogna trattarli con rispetto e considerazione, avvicinarsi caritatevolmente, posargli la mano sulla fronte, poi domandargli sottovoce come si sentono, dirgli che non è niente.

Si deve riconoscere che potrebbe sembrare sorprendente che i ciechi malvagi, prima così prepotenti e aggressivi, così facilmente e con tanto piacere brutali, adesso si limitino a difendersi.

Come tutte le cose nella vita, anche questa ha la sua spiegazione.

Dopo la tragica morte del primo capo, si erano allentati lo spirito di disciplina e il senso dell’obbedienza, il grave errore del cieco è l’aver pensato che bastasse impossessarsi del la pistola per avere in tasca anche il potere, ebbene, il risultato è stato esattamente il contrario, ogni pallottola sparata è una frazione di autorità che perde, stiamo a vedere cosa accadrà quando le munizioni gli finiranno tutte.

Così come l’abito non fa il monaco, anche lo scettro non fa il re, è una verità che è meglio non dimenticare.

Intanto era sorta la luna. Dalla porta dell’atrio che dà nel recinto esterno entra un diffuso chiarore che aumenta a poco a poco. Vanno lentamente acquistando volume, contorno, tratti, lineamenti, tutto il peso di un orrore senza nome, e allora la moglie del medico comprese che non aveva più senso, se mai lo aveva avuto, continuare in quella finzione di essere cieca, ormai è chiaro, nessuno potrà salvarsi, la cecità è anche questo, vivere in un mondo dove non ci sia più speranza.

Io ci vedo. Alcuni già lo sapevano e avevano taciuto, altri ne avevano qualche sospetto da tempo e adesso lo vedevano confermato, inatteso fu lo sbigottimento dei restanti, eppure, a pensarci meglio, non dovremmo trovarlo strano, in un altro momento la rivelazione sarebbe stata causa di eccitazione, di un’irrefrenabile commozione, ma in questo momento non faceva alcuna differenza, nella morte la cecità è uguale per tutti.

Non si divisero subito nei gruppi originari, ma si ritrovarono e riconobbero.

Dovunque andrai, verrò, ma adesso non la pensava più così, anzi, al contrario, ma non volle parlarne, non sempre i giuramenti si rispettano, talvolta per debolezza, talaltra per una forza superiore di cui non avevamo tenuto conto.

I ciechi sono inquieti. Com’è noto, poco propensi all’ordine e al metodo, non si ha notizia che si siano mai dati da fare o si siano preoccupati, sia pur un minimo, del futuro, anche se nel caso dei ciechi, poveracci, sarebbe ingiusto accusarli di essere dei profittatori o dei beoni, e profittatori di quali briciole, e beoni di quali bevande, bisogna fare attenzione con i paragoni, che poi non siano un po’ sventati.

Non c’è regola, però, che non abbia la sua eccezione, e qui non manca, nella persona di una donna che colse e strinse nel palmo della mano un piccolo oggetto, volesse nasconderlo alla vista degli altri, si fa fatica a dimenticare le vecchie abitudini, anche quando arriva un momento in cui credevamo di averle ormai del tutto perdute. Qui, dove avrebbe dovuto essere uno per tutti e tutti per uno, abbiamo potuto vedere quanto crudelmente i forti abbiano tolto il pane di bocca ai deboli, e adesso questa donna, ricordandosi di aver portato un accendino nella borsetta, se in tutta quella baraonda non l’aveva perduto, lo ha cercato ansiosamente e gelosamente lo sta nascondendo, come se condizionasse addirittura la sua sopravvivenza, mica pensa che uno dei compagni di sventura potrebbe avere un’ultima sigaretta e che non se la può fumare perché gli manca la necessaria fiammella. Neanche farebbe più in tempo a chiederla. La donna è uscita senza dire una parola, né addio. Procede nel corridoio deserto, passa vicinissimo alla porta della prima camerata, dove nessuno si è reso conto del suo passaggio, attraversa l’atrio, la luna calante ha tracciato e dipinto un recipiente di latte sui lastroni del pavimento, ecco la donna nell’altra ala, di nuovo un corridoio, la sua meta è giù in fondo, in linea retta, non si può sbagliare. Inoltre avverte il richiamo delle voci dei malvagi nell’ultima camerata, stanno festeggiando la vincita della battaglia mangiando e bevendo, passi l’esagerazione intenzionale, non dimentichiamo come tutto nella vita sia relativo. E beati loro, piacerebbe anche agli onesti, ma non possono. La donna è in ginocchio davanti all’ingresso della camerata. Non rimane che appiccar loro fuoco. La fiamma lambisce faticosamente i tessuti. All’improvviso le fiamme si sono moltiplicate, trasformate in un’unica cortina ardente, un getto d’acqua le ha attraversate e le è caduto addosso, ma inutilmente, ormai era il suo stesso corpo che stava alimentando il rogo. Cosa starà succedendo dentro, l’immaginazione a qualcosa dovrà pur servirci, il fuoco vuole sdraiarsi su tutti contemporaneamente, e ci riesce, i malvagi hanno sprecato senza criterio né profitto la poca acqua rimastagli. A questo punto gli altri ciechi stanno già scappando terrorizzati nei corridoi pieni di fumo.

Per fortuna, come la storia umana ha dimostrato, non di rado da una cosa negativa ne deriva una positiva, si parla un po’ meno delle cose negative derivanti da quelle positive, così vanno le contraddizioni del nostro mondo, alcune meritano più considerazione di altre.

Ovviamente, molti di questi ciechi vengono calpestati, spinti, è l’effetto del panico, un effetto naturale si può dire, del resto la natura animale è così, anche quella vegetale si comporterebbe nella stessa maniera se non avesse tutte quelle radici che la trattengono al suolo, e poi, sarebbe bello poter vedere gli alberi del bosco scappare davanti all’incendio.

Non possono vedere che la maggior parte dell’edificio dal l’altro lato è già in fiamme, ma sentono sul viso e sulle mani l’alito ardente che proviene da quella parte, per il momento il tetto regge ancora, le foglie degli alberi si stanno increspando lentamente. Allora qualcuno gridò, Cosa stiamo a fare qui, perché non usciamo, e la risposta, proveniente da questo mare di teste, richiese solo quattro parole, Ci sono i soldati. Disse allora la moglie del medico, Lasciatemi passare, vado a parlare con i soldati, non possono lasciarci morire così, anche i soldati hanno dei sentimenti. Grazie alla speranza che i soldati avessero di fatto dei sentimenti, riuscì ad avanzare con difficoltà portandosi dietro i suoi. Il fumo le annebbiava la vista, ben presto si sarebbe ritrovata cieca quanto gli altri.

Non era più la luna a illuminare l’ampio vuoto che arrivava al portone, ma il chiarore violento dell’incendio. La moglie del medico gridò, Vi prego, per il vostro bene, lasciateci uscire, non sparate. Nessuno rispose. Ancora impaurita, la moglie del medico scese due gradini, Cosa c’è, domandò il marito, ma lei non rispose, non poteva crederci. Scese gli altri gradini, s’incamminò verso il portone, sempre tirandosi dietro il ragazzino, il marito e tutta la compagnia, non c’erano più dubbi, i soldati se n’erano andati, o li avevano portati via, anch’essi ciechi, tutti ciechi, infine.

A un cieco gli si dice, Sei libero, gli si apre la porta che lo separava dal mondo, Vai, sei libero, gli ripetiamo, ma lui non va, se ne sta fermo lì in mezzo alla strada, lui e gli altri, sono spaventati, non sanno dove andare, è che non c’è paragone tra il vivere in un labirinto razionale, come lo è per definizione un manicomio, e l’avventurarsi, senza la guida di una mano nel labirinto demenziale della città, dove la memoria non servirà a niente, poiché riuscirà solo a mostrare l’immagine dei luoghi e non le vie per arrivarci. Immobili davanti all’edificio che ormai brucia da un capo all’altro, i ciechi sentono sul viso le ondate di calore dell’incendio, le accolgono come qualcosa che in qualche modo li ripara, proprio come facevano prima le pareti, prigione e, insieme, sicurezza. Stanno lì tutti uniti, stretti fra loro, come un gregge, nessuno vuol essere la pecora smarrita perché fin d’ora sanno che nessun pastore li andrà a cercare. Il fuoco scema a poco a poco, è di nuovo la luna a illuminare, i ciechi cominciano a tranquillizzarsi, non possono restare lì, Eternamente, disse uno. Esausti, molti ciechi si erano seduti per terra, altri, ancora più debilitati, si la sciarono semplicemente cadere, alcuni erano svenuti, probabilmente il fresco della notte li farà tornare in sé, ma stiamo pur certi che, nel momento in cui si leveranno le tende, alcuni di questi poveracci da qui non si leveranno proprio, ce l’hanno fatta fin qui, sono come quel maratoneta che è crollato a tre metri dal traguardo, in fin dei conti è chiaro, tutte le vite si concludono anzitempo.

Il ragazzino ha smesso da un pezzo di chiedere della mamma.

La ragazza ha già chiesto di essere accompagnata, quando sarà possibile, a casa sua, Non so come staranno i miei genitori, disse, questa sincera preoccupazione dimostra come in definitiva siano infondati i preconcetti di coloro i quali negano la possibilità dell’esistenza di sentimenti forti, ivi compreso il sentimento filiale, nei casi, purtroppo numerosi, di condotte irregolari, soprattutto sul piano della morale.

Se in quella penosa rovina ci fossero state ancora condizioni minime di abitabilità, sarebbe tornato a essere il manicomio che era prima.

Si alzarono a fatica, con le vertigini, aggrappandosi gli uni agli altri, poi si disposero in fila, in testa quella dagli occhi che vedono, seguita da quelli che pur avendo occhi non vedono, la ragazza, il vecchio, il ragazzino, la moglie del primo cieco, il di lei marito, e il medico per ultimo. La strada che hanno preso conduce al centro della città, ma non è questa l’intenzione della moglie del medico, lei vuole piuttosto trovare al più presto un posto dove poter lasciare al riparo tutto il gruppo che le viene appresso e andare da sola in cerca di cibo. Le strade sono deserte, o perché è ancora presto o per via della pioggia, che cade sempre più fitta.

Siamo stati internati fin dall’inizio della cecità, Ah sì, la quarantena, non è servita a niente. Perché dice questo, Vi hanno fatto uscire, C’è stato un incendio, e allora abbiamo capito che i soldati di sorveglianza erano scomparsi, E siete usciti, Sì, I vostri soldati devono essere stati tra gli ultimi a diventare ciechi, siamo tutti ciechi, Tutti, tutta la città, il paese, Se qualcuno ci vede ancora, non lo dice, se ne sta zitto, Perché non vive a casa sua, Perché non so dove sia.

Se uno che era cieco fosse uscito da casa, solo per miracolo sarebbe riuscito a ritrovarla, non era più come un tempo, quando i ciechi potevano sempre contare sull’aiuto di un fratello, o per attraversare una strada o per riprendere quella giusta nel caso avessero deviato inavvertitamente dal solito percorso.

Andare insieme, è l’unica maniera di non perderci a vicenda.

Ben presto ci siamo resi conto che noi, i ciechi, per così dire non abbiamo praticamente nulla che potremmo definire nostro.

Devono essere diventati tutti ciechi, Allora, disse il vecchio, è come se fossimo ancora nel manicomio, Non c’è paragone, possiamo muoverci liberamente.

Baciò il marito, avvertendo in quel momento come una fitta al cuore.

Per favore, qualsiasi cosa accada, anche se qualcuno vuole entrare, non lasciate questo posto, e se vi mettessero fuori, benché non creda possa accadere, ma è solo per prevedere tutte le ipotesi, restatevene qui vicino alla porta, insieme, finché non arrivo. Li guardò con gli occhi pieni di lacrime, erano tutti lì, dipendevano da lei come i piccini dipendono dalla madre, Se gli manco io, pensò, non le sovvenne che là fuori erano tutti ciechi, e comunque vivevano, avrebbe dovuto diventare cieca anche lei per capire come ci si abitua a tutto.

Non poteva perdersi, non ci sarebbe stato nessuno a cui chiedere informazioni, quelli che prima ci vedevano adesso erano ciechi, e lei, che poteva vedere, non avrebbe saputo dove si trovava, era cieca a causa della cecità altrui.

La natura delle circostanze influisce profondamente sul lessico.

Cieca quanto lo erano i ciechi là fuori, l’unica differenza era nel colore, ammesso che il bianco e il nero siano effettivamente dei colori. Sto perdendo il senno, pensò, e ragioni certo che ce ne aveva, scendere come stava facendo lei, senza luce né speranza di vederne, fino a dove. Adesso so cosa significa essere ciechi. Cosa c’è davanti a me, e subito dopo un altro pensiero, ancora più spaventoso, E come ritroverò la via d’uscita, un improvviso sbilanciamento la costrinse ad abbassarsi per non cadere, quasi sul punto di perdere coscienza. Il cuore risuonava alla cieca nel buio, fin dalla prima di tutte la tenebre. Decisa, stava per alzarsi, ma si ricordò di essere cieca come i ciechi, meglio fare come loro, avanzare chini fino a trovarsi qualcosa davanti.

La mano cieca, che non poteva vedere dove andava, toccò e fece cadere alcune scatolette. Il rumore che fecero, sbattendo contro il suolo, per poco non fece fermare il cuore della moglie del medico, Sono fiammiferi, pensò. Fremendo per l’eccitazione, si chinò, passò le mani sul pavimento, trovò qualcosa, questo è un odore che non si può confondere con nessun altro, e il rumore dei legnetti quando agitiamo la scatola, il coperchio che scivola, la ruvidità della striscia esterna, dove c’è il fosforo, la testa del fiammifero che raspa, infine la deflagrazione della fiammella, lo spazio intorno, una diffusa sfera luminosa simile a un astro nella nebbia, mio Dio, la luce esiste e io ho gli occhi per vederla, sia lodata la luce. D’ora in poi la raccolta sarebbe stata facile.

Non c’era nessuno, ma lei si domandò di nuovo, Cosa faccio. Avrebbe potuto, giunta all’uscita, voltarsi verso l’interno e gridare, C’è da mangiare in fondo al corridoio, una scala conduce al magazzino del sotterraneo, approfittate, ho lasciato la porta aperta. Avrebbe potuto farlo, ma non lo fece. Aiutandosi con la spalla, chiuse la porta, continuava a ripetersi che era meglio tacere, s’immagini cosa sarebbe accaduto, i ciechi ad accorrere come pazzi, come quando si era annunciato l’incendio al manicomio, sarebbero rotolati giù per le scale, calpestati e schiacciati da quelli dietro, che sarebbero caduti anch’essi.

Si sdrucì l’ultimo brandello che a stento la copriva dalla cintola in su, adesso aveva i seni scoperti, e su di essi, purificatrice, che parola raffinata, scorreva l’acqua del cielo. Con una pioggia del genere, che per poco non è un diluvio, ci sarebbe da aspettarsi che la gente se ne stia al riparo, in attesa che spiova. Non è così, però, dappertutto ci sono ciechi che, a bocca aperta verso l’alto, si dissetano, immagazzinano acqua in ogni angolo del corpo, mentre altri, più previdenti, e soprattutto più sensati, reggono fra le mani secchi, casseruole e pentole, alzandole al cielo generoso, è proprio vero che Dio concede nubi in base alla sete. Alla moglie del medico non era venuta in mente la possibilità che dai rubinetti delle case non uscisse neppure una goccia del prezioso liquido, è il difetto della civiltà, ci si abitua alla comodità dell’acqua incanalata, a domicilio, e ci si dimentica che, perché sia così, devono esserci persone ad aprire e chiudere le valvole di distribuzione, impianti che hanno bisogno di energia elettrica e per tutto questo mancano gli occhi.

I ciechi, quei poveri ciechi, a bocca aperta, che tengono aperti anche gli occhi rivolti al cielo bianco, sembra impossibile come possa piovere da un cielo così.

A un certo momento capisce di essere disorientata e persa. Non c’è dubbio, si è persa. Ha fatto un giro, ne ha fatto un altro, non riconosce più né le strade né i loro nomi. Quando finalmente alzò gli occhi, vide davanti a sé una grande mappa del centro delle città. Adesso, siccome tutti quanti sono ciechi, sembra facile dire che sono stati male utilizzati i soldi spesi, è che in definitiva bisogna aver pazienza, dare tempo al tempo, ormai dovremmo averlo imparato, e una volta per tutte, che il destino deve fare tanti e tanti giri prima di giungere da qualche parte, lo sa soltanto lui quanto gli sarà costato portare qui questa mappa per indicare a questa donna dove sta.

Anche il profumo di un boccone di pane duro sarebbe stato, per dirla in maniera elevata, l’essenza stessa della vita.

Le chiavi, disse il medico, le ho io, e introducendo con difficoltà tre dita in un taschino dei pantaloni a brandelli, vicino alla cintura, ne estrasse un cerchietto con tre chiavi, ho avuto paura che si potessero perdere, ho pensato che erano più sicure se le portavo sempre con me, e poi era una maniera di credere che un giorno saremmo ritornati a casa.

Con l’aiuto dell’immaginazione potranno vedere.

Camminano, non sanno cosa fare, vagano per le strade, ma mai per molto tempo, camminare o star fermi finisce che per loro è lo stesso.

La musica è cessata, non c’è mai stato tanto silenzio nel mondo, i cinema e i teatri servono solo a chi è rimasto senza casa e ormai ha rinunciato a cercarla, alcune sale, le più grandi, erano state usate per le quarantene quando il governo, o quel che via via ne rimaneva, credeva ancora che il mal bianco si sarebbe potuto bloccare con sistemi e trucchi che altrettanto poco erano serviti in passato. Quanto ai musei, è un vero e proprio dolore dell’anima, da spezzare il cuore, tutta quella gente, sì, gente, dico bene, tutti quei dipinti, tutte quelle sculture senza neanche una persona, lì davanti, a guardare. Di cosa siano in attesa i ciechi della città, non si sa, sarebbero in attesa della cura se ancora vi credessero, ma la speranza l’hanno persa quando si è reso pubblico che la cecità non aveva risparmiato nessuno, che non era rimasta un’unica vista sana.

Come va fuori, aveva domandato il vecchio e la moglie del medico rispose, Non c’è differenza tra ciò che abbiamo vissuto e ciò che dovremo vivere.

Te l’immagini, una scala che prima ero capace di salire e scendere a occhi chiusi, così sono le frasi fatte, non hanno al cuna sensibilità per le mille sottigliezze semantiche, questa, per esempio, ignora la differenza tra il chiudere gli occhi ed essere ciechi.

Non c’è nessuno, e scoppiò a piangere appoggiata alla porta, col capo sugli avambracci incrociati, come se stesse implorando con tutto il corpo una disperata pietà, se non avessimo appreso a sufficienza come sia complicato lo spirito umano ci meraviglieremmo di quanto desideri i suoi genitori, al punto di queste manifestazioni di dolore, una ragazza dai costumi tanto liberi, benché non sia lontano chi abbia già affermato che non esiste né mai è esistita alcuna contraddizione fra questo e quello.

La diffidenza negli occhi ciechi, un modo di dire che in realtà non è affatto preciso, perché gli occhi, gli occhi propriamente detti, non hanno alcuna espressione, sono inerti. Le indefinite combinazioni dei lineamenti del viso costituiscono il sembiante, le lievi obliquità delle gote, delle labbra. . . devono farsi carico delle diverse eloquenze e retoriche visive, la fama però ce l’hanno gli occhi.

    La morte è per le strade, ma nei giardini la vita non è finita, disse misteriosamente.

Forse sul comò c’è ancora il vaso di fiori di cui si ricordava. Non piangere, quali altre parole si possono dire, che senso hanno le lacrime quando il mondo ha perduto ogni senso. Nella camera della ragazza, sul comò, c’era un vaso di vetro con un mazzo di fiori ormai secchi, l’acqua era evaporata, fu lì che le mani cieche si diressero, le dita sfiorarono i petali morti, com’è fragile la vita, se la si abbandona.

Le maldicenze sono cose che si dicono quando non sappiamo avere occhi per guardare noi stessi, ci avesse vissuto lui come ha vissuto lei, e vedremo presto l’umiltà supplire la sua assenza di umana affabilità.

L’illuminazione, fu una bella fortuna che avessero trovato due candele nella dispensa della cucina, messe via per sopperire a occasionali mancanze di energia e che la moglie del medico accese a proprio beneficio, gli altri non ne avevano bisogno, avevano già una luce dentro la testa, talmente forte da averli accecati. Non avevano i compagni che questo poco, eppure finì per essere una festa di famiglia, una di quelle feste, rare, dove quel che possiede ciascuno è di tutti.

E tu, cosa farai adesso, Niente, resto qui ad aspettare che tornino i miei genitori, Da sola e cieca, Alla cecità mi sono abituata, E alla solitudine, Dovrò abituarmi. E poi sarà finita, non ci sarà altra vita, Per il momento siamo ancora vivi, Ascolta, tu sai molte più cose di me, al tuo confronto io sono soltanto una povera ignorante, ma penso che siamo già morti, siamo ciechi perché siamo morti, oppure, se preferisci che te lo dica diversamente, siamo morti perché siamo ciechi, il risultato è lo stesso, Io ci vedo ancora, Fortunatamente per te, fortunatamente per tuo marito, per me, per gli altri, ma non sai se continuerai a vedere, qualora diventassi cieca saresti uguale a noi.

 

 

 

Oggi è oggi, domani è un altro giorno, e io la responsabilità ce l’ho oggi, non domani, se sarò cieca.

Responsabilità di cosa, La responsabilità di avere gli occhi quando gli altri li hanno perduti, Non puoi guidare o dare da mangiare a tutti i ciechi del mondo, Dovrei, Ma non puoi, Aiuterò per quanto sarà nel le mie possibilità, So bene che lo farai, se non fosse per te forse non sarei più viva, E adesso non voglio che tu muoia, Devo restare, è un mio obbligo, questa è la mia casa, voglio che i miei genitori mi trovino qui se torneranno, Se torneranno, l’hai detto tu stessa, e resta da sapere se saranno ancora i tuoi genitori. Poverini i tuoi genitori, poverina te, quando vi incontrerete, ciechi negli occhi e ciechi nei sentimenti, perché i sentimenti con i quali abbiamo vissuto e che ci hanno fatto vivere come eravamo sono nati perché avevamo gli occhi, senza di essi i sentimenti si trasformeranno, non sappiamo come, non sappiamo in quali, tu dici che siamo morti perché siamo ciechi, dunque, Tu ami tuo marito, Sì, quanto me stessa, ma se diventassi cieca, se dopo esserlo diventata non fossi più quella di prima, chi sarei per poter continuare ad amarlo, e di che amore,  Anche prima, quando vedevamo, c’erano i ciechi, In confronto, pochi, i normali sentimenti erano quelli di chi vedeva, quindi i ciechi si regolavano sui sentimenti degli altri, non da ciechi quali erano, adesso, invece, stanno venendo fuori gli autentici sentimenti dei ciechi, e siamo appena all’inizio, stiamo ancora vivendo del ricordo di ciò che sentivamo, non hai bisogno degli occhi per sapere com’è la vita oggi, se mi avessero detto che un giorno avrei ammazzato l’avrei presa per un’offesa, eppure ho ammazzato, Allora, cosa vuoi che faccia, Vieni con me, vieni a casa nostra, E loro, Ciò che vale per te vale per loro, ma è soprattutto a te che voglio bene, Perché, Me lo domando anch’io il perché, forse perché per me sei diventata come una sorella, forse perché mio marito è stato a letto con te, Perdonami, Non è un delitto per cui serva il perdono. Adesso andiamo a dormire, domani è un’altra vita.  Un’altra vita, o la stessa.

Discutere, per esempio, se esista un rapporto diretto fra gli occhi e i sentimenti, o se il senso di responsabilità sia la naturale conseguenza di una buona visione, ma quando la tortura incalza, quando il corpo ci fa impazzire di dolore e angoscia, allora sì, si vede che povero animale siamo.

Lei, guardandoli, piangeva, piangeva per tutti loro, che pare non possano più fare neanche questo, piangere.

Talvolta, quel che rovina è l’immaginazione.

È giunto il momento di decidere cosa dobbiamo fare, ci ritroviamo nel caos, il vero caos deve essere questo.

Ci sarà pure un governo, disse il primo cieco, Non credo, ma, nel caso ci fosse, sarebbe un governo di ciechi che vogliono governare dei ciechi, e cioè, il nulla che pretende di organizzare il nulla, Allora non c’è futuro, disse il vecchio, Non so se ci sarà futuro, ma adesso si tratta di sapere come potremo vivere in questo presente, Senza futuro il presente non serve, è come se non esistesse, Può darsi che l’umanità riesca a vivere senza occhi, ma allora non sarà più umanità, il risultato è evidente, chi di noi si considera ancora altrettanto umano di quanto credeva di essere prima, io per esempio ho ammazzato un uomo, Hai ammazzato un uomo, si meravigliò il primo cieco, Sì. Hai ammazzato per vendicarci, a vendicare le donne doveva essere una donna, disse la ragazza, e se la vendetta è giusta, è cosa umana, se la vittima non avesse un diritto sul carnefice, allora non ci sarebbe giustizia, Né umanità, aggiunse la moglie del primo cieco.

Se rimaniamo insieme forse riusciremo a sopravvivere, se ci separiamo saremo inghiottiti dalla massa e distrutti, Hai detto che ci sono gruppi di ciechi organizzati, osservò il medico, ciò significa che si stanno inventando nuove maniere di vivere, non è detto che finiremo distrutti, come prevedi, Non so fino a qual punto siano realmente organizzati, li vedo solo aggirarsi in cerca di cibo e di un posto dove dormire, niente di più, Siamo regrediti all’orda primitiva. Quando comincerà a farsi difficile trovare acqua e cibo, sicuramente questi gruppi si disgregheranno, ognuno penserà di poter sopravvivere meglio da solo. I gruppi già esistenti avranno pure dei capi, qualcuno che comandi e organizzi, ricordò il primo cieco, Forse, ma in tal caso chi comanda è altrettanto cieco di chi viene comandato, Tu non sei cieca, disse la ragazza dagli occhiali scuri, perciò sei stata tu a comandare e organizzare, Io non comando, organizzo ciò che posso, sono unicamente gli occhi che voi non avete più, Una specie di capo naturale, un re dotato di occhi in una terra di ciechi, disse il vecchio, Se è così, allora lasciatevi guidare dai miei occhi fintanto che dureranno, e perciò propongo che, invece di disperderci, continuiamo a vivere insieme, Possiamo restare qui, disse la ragazza, La nostra casa è più grande, Supponendo che non sia occupata, rammentò la moglie del primo cieco, Quando ci arriveremo lo sapremo, e casomai ritorneremo qui, o potremmo andare a vedere la vostra, o la tua, aggiunse rivolgendosi al vecchio, e lui rispose, Io non ho casa, vivevo da solo in una camera, Non hai famiglia, domandò la ragazza, Nessuno, Né moglie, né figli, né fratelli, Nessuno, Se i miei genitori non torneranno, anch’io sarò sola come te, Io sto con te, disse il ragazzino, ma non aggiunse, Se mia madre non tornerà, non ha posto questa condizione, strano comportamento, o forse mica tanto strano, i giovani si adattano rapidamente, hanno tutta la vita davanti.

Verrai con noi, Sì, a una condizione, a prima vista potrebbe sembrare scandaloso che qualcuno anteponga condizioni a un favore che gli si vuole fare. Qual è la condizione, domandò. Quando comincerò a diventare un peso insopportabile, vi chiedo di dirmelo, e se, per amicizia o compassione, deciderete di tacere, spero di avere ancora abbastanza giudizio in testa per fare ciò che devo, E cosa sarebbe, si può sapere, domandò. Ritirarmi, allontanarmi, scomparire.

Solo un cuore di pietra sarebbe stato capace di fingersi indifferente davanti a quegli occhi supplici.

Adesso ce ne stiamo andando, Adesso, ripeté con una sorta di spossatezza nella voce che sembrava pena, non aggiunse una parola di più, solo quell’Adesso che non chiedeva neppure risposta, anche i duri di cuore provano qualche dispiacere, e quello fu tale che poi non volle aprire la porta per salutare.

Le parve strano sentire una delle donne dire, Qui è talmente buio che non riesco a vedere, che la cecità di questa donna non fosse bianca era già, di per sé, sorprendente, ma che lei non potesse vedere perché era buio, cosa mai poteva significare. Voleva pensare, si sforzò, ma la testa svanita non le diede alcun aiuto, poco dopo stava dicendo fra sé e sé, Avrò sentito male, dev’essere così. Per la strada, la moglie del medico si ricordò di quel che aveva detto, doveva stare più attenta alle parole, muoversi come chi abbia gli occhi, poteva farlo, Ma le parole devono essere da cieca, pensò.

 

A quel che si è potuto osservare i gruppi, salvo il caso di qualcuno più coeso per motivi intrinseci e che noi non conosciamo, generalmente continuano a perdere e ad acquistare aderenti nel corso della giornata, c’è sempre un cieco che si disorienta e si perde o che viene ricusato, un altro che viene ammesso per forza di gravità e viene trascinato, può darsi che lo accettino, può darsi che lo caccino, dipende da quel che porta con sé.

 

Ha aperto lentamente la finestra, non vuole si sappia di questa sua debolezza sentimentale, ma dalla strada non sale nessun brusio, se ne sono già andati, hanno lasciato questo posto dove non passa quasi nessuno, dagli occhi ciechi le spuntano due lacrime, per la prima volta si è domandata se avesse una ragione per continuare a vivere. Non ha trovato risposta, le risposte non vengono ogniqualvolta sono necessarie, come del resto succede spesse volte che il rimanere semplicemente ad aspettarle sia l’unica risposta possibile.

L’esperienza è veramente maestra di vita.

Occhio non vede, cuore non duole.

Non essendoci testimoni, e se ci sono stati non risulta siano stati interpellati per riferirci com’è andata, è comprensibile che qualcuno domandi come sia stato possibile sapere che le cose sono andate così e non altrimenti, la risposta da dare è che tutti i racconti sono come quelli della creazione dell’universo, nessuno c’era, nessuno vi ha assistito, ma tutti sanno cosa è accaduto.

Come sarà andata con le banche, lo ha domandato per semplice curiosità, solo perché le è venuto in mente, non per altro, né si aspettava che le rispondessero, per esempio così, In principio Dio creò il cielo e la terra, la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque, in principio fu un pandemonio, le persone, per paura di ritrovarsi cieche e sfornite, si precipitarono nelle banche per ritirare i propri soldi, pensavano di doversi premunire per il futuro, ed è comprensibile, se uno sa di non poter lavorare più, l’unico rimedio, finché durano, è quello di far ricorso alle economie fatte in periodi di prosperità e previsioni a lungo termine, supponendo che si sia avuta effettivamente la prudenza di andare accumulando i risparmi granello su granello, il risultato del la fulminea corsa fu che in ventiquattr’ore erano fallite alcune tra le principali banche, intervenne il governo chiedendo che gli animi si calmassero e facendo appello alla coscienza civica dei cittadini, concludendo il proclama con la solenne dichiarazione che si sarebbe assunto tutte le responsabilità e i doveri derivanti dalla situazione di calamità pubblica che si stava vivendo, un passo che tuttavia non riuscì ad allentare la crisi, non solo perché la gente continuava a diventare cieca, ma anche perché chi ancora ci vedeva pensava soltanto a salvare i propri amati soldi, infine, era inevitabile, le banche, fallite o meno, chiusero i battenti e chiesero protezione alla polizia, non servì a niente, in mezzo alla folla che si ammassava urlante davanti alle banche c’erano anche poliziotti in borghese che reclamavano ciò che tanto avevano faticato a guadagnare, alcuni, per potersi esprimere liberamente, avevano addirittura avvisato il comando che erano ciechi, e quindi si erano messi in congedo, e gli altri, quelli ancora in uniforme e in servizio, con le armi puntate sulle masse insoddisfatte, all’improvviso cessarono di vedere il bersaglio, e questi ultimi, se avevano dei soldi in banca, perdevano ogni speranza e, per giunta, venivano accusati di aver patteggiato con il potere costituito, ma il peggio venne dopo, quando le banche si videro assalite da ciechi e non ciechi, ma tutti disperati, ormai non si trattava più di presentare pacificamente allo sportello un assegno da riscuotere dicendo all’impiegato, Voglio ritirare il saldo, ma di arraffare quel che si poteva, i soldi del giorno, quanto fosse stato lasciato nei cassetti, in un forziere aperto per disattenzione, in un sacchettino di spiccioli all’antica, non si può immaginare che cosa fu, la città fu teatro di scene veramente terrificanti, e non bisogna dimenticare il particolare delle casse automatiche, forzate e saccheggiate fino all’ultima banconota, sullo schermo di alcune, enigmaticamente, comparve un messaggio di ringraziamento per aver scelto questa banca, le macchine sono effettivamente stupide, a meno che non sia più esatto dire che queste qui avevano tradito i loro padroni, insomma, tutto il sistema bancario crollò in un soffio, come un castello di carte, e non perché il possesso di denaro avesse cessato di essere apprezzato, prova ne sia che chi ce l’ha non se ne vuole liberare, adducendo che non si può prevedere come sarà il domani, cosa che del resto staranno pensando sicuramente anche i ciechi che si sono installati nei sotterranei delle banche, dove si trovano le casseforti, in attesa di un miracolo che ne spalanchi le pesanti porte di acciaio che li separano dalla ricchezza, se ne allontanano soltanto per procurarsi cibo e acqua, o per soddisfare altre necessità, ma ritornano immediatamente ai propri posti, hanno parole d’ordine e segnali con le dita affinché nessun estraneo possa introdursi nel baluardo, chiaro, vivono nel buio più totale, ma tant’è, per questa cecità è tutto bianco.

 

Vedendo, non fece quella consueta, malinconica riflessione che consiste nel dire, Come passa il tempo, l’altro giorno eravamo ancora felici, ma, piuttosto, fu colpita dalla delusione.

Lui infilò la mano in una tasca interna della giacca nuova e tirò fuori le chiavi. Rimase lì con le chiavi per aria, in attesa, lei gli guidò dolcemente la mano verso la serratura.

La casa era pulita, e c’era il normale disordine che ci si aspetta quando si è dovuti uscire precipitosamente. E comunque, mentre quel giorno aspettavano le chiamate dal ministero e dall’ospedale, la moglie del medico, con la stessa previdenza che porta la gente sensata a risolvere in vita le proprie faccende, per non doversi verificare poi, dopo la morte, la fastidiosa necessità di ricorrere a sistemazioni violente, aveva lavato i piatti, rifatto il letto, riordinato la stanza da bagno, non aveva lasciato quel che si potrebbe definire un gioiello, ma per la verità sarebbe stata una crudeltà pretendere di più, con quelle mani che tremavano e gli occhi inondati di lacrime. Fu dunque a una specie di paradiso che giunsero i sette pellegrini, e l’impressione fu talmente forte, un’impressione che, senza troppa offesa al rigore del termine, potremmo definire trascendentale, che si trattennero al l’ingresso, quasi paralizzati dall’inatteso profumo della casa.

Chissà se in casa c’è qualche candela, si domandò, per tutta risposta si ricordò che in casa aveva due reliquie dell’illuminazione, un’antica lucerna a olio, a tre beccucci, e un vecchio lume a petrolio, di quelli con la coppa di vetro, per oggi andrà bene la lucerna, olio ne ho, lo stoppino s’inventa, domani andrò in cerca di un po’ di petrolio.

Erano divenuti dei semplici contorni, ombre che si perdevano nell’ombra, Ma non per loro, pensò, loro si stemperano nella luce che li circonda, è la luce che non consente di vederli. Adesso farò un po’ di luce, disse, in questo momento sono cieca quanto voi, è tornata l’elettricità, domandò il ragazzino, No, accendo una lucerna, E che cos’è, tornò a domandare il ragazzo, Poi te lo faccio vedere. Cercò una scatola di fiammiferi, andò in cucina, sapeva dove aveva riposto l’olio, non gliene serviva molto, strappò da uno strofinaccio per i piatti una striscia per farne uno stoppino, poi tornò in sala, dov’era la lucerna, per la prima volta da quando era stata costruita sarebbe stata utile, all’inizio non sembrava sarebbe stato questo il suo destino, ma nessuno di noi, sa, all’inizio, tutto quello per cui è venuto al mondo. Una dopo l’altra, sui beccucci della lucerna si attizzarono, tremule, tre piccole mandorle luminose, che di tanto in tanto si distendevano dando quasi l’impressione che la parte superiore delle fiamme sarebbe svanita nell’aria, ma poi si concentravano in se stesse, quasi a divenire dense, solide, dei sassolini di luce. La moglie del medico disse, Finalmente ci vedo.

Sono esausti. Il ragazzino si è addormentato immediatamente, col capo in grembo alla ragazza, senza pensare più alla lucerna. Così trascorse un’ora, sembrava un paradiso, sotto la luce tenuissima gli stessi corpi sudici sembravano lavati, brillavano gli occhi di chi non dormiva, il primo cieco cercò la mano della moglie e la strinse, un gesto da cui si può osservare quanto il riposo del corpo possa contribuire all’armonia degli spiriti.

Disse allora la moglie del medico, converrebbe ci mettessimo d’accordo su come vivremo qui, tranquillizzatevi, non intendo ripetere il discorso dell’altoparlante. Domani dovrò uscire a cercare un po’ di cibo, quello che abbiamo sta finendo, sarebbe utile che uno di voi mi accompagnasse, per aiutarmi a portarlo, ma anche per cominciare a imparare la strada di casa, a riconoscere gli angoli, un giorno potrei ammalarmi, o diventare cieca, mi aspetto sempre che capiti, in tal caso dovrò imparare da voi. Non dimentichiamoci cosa è stata la nostra vita fintanto che siamo stati internati, abbiamo sceso tutti i gradini dell’indegnità, tutti, fino all’abiezione, anche se in maniera diversa potrebbe succedere anche qui, ma là, almeno, avevamo la scusa dell’abiezione di quelli che stavano fuori, adesso no, adesso siamo tutti uguali davanti al male e al bene, per favore, non domandatemi cosa sia il bene e cosa sia il male, lo sapevamo ogniqualvolta abbiamo dovuto agire quando ancora la cecità era un’eccezione, giusto e sbagliato sono appena due modi diversi di intendere il nostro rapporto con gli altri, non quello che manteniamo con noi stessi, di quest’ultimo non c’è da fidarsi, perdonatemi la lezione moralistica, ma voi non sapete, non potete saperlo, cosa significhi avere occhi in un mondo di ciechi. Sono soltanto colei che è nata per vedere l’orrore, voi lo sentite, io lo sento e lo vedo.

Se mai avrò di nuovo gli occhi, vedrò veramente gli occhi degli altri, come se ne stessi vedendo l’anima, L’anima. O lo spirito, il nome poco importa, fu allora che, sorprendentemente se teniamo conto che si tratta di una persona che non ha fatto studi superiori, la ragazza disse, Dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo.

Al centro della tavola la lucerna a tre beccucci aspettava che la moglie del medico desse la spiegazione promessa, il che avvenne dopo mangiato, Dammi le mani, disse al ragazzino strabico, poi le guidò lentamente, dicendo, Questa è la base, rotonda, come vedi, e questa la colonna che sostiene la parte superiore, il deposito dell’olio, qui, attenzione a non bruciarti, ci sono i beccucci, uno, due, tre, da cui escono gli stoppini, delle striscioline di tessuto che si imbevono di olio, vi si avvicina un fiammifero e bruciano fino a che l’olio si esaurisce, sono delle lucine fiacche, ma ci fanno vedere, Io non vedo, Un giorno vedrai, quel giorno ti regalerò la lucerna. Di che colore è, Non hai mai visto un oggetto di ottone, Non lo so, non mi ricordo, cos’è l’ottone. Il ragazzino rifletté un momento, Adesso chiederà della mamma, pensò la moglie del medico, ma si sbagliava, il ragazzo disse solo che voleva un po’ d’acqua, aveva tanta sete.

La lucerna ne illuminava i volti, girati verso la luce che sembrava stesse loro dicendo, Eccomi, guardatemi, approfittatene, badate che questa luce non durerà per sempre. La donna delle lacrime accostò il bicchiere alle labbra del ragazzino, disse, Eccoti l’acqua, bevi lentamente, lentamente, assaporala, un bicchiere d’acqua è una cosa meravigliosa, non parlava a lui, non parlava a nessuno, semplicemente comunicava al mondo che cosa meravigliosa sia un bicchiere d’acqua.

Siamo andati via da qui, domandò lui di nuovo, e la moglie esclamò, Sì, come ho fatto a non ricordarmene, un bottiglione che era a metà e un altro che non era neppure iniziato, oh che gioia, non bere, non bere più, diceva adesso rivolta al ragazzo, berremo acqua pura, adesso porto in tavola i nostri bicchieri migliori e berremo acqua pura. Stavolta afferrò la lucerna e andò in cucina, ne tornò con il bottiglione, la luce lo illuminava, facendo scintillare il gioiello che aveva dentro. Lo posò sulla tavola, andò a prendere i bicchieri, i migliori che avevano, di cristallo finissimo, poi, lentamente, come se stesse celebrando un rito, li riempì. Infine disse, Beviamo. Le mani cieche cercarono e trovarono i bicchieri, li alzarono tremando. Beviamo, ripeté la moglie del medico.

Al centro del tavolo, la lucerna era come un sole circondato da astri brillanti. Quando i bicchieri furono di nuovo sul tavolo, la ragazza e il vecchio stavano piangendo.  Fu una notte agitata. Vaghi all’inizio, imprecisi, i sogni passavano da un dormiente all’altro, coglievano qui, coglievano là, portando via con sé nuove memorie, nuovi segreti, nuovi desideri, ecco perché gli addormentati sospiravano e mormoravano, Questo sogno non è mio, dicevano, ma il sogno rispondeva, Non conosci ancora i tuoi sogni, fu così che la ragazza dagli occhiali scuri venne a sapere chi era il vecchio dalla benda nera che dormiva lì a due passi, così credette lui di sapere chi fosse lei, lo credette soltanto, perché non basta che i sogni siano reciproci per essere uguali.

Cominciò a piovere alle prime luci dell’alba. Il vento scagliò contro le finestre uno scroscio che risuonò come mille frustate. La donna delle lacrime si svegliò, aprì gli occhi e mormorò, Come piove, poi li richiuse, nella camera era ancora buio pesto, poteva dormire. Neanche un minuto dopo si destò bruscamente all’idea di aver qualcosa da fare, ma senza comprendere ancora cosa fosse, la pioggia le stava dicendo Alzati, che mai voleva la pioggia. Lentamente, per non svegliare il marito, uscì dalla camera, attraversò il soggiorno, si fermò un istante a guardare gli altri che dormivano sui divani, poi percorse il corridoio fino alla cucina, su questa parte del palazzo la pioggia cadeva con maggior forza, spinta dal vento. Con la manica del grembiule che indossava pulì il vetro appannato della porta-finestra e guardò fuori. Il cielo era, tutto, un’unica nuvola, pioveva a dirotto. Sul pavimento del balcone, ammucchiati, c’erano gli indumenti sporchi che si erano tolti, c’era il sacco di plastica con le scarpe che bisognava lavare. Lavare. L’ultimo velo del sonno si aprì subitamente, ecco cosa doveva fare. Aprì la porta, fece un passo avanti, in un attimo la pioggia la bagnò dalla testa ai piedi, come se stesse sotto una cascata. Devo approfittare di quest’acqua, pensò. Rientrò in cucina e, evitando più che poteva i rumori, cominciò a radunare tutto quanto potesse raccogliere un po’ di questa pioggia che veniva giù dal cielo a catinelle. Li trasportò fuori, li dispose lungo il balcone, vicino alla ringhiera, adesso avrebbe avuto un bel po’ d’acqua per lavare gli indumenti; per purificare l’anima, il corpo, disse, come per correggere il metafisico pensiero, poi aggiunse, è lo stesso. Allora, come se solo quella dovesse essere l’inevitabile conclusione, l’armoniosa conciliazione tra ciò che aveva detto e ciò che aveva pensato, di colpo si sfilò il grembiule bagnato, e, nuda, ricevendo sul corpo ora la carezza, ora la frustata della pioggia, si mise a lavare i panni, e, insieme, se stessa. Il rumoreggiare d’acqua che la circondava le impedì di avvertire immediatamente che non era più sola. Sulla porta del balcone erano comparse la ragazza e la moglie del primo cieco, che presentimenti, che intuizioni, che voci interiori le avessero destate non si sa, e tanto meno come fossero riuscite a trovare la strada fin qua, non vale la pena di cercare spiegazioni, adesso, le congetture sono libere. Aiutatemi, disse la moglie del medico quando le vide, E come, se non vediamo, domandò la moglie del primo cieco, Toglietevi i vestiti che avete indosso. Ma noi non vediamo, ripeté la moglie del primo cieco, Fa lo stesso, disse la ragazza dagli occhiali scuri, faremo del nostro meglio, E poi finirò io, disse la moglie del medico, pulirò ciò che sarà rimasto.

Forse, alcuni ciechi, uomini, donne, risvegliati dalla violenza dei continui scrosci, con la fronte appoggiata ai vetri freddi, ricoprendo col fiato del respiro l’appannamento della notte, stiano rammentando il tempo in cui così, proprio come stanno adesso, vedevano la pioggia scendere dal cielo. Non possono immaginare che laggiù ci sono tre donne nude, nude come sono venute al mondo, sembrano matte, devono essere proprio matte, nessuno con la testa a posto andrebbe a lavarsi su un balcone esponendosi agli sguardi dei vicini, tanto meno in quelle condizioni, cosa importa che siano tutti ciechi, certe cose non si devono fare, mio Dio, la pioggia, come scorre sui loro corpi, come scende fra i seni, come si trattiene e si perde nell’oscurità del pube, e infine si spande e circonda le cosce, forse le abbiamo giudicate male ingiustamente, forse siamo noi a essere incapaci di vedere ciò che di più bello e glorioso è mai accaduto nella storia della città, giù dal balcone si riversa una tovaglia di spuma, ah se potessi seguirla, giù all’infinito, pulito, purificato, nudo. Dio solo ci vede, disse la moglie del primo cieco, che, malgrado le disillusioni e le contrarietà, è ancora fermamente convinta che Dio non sia cieco, al che la moglie del medico rispose, Neppure lui, il cielo è coperto, soltanto io posso vedervi.

Ecco come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano fra di loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all’improvviso, per via di due o tre, o di quattro che all’improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbio, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti, a volte sono i nervi a non riuscire a reggere, sopportano molto, sopportano tutto, come se indossassero un’armatura, si dice, La moglie del medico ha i nervi d’acciaio e poi, in definitiva, la moglie del medico si scioglie in lacrime per via di un pronome personale, di un avverbio, di un verbo, di un aggettivo, mere categorie grammaticali, mere designazioni, come del pari lo sono le restanti due donne, le altre, pronomi indefiniti, anch’essi piangenti, che abbracciano quella della frase completa, tre grazie nude sotto la pioggia. Adesso è il momento che queste donne si lavino, e ridono come ridevano soltanto le bambine che un tempo giocavano nel giardino (  ) , quando cieche ancora non lo erano. Ormai è giorno chiaro, il primo sole ha fatto capolino nel mondo prima di nascondersi di nuovo dietro le nuvole.  Continua a piovere, ma con minore intensità. Le lavandaie entrano. Si sono asciugate, la loro pelle profuma, così è la vita.

In questa casa sembra esserci di tutto, o forse è perché sanno fare buon uso di ciò che hanno.

Era immobile, teso, come se volesse fissare i pensieri o, al contrario, impedir loro di continuare a pensare. Le udì entrare, sapeva da dove venivano, cosa avevano fatto, che erano state lì nude, e se sapeva tante cose non era perché all’improvviso avesse recuperato la vista e fosse andato, cieco era prima, cieco continuava a essere. Aveva sentito cosa dicevano là sul balcone, le risa, il rumore della pioggia e delle spruzzate d’acqua, aveva respirato l’odore del sapone, pensando che al mondo esisteva ancora la vita, domandandosi se ce ne sarebbe stata un po’ anche per lui.

I detti, se vogliono continuare a esprimere la stessa cosa perché bisogna continuare a esprimerla, devono adattarsi ai tempi.

 

 

Ai ciechi non interessa sapere dove sia l’oriente o l’occidente, il nord o il sud, i ciechi vogliono soltanto sapere se sono sulla strada giusta, anticamente, quando erano ancora pochi, usavano solitamente dei bastoni bianchi, il suono dei continui colpi per terra e sulle pareti era come una specie di codice che via via identificava e riconosceva la rotta, ma oggigiorno, ciechi come sono tutti, un bastone del genere, nel tintinnio generale, sarebbe quanto meno inutile, per non dire che il cieco, immerso nel proprio biancore, potrebbe addirittura dubitare di avere davvero qualcosa in mano.

Serba ciò che non serve, troverai ciò che è necessario.

Non capita solo in natura che a volte non tutto vada perduto e di qualcosa si approfitti.

Tanto ci pesa l’idea di dover morire che cerchiamo sempre di trovare delle scuse per i morti, è come se stessimo chiedendo in anticipo di essere scusati quando giungerà il nostro turno,

Mi sembra ancora tutto un sogno, è come se sognassi di essere cieca.

Alcune cose si dimenticano, è la vita, altre si ricordano.

Calcano i gradini invisibili di una scala che è al tempo stesso buia e luminosa.

Chi è, cosa desidera, domandò l’uomo che comparve, aveva un’aria seria, educata, doveva essere una persona per bene. Sono uno scrittore. Si sentì adulato, immaginate, uno scrittore a casa mia, poi gli venne un dubbio, sarebbe stata buona educazione o no domandargli come si chiamava, probabilmente ne conosceva addirittura il nome, poteva darsi, addirittura, che lo avesse letto, era ancora in bilico fra la curiosità e la discrezione quando la moglie fece la domanda diretta, Come si chiama, I ciechi non hanno bisogno del nome, io sono questa mia voce, il resto non è importante, Ma ha scritto dei libri, e su quei libri c’è il suo nome, disse la donna delle lacrime, Adesso non può leggerli nessuno, dunque è come se non esistessero.

Uno scrittore finisce per avere nella vita la pazienza di cui ha avuto bisogno per scrivere.

Accontentarsi di quanto si possiede è la cosa più naturale quando si è ciechi.

Lei è uno scrittore, come ha detto poco fa ha l’obbligo di conoscere le parole, dunque sa che gli aggettivi non servono a niente, se una persona ne ammazza un’altra, per esempio, sarebbe meglio enunciarlo così, semplicemente, e confidare che l’orrore dell’atto, di per sé, fosse tanto scioccante da dispensarci dal dire che è stato orribile, Vuol dire che abbiamo parole in più, Voglio dire che abbiamo sentimenti in meno, Oppure ce li abbiamo, ma non usiamo più le parole che potrebbero esprimerli, E dunque li perdiamo, Vorrei che mi parlaste di come avete vissuto in quarantena, Perché, Sono uno scrittore, Bisognerebbe esserci stati, Uno scrittore è una persona come un’altra, non può sapere tutto né vivere tutto, deve domandare e immaginare, Forse un giorno glielo racconterò, così potrà scrivere un libro, Lo sto scrivendo, Come, se è cieco, Anche i ciechi possono scrivere, Vuol dire che ha avuto il tempo di imparare l’alfabeto braille, No, non lo conosco, Come può scrivere, allora, domandò il primo cieco, Ve lo faccio vedere. Si alzò dalla sedia, uscì, dopo un minuto rientrò, con un foglio di carta e una biro in mano, è l’ultima pagina che ho completato, Non possiamo vederla, disse la moglie del primo cieco, Neanche io, disse lo scrittore, Allora come può scrivere, domandò la donna delle lacrime, guardando il foglio di carta dove, nella penombra della sala, si distinguevano le righe molto ravvicinate, qua e là sovrapposte, Col tatto, rispose sorridendo lo scrittore, non è difficile, si mette il foglio di carta su una superficie un po’ morbida, per esempio su altri fogli di carta, e poi si scrive, Ma, se non ci vede, disse il primo cieco, La biro è un ottimo strumento di lavoro per uno scrittore cieco, non serve per fargli leggere cosa ha scritto, ma serve per sapere dove ha scritto, basta seguire col dito la depressione dell’ultima riga scritta, proseguire così fino al margine del foglio, calcolare la distanza per la nuova riga e così via, è molto facile, Noto che a volte le righe si sovrappongono, disse la donna delle lacrime togliendogli delicatamente di mano il foglio di carta, Come lo sa, Io ci vedo, Ci vede, ha recuperato la vista, come, quando, domandò lo scrittore nervosamente, Suppongo di essere l’unica persona a non averla mai perduta, E perché, che spiegazione ha per questo, Non ho alcuna spiegazione, probabilmente non ce n’è, Ciò significa che ha visto tutto quello che è successo, Ho visto ciò che ho visto, non ho potuto far altro, Quanti eravate in quarantena, Circa trecento, Da quando, Fin dall’inizio, ne siamo usciti solo tre giorni fa, come le ho detto, Credo di essere stato io il primo a diventare cieco, disse il primo cieco, Dev’essere stato orribile, Di nuovo questa parola, disse la donna delle lacrime.

 

Ognuno deve parlare di ciò che sa, e quello che non sa lo domanda.

 

Prese i fogli scritti, saranno stati una ventina, diede uno sguardo alla calligrafia minuscola, alle righe che salivano e scendevano, alle parole iscritte nel biancore del foglio, incise nella cecità, Sono di passaggio, aveva detto lo scrittore, e questi erano i segni che lasciava via via passando. La moglie del medico gli posò la mano sulla spalla, e con tutte e due le mani lui gliela prese, lentamente la portò alle labbra, Non si perda, non consenta di perdersi, disse, ed erano parole inattese, enigmatiche, che sembravano fuori luogo.

 

Anche il corpo è un sistema organizzato, è vivo finché si mantiene tale, e la morte non è altro che l’effetto di una disorganizzazione.

L’ organizzarsi è già, in un certo qual modo, cominciare ad avere occhi.

È grazie ai tuoi occhi che siamo vivi. Lo saremmo anche se fossi cieca, il mondo è pieno di ciechi vivi, Io penso che moriremo tutti, è questione di tempo, Morire è sempre stata questione di tempo, disse il medico, Ma morire solo perché si è ciechi, non dev’esserci peggior maniera di morire, Moriamo di malattie, di incidenti, di infarti, di casualità, E adesso moriremo anche perché siamo ciechi.

 

Questa cecità è concreta e reale. Non ne sono sicura, disse la donna delle lacrime. Neanche io, disse la ragazza.

Il sogno continua, ma non so quale sia, sarà il sogno di sognare che quel giorno stavo sognando di essere qui cieca, oppure il sogno di essere sempre stata cieca. La quarantena non è stata un sogno, disse la moglie del medico, Questo proprio no, come non è stato un sogno che siamo state violentate, Né che ho pugnalato un uomo, disse la donna delle lacrime.

Comprendo cosa intendi quando dici che stai vivendo un sogno. Si sedette dietro la scrivania, posò le mani sul ripiano di vetro coperto di polvere, poi, con un sorriso triste e ironico, come se si rivolgesse a qualcuno seduto davanti a sé, disse, Purtroppo no, dottore, mi dispiace molto, ma per lei non c’è niente da fare, se vuole che le dia un ultimo consiglio si rifugi in quel vecchio detto, avevano ragione quando dicevano che la pazienza allunga la vista, Non farci soffrire, disse la moglie. Scusami.

 

L’unico miracolo che possiamo fare sarà quello di continuare a vivere, difendere la fragilità della vita giorno per giorno, come se fosse lei la cieca, e non sapesse dove andare, e forse è proprio così, forse la vita non lo sa davvero, si è abbandonata nelle nostre mani dopo averci reso intelligenti, e noi l’abbiamo portata a questo. Parli come se fossi cieca anche tu, disse la ragazza. Sono cieca della vostra cecità, rispose la donna delle lacrime.

 

Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, è una grande verità. Ma io voglio vedere. Non per questo vedrai, l’unica differenza sarebbe che non saresti più la peggior cieca.

 

Attraversarono una grande piazza dove c’erano gruppi di ciechi intenti ad ascoltare i discorsi di altri ciechi, a prima vista né questi né quelli lo sembravano, chi parlava volgeva infervorato la faccia verso chi ascoltava, chi ascoltava volgeva attento la faccia verso chi parlava. Si proclamavano la fine del mondo, la salvezza penitenziale, la visione del settimo giorno, l’avvento dell’angelo, la collisione cosmica, l’estinzione del sole, lo spirito tribale, la virtù del segno, la disciplina del vento, il profumo della luna, la rivendicazione della tenebra, il potere dello scongiuro, la crocifissione della rosa, il sopore dell’ombra, la rivolta delle maree, la cecità volontaria, il pensiero convesso, quello concavo, quello piano, quello verticale, quello concentrato, quello disperso, quello sfuggito, la morte della parola. Qui non c’è nessuno che parli di organizzazione, disse la donna delle lacrime al marito, Forse è in un’altra piazza, rispose lui. Continuarono a camminare. Poco più avanti la moglie del medico disse, Ci sono più morti del solito per la strada, Perché la nostra resistenza si sta esaurendo, il tempo si conclude. Passo accanto a loro e non li vedo, è una vecchia abitudine dell’umanità, passare accanto ai morti e non vederli, disse la donna delle lacrime.

È proprio vero che il difficile non è vivere con gli altri, il difficile è comprenderli.

Si può osservare come l’autentico eterno ritorno sia quello delle parole.

Le differenze non si noteranno, a meno che non le avrà serbate una memoria.

Ben più necessità avrebbero i vivi di risorgere da se stessi, e non lo fanno.

 

Ma, se non gli lasciassi un segno, una cosa qualsiasi, mi sentirei come se li avessi abbandonati.

 

Stava seduta sul primo gradino della scala con le mani abbandonate sulle ginocchia, il bellissimo viso angosciato, i capelli sciolti sulle spalle, So quale segnale potrai lasciare, disse. Risalì rapidamente la scala, rientrò in casa e tornò con un paio di forbici e un pezzettino di spago, Cos’hai in mente, domandò la ragazza, preoccupandosi nel sentire lo stridere delle forbici che le tagliavano i capelli, Se i tuoi genitori torneranno, troveranno appesa alla maniglia della porta una ciocca, di chi potrebbe essere se non della loro figlia domandò la donna delle lacrime, Mi viene da piangere, disse la ragazza. Col capo reclinato sulle braccia incrociate sopra le ginocchia sfogò le proprie pene, la nostalgia.

Necessità fa virtù, disse la donna delle lacrime, e basta con le filosofie e le taumaturgie, diamoci da fare.

Quella sera ci furono di nuovo lettura e audizione, non avevano altra maniera di distrarsi, peccato che il medico non fosse, per esempio, un violinista dilettante, che dolci serenate si sarebbero allora potute sentire in questo quinto piano, i vicini invidiosi avrebbero detto, Quelli, o gli va bene la vita o sono degli incoscienti e credono di poter sfuggire alla sventura ridendosela della sventura degli altri.

Adesso non c’è altra musica all’infuori di quella delle parole, e le parole, soprattutto quelle dei libri, sono discrete. Anche se la curiosità spingesse qualcuno del palazzo a mettersi in ascolto dietro la porta, costui non sentirebbe altro che questo mormorio solitario, questo lungo filo di un suono che potrebbe prolungarsi all’infinito perché i libri del mondo, tutti insieme, sono come dicono sia l’universo, infiniti.

A questo siamo ridotti, a sentir leggere, Io non mi lamento, potrei restare così per sempre. Neanch’io mi sto lamentando, dico solo che serviamo soltanto a questo, a sentir leggere la storia di un’umanità esistita prima di noi, approfittiamo della combinazione che ci siano ancora un paio d’occhi aperti, gli ultimi rimasti, se un giorno si dovessero spegnere, non voglio neanche pensarci, allora il filo che ci unisce a quell’umanità si spezzerebbe, sarebbe come se ci stessimo allontanando gli uni dagli altri nello spazio, per sempre, e ciechi loro tanto quanto noi.

Avere certe speranze è una follia, Allora ti dico che, se non fosse per quelle, avrei già rinunciato alla vita, Fammi un esempio, Vedere di nuovo, Questo lo conosciamo già, fammene un altro, No, Perché, Non ti interessa, E come sai che non mi interessa, cosa credi di conoscere di me per decidere, per tuo conto, ciò che mi interessa e ciò che non mi interessa, Non ti arrabbiare, non avevo intenzione di ferirti. Io delle donne so ben poco, e di te niente.

Non hai nient’altro da dire contro te stesso, Tante altre cose, non immagini neanche quanto la lista nera delle autorecriminazioni vada aumentando a mano a mano che gli anni passano, Io sono giovane, e già ne sono ben fornita, Ancora non hai fatto niente di veramente cattivo, Come puoi saperlo, se non hai mai vissuto con me, Sì, non ho mai vissuto con te, Perché hai ripetuto con quel tono le mie parole, Quale tono, Quello, Ho detto solo che non ho mai vissuto con te, Il tono, il tono, non fingere di non capire, Non insistere, ti prego, Invece sì, ho bisogno di sapere, Torniamo alle speranze, Va bene, L’altro esempio di speranza che ho rifiutato di fare era quello, Quello, quale, L’ultima autorecriminazione della mia lista, Spiegati, per favore, Il desiderio di non recuperare più la vista, Perché, Per continuare a vivere così.

Non intendo dimenticare né lasciare che tu dimentichi. Se in questo momento sono sincera, cosa importa se un domani dovrò pentirmene, Taci, Tu vuoi vivere con me e io voglio vivere con te. Vivremo insieme qui, come una coppia, e insieme continueremo a vivere se dovremo separarci dai nostri amici, due ciechi dovranno pur vedere più di uno, è una follia, io non ti piaccio, Cosa significa piacere, a me non è mai piaciuto nessuno.

Chi sono io per metterti al la prova, è la vita che decide di queste cose.

Ebbero questa conversazione faccia a faccia, gli occhi ciechi dell’uno fissi negli occhi ciechi dell’altra, i visi infiammati e veementi, e quando, per averlo detto uno di loro e per averlo voluto entrambi, convennero che la vita aveva deciso che si mettessero a vivere insieme, la ragazza tese le mani, solo per offrirle, non per sapere dove andava. La strinse dolcemente a sé, e rimasero seduti così, vicini, non era la prima volta, è chiaro, ma adesso erano state pronunciate le parole del contratto matrimoniale. Nessun altro fece commenti, nessuno si congratulò, né augurò loro eterna felicità, non è davvero tempo di festeggiamenti e illusioni, e quando si tratta di decisioni tanto serie come sembra sia stata questa, non ci sarebbe neppure da sorprendersi se qualcuno avesse pensato che bisogna proprio esser ciechi per comportarsi in questa maniera, il silenzio è sempre il miglior applauso.

Fino a quando riuscirai a reggere il peso di sei persone che non possono darsi da fare, Reggerò finché potrò, ma in realtà le forze cominciano ormai a mancarmi, a volte mi ritrovo a desiderare di diventare cieca per essere uguale agli altri, per non avere più obblighi di loro, Ci siamo abituati a dipendere da te, se ci mancassi sarebbe come se ci avesse colpito una seconda cecità, grazie ai tuoi occhi riusciamo a essere un po’ meno ciechi, Tirerò avanti finché ne sarò capace, non posso promettere di più, Un giorno, quando dovessimo capire che non possiamo fare più nulla di buono e di utile al mondo, dovremmo avere il coraggio di uscire semplicemente dalla vita, come ha detto lui.

Non c’è niente di meglio che una solida speranza per far cambiare opinione. Ti riferisci a quello che è accaduto con la ragazza quando eravamo in quel posto orribile, Sì, Ricordati che è stata lei a cercarmi, La memoria ti inganna, sei tu che l’hai cercata, Ne sei sicura, Non ero cieca, Eppure sarei pronto a giurare che, Giureresti il falso, è strano come la memoria possa ingannarci così, In questo caso è facilmente comprensibile, sentiamo più nostro quanto ci si è offerto spontaneamente che non quello che abbiamo dovuto conquistare, Né lei mi ha cercato dopo, né io l’ho più cercata, Volendo ci s’incontra nella memoria, a questo serve, Sei gelosa, No, non sono gelosa, né lo sono stata quel giorno, ma ho provato pena per lei e per te, e anche per me perché non potevo aiutarvi.

Parlò con parole convenientemente controllate per la presenza di un minore, una cautela peraltro ora inutile se ripensiamo alle scandalose scene di cui è stato di persona testimone durante la quarantena.

La donna che ha pianto è già arrivata laggiù, il suo dovere è di seguirla, non si sa mai, potrebbe dover asciugare altre lacrime.

 

 

 

 

 

In fondo c’era un chiarore diffuso, molto tenue. Adesso sapeva cos’era.  Palpitavano delle fiammelle. Fuochi fatui, Idrogeno fosforato derivante dalla decomposizione, l’ultima voce di coloro che non hanno potuto tornare indietro. La porta era chiusa, L’avranno chiusa certamente gli altri ciechi, hanno trasformato il sotterraneo in un enorme sepolcro, e sono io la colpevole di quanto è accaduto, quando sono uscita di corsa con i sacchetti avranno sospettato che si trattasse di cibo e si saranno messi a cercarlo, In un certo qual modo, tutto quanto mangiamo è rubato alla bocca altrui, e se ne rubiamo troppo finiamo per causarne la morte, in fondo siamo tutti più o meno assassini, Non voglio che cominci ad addossarti colpe immaginarie quando già riesci a stento a sostenere la responsabilità di mantenere sei di noi. Quando uscirono fuori dal corridoio, i nervi le cedettero di colpo, il pianto si fece convulso, non c’è modo di asciugare lacrime come queste, solo il tempo e la stanchezza potranno chetarle.

Forse per l’intensità della luce le venne una vertigine, pensò di star perdendo la vista, ma non si spaventò, era solo un mancamento. Non giunse al punto di cadere, di perdere del tutto i sensi. Aveva bisogno di sdraiarsi, chiudere gli occhi, respirare regolarmente, se avesse potuto stare qualche minuto tranquilla, calma, era sicura che le forze sarebbero tornate, e bisognava che tornassero.

Al di là della strada, poco più avanti, c’era una chiesa. Probabilmente c’era gente dentro, come dappertutto, ma doveva essere un buon posto dove riposare un po’, anticamente almeno era così. La donna delle lacrime è già entrata, non so neppure come riesca a trascinarsi, continua a mormorare al marito una sola parola, Reggimi, la chiesa è piena, quasi non si trova un palmo di pavimento libero, qui si potrebbe veramente dire che non c’è una pietra su cui posare il capo.

La donna delle lacrime disse, Ora mi sento bene, ma nello stesso istante pensò di essere ammattita, o forse, scomparsa la vertigine, di avere le allucinazioni, non poteva essere vero ciò che le mostravano gli occhi, quell’uomo inchiodato alla croce, una benda bianca gli bendava gli occhi, e, lì accanto, una donna col cuore trafitto da sette spade e gli occhi bendati anch’essi con una benda bianca, e non c’erano soltanto quest’uomo e questa donna in simili condizioni, tutte le immagini della chiesa avevano gli occhi bendati, le sculture con una striscia di tessuto bianco legata intorno alla testa, i dipinti con una spessa pennellata di pittura bianca, e laggiù c’era una donna che insegnava a leggere alla figlia, e tutte e due avevano gli occhi bendati, e un uomo con un libro aperto su cui era seduto un bambino, e tutti e due avevano gli occhi bendati, e una donna con una lanterna accesa, e aveva gli occhi bendati, e un altro uomo con una bilancia, e aveva gli occhi bendati, e un uomo con un giglio bianco in mano, e aveva gli occhi bendati, e una donna con una colomba, e avevano gli occhi bendati. La moglie del medico disse al marito, Non mi crederesti se ti dicessi quello che ho davanti a me, tutte le immagini della chiesa hanno gli occhi bendati, Che strano, chissà perché, Come faccio a saperlo, potrebbe essere stata opera di qualche disperato della fede quando ha capito che sarebbe diventato cieco come gli altri, può essere stato lo stesso sacerdote, forse ha pensato giustamente che, siccome i ciechi non avrebbero potuto vedere le immagini, anche le immagini non avrebbero più dovuto vedere i ciechi, Le immagini non vedono, Ti sbagli, le immagini vedono con gli occhi che le vedono, solo adesso la cecità è veramente generale, Tu ci vedi ancora, Ci vedrò sempre meno, anche se non perderò la vista diverrò sempre più cieca di giorno in giorno perché non avrò più nessuno che mi veda. Se è stato il sacerdote a tappare gli occhi delle immagini, è solo una mia idea, è l’unica ipotesi plausibile, è l’unica che possa conferire una certa grandiosità alla nostra miseria, immagino quell’uomo che entra qui dentro proveniente da un mondo di ciechi, al quale poi dovrà tornare per divenirlo anche lui, immagino le porte chiuse, la chiesa deserta, il silenzio, immagino le statue, i dipinti, lo vedo andare dall’una all’altro, salire sugli altari e legare i pezzi di stoffa, con due nodi perché non si slaccino e cadano giù, a passare due mani di colore sulle pitture per rendere più spessa la notte bianca in cui sono entrate, quel sacerdote dev’essere stato il più grande sacrilego di tutti i tempi e di tutte le religioni, il più giusto, il più radicalmente umano, colui che è venuto finalmente ad affermare che Dio non merita di vedere.

Tu come lo sai, se sei cieca, chiese un uomo coricato accanto a loro, Lo verresti a sapere anche tu se facessi come ho fatto io, avvicinati e toccale con le mani, le mani sono gli occhi dei ciechi, E tu perché lo hai fatto, Ho pensato che per essere giunti al punto cui siamo giunti qualcun altro doveva essere cieco, E quella storia che è stato il sacerdote di questa chiesa a tappare gli occhi alle immagini, l’ho conosciuto molto bene, sarebbe incapace di fare una cosa del genere, Non si può mai sapere in anticipo di cosa siano capaci le persone, bisogna aspettare, dar tempo al tempo, è il tempo che comanda, il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano tutte le carte del mazzo. Alzati, usa le tue mani, se dubiti di quanto dico. È vero, è vero.

Questa conversazione la stavano sentendo altri ciechi che si trovavano più vicino, e sarebbe inutile dire che non ci fu bisogno di aspettare la conferma del giuramento perché la notizia cominciasse a circolare in un mormorio che a poco a poco cambiava tono, prima incredulo, poi inquieto, di nuovo incredulo, il guaio fu che in quell’assembramento di gente c’erano un certo numero di persone superstiziose e ricche d’immaginazione, l’idea che le immagini sacre fossero cieche, che i loro sguardi misericordiosi o sofferenti non contemplassero altro che la propria cecità, divenne subito insopportabile. Bastò che si udisse un grido, e poi un altro, e un altro ancora, la paura fece immediatamente alzare tutti quanti, il panico li spinse verso la porta, si ripeté la scena ormai nota, siccome il panico è molto più rapido di coloro che lo portano. Quei sei gradini là fuori saranno come un precipizio, ma insomma, non sarà poi una gran caduta, l’abitudine a cadere indurisce il corpo, l’esser giunti per terra è già, di per sé, un sollievo, Da qui non ne vengo fuori, è il primo pensiero, e a volte l’ultimo nei casi fatali. Ciò che neppure cambia è che si approfittino alcuni del male altrui, come sanno benissimo, fin dall’inizio del mondo, gli eredi e gli eredi degli eredi. La fuga disperata di questa gente l’ha spinta a lasciare dietro di sé tutti i propri beni, e quando la necessità avrà avuto la meglio sulla paura e loro torneranno a cercarli, oltre al difficile problema di chiarire in modo soddisfacente qual era il mio e quale il tuo, vedremo che sarà sparita parte di quel po’ di cibo che avevamo, vuoi vedere che è stato tutto un cinico stratagemma di quella donna che ha detto che le immagini avevano gli occhi bendati.

 

Si sedettero ad ascoltare la lettura del libro, almeno lo spirito non potrà protestare contro la mancanza di nutrimento, il guaio è che la debilità del corpo portava talvolta l’attenzione della mente a distrarsi, e non certo per mancanza di interesse intellettuale, no, è che semplicemente il cervello scivolava in un mezzo sopore, come un animale che si prepara a ibernarsi, addio mondo, ragion per cui non di rado gli ascoltatori si assopivano, si mettevano a seguire con gli occhi dell’anima le peripezie dell’intreccio, finché un episodio più energico li riscuoteva dal torpore, quando non era semplicemente il rumore del libro rilegato che si chiudeva di colpo, la moglie del medico aveva delicatezze del genere, non voleva far loro capire di saperlo che chi sognava in verità stava dormendo.

C’era sempre quel biancore offuscante degli occhi che probabilmente soltanto il sonno rabbuiava, ma non si poteva esser certi neppure di questo, dal momento che nessuno poteva essere contemporaneamente addormentato e vigile. Fu colto da una gran paura, credette di esser passato. Da una cecità all’altra, che dopo aver vissuto nella cecità della luce adesso sarebbe vissuto nella cecità della tenebra, il terrore lo fece gemere, Cos’hai, gli domandò lei. Lui rispose stupidamente, senza aprire gli occhi, Sono cieco, come se fosse l’ultima novità del mondo, lei lo abbracciò affettuosamente, Via, ciechi lo siamo tutti, non c’è niente da fare, Ho visto tutto buio, credevo di essermi addormentato, e invece no, sono sveglio. Aprì gli occhi e vide. Vide e gridò, Vedo. Il primo fu ancora il grido dell’incredulità, ma col secondo, e col terzo, e con tutti gli altri, a poco a poco si rinsaldò l’evidenza, Vedo, vedo, abbracciò la moglie, poi corse dalla donna delle lacrime e abbracciò pure lei, la vedeva per la prima volta, ma sapeva chi era, e il medico, e la ragazza, e il vecchio, lui era inconfondibile, e il ragazzino, la moglie gli andava appresso, non voleva mollarlo, e lui interrompeva gli abbracci per abbracciare di nuovo lei, adesso era tornato dal medico, Vedo, vedo, dottore, non gli diede del tu com’era divenuto ormai quasi una regola in questa comunità, se qualcuno ci riesce, spieghi lui la ragione di questo repentino cambiamento, e il medico domandava, Ci vede proprio bene, come prima, non c’è traccia di bianco, Niente di niente, mi sembra addirittura di vedere ancora meglio di prima.

È possibile che questa cecità sia giunta alla fine, è possibile che stiamo cominciando tutti a recuperare la vista, a queste parole la donna delle lacrime cominciò a piangere, avrebbe dovuto esser contenta e piangeva, come sono curiose le reazioni della gente, chiaro che era contenta, mio Dio, è talmente facile da capire, piangeva perché di colpo le si era esaurita la resistenza mentale, era come una bimba appena nata e questo pianto era il suo primo e ancora inconsapevole vagito.

Attesero. Le tre fiammelle della lucerna illuminavano quel circolo di volti. Poi, a poco a poco, le parole si smorzarono, a un certo punto al primo cieco venne in mente di dire alla moglie che il giorno dopo sarebbero andati a casa, Ma io sono ancora cieca, rispose lei, Non fa niente, ti guido io, solo chi si trovava lì, e quindi lo udì con le proprie orecchie, fu in grado di avvertire come parole tanto semplici potessero racchiudere sentimenti tanto diversi come la protezione, l’orgoglio e l’autorità.

Il secondo a recuperare la vista, in tarda serata, e quando ormai la lucerna, esaurito l’olio, cominciava a tremolare, fu la ragazza. Aveva tenuto gli occhi sempre aperti, come se la visione avesse dovuto entrare attraverso di essi, e non rinascere dall’interno, all’improvviso disse, Mi sembra di vedere, era meglio essere prudente, non tutti i casi sono uguali, si suole addirittura dire che non esistano le cecità, ma i ciechi, quando l’esperienza non ha fatto altro che dirci che non esistono i ciechi, ma le cecità. Comunque, anche se la felicità di vederci di nuovo non dovesse contemplare pure i restanti, per questi ultimi la vita d’ora in poi sarebbe molto più facile.

Guardate in che stato si è ridotta quella donna, è come una corda che si è spezzata, come una molla che non ce l’ha più fatta a reggere lo sforzo a cui era costantemente sottoposta. Ecco, forse, perché fu lei che la ragazza dagli occhiali scuri abbracciò prima di tutti.

Il secondo abbraccio fu per lui. 

Sapremo quanto valgano veramente le parole. In definitiva ci sono parole che valgono anche più del loro apparente significato. Un abbraccio vale quanto queste parole.

Il terzo a recuperare la vista, quando ormai cominciava ad albeggiare, fu il medico, adesso non potevano esserci più dubbi, che la recuperassero anche gli altri era solo questione di tempo.

Il medico fece la domanda che premeva, Cosa starà succedendo fuori, la risposta venne dallo stesso palazzo in cui si trovavano, al piano di sotto qualcuno uscì sul pianerottolo gridando, Vedo, vedo, il sole sorgerà su una città in festa.

La forza dei sentimenti, come succede sempre in momenti di esaltazione, aveva preso il posto della fame, ma la gioia fungeva da manicaretto. Anche coloro che ancora erano ciechi ridevano come se gli occhi che ci vedevano fossero i propri.

Alcuni minuti dopo, rimasti soli, il medico andò a sedersi accanto alla moglie, la donna delle lacrime. Dalla finestra aperta, malgrado l’altezza del piano, entrava il rumore delle voci, le strade dovevano essere piene di gente, la folla a gridare una sola parola, Vedo, dicevano quelli che avevano già ricuperato la vista, Vedo, dicevano quelli che all’improvviso la ricuperavano, Vedo, Vedo, comincia a sembrare davvero una storia dell’altro mondo quella in cui si era detto, Sono cieco.

Il ragazzino mormorava, probabilmente era in pieno sogno, forse stava vedendo la madre, le stava domandando, Mi vedi, ora mi vedi.

 

 

 

v   

Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.

v   

La moglie del medico si alzò e andò alla finestra. Guardò giù, guardò le persone che gridavano e cantavano. Poi alzò il capo verso il cielo e vide tutto bianco, è arrivato il mio turno, pensò. La paura le fece abbassare immediatamente gli occhi. La città era ancora lì.