J O S É S A R A M A G O
C
E C I T À
F R A M M E N T O
D I L E T T U R A
José Saramago, Cecità, Einaudi, Torino, 1966
Si sconsiglia la lettura di “Cecità” di José Saramago ai
minori di 18 anni
In una città qualunque, di un
paese qualunque, un guidatore sta fermo al semaforo in attesa del verde quando
si accorge di perdere la vista. All’inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero,
ma non è così. Gli viene diagnosticata una cecità dovuta a una malattia
sconosciuta: un “mal bianco” che avvolge la sua vittima in un candore luminoso,
simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l’inizio di
un’epidemia che colpisce progressivamente tutta la città, e l’intero paese. I
ciechi vengono rinchiusi in un ex manicomio e costretti a vivere nel più totale
abbrutimento da chi non è stato ancora contagiato. Scoppia la violenza tra i
disperati, violenza per sopraffare o soltanto per sopravvivere, in un’oscurità
che sembra coprire ogni regola morale e ogni progetto di vita. Ma una donna che
è miracolosamente rimasta immune dalla malattia si finge cieca per farsi
internare e poter stare vicina al marito. Un gesto d’amore individuale diventa
la possibilità di restituire agli uomini una speranza collettiva. Toccherà a
lei inventare un itinerario di salvazione, recuperare le ragioni di una
solidale pietà. Saramago ha scelto la via dell’affresco apocalittico per
denunciare con intensità di immagini e durezza di accenti la notte dell’etica
in cui siamo sprofondati. Paradossalmente, è proprio il mondo delle ombre a
rivelare molte cose sul mondo di chi credeva di vedere. E quell’esperienza
estrema è anche l’ultima occasione per confrontarsi con le domande ultime sul
destino dell’uomo, malato di egoismo e di violenza, e sulle vie di un possibile
riscatto.
Se puoi vedere, guarda.
Se puoi guardare, osserva.
Libro
dei consigli
Finalmente si accese il verde, le
macchine partirono bruscamente, ma si notò subito che non erano partite tutte
quante. La prima della fila di mezzo è ferma, dev’esserci un problema
meccanico, l’acceleratore rotto, la leva del cambio che si è bloccata, o
un’avaria nell’impianto idraulico, blocco dei freni, interruzione del circuito
elettrico, a meno che non le sia semplicemente finita la benzina, non sarebbe
la prima volta. Il nuovo raggruppamento di pedoni che si sta formando sui
marciapiedi vede il conducente dell’automobile immobilizzata sbracciarsi dietro
il parabrezza, mentre le macchine appresso a lui suonano il clacson
freneticamente. Alcuni conducenti sono già balzati fuori, disposti a spingere
l’automobile in panne fin là dove non blocchi il traffico, picchiano
furiosamente sui finestrini chiusi, l’uomo che sta dentro volta la testa verso
di loro, da un lato, dall’altro, si vede che urla qualche cosa, dai movimenti
della bocca si capisce che ripete una parola, non una, due, infatti è così,
come si viene a sapere quando qualcuno, finalmente, riesce ad aprire uno
sportello, Sono cieco. Non lo si direbbe.
Il semaforo aveva già cambiato
colore, alcuni passanti curiosi si avvicinavano al gruppo, e i conducenti che,
dietro, non sapevano cosa stesse succedendo, protestavano contro quello che
ritenevano un normale incidente di traffico, un faro rotto, un parafango
ammaccato, niente che giustificasse quella confusione, Chiamate la polizia,
gridavano.
Una voce disse, mi occupo io
della macchina e accompagno questo signore a casa. Si udirono mormorii di
approvazione.
Dai finestrini della macchina
spiavano facce voraci, avide di novità.
Il cieco si portò le mani agli
occhi, le agitò, Niente, è come se stessi in mezzo a una nebbia, la cecità
dicono sia nera, Invece io vedo tutto bianco.
Non mi ringrazi, oggi a lei, Sì,
ha ragione, domani a lei.
All’improvviso tutto quello zelo
insospettì il cieco, ovviamente non avrebbe fatto entrare in casa uno
sconosciuto che, in fin dei conti, poteva star benissimo escogitando, in quel
preciso momento, come sottomettere, legare e tramortire lo sventurato cieco
indifeso, per poi impossessarsi di quanto avesse trovato di valore. Non è
necessario, non si disturbi, disse, sono a posto, e mentre chiudeva la porta
lentamente ripeté, Non è necessario, non è necessario.
La cecità avrebbe comunque potuto
essere relativamente sopportabile se la vittima di una simile sventura avesse
mantenuto un ricordo sufficiente, non solo dei colori, ma anche delle forme e
dei piani, delle superfici e dei contorni, supponendo, è chiaro, che la
suddetta cecità non fosse di nascita. Era arrivato persino al punto di pensare
che il buio in cui i ciechi vivevano fosse in definitiva soltanto la semplice
assenza di luce, che ciò che chiamiamo cecità fosse qualcosa che si limitava a
coprire l’apparenza degli esseri e delle cose, lasciandoli intatti al di là di
quel velo nero. Adesso, però, si ritrovava immerso in un biancore talmente
luminoso, talmente totale da assorbire, non solo i colori, ma le stesse cose e
gli esseri, rendendoli in questo modo doppiamente invisibili.
Se fossi cieco, sognavo di
chiudere e aprire gli occhi diverse volte, e ogni volta, come di ritorno da un
viaggio, di ritrovare ad attenderlo, salde e inalterate, tutte le forme e i
colori, il mondo a lui noto. Avvertiva, tuttavia il rodere sordo di un dubbio,
forse si trattava di un sogno ingannevole, un sogno da cui prima o poi si
sarebbe dovuto svegliare, ma senza poi sapere quale realtà ci sarebbe stata ad
attenderlo.
Si fece silenzio, e lui disse,
Sono cieco, non ti vedo. La moglie lo rimproverò, per favore, non mi
spaventare, guardami, qui, sono qui, la luce è accesa, Lo so che ci sei, ti
sento, ti tocco, immagino che tu abbia acceso la luce, ma io sono cieco. Lei
cominciò a piangere, gli si aggrappò, Non è vero, dimmi che non è vero. Vedo
tutto bianco, e si lasciò andare a un triste sorriso. La moglie gli si sedette
accanto, lo abbracciò forte, lo baciò sulla fronte, sulle guance, dolcemente
sugli occhi, Vedrai che passerà, non eri mica malato, nessuno si ritrova cieco
così, da un momento all’altro.
Niente, vedo sempre lo stesso
bianco, per me è come se la notte non ci fosse.
Il cieco disse, Se mi tocca
restare così, la faccio finita. Per favore, non dire fesserie, ci basta già
quanto ci è successo. A essere cieco sono io, non tu, tu non puoi sapere che
cosa mi è successo.
Lui, a capo chino non cessava di
domandarsi com’era possibile che una disgrazia così grande gli stesse
capitando, proprio a lui, A me, perché.
A vote succede, stiamo ancora
dormendo e i suoni esterni attraversano già il velo dell’incoscienza in cui
siamo ancora avvolti, come in un lenzuolo bianco. Come in un lenzuolo bianco
lei gli sfiorò lievemente il viso, come a dire, tranquillo, sono qui, e lui
abbandonò il capo sulla spalla di lei.
Vedo tutto bianco. Il medico gli
domandò, non le era mai accaduto prima, voglio dire, la stessa cosa di adesso,
o qualcosa di simile. Mai. E mi dice che è avvenuto all’improvviso. Sì,
dottore, Come una luce che si spegne, Più come una luce che si accende.
Lei si avvicinò, gli posò la mano
sulla spalla, disse, Vedrai, tutto si risolverà.
Non le riscontro alcuna lesione,
i suoi occhi sono perfetti. Lei congiunse le mani in un gesto di gioia ed
esclamò, Te l’avevo detto io, te l’avevo detto io, tutto si risolverà.
Se i miei occhi sono perfetti,
come dice, allora perché sono cieco, Per il momento non glielo so dire. Pensa
ci sia qualcosa a che vedere con il cervello, è una possibilità, ma non credo. Quello
che voglio dire è che se lei è di fatto cieco, la sua cecità, in questo
momento, è inspiegabile.
Il problema sta nella rarità del
caso, personalmente, in tutta la mia vita professionale, non mi si è mai
presentato niente di simile, e oserei dire in tutta la storia dell’oculistica,
Pensa che potrei guarire, Teoricamente, giacché non le riscontro lesioni la mia
risposta dovrebbe essere affermativa, Ma a quanto pare non lo è, Solo per
prudenza, solo perché non voglio darle speranze che potrebbero dimostrarsi
prive di fondamento.
Quella notte il cieco sognò di
essere cieco.
Nell’offrirsi di aiutare il
cieco, l’uomo che avrebbe poi rubato la macchina non aveva, in quel momento
preciso, alcuna intenzione malevola, anzi, al contrario, non fece altro che
obbedire a quei sentimenti di generosità e altruismo che, come tutti sanno,
sono due delle migliori caratteristiche del genere umano e che si possono
riscontrare persino in criminali.
In fin dei conti, questi o gli
altri, non è poi così grande la differenza tra l’aiutare un cieco per poi
derubarlo e preoccuparsi per una vecchiaia caduca pensando solo all’eredità. Fu
soltanto quando era ormai vicino alla casa del cieco che l’idea gli si presentò
con la massima naturalezza, proprio come, si può dire, se avesse deciso di
comprare un biglietto della lotteria solo per aver visto il venditore, senza
provare alcuna emozione, comprandolo per vedere cosa ne venisse fuori,
rassegnato in anticipo a quanto la volubile fortuna gli avrebbe portato,
qualcosa o niente, c’è chi direbbe che agì secondo un riflesso condizionato
della propria personalità. Gli scettici sulla natura umana, che sono molti e
ostinati, sostengono che se è vero che l’occasione non sempre fa l’uomo ladro,
è anche vero che lo aiuta molto. Quanto a noi, ci permetteremo di pensare che
se il cieco avesse accettato la seconda offerta del buon samaritano, in
definitiva falso, in quell’istante estremo in cui la bontà avrebbe potuto
ancora prevalere, e cioè l’offerta di restare a fargli compagnia fino
all’arrivo del la moglie, chissà se l’effetto della responsabilità morale
derivante dalla fiducia così accordata non avrebbe inibito la tentazione
criminale e fatto venire a galla quanto di luminoso e nobile sarà sempre
possibile ritrovare persino nelle anime più perdute.
La
coscienza morale, che tanti dissennati hanno offeso e molti di più rinnegato,
esiste ed è esistita sempre, non è una invenzione dei filosofi quando l’anima
non era ancora che un progetto confuso. Con l’andar del tempo, e delle attività
di convivenza, la coscienza è sfumata nel colore del sangue e nel sale delle
lacrime, e, come se non bastasse, degli occhi abbiamo fatto una sorta di
specchi rivolti all’interno, con il risultato che, spesso, ci mostrano senza
riserva ciò che stavamo cercando di negare con la bocca. A questo, in generale,
si aggiunga la circostanza particolare che, negli animi semplici, il rimorso
provocato da una cattiva azione sovente si confonde con paure ancestrali di
ogni tipo, dal che risulta come il castigo del prevaricatore finisca per
essere, né più né meno, due volte meritato.
Il rimorso, espressione
esasperata di una coscienza.
Il medico prese la scheda
dell’uomo che si era ritrovato cieco, la lesse una volta, due volte, rifletté
per alcuni minuti e infine chiamò al telefono un collega con il quale ebbe la
seguente conversazione, Vuoi saperne una, oggi mi è capitato un caso
stranissimo, un uomo che ha perso completamente la vista da un istante
all’altro, l’esame non ha mostrato alcuna lesione. Dice di vedere tutto bianco.
L’ agnosia, la cecità psichica,
potrebbe essere, ma allora si tratterebbe del primo caso con queste
caratteristiche, perché non c’è dubbio che l’uomo è cieco, l’agnosia, lo
sappiamo, è l’incapacità di riconoscere quel che si vede, infatti, ho pensato
anche a questo, alla possibilità che si tratti di un caso di amaurosi, ma
ricordati cosa ti ho detto all’inizio, questa cecità è bianca, esattamente al
contrario dell’amaurosi, che è tenebra totale, a meno che non esista un’amaurosi
bianca, una tenebra bianca per così dire, sì, lo so, non s’è mai vista.
Il fatto che l’agnosia e
l’amaurosi si riscontrassero identificate e definite con precisione nei libri e
nella pratica non significava che non potessero sorgere delle varianti, delle
mutazioni, ammesso che il termine sia adeguato, e quel giorno sembrava arrivato.
Il medico consultò i libri
specialistici, alcuni vecchi, dei tempi dell’università, altri recenti,
qualcuno di recente pubblicazione, che non aveva ancora avuto il tempo di
studiare. Cercò negli indici, uno dopo l’altro, metodicamente, si mise a
leggere tutto quello che trovava sull’agnosia e l’amaurosi, con la scomoda
impressione di sapersi un intruso in un campo che non era il suo, il misterioso
territorio della neurochirurgia, sul quale non possedeva più che alcuni scarsi
lumi. Nel cuore della notte, allontanò i libri che stava consultando, si
stropicciò gli occhi stanchi e si abbandonò sulla sedia. In quel momento
l’alternativa gli si presentava con la massima chiarezza. Se fosse un caso di
agnosia, adesso il paziente vedrebbe quello che aveva sempre visto, cioè non
gli si sarebbe verificata alcuna diminuzione dell’acutezza visiva, è che il
cervello, semplicemente, sarebbe diventato incapace di riconoscere una sedia là
dove ci fosse una sedia, in altre parole avrebbe continuato a reagire
correttamente agli stimoli luminosi trasmessi dal nervo ottico, ma, per usare
termini comuni, alla portata di gente poco informata, avrebbe perso la capacità
di sapere che sapeva, e, tanto più, di esprimerlo. Quanto all’amaurosi, nessun
dubbio. Perché effettivamente si trattasse di amaurosi, il paziente avrebbe
dovuto vedere tutto nero, fatto salvo, è chiaro, l’uso del verbo, vedere,
trattandosi di tenebre assolute. Il cieco aveva affermato categoricamente di
vedere, sempre facendo salvo il verbo, un colore bianco uniforme, denso.
Adesso la casa del medico era
silenziosa, sul tavolo i libri sparpagliati, Che cosa sarà, pensò, e
all’improvviso ebbe paura, come se anche lui fosse sul punto di diventare cieco
un attimo dopo e già lo sapesse. Trattenne il respiro e aspettò. Non successe
niente. Successe un minuto dopo, mentre radunava i libri per riporli nella
scaffalatura. Prima capì di non vedere più le mani, poi seppe di essere cieco.
La
complessità della trama dei rapporti sociali, sia diurni che notturni, sia
verticali che orizzontali consiglia di moderare qualsiasi tendenza a giudizi
perentori, definitivi, pecca da cui, per eccessiva sufficienza nostra, forse
non riusciamo mai a liberarci.
Indubbiamente questa donna va a
letto per denaro, il che consentirebbe probabilmente, senza ulteriori
considerazioni, di classificarla come prostituta di fatto, ma, siccome ci va
solo quando vuole e con chi vuole, non è da disdegnare la probabilità che proprio
questa differenza di diritto debba determinarne cautelativamente l’esclusione
dalla cerchia, intesa come un tutto. Lei, come la gente normale, ha un
mestiere, e, sempre come la gente normale, approfitta delle ore che le restano
per concedere qualche gioia al corpo e sufficienti soddisfazioni alle
necessità, quelle specifiche e quelle generali. Senza pretendere di ridurla a
una definizione basilare, ciò che infine si dovrà dire di lei, in senso lato, è
che vive come meglio le aggrada e che, per giunta, ne trae tutto il piacere che
può. L’uomo con cui si sarebbe trovata era già suo conoscente. Fece fermare il
tassì un isolato prima, si confuse tra le persone che procedevano nella stessa
direzione, come lasciandosene trasportare, anonima e senza alcuna colpa
notoria. Entrò nell’albergo con naturalezza, attraversò l’atrio dirigendosi al
bar. Era arrivata con alcuni minuti di anticipo, quindi doveva aspettare, l’ora
del l’appuntamento era stata combinata con precisione. Trecentododici era il
numero che l’aspettava, è qui, bussò discretamente alla porta, dieci minuti
dopo era nuda, al quindicesimo gemeva, al diciottesimo sussurrava parole
d’amore che non aveva più necessità di fingere, al ventesimo cominciava a perdere
la testa, al ventunesimo sentì il corpo dilaniato dal piacere, a ventiduesimo
gridò, Ora, ora, e quando ritornò in se disse, esausta e felice, Vedo ancora
tutto bianco.
L’oculista si trovava in casa
quando lo colpì la cecità, ma perché, essendo medico, alla disperazione non si
sarebbe certo consegnato con le mani legate, come fanno quelli che del corpo si
accorgono solo quando gli duole. Pure in una situazione come questa,
angosciato, con una notte d’ansia davanti, fu ancora capace di rammentare ciò
che scrisse Omero nell’Iliade, poema della morte e della sofferenza, più di
qualunque altro, Un medico, da solo, vale più di un uomo, parole che non
dovremo intendere come espressione direttamente quantitativa, bensì
principalmente qualitativa, come non si tarderà ad appurare.
Il medico voleva che giungesse
rapidamente la luce del giorno, lo pensò con queste precise parole, la luce del
giorno, sapendo che non l’avrebbe vista. In verità, un oculista cieco non
poteva servire a molto.
Finse di dormire ancora quando la
moglie si alzò. Sentì il bacio che lei gli diede sulla fronte, molto dolce,
come se non volesse svegliarlo da quello che credeva un sonno profondo, forse
aveva pensato, poverino, si è coricato tardi, studiando lo straordinario caso
di quel povero cieco. Rimasto solo lasciò che due lacrime, Saranno bianche,
pensò, gli inondassero gli occhi e gli scivolassero sulle tempie, da un lato e
dall’altro della faccia, adesso comprendeva la paura dei suoi pazienti quando
gli dicevano, Dottore, mi pare che sto perdendo la vista.
Ci sono mille ragioni per cui il
cervello umano si chiuda, si limitò ad allungare le mani fino a toccare il
vetro, sapeva che la sua immagine era lì a guardarlo, l’immagine vedeva lui,
lui non vedeva l’immagine.
Udì la moglie entrare in camera,
Ah, sei già alzato, disse lei, e lui rispose, Sì. Subito dopo la sentì accanto
a sé, Buongiorno, amore mio, si rivolgevano ancora parole affettuose dopo tanti
anni di matrimonio.
Non vedo, e aggiunse, Credo di
essere stato contagiato dal malato di ieri. Con il tempo e l’intimità, le mogli
dei medici finiscono anch’esse per capirne qualcosa di medicina, e questa, così
vicina al marito in tutto, aveva imparato abbastanza per sapere che la cecità
non si diffonde per contagio, come una epidemia, la cecità non si prende solo
perché qualcuno che non lo è guarda un cieco, la cecità è una questione privata
fra un individuo e gli occhi con cui è nato. In tutti i casi, un medico ha
l’obbligo di sapere ciò che dice, l’università è lì per quello, e se, oltre
all’essersi dichiarato cieco, ammette apertamente di essere stato contagiato,
chi è la moglie, sia pure la moglie di un medico, per dubitarne. È comprensibile,
quindi, come la povera signora, davanti al l’irrefutabile evidenza, finisse per
reagire come una qualsiasi moglie normale, ne conosciamo già due, abbracciando
il marito, offrendo le naturali dimostrazioni di dolore, E adesso, cosa
facciamo, domandava fra le lacrime.
La logica e l’efficacia dettavano
che la comunicazione di quanto stava accadendo fosse fatta direttamente e il
più presto possibile a un alto funzionario responsabile del Ministero della
Sanità, ma non tardò a cambiare idea quando si rese conto che il presentarsi
come semplice medico con un’informazione importante e urgente da comunicare non
era sufficiente a convincere l’impiegato di medio livello con cui alla fine,
dopo molte suppliche, la centralinista aveva acconsentito a metterlo in
contatto. L’uomo volle sapere di cosa si trattasse prima di passargli il
diretto superiore, ed era chiaro che qualunque medico con senso di responsabilità
non si sarebbe messo ad annunciare il sorgere di una epidemia di cecità al
primo subalterno che gli fosse comparso davanti, il panico sarebbe stato
immediato. Gli rispondeva l’impiegato, Lei afferma di essere un medico, se
vuole che le dica che ci credo, ebbene sì, ci credo, ma ho degli ordini, o mi
dice di cosa si tratta, o non procedo, è una questione confidenziale, Le
questioni confidenziali non si trattano per telefono, sarà meglio che venga
personalmente, Non posso uscire da casa, Vuole dire che è malato, Sì, sono
malato, disse il cieco dopo un attimo di esitazione, In questo caso dovrà
chiamare un medico, un medico vero, ribatté l’impiegato e, affascinato dal
proprio spirito, riagganciò il telefono.
L’insolenza lo colpì come uno schiaffo. Solo dopo alcuni minuti
riacquistò la serenità sufficiente per raccontare alla moglie la villania con
cui era stato trattato.
Dopo,
come se avesse appena scoperto qualcosa che fosse obbligato a sapere da lungo
tempo, mormorò, triste, è di questa pasta che siamo fatti, metà di diffidenza
ed indifferenza e metà di cattiveria.
Come
stai, è ciò che diciamo quando non vogliamo fare la parte del debole, abbiamo
detto, Bene, e stavamo morendo, ciò che normalmente si suole definire come
prendere il coraggio a quattro mani, un fenomeno che solo nella specie umana è
stato osservato.
Il resoconto del medico fu breve
ma completo, senza perifrasi, senza parole in più, senza ridondanze, e fatto
con una secchezza clinica che, tenendo conto della situazione, finì per
sorprendere anche il direttore, Ma lei è davvero cieco, domandò, Totalmente, In
tutti i casi, potrebbe trattarsi di una coincidenza, potrebbe non esserci stato
realmente, in senso stretto, un contagio, D’accordo, il contagio non è
dimostrato, ma qui non è che è diventato cieco lui e sono diventato cieco io,
ciascuno a casa propria, senza esserci visti, l’uomo mi si è presentato cieco
per una visita e io sono diventato cieco poche ore dopo, Come faremo a
ritrovarlo, Ho il nome e l’indirizzo all’ambulatorio, Manderò qualcuno
immediatamente, Un medico, Sì, un collega, chiaro, Non le sembra che dovremmo
comunicare al ministero cosa sta capitando, Per il momento lo trovo prematuro,
pensi all’allarme che causerebbe una notizia del genere, per Dio, la cecità
mica si attacca, Neanche la morte si attacca, e ciò nonostante moriamo tutti,
Beh, se ne stia a casa mentre mi occupo della faccenda, poi la manderò a
prendere, voglio vederla, Si ricordi che se sono cieco è per avere visitato un
cieco, La certezza non c’è, Ma c’è, quanto meno, una buona supposizione di
causa ed effetto, Senza dubbio, tuttavia è ancora troppo presto per trarre
conclusioni, due casi isolati non hanno alcun significato statistico, A meno
che a questo punto non siamo già più di due, Capisco il suo stato d’animo, ma
dobbiamo pur difenderci da pessimismi che possono rivelarsi infondati, Grazie,
Ci risentiamo, A presto.
Era di nuovo il direttore
sanitario, ma la sua voce, adesso, era diversa, Abbiamo qui un ragazzo che è
diventato cieco anche lui all’improvviso, vede tutto bianco, la madre dice di essere
stata ieri con il figlio.
Finché non si fossero trovate la
terapia e la cura e, chissà, magari un vaccino per prevenire l’insorgenza di
casi futuri, tutte le persone che erano diventate cieche, nonché quelle che vi fossero
state in contatto fisico o in vicinanza diretta, sarebbero state radunate e
isolate, in modo da evitare ulteriori contagi, i quali, nel verificarsi, si
sarebbero moltiplicati più o meno secondo ciò che matematicamente si suole
denominare come progressione geometrica. Quod erat demonstrandum, concluse il
ministro.
La commissione agì con rapidità
ed efficacia. Prima di sera erano già stati radunati tutti i ciechi di cui si
aveva notizia, e anche un certo numero di presunti contagiati, quanto meno quelli
che era stato possibile identificare e localizzare con una rapida operazione di
rastrellamento effettuata soprattutto negli ambienti familiari e professionali
dei colpiti dal la perdita della vista. I primi a essere trasportati nel
manicomio furono il medico e sua moglie. C’erano soldati di guardia. Il portone
fu aperto giusto per farli passare, e subito richiuso. A mo’ di corrimano, una
grossa corda andava dal portone alla porta principale dell’edificio, Un po’ più
avanti, sulla sinistra, c’è una corda, afferratela e proseguite, sempre
diritto, fino ai gradini, i gradini sono sei, li avvisò un sergente.
All’interno la corda si divideva in due, una diramazione a sinistra, l’altra a
destra, il sergente gli aveva urlato, Attenzione, il vostro lato è il destro.
Mentre trascinava la valigia, la moglie guidava il marito verso la camerata che
si trovava più vicina all’ingresso.
Quando raggiunse di nuovo il
marito, gli domandò, Riesci a immaginare dove ci hanno portato, No, e stava per
aggiungere In un manicomio, ma lui la prevenne, Tu non sei cieca, non posso
consentirti di restare qui, Sì, hai ragione, non sono cieca, Gli chiederò di
portarti a casa, dirò che li hai ingannati per restare con me, Non vale la
pena, da fuori non ti sentono, e an che se ti sentissero non ti darebbero
retta, Ma tu vedi, Per il momento, la cosa più sicura è che diventerò cieca
anch’io uno di questi giorni, o fra un minuto, Vattene via, per favore, Non
insistere, del resto scommetto che i soldati non mi farebbero neanche metter
piede sui gradini, Non ti posso obbligare, Infatti no, amore mio, non puoi,
resto per aiutare te, e gli altri che verranno, ma non dir loro che ci vedo,
Quali altri, Non crederai che saremo gli unici, è una follia, Per forza, siamo
in un manicomio. Gli altri ciechi
arrivarono insieme. Li avevano presi nelle rispettive case, uno dopo l’altro.
Era una creatura semplice,
incapace di mentire, anche a fin di bene.
Nel manicomio avrebbero dovuto
apprendere a spese dei propri dolori. Il ragazzino piangeva, voleva la mamma, e
la ragazza cercava di calmarlo, Ora viene, ora viene, gli diceva, solo perché
diceva Ora viene, ora viene, sembrava quasi che stesse vedendo entrare dalla
porta la madre disperata.
Probabilmente pensavano non ci
fosse nessun altro nelle stesse condizioni, e non avevano perduto la vista da
sufficiente tempo perché il senso dell’udito gli si fosse avvivato al di sopra
della norma.
Fu pronunciata tre volte la
parola Attenzione, poi la voce attaccò, Al Governo rincresce di essere stato
costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e suo
dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo
attraversando, quando sembra si verifichi qualcosa di simile a una violenta
epidemia di cecità, provvisoriamente designata come mal bianco, e desidererebbe
poter contare sul senso civico e la collaborazione di tutti i cittadini per
bloccare il propagarsi del contagio, nell’ipotesi che di contagio si tratti,
nell’ipotesi che non ci si trovi unicamente davanti a una serie di coincidenze
per ora inspiegabili. La decisione di riunire in uno stesso luogo le persone
colpite, e, in luogo prossimo, ma separato, quelle che con esse hanno avuto
qualche tipo di contatto, non è stata presa senza seria ponderazione. Il
Governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta
da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch’essi, da
cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando
anche che l’isolamento in cui adesso si trovano rappresenterà, al di là di
qualsiasi altra considerazione personale, un atto di solidarietà con il resto
della comunità nazionale.
Detto ciò, richiamiamo
l’attenzione di tutti alle istruzioni che seguono.
Chi abbandonerà l’edificio senza
autorizzazione verrà immediatamente passato per le armi, ripeto, immediatamente
passato per le armi.
Tre volte al giorno saranno
depositate razioni di cibo alla porta d’ingresso, a destra e a sinistra,
destinate, rispettivamente, ai pazienti e ai sospetti di contagio.
Gli internati non dovranno
contare su alcun tipo di intervento dall’esterno nell’ipotesi che fra di essi
si verifichino malattie, nonché l’insorgere di disordini o aggressioni.
I sospetti di contagio che
dovessero diventare ciechi passeranno immediatamente nell’ala destinata a
coloro che già lo sono, quindicesimo, questa comunicazione sarà ripetuta tutti
i giorni, a questa stessa ora, per conoscenza dei nuovi ammessi. Il Governo e
la Nazione si aspettano che ciascuno compia il proprio dovere. Buonanotte.
Il medico disse, Gli ordini che
abbiamo sentito non lasciano dubbi, siamo isolati, più isolati di quanto
probabilmente lo sia mai stato nessuno, e senza speranza di potere uscire da
qui prima che si scopra il rimedio per la malattia, La sua voce mi è nota, disse
la ragazza, Sono medico, sono un oculista, è il medico che ho consultato ieri,
è la sua voce, Sì. E quel piccino che sta con lei, Non è mio, io non ho figli,
Ieri ho visitato un ragazzino, sei tu, domandò il medico, Sì.
Il medico tese la mano incerta
verso la moglie e la incontrò a metà strada. Lei andò a baciargli il viso,
nessuno avrebbe potuto più vedere.
Sembrava
che vedessero e non vedevano.
Disse la ragazza, Sarebbe meglio
che lei, dottore, fosse il responsabile, è pur sempre un medico, A cosa serve un
medico senza occhi né medicine, Ma è per l’autorità. La moglie del medico
sorrise, Penso che dovresti accettare, se gli altri sono d’accordo, è chiaro. Non
credo sia una buona idea, Perché, Per il momento siamo solo in sei, ma domani
saremo certamente di più, verrà gente tutti i giorni, sarebbe come scommettere
sull’impossibile contare che fossero tutti disposti ad accettare un’autorità
che non hanno scelto e che, per giunta, non avrebbe niente da dare in cambio
della loro deferenza, il che sarebbe come supporre che riconoscerebbero
un’autorità e una regola, Allora sarà difficile vivere qui, Saremo molto
fortunati se sarà solo difficile.
Ciascuno
tirerà l’acqua al proprio mulino.
Spinto forse da queste parole,
uno degli uomini si alzò bruscamente in piedi, questo signore è il colpevole
della nostra infelicità. Mentre indicava nella direzione in cui credeva stesse
l’altro. Il drammatico gesto risultò comico perché il dito puntato, accusatore,
indicava un innocente comodino.
Vi state comportando in maniera stupida,
rimproverò il medico, se avete in mente di far diventare questo posto un
inferno, continuate pure, siete sulla buona strada, ma ricordatevi che siamo in
mano a noi stessi, aiuti da fuori, nessuno, avete sentito cosa ho detto.
Ma questa cecità è talmente
anomala, talmente al di fuori di quanto la scienza conosce, che non potrà
durare sempre, E se dovessimo rimanere così per il resto della vita, Noi, Tutti
quanti, Sarebbe terribile, un mondo di ciechi, Non voglio neanche immaginarlo.
Dalle finestre, che partivano a
metà della parete e arrivavano a un palmo dal soffitto, entrava la luce opaca e
azzurrata del primo mattino. Non sono cieca, mormorò, e subito allarmata si
sollevò sul letto, la ragazza dagli occhiali scuri che occupava la branda di
fronte poteva aver sentito. Dormiva. Nel letto accanto, appoggiato alla parete,
anche il ragazzino dormiva, Ha fatto come me, pensò la moglie del medico, gli
ha dato il posto più riparato, ben fragili mura gli saremmo, un semplice sasso
in mezzo alla strada, con la sola speranza che il nemico, quale nemico, qui non
verrà nessuno ad attaccarci, potremmo aver rubato e assassinato, ma non
verrebbero certo ad arrestarci.
Siamo talmente lontani dal mondo
che fra poco cominceremo a non saper più chi siamo, neanche abbiamo pensato a
dirci come ci chiamiamo, e a che scopo, a cosa ci sarebbero serviti i nomi; noi, qui, ci conosciamo dal modo di parlare,
il resto, lineamenti, colore degli occhi, della pelle, dei capelli, non conta,
è come se non esistesse, io vedo ancora, ma fino a quando.
Il minimo incidente, in queste
condizioni, può trasformarsi in tragedia, probabilmente è proprio quanto si
aspettano, che finiamo tutti uno dopo l’altro.
La moglie del medico si alzò dal
letto, si chinò sul marito, stava per svegliarlo, ma non ebbe il coraggio di
strapparlo al sonno e restituirlo alla coscienza di essere ancora cieco.
Lei
osservava e serenamente desiderò di essere cieca anche lei, di attraversare la
pellicola invisibile delle cose e passare al loro interno, verso la propria folgorante
e irrimediabile cecità.
Non avevano bisogno di vedere per
sapere che stavano entrando dei ciechi. La moglie del medico si alzò,
istintivamente sarebbe andata ad aiutare i nuovi arrivati, a rivolger loro una
parola gentile, a guidarli fino alle brande, a informarli. Non si mosse, ma
disse al marito, Stanno arrivando.
Quando coloro che un istante
prima erano salvi dalla cecità, erano diventati ora ciechi e avevano cominciato
perciò a lamentarsi, gli altri li avevano messi fuori senza pensarci due volte,
senza neanche dar loro il tempo di congedarsi da un parente o da un amico che
fosse lì con loro.
Sarà meglio che cominciate a
contarvi, e che ciascuno dica chi è. Immobili, i ciechi esitarono, ma qualcuno
doveva pur iniziare, due uomini parlarono contemporaneamente, capita sempre,
tacquero tutti e due, e fu il terzo a cominciare.
Dove sei, dimmi dove sei, Qui,
sono qui, diceva lei piangendo e camminando vacillante per la corsia, con gli
occhi spalancati, le mani in lotta contro il mare di latte in cui entravano.
Più sicuro, lui avanzò verso di lei, Dove sei, dove sei, adesso mormorava come
se pregasse. Una mano incontrò l’altra, un istante dopo erano abbracciati, un
corpo solo, i baci cercavano i baci, a volte si perdevano nel vuoto perché non
sapevano dov’erano i visi.
Allora si udì la voce del
ragazzino domandare, C’è anche mia madre. Seduta sul letto, la ragazza mormorò,
Verrà, non ti preoccupare, che verrà.
Come del resto non c’è da
sorprendersi che cerchino tutti di stare il più possibile uniti, ci sono molte
affinità fra loro, alcune già note, altre che si riveleranno adesso.
La
gioia e la tristezza possono fondersi, non sono come l’acqua e l’olio.
E se un’ultima ombra di rancore
le ottenebrava ancora lo spirito, questa si dissipò di certo quando il ferito
gemette miserevolmente.
Chi
è costui, la risposta venne dal primo cieco, è medico, un medico degli occhi,
Questa è la più bella che ho sentito in vita mia, disse l’autista, guarda un
po’ se ci doveva toccare l’unico medico che non ci servirà a niente, Ci è
toccato anche un autista che non ci porterà da nessuna parte, ribatté con
sarcasmo la ragazza.
Vado a dirgli che abbiamo una
persona con una grave infezione e non ci sono medicine, Ricordati dell’avviso,
Sì, ma forse davanti a un caso concreto, Ne dubito, Anch’io, ma è nostro dovere
tentare. Sul pianerottolo la luce del giorno stordì la donna, e non perché
fosse troppo intensa, nel cielo si muovevano nuvole scure, forse stava per
piovere, In pochissimo tempo ho perduto l’abitudine al chiarore, pensò. Nello
stesso istante un soldato gridò loro dal portone, Alt, tornate indietro, ho
ordine di sparare, e subito dopo, con lo stesso tono, puntando l’arma,
Sergente, qui ce ne sono alcuni che vogliono uscire, Non vogliamo uscire, negò
il medico.
Ve lo consiglio caldamente, disse
il sergente mentre si avvicinava, e, spuntando dietro le grate del portone,
domandò, Cosa c’è, Uno si è ferito a una gamba e presenta un’infezione
conclamata, ci servono immediatamente antibiotici e altri medicinali, Gli
ordini che ho sono molto chiari, uscire, non esce nessuno, entrare, solo cibo,
Se l’infezione si aggrava, il che avverrà di certo, il caso può divenire
rapidamente fatale, Non mi riguarda, Allora lo comunichi ai suoi superiori,
Senta un po’, signor cieco, adesso gliela comunico io una cosa a lei, o ve ne
tornate immediatamente là da dove siete venuti, o vi beccate una pallottola,
Andiamo, disse la moglie, non c’è niente da fare, non è colpa loro, hanno una
gran paura e obbediscono agli ordini, Non voglio credere che stia accadendo per
davvero, è contrario a ogni principio umanitario, Farai meglio a crederci,
perché non ti sei mai trovato davanti a una verità tanto evidente, Siete ancora
lì, urlò il sergente, conterò fino a tre, se al tre non sarete scomparsi dalla
mia vista state pur certi che non rientrerete più, uuuno, duuue, treee, ecco
fatto, parole benedette, e rivolto ai soldati, Neanche se fosse mio fratello,
senza spiegare a chi si riferiva, all’uomo che era andato a chiedere i medicinali
o all’altro, dal la gamba infettata.
Il ferito domandò se avrebbero
mandato le medicine, Come sa che sono andato a chiederle, domandò il medico,
L’ho immaginato, lei è medico.
Riassumendo quanto aveva scoperto
sui libri prima di diventare cieco, il medico disse, Non credo la si possa
definire in senso stretto una malattia. In realtà gli occhi non sono che lenti,
obiettivi, è il cervello che vede realmente, proprio come l’immagine compare
sulla pellicola.
Per quanto tempo dovremo rimanere
qui. Per lo meno finché saremo incapaci di vedere, E per quanto tempo,
Francamente penso che non lo sappia nessuno, è una cosa passeggera, o durerà
per sempre, Magari lo sapessi.
Non
domandano, i ciechi. Presumono di sapere. A quanto appare agli occhi d’altri
ciechi sembrava che sapessero, ma non sapevano.
Per
la prima volta da quando era entrata qui dentro, la moglie del medico si sentì
come se, a un microscopio, stesse osservando il comportamento di certi esseri
che non potevano neanche sospettare la sua presenza, e questo le parve
improvvisamente indegno, osceno, Non ho il diritto di guardare se gli altri non
possono guardare me, pensò.
Il vitto continuava a essere per
cinque. Siamo undici, urlò ai soldati, e lo stesso sergente rispose, State
tranquilli, sarete molti di più, e lo disse con un tono di scherno.
Così
aveva stabilito il destino.
Tacevano, come se ancora non
riuscissero a rendersi conto di cosa gli era capitato.
Improvvisamente si udirono,
provenienti dalla strada, grida confuse, ordini impartiti fra gli urli, un
furioso schiamazzo. I ciechi della camerata voltarono tutti la faccia verso la
porta, in attesa. Non potevano vedere, ma sapevano cosa sarebbe accaduto nei
minuti seguenti. La moglie del medico, seduta sul letto accanto al marito,
disse a bassa voce, Era inevitabile, l’inferno preannunciato sta iniziando.
Non ti allontanare, da ora in poi
non potrai fare niente. Le grida erano
scemate, adesso si udivano rumori confusi nell’atrio, erano i ciechi, condotti
in gruppo, si scontravano gli uni contro gli altri, alcuni avevano perso
l’orientamento, nessuno poteva opporsi al delirio di questa onda, ma per la
maggior parte inciampavano agitando penosamente le mani come chi sta affogando.
Qualcuno cadde, non fu soccorso, ma calpestato.
Avevano
paura di perdersi nel labirinto che s’immaginavano.
Si avventurarono nell’ignoto.
Come alla ricerca di un ultimo e ancora sicuro rifugio.
Al Governo rincresce di essere
stato costretto a esercitare energicamente quello che considera suo diritto e
suo dovere, proteggere con tutti i mezzi la popolazione nella crisi che stiamo
attraversando. . .
Si levò un coro indignato di
proteste, Siamo rinchiusi, Moriremo tutti qui, Il diritto non esiste, Dove sono
i medici che ci avevano promesso, ecco una novità, le autorità avevano promesso
medici, assistenza, fors’anche una cura completa. Il medico non disse che, se
avessero avuto bisogno di un medico, c’era lui. Non lo avrebbe detto mai più. A
un medico non bastano le mani, un medico cura con farmaci, droghe, composti
chimici, combinazioni di questo e di quello, e qui non ce n’è traccia, né c’è
la speranza di ottenerne.
Avvertiva l’ambiente pesante,
teso, ormai ai limiti di un conflitto, che si era creato dopo l’arrivo degli
ultimi ciechi. Ciechi da pochi giorni e senza l’aiuto di nessuno.
Mio Dio, quanto ci mancano gli
occhi, vedere, vedere, sia pur appena delle vaghe ombre, stare davanti a uno
specchio, guardare una macchia scura diffusa e poter dire, Quella è la mia
faccia, ciò che ha luce non mi appartiene.
Si fece buio. Si udirono degli
urli. Poi il silenzio, se qualcuno piangeva lo faceva sommessamente, il pianto
non attraversava le pareti.
Non
dobbiamo pensare al peggio, Io ci penso, o forse è la cecità che sta pensando
per me.
I
ciechi si addormentarono. Alcuni si erano coperti anche la testa, come se
desiderassero che l’oscurità, un’oscurità autentica, una nera oscurità potesse
spegnere definitivamente quei soli offuscati in cui si erano trasformati i loro
occhi. E mormoravano sognando,
forse vedevano in sogno ciò che sognavano, forse dicevano, Se questo è un
sogno, non voglio svegliarmi. I loro orologi erano tutti fermi, si erano
dimenticati di caricarli o avevano pensato che non ne valesse la pena, solo
quello della moglie del medico continuava a funzionare.
Come un branco di lupi
improvvisamente risvegliati, i dolori accorsero da tutte le direzioni per
rientrare subito dopo nel lugubre cratere cui si alimentavano. Il freddo e la
febbre gli fecero serrare i denti. Il ferito pian piano avanzò fra i ciechi
addormentati. Dove va a quest’ora, che cosa aveva in mente. Sono io che devo
andare, quando mi vedranno in questo stato si renderanno conto immediatamente
che sto male. Mi medicheranno la gamba, mi cureranno come potranno e mi
porteranno in un ospedale, ci sarà pure un ospedale riservato ai ciechi. Se
vogliono, possono pure riportarmi qui. Non me ne importa. Continuò ad avanzare.
All’improvviso, senza che lo
avesse calcolato, la coscienza si svegliò e lo rimproverò aspramente di essere
stato capace di derubare un povero cieco.
La
coscienza non era disposta a dibattiti casuistici, le sue ragioni erano
semplici e chiare, Un cieco è sacro, un cieco non lo si deruba.
Dimenticando per un istante di
essere cieco, girò la testa come per accertarsi di quanto gli mancava ancora e
si ritrovò davanti lo stesso biancore senza fondo. Sarà notte, sarà giorno, si
domandò, beh, se fosse giorno mi avrebbero già visto, inoltre c’è stata solo
una colazione, e molte ore fa. Lo sgomentavano lo spirito logico che stava
scoprendo in se stesso, la rapidità e la giustezza dei ragionamenti, si vedeva
diverso, un altro uomo. Sarebbe stato pronto a giurare di non essersi mai
sentito tanto bene in vita sua.
Molto lentamente, nello spazio
fra due sbarre verticali, come un fantasma, cominciò ad apparire una faccia
bianca. La faccia di un cieco. La paura
fece ghiacciare il sangue del soldato, e fu la paura a fargli puntare l’arma e
sparare una raffica a bruciapelo.
I soldati avevano finito di
equipaggiarsi e aspettavano in riga, con i fucili in mano. Accendete il faro,
ordinò il sergente. Uno dei soldati salì sulla piattaforma del mezzo. Qualche
secondo dopo la luce abbagliante illuminò il portone e la facciata
dell’edificio. Non c’è nessuno, animale, disse il sergente, e si accingeva a
proferire amenità quando vide che si stava spandendo, nella luce violenta, una
pozza nera. L’hai fatto fuori, disse. Poi, ricordandosi degli ordini rigorosi
che gli erano stati dati, urlò, Fatevi indietro, questo sangue è contagioso. I
soldati indietreggiarono, timorosi, ma continuarono a guardare la pozza di
sangue che lentamente si spargeva negli interstizi fra i sassolini del
marciapiede. Credi sia morto, domandò il sergente, Sì, rispose il soldato, ora,
mentre era contento per l’ovvia dimostrazione della sua buona mira, divenne
cieco. In quel momento un altro soldato urlò nervosamente, Sergente, sergente,
guardi lì. Nel pianerottolo della scala, in piedi, illuminati dalla luce bianca
del proiettore, si vedevano dei ciechi, più di una decina, Fermi lì, strillò il
sergente, un solo passo e faccio fuoco su tutti. Alle finestre dei palazzi di
fronte alcune persone, risvegliate dagli spari, guardavano spaventate da dietro
i vetri.
Aveva visto, dietro le finestre
chiuse del corridoio che proseguiva nell’ala riservata ai sospetti di contagio,
più basse in quella parte dell’edificio, volti allarmati, di persone in attesa
della propria ora, di quel momento inevitabile in cui avrebbero dovuto dire
alle altre Sono diventato cieco, o di quando, se avessero tentato di nascondere
l’accaduto, le avrebbe denunciate un gesto sbagliato, un movimento del capo
alla ricerca di un’ombra, un inciampo ingiustificato in chi gli occhi ce li ha.
Se
prima di ogni nostro atto ci mettessimo a prevederne tutte le conseguenze, a
considerarle seriamente, anzitutto quelle immediate, poi le probabili, poi le
possibili, poi le immaginabili, non arriveremmo neanche a muoverci dal punto in
cui ci avrebbe fatto fermare il primo pensiero. I buoni e i cattivi risultati
delle nostre parole e delle nostre azioni si vanno distribuendo,
presumibilmente in modo alquanto uniforme ed equilibrato, in tutti i giorni del
futuro, compresi quelli, infiniti, in cui non saremo più qui per poterlo
confermare, per congratularci o chiedere perdono. D’altro canto c’è chi dice
sia questa l’immortalità di cui tanto si parla.
Davanti alla morte, quel che ci
si aspetta dalla natura è che i rancori perdano forza e veleno, certo, è vero,
si dice tuttavia, L’odio non si consuma, e prove non ne mancano nella
letteratura e nella vita.
Si vede che sono persone educate,
e hanno sempre qualche cosa da dirsi,
altri non hanno più parlato, ma in loro, probabilmente, l’attuale tristezza ha
prevalso sul precedente amore, con il tempo si abitueranno.
Era venuto a sostituire l’altro
sergente, che era diventato cieco.
Due soldati, reagirono in maniera
esemplare davanti al pericolo. Dominando, Dio solo sa come e perché, una
legittima paura, avanzarono fino alla soglia della porta e vuotarono i
caricatori. I ciechi cominciarono a cadere uno sull’altro, mentre crollavano al
suolo venivano colpiti da altre pallottole che ormai erano un puro spreco di
munizioni, fu tutto in credibilmente lento, un corpo, un altro corpo, sembrava
non finissero più di cadere.
Se mai ancora un soldato dovesse
dar conto delle pallottole che spara, questi potrebbero giurare sulla bandiera
di aver agito per legittima difesa, e per giunta anche per difesa dei loro
compagni disarmati che erano in missione umanitaria e all’improvviso si erano
visti minacciati da un gruppo di ciechi numericamente superiore.
Indietreggiarono correndo all’impazzata verso il portone, coperti dai fucili
che gli altri soldati del picchetto puntavano tremanti fra le sbarre di ferro,
come se i ciechi rimasti vivi fossero stati in procinto di compiere una sortita
di vendetta. Illividito dallo spavento, uno di quelli che avevano sparato
diceva, Là dentro non ci torno neanche se mi ammazzano, e infatti non ci tornò.
Di punto in bianco, quello stesso giorno, verso la fine del pomeriggio, all’ora
della consegna andò ad aumentare di uno il numero dei ciechi, fortuna sua che
era dell’esercito perché, altrimenti, sarebbe rimasto lì a far compagnia ai
ciechi borghesi, colleghi di quelli che aveva ammazzato a fucilate, e Dio sa
cosa gli avrebbero fatto.
Il sergente aggiunse poi, La cosa
migliore sarebbe lasciarli morire di fame. Come sappiamo, non manca chi lo
abbia detto e pensato più volte, per fortuna un prezioso residuo di senso
umanitario a questo gli fece dire, D’ora in poi lasceremo il cibo a metà strada.
Riunendo le parole come meglio
poté, ricorrendo al ricordo di altre parole analoghe ascoltate in occasioni più
o meno simili, disse, All’esercito rincresce di essere stato costretto a
reprimere con le armi un moto sedizioso responsabile della creazione di una situazione
di rischio imminente, della quale non ha avuto alcuna colpa direttamente o
indirettamente, e avvisa che da oggi in poi gli internati andranno a ritirare
il cibo fuori dall’edificio, essendo avvertiti fin d’ora che subiranno le
conseguenze qualora si manifesti un tentativo di alterare l’ordine, com’è
accaduto adesso e com’era accaduto la notte scorsa. Fece una pausa, non sapendo
molto bene come fosse conveniente concludere, si era dimenticato le parole
appropriate, che sicuramente c’erano, seppe solo ripetere, Non è stata colpa
nostra, non è stata colpa nostra.
Il
lume che precede illumina due volte, lo hanno già detto gli antichi di ogni
tempo e luogo, e gli antichi non erano mica degli idioti in queste faccende.
Chi
ci dice che questa cecità bianca non sia proprio un male dello spirito.
Il
male, che, come tutti sanno, è sempre stato il più facile da compiere.
Può
tanto l’immaginazione, e in circostanze morbose come questa pare possa tutto.
Fra
i ciechi c’era una donna che dava l’impressione di trovarsi contemporaneamente
dappertutto, aiutando a caricare, comportandosi come se guidasse gli uomini,
cosa evidentemente impossibile per una cieca.
Tale era l’avvilimento che uno di
essi arrivò al punto di dire, e ciò dimostra quanto fossero disperati, Se
proprio dobbiamo diventare ciechi, se è questo il nostro destino, tanto
varrebbe trasferirci subito, almeno avremmo di che mangiare.
Con più che censurabile
disonestà, vollero far credere di essere in maggior numero di quanti fossero di
fatto. Malintenzionati e cattivi d’animo furono anche quelli che non solo
tentarono, ma riuscirono a ricevere il cibo due volte.
Il
vantaggio di cui godevano questi ciechi era quello che si potrebbe definire
l’illusione della luce. In verità, per loro non faceva differenza che fosse giorno
o notte, crepuscolo del mattino o dell’imbrunire, silente alba o rumoroso
mezzodì, i ciechi erano sempre circondati da uno splendente biancore, come il
sole nella nebbia. Per costoro la cecità non significava vivere banalmente
circondati da tenebre, ma all’interno di un bianco splendore luminoso.
Il
radicale ed elegante metodo del passo avanti. Riconoscere l’errore.
La
dura esperienza della vita, maestra suprema di tutte le discipline.
Cieco,
cieco, cieco, e senza riuscire a dominarsi cominciò a piangere silenziosamente.
Adesso regnava un dolente silenzio.
Si domandava se sarebbe mai
arrivata a diventare cieca come loro, quali ragioni inesplicabili l’avevano
preservata fino ad allora.
Fissò meglio lo sguardo, vide che
la lancetta dei secondi non si muoveva. Si era dimenticata di caricare quel
maledetto orologio, o maledetta lei, maledetta io, che neppure quel
semplicissimo dovere avevo saputo compiere, dopo appena tre giorni di
isolamento. Non riuscendo a dominarsi, scoppiò in un pianto dirotto, come se le
fosse appena successa la peggiore delle disgrazie. Il medico pensò che la
moglie fosse diventata cieca, che fosse accaduto ciò che tanto temeva, e
sragionando stava quasi per domandarle Sei diventata cieca, ma all’ultimo
istante udì il suo mormorio, Non è questo, non è questo, e poi, in un lento
sussurro, quasi inudibile, con le teste nascoste sotto la coperta, Sono una
stupida, non ho caricato l’orologio, e continuò a piangere, inconsolabile.
Ancora singhiozzante, la moglie
del medico si alzò dal letto, abbracciò la ragazza, Non è niente, un po’ di
tristezza che mi ha assalito all’improvviso, disse, Se lei, signora, che è
tanto forte, comincia a scoraggiarsi, allora significa che per noi non c’è
davvero salvezza, si lamentò la ragazza. A cosa serve avere gli occhi limpidi,
e belli come lo sono questi, se non c’è nessuno a vederli.
Abbiamo
tutti i nostri momenti di debolezza, per fortuna siamo ancora capaci di
piangere, il pianto spesse volte è una salvezza, ci sono circostanze in cui
moriremmo se non piangessimo.
Per noi non c’è salvezza, ripeté
la ragazza, Chissà, questa cecità non è
come le altre, com’è venuta, così potrebbe scomparire.
Qualcuno era andato, al ritorno
aveva trovato il letto occupato, non era stato fatto apposta, l’altro si era
alzato, si erano incrociati strada facendo, ovviamente a nessuno dei due era
venuto in mente di dire, Veda un po’ di non sbagliare letto quando torna. In
piedi, la moglie del medico guardava i due ciechi discutere, quasi non
muovevano il corpo, avevano imparato in fretta che solo la voce e l’udito erano
adesso di qualche utilità, avrebbero potuto litigare e venire alle mani come si
suol dire, ma un letto scambiato non valeva tanto, se tutti gli errori della
vita fossero come questo, basterebbe mettersi d’accordo, Il due è mio, il tre è
il suo, sia chiaro una volta per tutte, Se non fossimo ciechi, questo sbaglio
non sarebbe avvenuto, Ha ragione, il guaio è che siamo ciechi. La moglie del
medico disse al marito, Il mondo è tutto
qui dentro.
Non possiamo fidarci, Io fuori
non ci vado, Neanche io, Qualcuno dovrà pur andare, se vogliamo mangiare, Non
so se sia meglio morire fucilato, o morire di fame a poco a poco, Io vado,
Anch’io, Non è necessario andare tutti, I soldati potrebbero non gradire, O
spaventarsi, credere che vogliamo scappare, magari è per questo che hanno
ucciso. I soldati hanno avuto paura di noi, E io ho paura di loro, Quello che
vorrei sapere è se diventano ciechi anche loro, Loro chi, I soldati, A mio
parere, dovrebbero essere addirittura i primi. Tutti furono d’accordo, senza
tuttavia domandarsene il perché, ci mancò chi ne spiegasse l’ottima ragione,
Perché così non potrebbero sparare.
Ciascuno riceve la propria parte,
è la maniera più semplice e più giusta, Non ha funzionato, c’è chi è rimasto a
bocca asciutta, E pure chi ha mangiato il doppio, La divisione è stata fatta
male, Sarà sempre fatta male se non ci saranno rispetto e disciplina. Se
avessimo qualcuno che ci vedesse almeno un minimo, Sì, così troverebbe subito uno
stratagemma per tenersene la maggior parte.
Abbiamo a che fare con gente
onesta. No. Abbiamo a che fare con gente affamata.
Il cambiamento di tono, chiaro
anche per chi non avesse ulteriori motivi di diffidenza, spaventò i ciechi. Uno
di essi dichiarò, Io da qui non esco, quello che vogliono è di beccarci fuori
per poi ammazzarci tutti, Io pure non esco, disse un altro, Neanche io, rincarò
un terzo. Stavano lì fermi, titubanti, alcuni volevano uscire, ma la paura si
stava impossessando di tutti.
Venite avanti, venite avanti,
ordinò il sergente. In modo confuso, i ciechi cercavano di mettersi in fila per
poter avanzare ordinatamente, ma il sergente gridò loro, Le casse non sono lì,
lasciate la corda, lasciatela, spostatevi a destra, la vostra, la vostra,
stupidi ignoranti, non c’è bisogno degli occhi per sapere da che lato sta la
mano destra. Il desiderio dei soldati era di puntare le armi e fucilare
deliberatamente, freddamente, quegli imbecilli che si muovevano davanti ai loro
occhi.
Sapevano
quel che era stato detto la mattina dal comandante del reggimento, che il
problema dei ciechi si sarebbe potuto risolvere solo con l’eliminazione fisica
di tutti quanti, gli attuali e i futuri, senza considerazioni falsamente
umanitarie. La parola di un comandante di reggimento, sempre figurativamente
parlando, vale quanto pesa, nessuno arriva tanto “in alto” nella vita militare
senza aver ragione in tutto quanto pensa, dice e fa. Tuttavia le parole del
comandante del reggimento costituiscono l’eccezione di questa regola: Queste
parole dimostrano che giungere “in alto” può non aver alcun merito
riconoscibile. Sono pronunciabili solo giudizi di rimprovero ad un uomo che,
con tale leggerezza e cecità, consiglia ai propri uomini, che ripongono in lui
cieca fiducia, di commettere un genocidio.
L’uomo cieco non sapeva che i
soldati lo tenevano di mira col fucile, in attesa che calpestasse la linea
invisibile per cui si passava dalla vita alla morte. Quanto ai soldati, si sa,
gli danno un ordine e loro ammazzano, gliene danno un altro e loro muoiono,
Sparate solo al mio comando, urlò il sergente. Queste parole fecero comprendere
al cieco il pericolo in cui si trovava. Si mise in ginocchio, implorando, Per
favore, aiutatemi, ditemi dove devo andare, Avanti, caro cieco, vieni avanti,
disse da lontano un soldato in tono
falsamente amichevole, il cieco si alzò, fece tre passi, ma si bloccò di
nuovo, il verbo gli parve sospetto, vieni avanti non è vai avanti, vieni avanti
vuol dire verso qui, proprio verso qui, in questa direzione, arriverai dove ti
stanno chiamando, incontro alla pallottola che ti sostituirà una cecità con
un’altra. Fu un’iniziativa per così dire
criminale di un soldato dall’animo cattivo, che il sergente stroncò
immediatamente con due strilli successivi, Alt, Dietrofront, seguiti da un
severo richiamo all’ordine del disobbediente, a quanto pare appartenente a
quella specie di persone cui non si può mettere un fucile in mano. Animati dal
benevolo intervento del sergente, i ciechi che avevano raggiunto il
pianerottolo della scala attaccarono con un fortissimo baccano che finì per
servire da polo magnetico al disorientato non vedente. Ormai sicuro di sé,
questi avanzò in linea retta, Continuate, continuate, diceva mentre i ciechi
applaudivano come se stessero assistendo a un lungo, vibrante e intrepido
sprint. Fu accolto fra gli abbracci, come
si meritava, è nelle avversità, sia le provate sia le prevedibili, che si
riconoscono gli amici. Non durò molto la fraternizzazione. Approfittando
della confusione, alcuni ciechi violarono
il sacro principio della proprietà collettiva, erano fuggiti con le casse,
quelle che riuscirono a trasportare, un modo palesemente sleale di prevenire
ipotetiche ingiustizie nella distribuzione. Quelli
in buona fede, che ce n’è sempre per quanto se ne dica, protestarono,
indignati, che così non si poteva campare, Se
non possiamo fidarci gli uni degli altri, dove andremo a finire, si domandavano
alcuni.
Mangiamo
prima, disse uno dei ciechi, e la maggioranza pensò che sì, era meglio mangiare
prima. Disgraziatamente, solo quel poco che gli era rimasto dopo l’infame
furto. In quel momento, in qualche luogo nascosto, i ladri con ogni probabilità
consumavano razioni doppie e triple di una vivanda che, inaspettatamente,
sembrava più buona, costituita da caffelatte, per la verità freddo, biscotti e
pane con margarina, mentre la gente onesta non poteva far altro che saziarsi
con dosi due o tre volte minori, e non di tutto.
La
cosa fondamentale è non perdere il rispetto di noi stessi.
Domandare se c’è qualcuno fra noi
che conosca delle storie da raccontare la sera, storie, favole, aneddoti,
tant’è, pensate che fortuna se qualcuno conoscesse la Bibbia a memoria,
ripeteremmo tutto partendo dalla creazione del mondo, l’importante è che ci
ascoltiamo a vicenda, peccato non ci sia una radio, la musica è sempre stata
una grande distrazione, e avremmo potuto seguire le notizie, per esempio se si
scoprisse una cura per la nostra malattia, che gioia sarebbe.
Poi accadde ciò che doveva
accadere. Si udirono degli spari nella strada. Il ministero della sanità aveva
avvisato l’esercito, Ne invieremo circa duecento.
L’
occhio che è cieco trasmette la cecità all’occhio che vede, niente di più
semplice. C’è un colonnello, qui da noi,
secondo il quale la soluzione sarebbe quella di ammazzare i ciechi a mano a
mano che si presentano, Morti, invece che ciechi, non modificherebbe
molto il quadro, Essere cieco non è tale e quale a essere morto, Sì, ma essere
morto è tale e quale a essere cieco, Beh, allora saranno circa duecento, Sì. Quello
stesso giorno, nel tardo pomeriggio, l’Esercito chiamò il Ministero della
Sanità, Volete sapere la novità, quel
colonnello di cui parlavo è diventato cieco, Chi sa cosa ne penserà adesso dell’idea
che aveva, Ci ha già pensato, si è sparato un colpo alla testa, Atteggiamento
coerente, non c’è che dire, L’esercito è sempre pronto a dare l’ ”esempio”.
Da
civili quali erano, senza alcun ordine, non si ricordarono neanche di mandare
avanti le donne e i bambini, come negli altri naufragi. non tutti gli spari
erano stati mirati in aria, uno dei conducenti si era rifiutato di andare con i
ciechi, protestò che ci vedeva perfettamente, il risultato, tre secondi dopo,
diede ragione al Ministero della Sanità quando aveva affermato che essere morto
è tale e quale a essere cieco.
Cecità, è sempre stato il loro
modo di vivere. Qui ce ne sono alcuni che gridano di paura o di rabbia, altri
ancora che imprecano, qualcuno ha lanciato una minaccia terribile e inutile.
C’era da aspettarselo. In base a
quanto si era concordato, c’era persino un regolamento predisposto dal
Ministero della sanità, quell’ala doveva essere riservata ai contaminati, e se
era vero che si poteva prevedere, con altissimo grado di probabilità, che alla
fine sarebbero diventati tutti ciechi, era anche vero, obbedendo alla pura
logica, che fino a quando i contaminati non fossero diventati ciechi non si
sarebbe potuto giurare che fossero effettivamente destinati a diventarlo. Uno
se ne sta dunque tranquillamente seduto a casa propria, fiducioso che, malgrado
gli esempi contrari, almeno nel suo caso tutto finisca per risolversi al
meglio, e all’improvviso vede avanzare nella propria direzione coloro che più
teme. In un primo momento i contaminati pensarono si trattasse di un gruppo par
loro, solo più numeroso, ma l’equivoco durò poco, quella gente era proprio
cieca.
Un momento terribile fu quando si
produsse un violento reflusso di gente che faceva di tutto per sottrarsi alla
confusione, all’imminente pericolo di schiacciamento, all’improvviso uscirono
un certo numero di quelli che erano già entrati, pensarono subito al peggio,
che i ciechi stessero per tornare indietro, ricordiamoci dei precedenti,
sarebbe potuta diventare una carneficina. Fortunatamente, il sergente si
dimostrò ancora una volta all’altezza della situazione, sparò egli stesso un
colpo in aria, con la pistola, solo per richiamare l’attenzione, e gridò con
l’altoparlante, Calma, voi che state sulla scala, indietreggiate un po’, tranquilli,
non spingete, aiutatevi a vicenda.
Correvano
invano. Uno dopo l’altro, tutti divennero ciechi.
L’ ultima ricchezza di ciascuno,
ormai perduta per sempre, chi troverà qualcosa dirà che gli appartiene.
Adesso
non ci vedono più, le coppie divise e i figli smarriti, i lamenti dei
calpestati, alcuni vanno in cerca dei loro amati senza trovarli, bisognerebbe
essere del tutto insensibili per dimenticare, come se niente fosse, le pene
della povera gente.
Una
razionale regolamentazione, attenta non solo alla maggiore efficacia possibile,
ma anche all’economia dello sforzo necessario a realizzare il lavoro. La
mentalità che obbligatoriamente dovrà determinare comportamenti sociali
creativi non si improvvisa né nasce spontaneamente.
Nel caso in esame sembra abbia
avuto influenza decisiva l’azione pedagogica della cieca in fondo alla
camerata, quella sposata con l’oculista, si è tanto affannata a dirci, Se non siamo capaci di vivere globalmente
come persone, almeno facciamo di tutto per non vivere globalmente come animali,
lo ha ripetuto tante volte che il resto della camerata ha finito per
trasformare in massima, in sentenza, in dottrina, in norma di vita, quelle
parole, in fondo semplici ed elementari. Probabilmente un tale stato d’animo, propizio alla comprensione delle necessità e delle
circostanze, è ciò che ha contribuito, ancorché in modo collaterale, alla
benevola accoglienza.
Gli era rimasto un alone di
sofferenza che aveva tenuto lontana la gente. Sono disposizioni del destino,
misteri degli arcani.
A
quel tempo si pensava che non si sarebbe andati oltre.
L’ascolto
è la vista di chi non vede.
Era
una canzone, una canzone qualunque, ma i ciechi si avvicinarono lentamente, non
si spingevano, si fermavano appena sentivano una presenza davanti a sé e stavano
lì a sentire, con gli occhi be ne aperti in direzione della voce che cantava,
alcuni piangevano, come probabilmente soltanto i ciechi possono piangere.
Nelle prime ventiquattr’ore,
disse, se era veritiera la notizia che circolava, c’erano stati centinaia di
casi, tutti uguali, tutti manifestatisi nella stessa maniera, rapidità
istantanea, assenza sconcertante di lesioni, biancore splendente del campo
visivo, nessun dolore prima, nessun dolore dopo. Il secondo giorno si parlò di
una certa diminuzione nel numero di nuovi casi, si passò dalle centinaia alle
decine, il che portò il Governo ad annunciare prontamente che, in base alle più
ragionevoli prospettive, la situazione sarebbe stata ben presto sotto
controllo. Da questo punto in avanti, salvo alcuni commenti qua e là che non si
sono potuti evitare, il suo racconto non sarà più seguito alla lettera,
sostituito piuttosto da una riorganizzazione del discorso orale, orientata nel
senso di valorizzare l’informazione con l’uso di un corretto e adeguato vocabolario.
Motivo di questa alterazione, non prevista prima, è il modo di esprimersi controllato, tutt’altro che dialettale, impiegato dal narratore, che per poco lo
squalificava come relatore complementare, importante, senza dubbio, giacché
senza di lui non avremmo modo di sapere quel che è successo nel mondo esterno,
come relatore complementare, dicevamo, di questi straordinari avvenimenti,
quando si sa che la descrizione di qualsiasi fatto ha solo da guadagnarne con
il rigore e la proprietà dei termini usati.
Doveva trattarsi, dunque, secondo
la nuova opinione scientifica e la conseguente e aggiornata interpretazione
amministrativa, di una casuale e sfortunata concomitanza temporale di
circostanze anch’esse per il momento non accertate e nella cui esaltazione
patogenica ormai era possibile, rilevava il comunicato del Governo, partendo
dall’elaborazione dei dati disponibili che indicano la prossimità di una chiara
curva di risoluzione, osservare indizi di esaurimento. Un commentatore
televisivo ebbe l’ingegnosità di trovare la metafora giusta quando paragonò
l’epidemia, o quel che fosse, a una freccia scagliata verso l’alto, che, nel
raggiungere il culmine dell’ascensione, si mantiene per un momento come
sospesa, e poi comincia a descrivere l’obbligatoria curva discendente che, a
Dio piacendo, e con questa invocazione il commentatore ritornava alla
trivialità degli scambi umani e al l’epidemia propriamente detta, poi ci
penserà la gravità ad accelerare, fino alla scomparsa del terribile incubo che
ci tormenta, una mezza dozzina di parole, queste, che comparivano continuamente
nei vari mezzi di comunicazione sociale, i quali finivano sempre col formulare
il compassionevole augurio che i poveri ciechi potessero recuperare ben presto
la vista perduta, promettendo loro, nel
frattempo, la solidarietà di tutta la società organizzata, sia ufficiale che
privata.
Non
c’è bene che sempre duri, né male che perduri, oppure, in versione letteraria,
Così come non c’è bene che duri sempre, non c’è male che sempre duri, massime
supreme di chi ha avuto il tempo di apprendere dalla vita e dalla
fortuna, e che, trasposte fra i ciechi, andranno lette come segue, Ieri
vedevamo, oggi non vediamo, domani vedremo, con una leggera intonazione
interrogativa nella terza parte della frase, come se la prudenza, all’ultimo
istante, avesse deciso, per sì e per no, di aggiungere l’ambiguità del dubbio
alla speranzosa conclusione. Disgraziatamente, non tardò a dimostrarsi
l’inanità di tali voti, le aspettative del Governo e le previsioni della comunità
scientifica andarono semplicemente a rotoli. La cecità stava dilagando.
Davanti all’allarme sociale,
ormai sul punto di esserne travolte, le autorità promossero in tutta fretta
riunioni mediche, soprattutto di oculisti e neurologi. Per via del tempo che
fatalmente avrebbe richiesto la sua organizzazione, non si arrivò a convocare
il congresso che alcuni preconizzavano, ma in compenso non mancarono i
colloqui, i seminari, le tavole rotonde, alcune aperte al pubblico, altre
celebrate a porte chiuse. L’effetto combinato della palese inutilità dei dibattiti e i casi di alcune cecità improvvise
verificatesi nel corso delle sedute, portarono i giornali, la radio e la
televisione, quasi tutti, a cessare di occuparsi di tali iniziative, a eccezione
del discreto e sotto ogni aspetto
lodevole comportamento di certi organi di comunicazione che, campando a forza
di scandali di ogni tipo, delle grazie e delle disgrazie altrui, non erano
disposti a perdere una sola occasione si presentasse di riferire in diretta,
con la drammaticità che la situazione giustificava, la cecità improvvisa, per
esempio, di un cattedratico di oculistica.
La prova del progressivo deterioramento dello stato d’animo generale la diede lo
stesso Governo, modificando per ben due volte, in una mezza dozzina di giorni,
la propria strategia. Prima, aveva creduto fosse possibile circoscrivere il
male ricorrendo all’isolamento dei ciechi e dei contaminati in certi spazi
discriminati, come il manicomio in cui ci troviamo. Poi, l’inesorabile aumento
dei casi di cecità portò alcuni influenti membri del Governo, timorosi che
l’iniziativa ufficiale non corrispondesse abbastanza alle richieste, il che
avrebbe determinato pesanti penalizzazioni politiche, a sostenere l’idea che
dovesse spettare alle famiglie sorvegliare in casa i propri ciechi, non
lasciandoli uscire, al fine di non complicare il già difficile traffico e di
non offendere la sensibilità di coloro che ancora vedevano con gli occhi e che,
indifferenti alle opinioni più o meno tranquillizzanti, credevano che il mal
bianco si propagasse per contatto visivo. In effetti, non era legittimo
attendersi diversa reazione da chi, immerso nei propri pensieri, tristi, neutri
o allegri, ammesso che di questi ultimi ancora ce ne fossero, vedeva
all’improvviso trasformarsi l’espressione di qualcuno che procedeva nella sua
direzione, configurarglisi nel volto tutti i segni del terrore assoluto, e
subito dopo il grido inevitabile, Sono cieco, sono cieco. Non c’erano nervi che
resistessero. Il peggio è che le famiglie, soprattutto le meno numerose,
rapidamente si trasformarono in famiglie tutte di ciechi, dove quindi non c’era
più nessuno a poter guidare e sorvegliare, e a proteggere dai ciechi la
comunità dei vicini con vista buona, ed era chiaro che quei ciechi non
potevano, per quanto fossero padre, madre e figlio, badare gli uni agli altri,
o se no gli sarebbe finita come ai ciechi del dipinto, che camminano insieme,
cadono insieme e insieme muoiono.
Alcune
organizzazioni benefiche avevano ancora offerto volontari per andare a badare
ai ciechi, quelle cure minime senza le quali la vita diviene ben presto
insopportabile, persino per i vedenti. Quei poveracci diventavano
immediatamente ciechi, ma almeno passava alla storia la beltà del gesto. È venuto
qualcuno qui, domandò. No, rispose la moglie del medico, nessuno, Forse era una
chiacchiera.
Così
è fatto il mondo, che spesse volte la verità deve celarsi sotto la menzogna per
raggiungere i propri scopi.
La
conseguenza fu che persero le ultime illusioni coloro che ancora ne avevano.
Alcuni
cadevano e piangevano, C’è qualcuno che mi dia una mano ad alzarmi, ma c’erano
anche quelli che, abbrutiti dalla disperazione o per carattere, imprecavano e
respingevano la mano benemerita accorsa in loro aiuto, Mi lasci, arriverà anche
il suo turno di diventare cieco, allora l’anima compassionevole si spaventava,
scappava via, si perdeva nella densità di quella nebbia bianca, subitamente
consapevole del rischio che la bontà gli aveva fatto correre, magari per diventare
cieco qualche metro più avanti.
Probabilmente
solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che veramente sono, disse il
medico.
Avevo
sentito dire che c’era gente che diventava cieca, allora ho pensato a come
sarebbe stato se lo fossi diventato anch’io, ho chiuso gli occhi per provare e
quando li ho aperti ero cieco, Sembra un’altra parabola, disse la voce
sconosciuta, se vuoi essere cieco, lo sarai. Tacquero.
L’ultima cosa che ho visto è un
quadro, Un quadro, ripeté il vecchio dalla benda nera, e dove si trovava, Ero
andato al museo, era un campo di grano con corvi e cipressi e un sole che
sembrava esser fatto con pezzi di altri soli. C’era anche una donna con un
bambino in braccio, Di bambini in braccio a donne se ne vedono dovunque in
pittura, In effetti, l’ho notato, Quello che non capisco è come potrebbero
trovarsi in un unico quadro dipinti così diversi e di così diversi pittori, E
c’erano degli uomini che mangiavano, Sono talmente numerosi i pranzi, le
merende e le cene nella storia dell’arte che, in base a questa sola
indicazione, non è possibile sapere chi mangiava, Gli uomini erano tredici, Ah,
allora è facile, vada avanti, C’era anche una donna nuda, con i capelli biondi,
dentro una conchiglia fluttuante nel mare, e intorno a lei tanti fiori,
Italiano, chiaro, E una battaglia, Eccoci di nuovo come nel caso dei pasti e
delle madri con bambini in braccio, non basta per sapere chi lo ha dipinto,
Morti e feriti, è naturale, prima o poi tutte le creature muoiono, e i soldati
pure, E un cavallo impaurito, Con gli occhi che sembravano voler fuoriuscire
dalle orbite, Esattamente, I cavalli sono così, e quali altri quadri c’erano in
quel suo quadro, Non ce l’ho fatta a saperlo, sono diventato cieco nel preciso
istante in cui stavo guardando il cavallo. La
paura acceca. Eravamo già ciechi nel momento in cui o siamo diventati, la paura
ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi.
Di
quanti ciechi ci sarà bisogno per fare una cecità.
Pensavano,
Non ha importanza, nessuno mi vede, e non andavano oltre a questo pensiero.
Per favore, un paio d’occhi, dei semplici
occhi, una mano capace di condurci e guidarci, una voce che mi dica, Per di
qua. Se a questi ciechi non gli diamo una mano, non tarderanno a trasformarsi
in animali, o peggio ancora, in animali ciechi.
Si deve trovare un rimedio a
questo orrore, non resisto. Non posso continuare a fingere di non vedere, Pensa
alle conseguenze, la cosa più sicura è che tenteranno di trasformarti in una
schiava, in un fantoccio, dovrai badare a tutti e a tutto. Ti chiameranno
quando starai dormendo, ti insulteranno se tarderai, E tu, come vuoi che
continui a guardare queste miserie, ad averle perennemente sotto gli occhi
senza muovere un dito per dare aiuto, Fai già molto, Cosa faccio, se la mia
preoccupazione maggiore è di evitare che qualcuno si accorga che vedo, Alcuni
ti odieranno proprio per questo, non credere che la cecità ci abbia reso
migliori, Neppure ci ha reso peggiori, Ma ci stiamo arrivando, pensa solo a
cosa succede quando arriva il momento di distribuire il cibo, Esattamente, uno
che vedesse potrebbe incaricarsi della suddivisione dei generi alimentari fra
tutti gli in ternati, farlo con equità, con criterio, cesserebbero le proteste,
finirebbero queste dispute che mi fanno ammattire, tu non sai cosa sia vedere
due ciechi che lottano, Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di
cecità, Qui è diverso, Fai pure ciò che ti sembra meglio, ma non dimenticarti
di quello che siamo, ciechi, semplicemente ciechi, ciechi senza retoriche né
commiserazioni, il mondo caritatevole e pittoresco dei poveri ciechi è finito,
adesso è il regno duro, crudele e implacabile dei ciechi, Se tu potessi vedere
cosa sono costretta a vedere io, desidereresti essere cieco, Ci credo, ma non
ne ho bisogno, cieco lo sono già, Perdonami, amore, se tu sapessi, Lo so, lo
so, ho passato la vita a guardare negli occhi della gente, è l’unico luogo del
corpo dove forse esiste ancora un’anima, e se gli occhi si son perduti, Domani
gli dirò che vedo, Spero tu non abbia a pentirtene, Domani glielo dirò, fece
una pausa e aggiunse, Se finalmente non sarò entrata anch’io in quel mondo. Ma
non fu ancora la volta buona. Quando al mattino si svegliò, molto presto
com’era solita, i suoi occhi ve devano altrettanto distintamente di prima.
Da oggi in poi chi vuole mangiare
deve pagare. Che vergogna, ciechi contro ciechi, non mi aspettavo di dover
vivere per vedere una cosa del genere.
Capì
immediatamente che non sarebbe stato possibile alcun dialogo diplomatico, anzi,
probabilmente non ci sarebbe stato nessun dialogo.
Pressata
dall’assurda speranza di ristabilire la pace perduta, di rinsaldare la
giustizia, di restituire la tranquillità, una cieca si avvicinò come poté al la
porta principale e gridò nel vuoto, Aiutateci. I soldati fecero finta di non aver
sentito, gli ordini che il sergente aveva ricevuto da un capitano passato in
ispezione erano perentori, chiarissimi, Se si ammazzano a vicenda, tanto
meglio, ne restano meno. Infine, comprendendo l’inutilità dei propri appelli,
tacque, si girò verso l’interno singhiozzando.
I ciechi che erano andati a
reclamare il cibo cominciavano ormai a indietreggiare sbaragliati,
completamente disorientati si scontravano fra di loro, cadevano, si rialzavano,
cadevano di nuovo, alcuni non ci provavano neanche, rinunciavano, si
abbandonavano prostrati a terra, esausti, miseri, contorcendosi dal dolore, con
la faccia sul lastricato. Poi la moglie del medico, terrorizzata, vide uno dei
ciechi della banda estrarre di tasca una pistola e alzarla bruscamente in aria.
Lo sparo fece saltare dal soffitto una grande placca di stucco che andò a
cadere sulle teste impreparate, aumentando il panico. Il cieco gridò, Tutti
calmi e zitti, se qualcuno si azzarda ad alzare la voce, faccio fuoco, poi non
vi lamentate. I ciechi non si mossero. Quello della pistola continuò, è detto e
non si torna indietro, da oggi in poi saremo noi a gestire il cibo, siete tutti
avvisati, e che a nessuno venga in mente di andarlo a prendere fuori, metteremo
dei sorveglianti a questo ingresso, subirete le conseguenze di qualsiasi
tentativo di contravvenire agli ordini, adesso il cibo si vende, chi vuol
mangiare paga, Ma paghiamo come, domandò la moglie del medico, Ho detto che
nessuno doveva parlare, strillò quello della pistola, agitando l’arma davanti a
sé, Qualcuno dovrà parlare, bisogna sapere come dobbiamo comportarci, dove
andare a prendere il cibo, se tutti insieme oppure uno alla volta, Questa vuol
fare la furba, commentò uno del gruppo, se le tiri un colpo è una bocca in meno
a mangiare, Se la vedessi. Poi, rivolgendosi a tutti, Tornate immediatamente
nelle camerate, subito, quando avremo portato il cibo dentro vi diremo cosa
dovete fare, E il pagamento, ribatté la moglie del medico, quanto ci costerà un
caffelatte e un biscotto, La tizia sta proprio facendo la furba, disse la
stessa voce, Lasciala a me, disse l’altro, e cambiando tono, Ogni camerata
nominerà due responsabili, questi saranno incaricati di raccogliere le cose di
valore, tutte, di qualsiasi tipo, soldi, gioielli, anelli, bracciali, orecchini,
orologi, quello che avete, e porteranno tutto nella terza camerata del lato
sinistro, cioè dove stiamo noi, e se volete un consiglio da amico, che non vi
passi per la testa di tentare di ingannarci, sappiamo già che alcuni di voi
nasconderanno una parte di quanto possiedono di prezioso, ma vi dico che sarà
una pessima idea, se non ci sembrerà sufficiente quello che consegnerete,
semplicemente non mangerete. E come facciamo, consegniamo tutto in una volta, o
paghiamo in base a quello che mangiamo, A quanto pare non mi sono spiegato
bene, disse quello della pistola ridendo, prima di tutto pagate, dopo di che
mangiate, e quanto al resto, pagare in base a quanto si mangia, per questo ci
vorrebbe una contabilità molto complicata, è meglio che portiate tutto in una
volta e vedremo noi quanto cibo meritate. E tu, disse quello della pistola, non
dimenticherò la tua voce, Né io la tua faccia, rispose la moglie del
medico. Nessuno parve notare l’assurdità
di una cieca che dice che non dimenticherà una faccia che non ha visto. I
ciechi se l’erano battuta in ritirata più in fretta che potevano, in cerca
delle porte, poco dopo quelli della prima camerata stavano rendendo edotti
sulla situazione i compagni, Da quanto abbiamo sentito, non credo che, per
adesso, possiamo far altro che obbedire, disse il medico, devono essere molti,
e il peggio è che sono armati. Io non glielo do quello che mi appartiene. Chi
non vuol pagare non paghi, è suo diritto, ma in tal caso non
mangerà, non può mica cibarsi a spese degli altri, Daremo tutti e daremo tutto,
disse il medico, E chi non ha niente da dare, domandò il commesso di farmacia,
Questi sì, mangerà di quanto daranno gli altri, è giusto come ha detto
qualcuno, da ciascuno secondo le sue
possibilità, a ciascuno secondo le sue necessità.
Avevano ordine di andare a pagare
il cibo. Quello di oggi, quello di domani pure, e forse quello di tutta la
settimana, E dopo, alla domanda non c’era risposta, tutto quanto possedevamo è
lì.
Siamo in una situazione
insostenibile, è insostenibile fin da quando siamo entrati in questo posto, e
malgrado ciò continuiamo a resistere, Lei, dottore, è ottimista, Affatto, ma
non riesco a immaginare niente di peggio di quel che stiamo vivendo, Invece io
sospetto che non ci siano limiti alla cattiveria, al male, Forse ha ragione,
disse il medico, e poi, come se stesse parlando con se stesso, Qualcosa dovrà
succedere, una conclusione che comporta una certa contraddizione, o c’è in
definitiva qualcosa di peggio, o d’ora in poi tutto migliorerà.
Un
cieco addestrato da cieco è tutta un’altra cosa, vale il suo peso in oro.
La
moglie del medico si stava domandando, A cosa mi serve vedere. Le era servito
per sapere dell’orrore più di quanto avesse mai potuto immaginare, le era
servito a desiderare di essere cieca, nient’altro che a questo.
L’unica
cosa che in fondo non voleva era che il marito si svegliasse e notasse la sua
assenza ancora in tempo per domandarle, Dove vai, che probabilmente è la
domanda più spesso rivolta dagli uomini alle proprie mogli, l’altra è, Dove sei
stata.
Si
fermò un momento, in dubbio se toccare quel filo invisibile sospeso nell’aria,
come se un semplice contatto lo potesse distruggere irreparabilmente.
A dieci metri un cieco era
sdraiato sopra una cieca, agganciato fra le gambe di lei, lo facevano il più
discretamente possibile, erano tra quelli discreti in pubblico, ma non ci
sarebbe stato bisogno di avere l’udito molto acuto per sapere in cosa erano
occupati, tanto meno quando non riuscirono più a reprimere i sospiri e i
gemiti, qualche parola inarticolata, che sono i segnali di come tutto stia per
finire. La moglie del medico rimase lì ferma a guardarli, non per invidia, lei
aveva il marito e la soddisfazione che lui le dava, ma per una impressione
d’altra natura per cui non trovava un termine, avrebbe potuto essere un
sentimento di simpatia, come se
stesse pensando di dir loro Non badate a me che sono qui, lo so anch’io che
cos’è, continuate, avrebbe potuto essere un sentimento di compassione, Anche se questo istante di supremo godimento potesse
durarvi per la vita, non potrete mai, voi due, riuscire a fondervi in uno solo.
Il cieco e la cieca adesso riposavano, separati,
uno accanto all’altro, ma sempre
tenendosi per mano, erano giovani, forse innamorati, erano andati al cinema
e lì erano diventati ciechi, o forse una miracolosa coincidenza li ha riuniti qui, e, se è così, come avevano fatto a
riconoscersi, questa poi, dalle voci, è chiaro, non è solo la voce del sangue a non aver bisogno d’occhi, anche
l’amore, che dicono sia cieco, ha da dire la sua. È più
probabile, però, che li avessero presi contemporaneamente, in tal caso quelle
mani intrecciate non sono recenti, stanno così fin dall’inizio.
Fu
colpita dal silenzio, un silenzio che sembrava occupare lo spazio di
un’assenza, come se l’umanità, tutta, fosse scomparsa, lasciando solo una luce
accesa.
Sembrava
impossibile che fosse buia la notte, il giorno durava per sempre.
Deliberatamente,
la moglie del medico si sforzò di pensare che quest’uomo era un ladro di cibo,
che rubava quanto agli altri apparteneva per giustizia, che lo toglieva di
bocca ai bambini, ma, pur pensandolo, non riuscì a provare disprezzo, e neppure
una leggera irritazione, solo una strana pietà davanti a quel corpo
abbandonato. Per la prima volta da quando era uscita dalla camerata ebbe un
brivido di freddo, sembrava che le lastre del pavimento le stessero gelando i
piedi, come se li bruciassero, Speriamo non sia febbre, pensò. No, doveva
essere solo un’infinita stanchezza, una voglia di avvolgersi su se stessa, gli
occhi, ah, soprattutto gli occhi, rivolti all’interno, nel punto esatto in cui
la differenza fra il vedere e il non vedere è invisibile alla semplice vista.
I ciechi innamorati non si
tenevano più per mano, dormivano sdraiati su un fianco, rannicchiati per
mantenere il calore, lei nella conca formata dal corpo di lui, ma in
definitiva, osservando meglio, si erano dati le mani, il braccio di lui sopra
il corpo di lei, le dita intrecciate. Là dentro, nella camerata, la cieca che
non riusciva a dormire era ancora seduta sul letto, in attesa che la stanchezza
del corpo fosse tale da vincere l’ostinata resistenza della mente. Tutti gli
altri sembravano dormire, alcuni con il capo coperto, come se fossero ancora
alla ricerca di un’impossibile oscurità. Sul
comodino della ragazza si vedeva la boccetta del collirio. Gli occhi erano
guariti, ma lei non lo sapeva.
Mentre a quest’ora la camerata
dei malvagi dovrà essere ormai ricca di cibo, questi poveri disgraziati qui fra
poco si vedranno ridotti a cogliere le briciole dal pavimento immondo. Fu
condannato il comportamento criminale dei ciechi oppressori, che preferiscono
lasciare andare il cibo a male piuttosto che darlo a chi ne è tanto bisognoso.
Un
resoconto discriminativo di altri mali che affliggono molte delle quasi
trecento persone messe in una quarantena tanto disumana, non potrebbe
tralasciare di menzionare almeno due casi di cancro in stadio avanzato, verso i
quali le autorità non hanno voluto fare alcuna considerazione umanitaria al
momento di cacciare i ciechi e portarli qui dentro, hanno detto testualmente
che la legge, quando vien fatta, è uguale per tutti e che la democrazia è
incompatibile con trattamenti di favore.
C’è
sempre qualcuno che propone un’azione collettiva organizzata, una
manifestazione massiccia, presentando come valido argomento la tanto spesso
appurata forza espansiva del numero, sublimata nell’affermazione dialettica che
le volontà, generalmente solo addizionabili le une alle altre, sono anche
capacissime, in certe circostanze, di moltiplicarsi fra loro, all’infinito. Ben
presto, però, gli animi si calmavano: Bastava che qualcuno, più prudente, con
la semplice e obiettiva intenzione di consigliare agli entusiasti di ponderare
i vantaggi e i rischi dell’azione proposta.
Come soluzione intermedia, in una
delle camerate fu deciso, e della decisione si passò parola alle altre, che a
prendere il cibo avrebbero mandato non i soliti emissari già castigati, ma un
gruppetto nutrito, espressione ovviamente impropria, un dieci o dodici persone,
le quali avrebbero fatto in modo di esprimere, coralmente, la scontentezza di
tutti. Si chiesero volontari, ma, forse per effetto dei noti avvertimenti dei
prudenti, in nessuna camerata furono tanti a presentarsi per la missione.
Grazie a Dio, questa evidente dimostrazione di debolezza morale cessò di avere
importanza, e anche di essere motivo di vergogna, quando, dando ragione alla
prudenza, si venne a conoscenza del risultato della spedizione organizzata
dalla camerata che aveva avuto l’idea. Gli otto coraggiosi che avevano avuto
l’ardire furono cacciati. Se è vero che fu sparata solo una pallottola, non è
meno vero che questa non l’avevano mirata in alto come le prime, prova ne sia
che i reclamanti giurarono poi di essersela sentita fischiare vicinissimo alle
teste. Se già ci fosse stata intenzione assassina, forse lo verremo a sapere in
seguito, per ora si conceda al tiratore il beneficio del dubbio, e cioè, o
quello sparo non fu veramente altro che un avvertimento.
I
classici doveri dell’umana solidarietà e l’osservanza del vecchio e non meno
classico precetto secondo cui la carità bene intesa dovrà comunque cominciare
da noi stessi.
Giunse l’ordine dei malvagi di
consegnar loro altri soldi e oggetti di valore, in quanto, sostenevano, il cibo
fornito aveva già superato il valore del pagamento iniziale, peraltro, secondo
quanto affermavano, generosamente calcolato in eccesso. Risposero afflitte le
camerate che in tasca non gli era rimasto neppure un centesimo, che tutti i
beni raccolti erano stati puntualmente consegnati e che, argomento quest’ultimo,
davvero vergognoso, non sarebbe stata del tutto equanime una decisione che
deliberatamente ignorasse le differenze di valore dei distinti contributi, e cioè,
in parole povere, non andava bene che fosse il giusto a pagare per il
peccatore, e che dunque non si dovevano tagliare i viveri a chi, probabilmente,
aveva ancora un saldo a proprio favore. Nessuna delle camerate, ovviamente,
conosceva il valore di quanto era stato consegnato dalle altre, ma ciascuna
pensava di aver motivi per continuare a mangiare ancora quando alle altre fosse
già finito il credito. Fortunatamente, grazie alla qual cosa i conflitti
latenti morirono sul nascere, i malvagi furono categorici, l’ordine andava
eseguito da tutti quanti, se differenze di valutazione c’erano state rimanevano
nel segreto della contabilità del cieco scrivano. Nelle camerate la discussione
fu accesa, aspra, talvolta giunse alla violenza. Sospettavano alcuni che certi
egoisti e malintenzionati avessero nascosto parte dei propri valori all’atto
della raccolta, e dunque fossero stati lì a mangiare a spese di chi onestamente
si era spogliato di tutto a beneficio della comunità. Adducevano altri,
recuperando a uso personale ciò che fino ad allora era stata un’argomentazione
collettiva, che quanto avevano già con segnato, da solo, sarebbe bastato per
continuare a mangiare ancora per molti giorni, invece di doversene star lì a
nutrire dei parassiti.
Quanto ai castighi della
giustizia interna, non furono più di qualche ceffone a caso, di qualche fiacco
pugno mal diretto, si udirono per lo più insulti, e frasi appartenenti a
un’antica retorica accusatoria, per esempio, Saresti capace perfino di derubare
tua madre, pensate un po’, come se per commettere un’ignominia del genere, e
altre ben più consistenti, ci fosse da aspettare il giorno in cui tutti fossero
diventati ciechi e, avendo perduto il lume degli occhi, avessero perduto anche
il faro del rispetto.
Ulteriori ingiustizie sarebbero
venute ad aggravare la situazione, magari con conseguenze drammatiche immediate.
Due delle camerate, per occultare il delitto di trattenuta di cui erano
colpevoli, si presentarono a nome delle altre, scaricando sulle camerate
innocenti colpe non loro, qualcuna era addirittura talmente onesta da aver
consegnato tutto il primo giorno.
Trascorsa una settimana, i ciechi
malvagi mandarono a dire che volevano donne. Così, semplicemente, Portateci
delle donne. Questa inattesa ancor ché non del tutto insolita pretesa causò
l’indignazione che è facile immaginare, gli sbalorditi emissari giunti con l’ordine
tornarono immediatamente indietro a comunicare che le camerate, le tre di
destra e le due di sinistra, compresi i ciechi e le cieche che dormivano per
terra, avevano deciso, all’unanimità, di non accogliere la degradante
imposizione, obiettando che non poteva
abbassarsi fino a quel punto la dignità umana, in questo caso femminile, e
che se nella terza camerata lato sinistro non c’erano donne, la responsabilità,
se ce n’era, non si poteva addossare a loro. La risposta fu breve e secca, Se
non ci portate delle donne, non mangiate. Umiliati, gli emissari ritornarono
nelle camerate con l’ordine, O ci andate, o non ci danno da mangiare. Le donne
protestarono immediatamente.
Le donne avevano capito che, per
loro, la vittoria nella contesa verbale era un tutt’uno con la sconfitta che ne
sarebbe inevitabilmente seguita, e forse nelle altre camerate la discussione
non sarà stata diversa, è risaputo che le
ragioni umane non fanno che ripetersi, e anche le nonragioni.
La
dignità non ha prezzo, che si comincia col cedere nelle piccole cose e si
finisce per perdere completamente il senso della vita. Il medico domandò allora
quale senso della vita ci vedesse nella situazione in cui si trovavano.
Cosa
dobbiamo fare noi, disse, era quasi una domanda, una domanda appena rassegnata
a cui non c’era risposta.
Del
male altrui si guarisce, del proprio si muore, parole che non pronunciò
nessuna, ma che tutte pensarono, in realtà deve ancora nascere il primo essere
umano sprovvisto di quella seconda pelle che chiamiamo egoismo, ben più dura
dell’altra, che per qualsiasi cosa sanguina.
Quanto
insegnavano gli antichi, la cui saggezza non ci stancheremo mai di lodare.
Pensare
che non potesse esserci miglior premio a questo mondo del ritrovarsi distesi
nel proprio letto, da soli, immaginando cose impossibili, e avvertire che una
donna ti viene a sollevare le coperte molto lentamente e vi si insinua sotto,
sfiorandoti lentamente il corpo con il corpo, fino ad acchetarsi poi, in
silenzio, in attesa che l’ardore del sangue pacifichi l’improvviso tremore
della pelle sussultante. E tutto per niente, solo perché lei lo ha voluto. Non
sono mica fortune da quattro soldi.
Oppure
certe cose è meglio lasciarle senza spiegazione, dire semplicemente quel che è
accaduto, non interrogarsi nell’intimo.
Come
quella volta, quando la moglie del medico si era alzata dal letto per andare a
rimboccare il ragazzino che si era scoperto. Non se ne tornò subito a letto.
Appoggiata alla parete di fondo, nel poco spazio tra le due file di brande,
guardava disperata la porta all’altra estremità quella da cui erano entrati un
giorno che ormai sembrava lontano e che adesso non conduceva da nessuna parte.
Mentre se ne stava così, vide il marito alzarsi e dirigersi verso il letto
della ragazza. Non fece un solo gesto per trattenerlo. In piedi, senza
muoversi, vide come lui alzava le coperte e poi si sdraiava accanto a lei, come
la ragazza si svegliò e lo accolse senza protestare, come le due bocche si
cercarono e si trovarono, e poi successe quel che doveva succedere, il piacere
dell’uno, il piacere dell’altro, il piacere di entrambi, i mormorii soffocati,
lui disse, Scusa, non so cosa mi abbia preso, infatti avevamo ragione, come
avremmo potuto noi, che solo vediamo, sapere ciò che non sa neppure lui.
Sdraiati nella stretta branda, non potevano immaginare di essere osservati, il
medico sì, certo, subitamente inquieto, chi sa se la moglie stava dormendo, si
domandò, o se ne andava in giro per i corridoi come tutte le notti, fece un
movimento per tornare nel suo letto, ma una voce disse, Non ti alzare, e una
mano gli si posò sul petto con la leggerezza di un uccello, lui stava per
parlare, forse per ripetere che non sapeva cosa gli avesse preso, ma la voce
disse, Se non dirai niente comprenderò meglio. La ragazza cominciò a piangere,
Come siamo disgraziati, mormorava, e poi, L’ho voluto an ch’io, l’ho voluto
anch’io, lui non ha colpa, Taci, disse dolcemente la moglie del medico, taciamo
tutti, in certe occasioni le parole non servono a niente, magari potessi
piangere anch’io, dire tutto con le lacrime, non dover parlare per essere
intesa. Si sedette sul bordo del letto, tese il braccio sopra i due corpi, come
per cingerli nello stesso amplesso, e chinandosi verso la ragazza le mormorò
sottovoce all’orecchio, Io vedo. La ragazza rimase immobile, rasserenata, ma
perplessa di non provare alcuna sorpresa, era come se lo sapesse già fin dal
primo giorno e non avesse voluto dirlo a voce alta solo perché era un segreto
che non le apparteneva. Si voltò e a sua volta sussurrò all’orecchio della
moglie del medico, Lo sapevo, non ne sono del tutto sicura, ma penso che lo
sapessi, È un segreto, non puoi dirlo a nessuno, Stia tranquilla, Ho fiducia in
te, Può averla, preferirei morire piuttosto che ingannarla, Devi darmi del tu,
Questo no, non ne sono capace. Mormoravano all’orecchio, ora l’una ora l’altra,
sfiorandosi con le labbra i capelli, il lobo dell’orecchio, era un dialogo
insignificante, era un dialogo profondo, se è possibile accostare questi
contrari, una piccola conversazione complice che sembrava non contemplare
l’uomo sdraiato fra loro due, ma che lo implicava in una logica al di fuori del
mondo delle idee e delle comuni realtà. Poi la moglie del medico disse al
marito, Resta qui un altro po’, se vuoi, No, vengo nel nostro letto, Allora ti
aiuto. I loro occhi risplendevano inutilmente.
Lui
si alzò lentamente, cercando appoggio, poi rimase fermo lì accanto al letto,
indeciso, come se tutto a un tratto avesse perduto la nozione del luogo in cui
si trovava, allora lei, come sempre aveva fatto, lo prese per un braccio, ma
adesso il gesto aveva un significato nuovo, mai come in questo momento lui
aveva avuto necessità di esser guidato, ma non poteva sapere fino a qual punto,
soltanto le due donne lo seppero veramente, quando la moglie del medico sfiorò
con l’altra mano il viso della ragazza e istintivamente lei gliela prese per
portarsela alle labbra. Parve al medico di sentir piangere, un suono quasi
inudibile, come può esserlo solo quello di lacrime che scorrono lentamente fino
agli angoli della bocca dove scompaiono per ricominciare l’eterno ciclo degli
inspiegabili dolori e delle gioie umane. La ragazza sarebbe rimasta sola, era
lei quella che doveva essere consolata, perciò la mano della moglie del medico
tardò tanto a staccarsi.
Andiamo,
solo chi dovrà morire morirà, la morte sceglie senza avvisare.
Perché
camminate tenendovi per mano, era capitato così, ci sono gesti per cui non
sempre si può trovare una spiegazione facile, e talvolta neppure quella
difficile può essere trovata.
È
morta, ripeté, Com’è stato, domandò il medico, ma la donna non gli rispose, la
sua domanda avrebbe potuto limitarsi a ciò che apparentemente significava,
Com’è stato che è morta, ma avrebbe anche potuto essere, Che cosa vi hanno
fatto, orbene, né all’una né all’altra avrebbe dovuto esserci risposta, è
morta, semplicemente, non importa di che cosa, domandare di cosa sia morto qualcuno
è stupido, col tempo la causa si dimentica, soltanto due parole restano, È
morta, e noi non siamo più le stesse di quando siamo uscite, le parole che
avrebbero detto quelle donne noi non possiamo più dirle, e quanto alle altre,
l’innominabile esiste, è il suo unico nome, nient’altro.
Il
caso, il fato, la sorte, il destino, o comunque si definisca ciò che possiede
tanti nomi, è fatto di pura ironia.
Immaginiamo,
non il dialogo, ormai superato, ma gli uomini che lo hanno sostenuto, sono lì
faccia a faccia come se si potessero vedere, il che in questo caso non è
neanche impossibile, basta che la memoria di ciascuno dei due faccia emergere
dall’abbagliante biancore del mondo la bocca che sta articolando le parole, e
poi, come una lenta irradiazione da quel centro, il resto dei visi apparirà
pian piano, non si dica che è cieco chi ancora sia capace di vedere così.
In
questo manicomio in cui viviamo, che alle purezze dell’anima, si sa, non c’è
modo di giungervi.
Forse
sono la più cieca di tutti, ho già ammazzato, di questa cecità ormai non mi
libero più. Si allontanò, fece alcuni passi ancora sicuri, poi proseguì
appoggiandosi alla parete del corridoio, sul punto di svenire, di colpo le
ginocchia le si piegarono e lei cadde lunga distesa. Gli occhi le si annebbiarono,
Ora divento cieca, pensò, ma poi comprese che non sarebbe avvenuto neanche
questa volta, a offuscarle la vista erano solo lacrime, lacrime come non ne
aveva mai pianto in tutta la sua vita, Ho ammazzato, disse a voce bassa, ho
voluto ammazzare e l’ho fatto.
C’è
ancora gente là fuori, gente che vede.
Una
donna aveva ucciso a coltellate il capo dei malvagi, il medico non domandò chi
fosse quella donna, poteva essere solo la sua, e adesso chissà come stava,
probabilmente morta anche lei.
Non
abbiamo saputo resistere come avremmo dovuto quando sono comparsi con le prime
pretese, Infatti, abbiamo avuto paura, e la paura non sempre è buona
consigliera.
Se
avessimo la vista, Se avessimo la vista, non ci avrebbero messo in questo
inferno, Come sarà la vita fuori.
Allora,
siccome questo mondo di ciechi è quello che è, successe quel che sempre deve
succedere.
E
se ora confessassi di essere stata io ad ammazzarlo, mi consegnerebbero pur
sapendo di consegnarmi a una morte certa. O per effetto della fame o perché
improvvisamente sedotta da quel pensiero come da un abisso, una specie di stordimento
le ottenebrò la mente, il suo corpo si mosse in avanti, la bocca si aprì per
parlare, ma in quel momento qualcuno le afferrò e strinse il braccio, lei
guardò, era il vecchio, che disse, Ammazzerei con le mie stesse mani chi si
denunciasse da solo, Perché, domandarono gli altri, Perché se la vergogna ha
ancora un significato in questo inferno in cui ci hanno messo a vivere e che
noi abbiamo reso più infernale del l’inferno, è solo grazie a chi ha avuto il
coraggio di andare ad ammazzare.
Ma
noi, cui non resta più niente se non quest’ultima e immeritata dignità,
dimostriamoci almeno capaci di lottare per quanto ci appartiene di diritto.
Dopo aver mandato le donne al sacrificio è il momento di mandare gli uomini, se
ancora ce ne sono tra di noi.
Non
mi denunciare, ma senza dubbio riconosci la mia voce, è impossibile che tu
l’abbia dimenticata. Adesso è arrivato il momento di conoscere veramente chi ho
salvato, di sapere chi sei, perciò parlerò, perciò dirò a voce alta e chiara
perché tu possa accusarmi, se questo è il tuo destino e il mio destino, ecco,
lo dico, Non andranno solo gli uomini, andranno anche le donne, torneremo là
dove ci hanno umiliate perché di quell’umiliazione non resti nulla. Dovunque
andrai, verrò, fu quel che disse. Il vecchio sorrise, parve un sorriso felice,
e forse lo era. Fu interessante notare l’espressione di stupore degli altri
ciechi, come se qualcosa fosse balenato, un primo e timido lume.
Si confuse il calendario, il
cosiddetto conto dei giorni, che alcuni ciechi, maniaci per natura, o amanti
dell’ordine, che è una forma moderata di mania, avevano tentato di tenere
scrupolosamente, lo facevano quelli che non si fidavano della memoria, come se
andassero via via scrivendo un diario. Le luci si spensero. Un cieco fece un
nodo alla cordicella che aveva fra le mani, poi tentò di contarli, i nodi, i
giorni, ma lasciò perdere, c’erano nodi sovrapposti, nodi ciechi per così dire.
La moglie del medico disse al marito, Si sono spente le luci, non c’era più
elettricità.
Alcuni, come se all’improvviso si
fossero addormentati svennero, li soccorse la moglie del medico, sembrava
impossibile come questa donna riuscisse ad accorgersi di tutto quello che
succedeva, doveva esser dotata di un sesto senso, una specie di visione senza
occhi, ma solo grazie a questo i poveri sventurati si ripresero dallo
svenimento.
Se
non è arrivato, non arriverà.
Disse, con una nota tetra nella
voce, E soprattutto non dobbiamo separarci,
se ci separiamo siamo uomini morti, E donne, disse la ragazza dagli occhiali
scuri, non ti dimenticare delle donne, Vieni anche tu, domandò il vecchio,
preferirei non venissi, E perché, si può sapere, Sei molto giovane, Qui dentro
l’età non conta, né il sesso, quindi non
ti dimenticare delle donne, No, non
me ne dimentico, la voce con cui il vecchio pronunciò queste parole
sembrava appartenere a un altro dialogo, le seguenti erano di nuovo
appropriate, Al contrario, magari qualcuna di voi potesse vedere ciò che non
vediamo noi, condurci sulla strada giusta, sarebbe chiedere troppo, una volta
può bastare, e inoltre, chi ci dice che non sia morta, per lo meno non se n’è
saputo niente, ricordò la moglie del medico, Le donne risorgono le une nelle
altre, le oneste risorgono nelle puttane, le puttane risorgono nelle oneste,
disse la ragazza. Seguì un lungo silenzio, per le donne era ormai tutto detto,
gli uomini avrebbero dovuto cercare le parole, e sapevano in anticipo che non
sarebbero stati capaci di trovarle.
Se non per la tristezza
inconsolabile suscitata dalla cecità di cui inesplicabilmente continuavano a
soffrire, i ciechi, almeno questo, erano in salvo da deprimenti melanconie
causate da queste o da simili alterazioni atmosferiche, comprovativamente
responsabili di tanti e tanti gesti di disperazione ai tempi assai lontani di
quando gli uomini avevano occhi per vedere.
Deboli,
come chi si è portato una croce sulle spalle e adesso deve aspettare che
qualcuno ve lo issi i ciechi avanzarono come angeli circondati dalla propria
aureola.
Fino
a oggi probabilmente non lo avrà notato nessuno come siano assolutamente
terribili le grida dei ciechi, sembra stiano gridando senza saperne il perché,
avremmo voglia di dirgli di tacere e finisce che ci mettiamo a gridare anche
noi, ci manca solo di essere ciechi, ma arriverà pure quel giorno.
I
feriti bisogna trattarli con rispetto e considerazione, avvicinarsi
caritatevolmente, posargli la mano sulla fronte, poi domandargli sottovoce come
si sentono, dirgli che non è niente.
Si deve riconoscere che potrebbe
sembrare sorprendente che i ciechi malvagi, prima così prepotenti e aggressivi,
così facilmente e con tanto piacere brutali, adesso si limitino a difendersi.
Come
tutte le cose nella vita, anche questa ha la sua spiegazione.
Dopo la tragica morte del primo
capo, si erano allentati lo spirito di disciplina e il senso dell’obbedienza,
il grave errore del cieco è l’aver pensato che bastasse impossessarsi del la
pistola per avere in tasca anche il potere, ebbene, il risultato è stato
esattamente il contrario, ogni pallottola sparata è una frazione di autorità
che perde, stiamo a vedere cosa accadrà quando le munizioni gli finiranno
tutte.
Così
come l’abito non fa il monaco, anche lo scettro non fa il re, è una verità che
è meglio non dimenticare.
Intanto era sorta la luna. Dalla
porta dell’atrio che dà nel recinto esterno entra un diffuso chiarore che
aumenta a poco a poco. Vanno lentamente acquistando volume, contorno, tratti,
lineamenti, tutto il peso di un orrore senza nome, e allora la moglie del
medico comprese che non aveva più senso, se mai lo aveva avuto, continuare in
quella finzione di essere cieca, ormai è
chiaro, nessuno potrà salvarsi, la cecità è anche questo, vivere in un mondo
dove non ci sia più speranza.
Io ci vedo. Alcuni già lo
sapevano e avevano taciuto, altri ne avevano qualche sospetto da tempo e adesso
lo vedevano confermato, inatteso fu lo sbigottimento dei restanti, eppure, a
pensarci meglio, non dovremmo trovarlo strano, in un altro momento la rivelazione
sarebbe stata causa di eccitazione, di un’irrefrenabile commozione, ma in
questo momento non faceva alcuna differenza, nella morte la cecità è uguale per
tutti.
Non
si divisero subito nei gruppi originari, ma si ritrovarono e riconobbero.
Dovunque andrai, verrò, ma adesso
non la pensava più così, anzi, al contrario, ma non volle parlarne, non sempre i giuramenti si rispettano,
talvolta per debolezza, talaltra per una forza superiore di cui non avevamo
tenuto conto.
I ciechi sono inquieti. Com’è
noto, poco propensi all’ordine e al metodo, non si ha notizia che si siano mai
dati da fare o si siano preoccupati, sia pur un minimo, del futuro, anche se
nel caso dei ciechi, poveracci, sarebbe ingiusto accusarli di essere dei
profittatori o dei beoni, e profittatori di quali briciole, e beoni di quali
bevande, bisogna fare attenzione con i paragoni, che poi non siano un po’
sventati.
Non c’è regola, però, che non
abbia la sua eccezione, e qui non manca, nella persona di una donna che colse e
strinse nel palmo della mano un piccolo oggetto, volesse nasconderlo alla vista
degli altri, si fa fatica a dimenticare le vecchie abitudini, anche quando
arriva un momento in cui credevamo di averle ormai del tutto perdute. Qui, dove
avrebbe dovuto essere uno per tutti e tutti per uno, abbiamo potuto vedere quanto
crudelmente i forti abbiano tolto il pane di bocca ai deboli, e adesso questa
donna, ricordandosi di aver portato un accendino nella borsetta, se in tutta
quella baraonda non l’aveva perduto, lo ha cercato ansiosamente e gelosamente
lo sta nascondendo, come se condizionasse addirittura la sua sopravvivenza,
mica pensa che uno dei compagni di sventura potrebbe avere un’ultima sigaretta
e che non se la può fumare perché gli manca la necessaria fiammella. Neanche
farebbe più in tempo a chiederla. La donna è uscita senza dire una parola, né
addio. Procede nel corridoio deserto, passa vicinissimo alla porta della prima
camerata, dove nessuno si è reso conto del suo passaggio, attraversa l’atrio,
la luna calante ha tracciato e dipinto un recipiente di latte sui lastroni del
pavimento, ecco la donna nell’altra ala, di nuovo un corridoio, la sua meta è
giù in fondo, in linea retta, non si può sbagliare. Inoltre avverte il richiamo
delle voci dei malvagi nell’ultima camerata, stanno festeggiando la vincita
della battaglia mangiando e bevendo, passi l’esagerazione intenzionale, non
dimentichiamo come tutto nella vita sia relativo. E beati loro, piacerebbe
anche agli onesti, ma non possono. La donna è in ginocchio davanti all’ingresso
della camerata. Non rimane che appiccar loro fuoco. La fiamma lambisce
faticosamente i tessuti. All’improvviso le fiamme si sono moltiplicate,
trasformate in un’unica cortina ardente, un getto d’acqua le ha attraversate e
le è caduto addosso, ma inutilmente, ormai era il suo stesso corpo che stava
alimentando il rogo. Cosa starà succedendo dentro, l’immaginazione a qualcosa
dovrà pur servirci, il fuoco vuole sdraiarsi su tutti contemporaneamente, e ci
riesce, i malvagi hanno sprecato senza criterio né profitto la poca acqua
rimastagli. A questo punto gli altri ciechi stanno già scappando terrorizzati
nei corridoi pieni di fumo.
Per
fortuna, come la storia umana ha dimostrato, non di rado da una cosa negativa
ne deriva una positiva, si parla un po’ meno delle cose negative derivanti da
quelle positive, così vanno le contraddizioni del nostro mondo, alcune meritano
più considerazione di altre.
Ovviamente,
molti di questi ciechi vengono calpestati, spinti, è l’effetto del panico, un
effetto naturale si può dire, del resto la natura animale è così, anche quella
vegetale si comporterebbe nella stessa maniera se non avesse tutte quelle
radici che la trattengono al suolo, e poi, sarebbe bello poter vedere gli
alberi del bosco scappare davanti all’incendio.
Non possono vedere che la maggior
parte dell’edificio dal l’altro lato è già in fiamme, ma sentono sul viso e
sulle mani l’alito ardente che proviene da quella parte, per il momento il
tetto regge ancora, le foglie degli alberi si stanno increspando lentamente.
Allora qualcuno gridò, Cosa stiamo a fare qui, perché non usciamo, e la
risposta, proveniente da questo mare di teste, richiese solo quattro parole, Ci
sono i soldati. Disse allora la moglie del medico, Lasciatemi passare, vado a
parlare con i soldati, non possono lasciarci morire così, anche i soldati hanno
dei sentimenti. Grazie alla speranza che i soldati avessero di fatto dei
sentimenti, riuscì ad avanzare con difficoltà portandosi dietro i suoi. Il fumo
le annebbiava la vista, ben presto si sarebbe ritrovata cieca quanto gli altri.
Non era più la luna a illuminare
l’ampio vuoto che arrivava al portone, ma il chiarore violento dell’incendio.
La moglie del medico gridò, Vi prego, per il vostro bene, lasciateci uscire,
non sparate. Nessuno rispose. Ancora impaurita, la moglie del medico scese due gradini,
Cosa c’è, domandò il marito, ma lei non rispose, non poteva crederci. Scese gli
altri gradini, s’incamminò verso il portone, sempre tirandosi dietro il
ragazzino, il marito e tutta la compagnia, non c’erano più dubbi, i soldati se
n’erano andati, o li avevano portati via, anch’essi ciechi, tutti ciechi,
infine.
A un cieco gli si dice, Sei
libero, gli si apre la porta che lo separava dal mondo, Vai, sei libero, gli
ripetiamo, ma lui non va, se ne sta fermo lì in mezzo alla strada, lui e gli
altri, sono spaventati, non sanno dove andare, è che non c’è paragone tra il
vivere in un labirinto razionale, come lo è per definizione un manicomio, e
l’avventurarsi, senza la guida di una mano nel labirinto demenziale della
città, dove la memoria non servirà a niente, poiché riuscirà solo a mostrare
l’immagine dei luoghi e non le vie per arrivarci. Immobili davanti all’edificio
che ormai brucia da un capo all’altro, i ciechi sentono sul viso le ondate di
calore dell’incendio, le accolgono come qualcosa che in qualche modo li ripara,
proprio come facevano prima le pareti, prigione e, insieme, sicurezza. Stanno
lì tutti uniti, stretti fra loro, come un gregge, nessuno vuol essere la pecora smarrita perché fin d’ora sanno che
nessun pastore li andrà a cercare. Il fuoco scema a poco a poco, è di nuovo
la luna a illuminare, i ciechi cominciano a tranquillizzarsi, non possono
restare lì, Eternamente, disse uno. Esausti, molti ciechi si erano seduti per
terra, altri, ancora più debilitati, si la sciarono semplicemente cadere,
alcuni erano svenuti, probabilmente il fresco della notte li farà tornare in
sé, ma stiamo pur certi che, nel momento in cui si leveranno le tende, alcuni
di questi poveracci da qui non si leveranno proprio, ce l’hanno fatta fin qui,
sono come quel maratoneta che è crollato a tre metri dal traguardo, in fin dei
conti è chiaro, tutte le vite si
concludono anzitempo.
Il
ragazzino ha smesso da un pezzo di chiedere della mamma.
La
ragazza ha già chiesto di essere accompagnata, quando sarà possibile, a casa
sua, Non so come staranno i miei genitori, disse, questa sincera preoccupazione
dimostra come in definitiva siano infondati i preconcetti di coloro i quali
negano la possibilità dell’esistenza di sentimenti forti, ivi compreso il
sentimento filiale, nei casi, purtroppo numerosi, di condotte irregolari,
soprattutto sul piano della morale.
Se in quella penosa rovina ci
fossero state ancora condizioni minime di abitabilità, sarebbe tornato a essere
il manicomio che era prima.
Si alzarono a fatica, con le
vertigini, aggrappandosi gli uni agli altri, poi si disposero in fila, in testa
quella dagli occhi che vedono, seguita da quelli che pur avendo occhi non vedono, la ragazza, il vecchio, il ragazzino,
la moglie del primo cieco, il di lei marito, e il medico per ultimo. La strada
che hanno preso conduce al centro della città, ma non è questa l’intenzione
della moglie del medico, lei vuole piuttosto trovare al più presto un posto
dove poter lasciare al riparo tutto il gruppo che le viene appresso e andare da
sola in cerca di cibo. Le strade sono deserte, o perché è ancora presto o per
via della pioggia, che cade sempre più fitta.
Siamo stati internati fin dall’inizio della cecità, Ah sì, la
quarantena, non è servita a niente. Perché dice questo, Vi hanno fatto uscire,
C’è stato un incendio, e allora abbiamo capito che i soldati di sorveglianza
erano scomparsi, E siete usciti, Sì, I vostri soldati devono essere stati tra
gli ultimi a diventare ciechi, siamo tutti ciechi, Tutti, tutta la città, il
paese, Se qualcuno ci vede ancora, non lo dice, se ne sta zitto, Perché non
vive a casa sua, Perché non so dove sia.
Se
uno che era cieco fosse uscito da casa, solo per miracolo sarebbe riuscito a
ritrovarla, non era più come un tempo, quando i ciechi potevano sempre contare
sull’aiuto di un fratello, o per attraversare una strada o per riprendere
quella giusta nel caso avessero deviato inavvertitamente dal solito percorso.
Andare
insieme, è l’unica maniera di non perderci a vicenda.
Ben
presto ci siamo resi conto che noi, i ciechi, per così dire non abbiamo
praticamente nulla che potremmo definire nostro.
Devono
essere diventati tutti ciechi, Allora, disse il vecchio, è come se fossimo
ancora nel manicomio, Non c’è paragone, possiamo muoverci liberamente.
Baciò
il marito, avvertendo in quel momento come una fitta al cuore.
Per
favore, qualsiasi cosa accada, anche se qualcuno vuole entrare, non lasciate
questo posto, e se vi mettessero fuori, benché non creda possa accadere, ma è
solo per prevedere tutte le ipotesi, restatevene qui vicino alla porta,
insieme, finché non arrivo. Li guardò con gli occhi pieni di lacrime, erano
tutti lì, dipendevano da lei come i piccini dipendono dalla madre, Se gli manco
io, pensò, non le sovvenne che là fuori erano tutti ciechi, e comunque
vivevano, avrebbe dovuto diventare cieca anche lei per capire come ci si abitua
a tutto.
Non
poteva perdersi, non ci sarebbe stato nessuno a cui chiedere informazioni,
quelli che prima ci vedevano adesso erano ciechi, e lei, che poteva vedere, non
avrebbe saputo dove si trovava, era cieca a causa della cecità altrui.
La
natura delle circostanze influisce profondamente sul lessico.
Cieca
quanto lo erano i ciechi là fuori, l’unica differenza era nel colore, ammesso
che il bianco e il nero siano effettivamente dei colori. Sto
perdendo il senno, pensò, e ragioni certo che ce ne aveva, scendere come stava
facendo lei, senza luce né speranza di vederne, fino a dove. Adesso so cosa significa
essere ciechi. Cosa c’è davanti a me, e subito dopo un altro pensiero, ancora
più spaventoso, E come ritroverò la via d’uscita, un improvviso sbilanciamento
la costrinse ad abbassarsi per non cadere, quasi sul punto di perdere coscienza.
Il cuore risuonava alla cieca nel buio, fin dalla prima di tutte la tenebre.
Decisa, stava per alzarsi, ma si ricordò di essere cieca come i ciechi,
meglio fare come loro, avanzare chini fino a trovarsi qualcosa davanti.
La mano cieca, che non poteva
vedere dove andava, toccò e fece cadere alcune scatolette. Il rumore che
fecero, sbattendo contro il suolo, per poco non fece fermare il cuore della
moglie del medico, Sono fiammiferi, pensò. Fremendo per l’eccitazione, si
chinò, passò le mani sul pavimento, trovò qualcosa, questo è un odore che non
si può confondere con nessun altro, e il rumore dei legnetti quando agitiamo la
scatola, il coperchio che scivola, la ruvidità della striscia esterna, dove c’è
il fosforo, la testa del fiammifero che raspa, infine la deflagrazione della
fiammella, lo spazio intorno, una diffusa sfera luminosa simile a un astro
nella nebbia, mio Dio, la luce esiste e io ho gli occhi per vederla, sia lodata
la luce. D’ora in poi la raccolta sarebbe stata facile.
Non c’era nessuno, ma lei si domandò
di nuovo, Cosa faccio. Avrebbe potuto, giunta all’uscita, voltarsi verso
l’interno e gridare, C’è da mangiare in fondo al corridoio, una scala conduce
al magazzino del sotterraneo, approfittate, ho lasciato la porta aperta.
Avrebbe potuto farlo, ma non lo fece. Aiutandosi con la spalla, chiuse la
porta, continuava a ripetersi che era meglio tacere, s’immagini cosa sarebbe
accaduto, i ciechi ad accorrere come pazzi, come quando si era annunciato
l’incendio al manicomio, sarebbero rotolati giù per le scale, calpestati e
schiacciati da quelli dietro, che sarebbero caduti anch’essi.
Si
sdrucì l’ultimo brandello che a stento la copriva dalla cintola in su, adesso
aveva i seni scoperti, e su di essi, purificatrice, che parola raffinata,
scorreva l’acqua del cielo. Con una pioggia del genere, che per poco non è un
diluvio, ci sarebbe da aspettarsi che la gente se ne stia al riparo, in attesa
che spiova. Non è così, però, dappertutto ci sono ciechi che, a bocca aperta
verso l’alto, si dissetano, immagazzinano acqua in ogni angolo del corpo,
mentre altri, più previdenti, e soprattutto più sensati, reggono fra le mani
secchi, casseruole e pentole, alzandole al cielo generoso, è proprio vero che
Dio concede nubi in base alla sete. Alla
moglie del medico non era venuta in mente la possibilità che dai rubinetti
delle case non uscisse neppure una goccia del prezioso liquido, è il difetto
della civiltà, ci si abitua alla comodità dell’acqua incanalata, a domicilio, e
ci si dimentica che, perché sia così, devono esserci persone ad aprire e
chiudere le valvole di distribuzione, impianti che hanno bisogno di energia
elettrica e per tutto questo mancano gli occhi.
I ciechi, quei poveri ciechi, a
bocca aperta, che tengono aperti anche gli occhi rivolti al cielo bianco, sembra
impossibile come possa piovere da un cielo così.
A un certo momento capisce di
essere disorientata e persa. Non c’è dubbio, si è persa. Ha fatto un giro, ne
ha fatto un altro, non riconosce più né le strade né i loro nomi. Quando
finalmente alzò gli occhi, vide davanti a sé una grande mappa del centro delle
città. Adesso, siccome tutti quanti sono ciechi, sembra facile dire che sono
stati male utilizzati i soldi spesi, è che in definitiva bisogna aver pazienza,
dare tempo al tempo, ormai dovremmo averlo imparato, e una volta per tutte, che
il destino deve fare tanti e tanti giri
prima di giungere da qualche parte, lo sa soltanto lui quanto gli sarà costato
portare qui questa mappa per indicare a questa donna dove sta.
Anche
il profumo di un boccone di pane duro sarebbe stato, per dirla in maniera
elevata, l’essenza stessa della vita.
Le chiavi, disse il medico, le ho
io, e introducendo con difficoltà tre dita in un taschino dei pantaloni a
brandelli, vicino alla cintura, ne estrasse un cerchietto con tre chiavi, ho
avuto paura che si potessero perdere, ho pensato che erano più sicure se le
portavo sempre con me, e poi era una maniera di credere che un giorno saremmo
ritornati a casa.
Con
l’aiuto dell’immaginazione potranno vedere.
Camminano, non sanno cosa fare,
vagano per le strade, ma mai per molto tempo, camminare o star fermi finisce
che per loro è lo stesso.
La
musica è cessata, non c’è mai stato tanto silenzio nel mondo, i
cinema e i teatri servono solo a chi è rimasto senza casa e ormai ha rinunciato
a cercarla, alcune sale, le più grandi, erano state usate per le quarantene quando il governo, o quel che via via ne
rimaneva, credeva ancora che il mal bianco si sarebbe potuto bloccare con
sistemi e trucchi che altrettanto poco erano serviti in passato. Quanto ai
musei, è un vero e proprio dolore dell’anima, da spezzare il cuore, tutta
quella gente, sì, gente, dico bene, tutti quei dipinti, tutte quelle sculture
senza neanche una persona, lì davanti, a guardare. Di cosa siano in attesa i
ciechi della città, non si sa, sarebbero in attesa della cura se ancora vi
credessero, ma la speranza l’hanno persa quando si è reso pubblico che la
cecità non aveva risparmiato nessuno, che non era rimasta un’unica vista sana.
Come
va fuori, aveva domandato il vecchio e la moglie del medico rispose, Non c’è
differenza tra ciò che abbiamo vissuto e ciò che dovremo vivere.
Te
l’immagini, una scala che prima ero capace di salire e scendere a occhi chiusi,
così sono le frasi fatte, non hanno al cuna sensibilità per le mille
sottigliezze semantiche, questa, per esempio, ignora la differenza tra il
chiudere gli occhi ed essere ciechi.
Non
c’è nessuno, e scoppiò a piangere appoggiata alla porta, col capo sugli
avambracci incrociati, come se stesse implorando con tutto il corpo una
disperata pietà, se non avessimo appreso a sufficienza come sia complicato lo
spirito umano ci meraviglieremmo di quanto desideri i suoi genitori, al punto
di queste manifestazioni di dolore, una ragazza dai costumi tanto liberi,
benché non sia lontano chi abbia già affermato che non esiste né mai è esistita
alcuna contraddizione fra questo e quello.
La
diffidenza negli occhi ciechi, un modo di dire che in realtà non è affatto
preciso, perché gli occhi, gli occhi propriamente detti, non hanno alcuna espressione,
sono inerti. Le indefinite combinazioni dei lineamenti del viso costituiscono
il sembiante, le lievi obliquità delle gote, delle labbra. . . devono farsi
carico delle diverse eloquenze e retoriche visive, la fama però ce l’hanno gli
occhi.
♦
La morte è per le strade, ma nei
giardini la vita non è finita, disse misteriosamente.
Forse
sul comò c’è ancora il vaso di fiori di cui si ricordava. Non piangere, quali
altre parole si possono dire, che senso hanno le lacrime quando il mondo ha
perduto ogni senso. Nella camera della ragazza, sul comò, c’era un vaso di
vetro con un mazzo di fiori ormai secchi, l’acqua era evaporata, fu lì che le
mani cieche si diressero, le dita sfiorarono i petali morti, com’è fragile la
vita, se la si abbandona.
Le
maldicenze sono cose che si dicono quando non sappiamo avere occhi per guardare
noi stessi, ci avesse vissuto lui come ha vissuto lei, e vedremo presto
l’umiltà supplire la sua assenza di umana affabilità.
L’illuminazione,
fu una bella fortuna che avessero trovato due candele nella dispensa della
cucina, messe via per sopperire a occasionali mancanze di energia e che la
moglie del medico accese a proprio beneficio, gli altri non ne avevano bisogno,
avevano già una luce dentro la testa, talmente forte da averli accecati. Non
avevano i compagni che questo poco, eppure finì per essere una festa di
famiglia, una di quelle feste, rare, dove quel che possiede ciascuno è di
tutti.
E tu, cosa farai adesso, Niente,
resto qui ad aspettare che tornino i miei genitori, Da sola e cieca, Alla
cecità mi sono abituata, E alla solitudine, Dovrò abituarmi. E poi sarà finita,
non ci sarà altra vita, Per il momento siamo ancora vivi, Ascolta, tu sai molte
più cose di me, al tuo confronto io sono soltanto una povera ignorante, ma penso
che siamo già morti, siamo ciechi perché siamo morti, oppure, se preferisci che
te lo dica diversamente, siamo morti perché siamo ciechi, il risultato è lo
stesso, Io ci vedo ancora, Fortunatamente per te, fortunatamente per tuo
marito, per me, per gli altri, ma non sai se continuerai a vedere, qualora
diventassi cieca saresti uguale a noi.
Oggi
è oggi, domani è un altro giorno, e io la responsabilità ce l’ho oggi, non
domani, se sarò cieca.
Responsabilità
di cosa, La responsabilità di avere gli occhi quando gli altri li hanno perduti, Non puoi
guidare o dare da mangiare a tutti i ciechi del mondo, Dovrei, Ma non puoi, Aiuterò per quanto sarà nel le mie
possibilità, So bene che lo farai, se non fosse per te forse non sarei più
viva, E adesso non voglio che tu muoia, Devo restare, è un mio obbligo, questa
è la mia casa, voglio che i miei genitori mi trovino qui se torneranno, Se
torneranno, l’hai detto tu stessa, e
resta da sapere se saranno ancora i tuoi genitori. Poverini i tuoi genitori,
poverina te, quando vi incontrerete, ciechi negli occhi e ciechi nei
sentimenti, perché i sentimenti con i quali abbiamo vissuto e che ci hanno
fatto vivere come eravamo sono nati perché avevamo gli occhi, senza di essi i
sentimenti si trasformeranno, non sappiamo come, non sappiamo in quali, tu
dici che siamo morti perché siamo ciechi, dunque, Tu ami tuo marito, Sì, quanto
me stessa, ma se diventassi cieca, se dopo esserlo diventata non fossi più
quella di prima, chi sarei per poter continuare ad amarlo, e di che amore, Anche prima, quando vedevamo, c’erano i
ciechi, In confronto, pochi, i normali sentimenti erano quelli di chi vedeva,
quindi i ciechi si regolavano sui sentimenti degli altri, non da ciechi quali
erano, adesso, invece, stanno venendo fuori gli autentici sentimenti dei
ciechi, e siamo appena all’inizio, stiamo ancora vivendo del ricordo di ciò che
sentivamo, non hai bisogno degli occhi per sapere com’è la vita oggi, se mi
avessero detto che un giorno avrei ammazzato l’avrei presa per un’offesa,
eppure ho ammazzato, Allora, cosa vuoi che faccia, Vieni con me, vieni a casa
nostra, E loro, Ciò che vale per te vale per loro, ma è soprattutto a te che
voglio bene, Perché, Me lo domando anch’io il perché, forse perché per me sei
diventata come una sorella, forse perché mio marito è stato a letto con te,
Perdonami, Non è un delitto per cui serva il perdono. Adesso andiamo a dormire,
domani è un’altra vita. Un’altra vita, o
la stessa.
Discutere,
per esempio, se esista un rapporto diretto fra gli occhi e i sentimenti, o se
il senso di responsabilità sia la naturale conseguenza di una buona visione, ma
quando la tortura incalza, quando il corpo ci fa impazzire di dolore e
angoscia, allora sì, si vede che povero animale siamo.
Lei,
guardandoli, piangeva, piangeva per tutti loro, che pare non possano più fare
neanche questo, piangere.
Talvolta,
quel che rovina è l’immaginazione.
È
giunto il momento di decidere cosa dobbiamo fare, ci ritroviamo nel caos, il
vero caos deve essere questo.
Ci
sarà pure un governo, disse il primo cieco, Non credo, ma, nel caso ci fosse,
sarebbe un governo di ciechi che vogliono governare dei ciechi, e cioè, il
nulla che pretende di organizzare il nulla, Allora non c’è futuro, disse il
vecchio, Non so se ci sarà futuro, ma adesso si tratta di sapere come potremo
vivere in questo presente, Senza futuro il presente non serve, è come se non
esistesse, Può darsi che l’umanità riesca a vivere senza occhi, ma allora non
sarà più umanità, il risultato è evidente, chi di noi si considera ancora
altrettanto umano di quanto credeva di essere prima, io per esempio ho
ammazzato un uomo, Hai ammazzato un uomo, si meravigliò il primo cieco, Sì. Hai
ammazzato per vendicarci, a vendicare le donne doveva essere una donna, disse
la ragazza, e se la vendetta è giusta, è cosa umana, se la vittima non avesse
un diritto sul carnefice, allora non ci sarebbe giustizia, Né umanità, aggiunse
la moglie del primo cieco.
Se
rimaniamo insieme forse riusciremo a sopravvivere, se ci separiamo saremo
inghiottiti dalla massa e distrutti, Hai detto che ci sono gruppi di
ciechi organizzati, osservò il medico, ciò significa che si stanno inventando
nuove maniere di vivere, non è detto che finiremo distrutti, come prevedi, Non
so fino a qual punto siano realmente organizzati, li vedo solo aggirarsi in
cerca di cibo e di un posto dove dormire, niente di più, Siamo regrediti all’orda primitiva. Quando comincerà a farsi
difficile trovare acqua e cibo, sicuramente
questi gruppi si disgregheranno, ognuno penserà di poter sopravvivere meglio da
solo. I gruppi già esistenti avranno pure dei capi, qualcuno che comandi e
organizzi, ricordò il primo cieco, Forse, ma in tal caso chi comanda è
altrettanto cieco di chi viene comandato, Tu non sei cieca, disse la ragazza
dagli occhiali scuri, perciò sei stata tu a comandare e organizzare, Io non
comando, organizzo ciò che posso, sono unicamente gli occhi che voi non avete
più, Una specie di capo naturale, un re dotato di occhi in una terra di ciechi,
disse il vecchio, Se è così, allora lasciatevi guidare dai miei occhi fintanto
che dureranno, e perciò propongo che, invece di disperderci, continuiamo a
vivere insieme, Possiamo restare qui, disse la ragazza, La nostra casa è più
grande, Supponendo che non sia occupata, rammentò la moglie del primo cieco,
Quando ci arriveremo lo sapremo, e casomai ritorneremo qui, o potremmo andare a
vedere la vostra, o la tua, aggiunse rivolgendosi al vecchio, e lui rispose, Io
non ho casa, vivevo da solo in una camera, Non hai famiglia, domandò la
ragazza, Nessuno, Né moglie, né figli, né fratelli, Nessuno, Se i miei genitori
non torneranno, anch’io sarò sola come te, Io sto con te, disse il ragazzino,
ma non aggiunse, Se mia madre non tornerà, non ha posto questa condizione,
strano comportamento, o forse mica tanto strano, i giovani si adattano
rapidamente, hanno tutta la vita davanti.
Verrai
con noi, Sì, a una condizione, a prima vista potrebbe sembrare scandaloso che
qualcuno anteponga condizioni a un favore che gli si vuole fare. Qual è la
condizione, domandò. Quando comincerò a diventare un peso insopportabile, vi
chiedo di dirmelo, e se, per amicizia o compassione, deciderete di tacere,
spero di avere ancora abbastanza giudizio in testa per fare ciò che devo, E
cosa sarebbe, si può sapere, domandò. Ritirarmi, allontanarmi, scomparire.
Solo
un cuore di pietra sarebbe stato capace di fingersi indifferente davanti a
quegli occhi supplici.
Adesso
ce ne stiamo andando, Adesso, ripeté con una sorta di spossatezza nella voce
che sembrava pena, non aggiunse una parola di più, solo quell’Adesso che non
chiedeva neppure risposta, anche i duri di cuore provano qualche dispiacere, e
quello fu tale che poi non volle aprire la porta per salutare.
Le parve strano sentire una delle
donne dire, Qui è talmente buio che non riesco a vedere, che la cecità di
questa donna non fosse bianca era già, di per sé, sorprendente, ma che lei non
potesse vedere perché era buio, cosa mai poteva significare. Voleva pensare, si
sforzò, ma la testa svanita non le diede alcun aiuto, poco dopo stava dicendo
fra sé e sé, Avrò sentito male, dev’essere così. Per la strada, la moglie del
medico si ricordò di quel che aveva
detto, doveva stare più attenta alle parole, muoversi come chi abbia gli occhi,
poteva farlo, Ma le parole devono essere da cieca, pensò.
A
quel che si è potuto osservare i gruppi, salvo il caso di qualcuno più coeso
per motivi intrinseci e che noi non conosciamo, generalmente continuano a
perdere e ad acquistare aderenti nel corso della giornata, c’è sempre un cieco
che si disorienta e si perde o che viene ricusato, un altro che viene ammesso per
forza di gravità e viene trascinato, può darsi che lo accettino, può darsi che
lo caccino, dipende da quel che porta con sé.
Ha
aperto lentamente la finestra, non vuole si sappia di questa sua debolezza
sentimentale, ma dalla strada non sale nessun brusio, se ne sono già andati,
hanno lasciato questo posto dove non passa quasi nessuno, dagli occhi ciechi le
spuntano due lacrime, per la prima volta si è domandata se avesse una ragione
per continuare a vivere. Non ha trovato risposta, le risposte non vengono
ogniqualvolta sono necessarie, come del resto succede spesse volte che il
rimanere semplicemente ad aspettarle sia l’unica risposta possibile.
L’esperienza
è veramente maestra di vita.
Occhio
non vede, cuore non duole.
Non
essendoci testimoni, e se ci sono stati non risulta siano stati interpellati
per riferirci com’è andata, è comprensibile che qualcuno domandi come sia stato
possibile sapere che le cose sono andate così e non altrimenti, la risposta da
dare è che tutti i racconti sono come quelli della creazione dell’universo,
nessuno c’era, nessuno vi ha assistito, ma tutti sanno cosa è accaduto.
Come sarà andata con le banche, lo
ha domandato per semplice curiosità, solo perché le è venuto in mente, non per
altro, né si aspettava che le rispondessero, per esempio così, In principio Dio
creò il cielo e la terra, la terra era informe e deserta e le tenebre
ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque, in principio fu
un pandemonio, le persone, per paura di ritrovarsi cieche e sfornite, si
precipitarono nelle banche per ritirare i propri soldi, pensavano di doversi
premunire per il futuro, ed è comprensibile, se uno sa di non poter lavorare
più, l’unico rimedio, finché durano, è quello di far ricorso alle economie
fatte in periodi di prosperità e previsioni a lungo termine, supponendo che si
sia avuta effettivamente la prudenza di andare accumulando i risparmi granello
su granello, il risultato del la fulminea corsa fu che in ventiquattr’ore erano
fallite alcune tra le principali banche, intervenne il governo chiedendo che
gli animi si calmassero e facendo appello alla coscienza civica dei cittadini,
concludendo il proclama con la solenne dichiarazione che si sarebbe assunto tutte
le responsabilità e i doveri derivanti dalla situazione di calamità pubblica
che si stava vivendo, un passo che tuttavia non riuscì ad allentare la crisi,
non solo perché la gente continuava a diventare cieca, ma anche perché chi
ancora ci vedeva pensava soltanto a salvare i propri amati soldi, infine, era
inevitabile, le banche, fallite o meno, chiusero i battenti e chiesero
protezione alla polizia, non servì a niente, in mezzo alla folla che si
ammassava urlante davanti alle banche c’erano anche poliziotti in borghese che
reclamavano ciò che tanto avevano faticato a guadagnare, alcuni, per potersi
esprimere liberamente, avevano addirittura avvisato il comando che erano
ciechi, e quindi si erano messi in congedo, e gli altri, quelli ancora in
uniforme e in servizio, con le armi puntate sulle masse insoddisfatte,
all’improvviso cessarono di vedere il bersaglio, e questi ultimi, se avevano
dei soldi in banca, perdevano ogni speranza e, per giunta, venivano accusati di
aver patteggiato con il potere costituito, ma il peggio venne dopo, quando le
banche si videro assalite da ciechi e non ciechi, ma tutti disperati, ormai non
si trattava più di presentare pacificamente allo sportello un assegno da
riscuotere dicendo all’impiegato, Voglio ritirare il saldo, ma di arraffare
quel che si poteva, i soldi del giorno, quanto fosse stato lasciato nei
cassetti, in un forziere aperto per disattenzione, in un sacchettino di
spiccioli all’antica, non si può immaginare che cosa fu, la città fu teatro di
scene veramente terrificanti, e non bisogna dimenticare il particolare delle
casse automatiche, forzate e saccheggiate fino all’ultima banconota, sullo
schermo di alcune, enigmaticamente, comparve un messaggio di ringraziamento per
aver scelto questa banca, le macchine sono effettivamente stupide, a meno che
non sia più esatto dire che queste qui avevano tradito i loro padroni, insomma,
tutto il sistema bancario crollò in un soffio, come un castello di carte, e non
perché il possesso di denaro avesse cessato di essere apprezzato, prova ne sia
che chi ce l’ha non se ne vuole liberare, adducendo che non si può prevedere
come sarà il domani, cosa che del resto staranno pensando sicuramente anche i
ciechi che si sono installati nei sotterranei delle banche, dove si trovano le
casseforti, in attesa di un miracolo che ne spalanchi le pesanti porte di
acciaio che li separano dalla ricchezza, se ne allontanano soltanto per
procurarsi cibo e acqua, o per soddisfare altre necessità, ma ritornano
immediatamente ai propri posti, hanno parole d’ordine e segnali con le dita
affinché nessun estraneo possa introdursi nel baluardo, chiaro, vivono nel buio
più totale, ma tant’è, per questa cecità è tutto bianco.
Vedendo,
non fece quella consueta, malinconica riflessione che consiste nel dire, Come
passa il tempo, l’altro giorno eravamo ancora felici, ma, piuttosto, fu colpita
dalla delusione.
Lui infilò la mano in una tasca
interna della giacca nuova e tirò fuori le chiavi. Rimase lì con le chiavi per
aria, in attesa, lei gli guidò dolcemente la mano verso la serratura.
La casa era pulita, e c’era il
normale disordine che ci si aspetta quando si è dovuti uscire precipitosamente.
E comunque, mentre quel giorno aspettavano le chiamate dal ministero e
dall’ospedale, la moglie del medico, con la stessa previdenza che porta la
gente sensata a risolvere in vita le proprie faccende, per non doversi
verificare poi, dopo la morte, la fastidiosa necessità di ricorrere a
sistemazioni violente, aveva lavato i piatti, rifatto il letto, riordinato la
stanza da bagno, non aveva lasciato quel che si potrebbe definire un gioiello,
ma per la verità sarebbe stata una crudeltà pretendere di più, con quelle mani
che tremavano e gli occhi inondati di lacrime. Fu dunque a una specie di paradiso che giunsero i sette pellegrini,
e l’impressione fu talmente forte, un’impressione che, senza troppa offesa al
rigore del termine, potremmo definire trascendentale, che si trattennero al
l’ingresso, quasi paralizzati dall’inatteso profumo della casa.
Chissà se in casa c’è qualche candela,
si domandò, per tutta risposta si ricordò che in casa aveva due reliquie
dell’illuminazione, un’antica lucerna a olio, a tre beccucci, e un vecchio lume
a petrolio, di quelli con la coppa di vetro, per oggi andrà bene la lucerna,
olio ne ho, lo stoppino s’inventa, domani andrò in cerca di un po’ di petrolio.
Erano divenuti dei semplici
contorni, ombre che si perdevano nell’ombra, Ma non per loro, pensò, loro si
stemperano nella luce che li circonda, è la luce che non consente di vederli.
Adesso farò un po’ di luce, disse, in questo momento sono cieca quanto voi, è tornata
l’elettricità, domandò il ragazzino, No, accendo una lucerna, E che cos’è,
tornò a domandare il ragazzo, Poi te lo faccio vedere. Cercò una scatola di fiammiferi, andò in cucina, sapeva dove aveva
riposto l’olio, non gliene serviva molto, strappò da uno strofinaccio per i
piatti una striscia per farne uno stoppino, poi tornò in sala, dov’era la
lucerna, per la prima volta da quando era stata costruita sarebbe stata utile,
all’inizio non sembrava sarebbe stato questo il suo destino, ma nessuno di noi,
sa, all’inizio, tutto quello per cui è venuto al mondo. Una dopo l’altra, sui
beccucci della lucerna si attizzarono, tremule, tre piccole mandorle luminose,
che di tanto in tanto si distendevano dando quasi l’impressione che la parte
superiore delle fiamme sarebbe svanita nell’aria, ma poi si concentravano in se
stesse, quasi a divenire dense, solide, dei sassolini di luce. La moglie del
medico disse, Finalmente ci vedo.
Sono
esausti. Il ragazzino si è addormentato immediatamente, col capo in grembo alla
ragazza, senza pensare più alla lucerna. Così trascorse un’ora, sembrava un
paradiso, sotto la luce tenuissima gli stessi corpi sudici sembravano lavati,
brillavano gli occhi di chi non dormiva, il primo cieco cercò la mano della
moglie e la strinse, un gesto da cui si può osservare quanto il riposo del
corpo possa contribuire all’armonia degli spiriti.
Disse allora la moglie del
medico, converrebbe ci mettessimo d’accordo su come vivremo qui,
tranquillizzatevi, non intendo ripetere il discorso dell’altoparlante. Domani
dovrò uscire a cercare un po’ di cibo, quello che abbiamo sta finendo, sarebbe
utile che uno di voi mi accompagnasse, per aiutarmi a portarlo, ma anche per cominciare
a imparare la strada di casa, a riconoscere gli angoli, un giorno potrei
ammalarmi, o diventare cieca, mi aspetto sempre che capiti, in tal caso dovrò imparare da voi. Non
dimentichiamoci cosa è stata la nostra vita fintanto che siamo stati internati,
abbiamo sceso tutti i gradini dell’indegnità, tutti, fino all’abiezione, anche
se in maniera diversa potrebbe succedere anche qui, ma là, almeno, avevamo la
scusa dell’abiezione di quelli che stavano fuori, adesso no, adesso siamo tutti
uguali davanti al male e al bene, per favore, non domandatemi cosa sia il bene
e cosa sia il male, lo sapevamo ogniqualvolta abbiamo dovuto agire quando
ancora la cecità era un’eccezione, giusto e sbagliato sono appena due modi
diversi di intendere il nostro rapporto con gli altri, non quello che
manteniamo con noi stessi, di quest’ultimo non c’è da fidarsi, perdonatemi la
lezione moralistica, ma voi non sapete, non potete saperlo, cosa significhi
avere occhi in un mondo di ciechi. Sono soltanto colei che è nata per vedere
l’orrore, voi lo sentite, io lo sento e lo vedo.
Se
mai avrò di nuovo gli occhi, vedrò veramente gli occhi degli altri, come se ne
stessi vedendo l’anima, L’anima. O lo spirito, il nome poco importa, fu allora
che, sorprendentemente se teniamo conto che si tratta di una persona che non ha
fatto studi superiori, la ragazza disse, Dentro di noi c’è una cosa che non ha
nome, e quella cosa è ciò che siamo.
Al
centro della tavola la lucerna a tre beccucci aspettava che la moglie del
medico desse la spiegazione promessa, il che avvenne dopo mangiato, Dammi le
mani, disse al ragazzino strabico, poi le guidò lentamente, dicendo, Questa è
la base, rotonda, come vedi, e questa la colonna che sostiene la parte
superiore, il deposito dell’olio, qui, attenzione a non bruciarti, ci sono i
beccucci, uno, due, tre, da cui escono gli stoppini, delle striscioline di
tessuto che si imbevono di olio, vi si avvicina un fiammifero e bruciano fino a
che l’olio si esaurisce, sono delle lucine fiacche, ma ci fanno vedere, Io non
vedo, Un giorno vedrai, quel giorno ti regalerò la lucerna. Di che colore è,
Non hai mai visto un oggetto di ottone, Non lo so, non mi ricordo, cos’è
l’ottone. Il ragazzino rifletté un momento, Adesso chiederà della mamma, pensò
la moglie del medico, ma si sbagliava, il ragazzo disse solo che voleva un po’
d’acqua, aveva tanta sete.
La
lucerna ne illuminava i volti, girati verso la luce che sembrava stesse loro
dicendo, Eccomi, guardatemi, approfittatene, badate che questa luce non durerà
per sempre. La donna delle lacrime accostò il bicchiere alle labbra del
ragazzino, disse, Eccoti l’acqua, bevi lentamente, lentamente, assaporala, un
bicchiere d’acqua è una cosa meravigliosa, non parlava a lui, non parlava a
nessuno, semplicemente comunicava al mondo che cosa meravigliosa sia un
bicchiere d’acqua.
Siamo
andati via da qui, domandò lui di nuovo, e la moglie esclamò, Sì, come ho fatto
a non ricordarmene, un bottiglione che era a metà e un altro che non era
neppure iniziato, oh che gioia, non bere, non bere più, diceva adesso rivolta
al ragazzo, berremo acqua pura, adesso porto in tavola i nostri bicchieri
migliori e berremo acqua pura. Stavolta afferrò la lucerna e andò in cucina, ne
tornò con il bottiglione, la luce lo illuminava, facendo scintillare il gioiello
che aveva dentro. Lo posò sulla tavola, andò a prendere i bicchieri, i migliori
che avevano, di cristallo finissimo, poi, lentamente, come se stesse celebrando
un rito, li riempì. Infine disse, Beviamo. Le mani cieche cercarono e trovarono
i bicchieri, li alzarono tremando. Beviamo, ripeté la moglie del medico.
Al
centro del tavolo, la lucerna era come un sole circondato da astri brillanti.
Quando i bicchieri furono di nuovo sul tavolo, la ragazza e il vecchio stavano
piangendo. Fu una notte agitata. Vaghi
all’inizio, imprecisi, i sogni passavano da un dormiente all’altro, coglievano
qui, coglievano là, portando via con sé nuove memorie, nuovi segreti, nuovi
desideri, ecco perché gli addormentati sospiravano e mormoravano, Questo sogno
non è mio, dicevano, ma il sogno rispondeva, Non conosci ancora i tuoi sogni,
fu così che la ragazza dagli occhiali scuri venne a sapere chi era il vecchio
dalla benda nera che dormiva lì a due passi, così credette lui di sapere chi
fosse lei, lo credette soltanto, perché non basta che i sogni siano reciproci
per essere uguali.
Cominciò
a piovere alle prime luci dell’alba. Il vento scagliò contro le finestre uno
scroscio che risuonò come mille frustate. La donna delle lacrime si svegliò,
aprì gli occhi e mormorò, Come piove, poi li richiuse, nella camera era ancora
buio pesto, poteva dormire. Neanche un minuto dopo si destò bruscamente
all’idea di aver qualcosa da fare, ma senza comprendere ancora cosa fosse, la
pioggia le stava dicendo Alzati, che mai voleva la pioggia. Lentamente, per non
svegliare il marito, uscì dalla camera, attraversò il soggiorno, si fermò un
istante a guardare gli altri che dormivano sui divani, poi percorse il
corridoio fino alla cucina, su questa parte del palazzo la pioggia cadeva con
maggior forza, spinta dal vento. Con la manica del grembiule che indossava pulì
il vetro appannato della porta-finestra e guardò fuori. Il cielo era, tutto,
un’unica nuvola, pioveva a dirotto. Sul pavimento del balcone, ammucchiati,
c’erano gli indumenti sporchi che si erano tolti, c’era il sacco di plastica
con le scarpe che bisognava lavare. Lavare. L’ultimo velo del sonno si aprì
subitamente, ecco cosa doveva fare. Aprì la porta, fece un passo avanti, in un
attimo la pioggia la bagnò dalla testa ai piedi, come se stesse sotto una
cascata. Devo approfittare di quest’acqua, pensò. Rientrò in cucina e, evitando
più che poteva i rumori, cominciò a radunare tutto quanto potesse raccogliere
un po’ di questa pioggia che veniva giù dal cielo a catinelle. Li trasportò
fuori, li dispose lungo il balcone, vicino alla ringhiera, adesso avrebbe avuto
un bel po’ d’acqua per lavare gli indumenti; per purificare l’anima, il corpo, disse,
come per correggere il metafisico pensiero, poi aggiunse, è lo stesso. Allora,
come se solo quella dovesse essere l’inevitabile conclusione, l’armoniosa
conciliazione tra ciò che aveva detto e ciò che aveva pensato, di colpo si
sfilò il grembiule bagnato, e, nuda, ricevendo sul corpo ora la carezza, ora la
frustata della pioggia, si mise a lavare i panni, e, insieme, se stessa. Il
rumoreggiare d’acqua che la circondava le impedì di avvertire immediatamente
che non era più sola. Sulla porta del balcone erano comparse la ragazza e la
moglie del primo cieco, che presentimenti, che intuizioni, che voci interiori
le avessero destate non si sa, e tanto meno come fossero riuscite a trovare la
strada fin qua, non vale la pena di cercare spiegazioni, adesso, le congetture
sono libere. Aiutatemi, disse la moglie del medico quando le vide, E come, se
non vediamo, domandò la moglie del primo cieco, Toglietevi i vestiti che avete
indosso. Ma noi non vediamo, ripeté la moglie del primo cieco, Fa lo stesso,
disse la ragazza dagli occhiali scuri, faremo del nostro meglio, E poi finirò
io, disse la moglie del medico, pulirò ciò che sarà rimasto.
Forse,
alcuni ciechi, uomini, donne, risvegliati dalla violenza dei continui scrosci,
con la fronte appoggiata ai vetri freddi, ricoprendo col fiato del respiro
l’appannamento della notte, stiano rammentando il tempo in cui così, proprio
come stanno adesso, vedevano la pioggia scendere dal cielo. Non possono
immaginare che laggiù ci sono tre donne nude, nude come sono venute al mondo,
sembrano matte, devono essere proprio matte, nessuno con la testa a posto
andrebbe a lavarsi su un balcone esponendosi agli sguardi dei vicini, tanto
meno in quelle condizioni, cosa importa che siano tutti ciechi, certe cose non
si devono fare, mio Dio, la pioggia, come scorre sui loro corpi, come scende
fra i seni, come si trattiene e si perde nell’oscurità del pube, e infine si
spande e circonda le cosce, forse le abbiamo giudicate male ingiustamente,
forse siamo noi a essere incapaci di vedere ciò che di più bello e glorioso è
mai accaduto nella storia della città, giù dal balcone si riversa una tovaglia
di spuma, ah se potessi seguirla, giù all’infinito, pulito, purificato, nudo.
Dio solo ci vede, disse la moglie del primo cieco, che, malgrado le
disillusioni e le contrarietà, è ancora fermamente convinta che Dio non sia
cieco, al che la moglie del medico rispose, Neppure lui, il cielo è coperto,
soltanto io posso vedervi.
Ecco
come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano fra di loro,
sembra non sappiano dove vogliono andare, e all’improvviso, per via di due o
tre, o di quattro che all’improvviso escono, parole semplici, un pronome
personale, un avverbio, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la
commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi,
che incrina la compostezza dei sentimenti, a volte sono i nervi a non riuscire
a reggere, sopportano molto, sopportano tutto, come se indossassero
un’armatura, si dice, La moglie del medico ha i nervi d’acciaio e poi, in
definitiva, la moglie del medico si scioglie in lacrime per via di un pronome
personale, di un avverbio, di un verbo, di un aggettivo, mere categorie
grammaticali, mere designazioni, come del pari lo sono le restanti due donne,
le altre, pronomi indefiniti, anch’essi piangenti, che abbracciano quella della
frase completa, tre grazie nude sotto la pioggia. Adesso è il momento che
queste donne si lavino, e ridono come ridevano soltanto le bambine che un tempo
giocavano nel giardino ( ♦
) , quando cieche ancora non lo erano. Ormai
è giorno chiaro, il primo sole ha fatto capolino nel mondo prima di nascondersi
di nuovo dietro le nuvole. Continua a
piovere, ma con minore intensità. Le lavandaie entrano. Si sono asciugate, la
loro pelle profuma, così è la vita.
In
questa casa sembra esserci di tutto, o forse è perché sanno fare buon uso di
ciò che hanno.
Era
immobile, teso, come se volesse fissare i pensieri o, al contrario, impedir
loro di continuare a pensare. Le udì entrare, sapeva da dove venivano,
cosa avevano fatto, che erano state lì nude, e se sapeva tante cose non era
perché all’improvviso avesse recuperato la vista e fosse andato, cieco era
prima, cieco continuava a essere. Aveva
sentito cosa dicevano là sul balcone, le risa, il rumore della pioggia e delle
spruzzate d’acqua, aveva respirato l’odore del sapone, pensando che al mondo
esisteva ancora la vita, domandandosi se ce ne sarebbe stata un po’ anche per
lui.
I
detti, se vogliono continuare a esprimere la stessa cosa perché bisogna
continuare a esprimerla, devono adattarsi ai tempi.
Ai ciechi non interessa sapere
dove sia l’oriente o l’occidente, il nord o il sud, i ciechi vogliono soltanto
sapere se sono sulla strada giusta, anticamente, quando erano ancora pochi,
usavano solitamente dei bastoni bianchi, il suono dei continui colpi per terra
e sulle pareti era come una specie di codice che via via identificava e
riconosceva la rotta, ma oggigiorno, ciechi come sono tutti, un bastone del
genere, nel tintinnio generale, sarebbe quanto meno inutile, per non dire che
il cieco, immerso nel proprio biancore, potrebbe addirittura dubitare di avere
davvero qualcosa in mano.
Serba
ciò che non serve, troverai ciò che è necessario.
Non
capita solo in natura che a volte non tutto vada perduto e di qualcosa si
approfitti.
Tanto
ci pesa l’idea di dover morire che cerchiamo sempre di trovare delle scuse per
i morti, è come se stessimo chiedendo in anticipo di essere scusati quando
giungerà il nostro turno,
Mi
sembra ancora tutto un sogno, è come se sognassi di essere cieca.
Alcune
cose si dimenticano, è la vita, altre si ricordano.
Calcano
i gradini invisibili di una scala che è al tempo stesso buia e luminosa.
Chi è, cosa desidera, domandò
l’uomo che comparve, aveva un’aria seria, educata, doveva essere una persona
per bene. Sono uno scrittore. Si sentì adulato, immaginate, uno scrittore a
casa mia, poi gli venne un dubbio, sarebbe stata buona educazione o no
domandargli come si chiamava, probabilmente ne conosceva addirittura il nome,
poteva darsi, addirittura, che lo avesse letto, era ancora in bilico fra la
curiosità e la discrezione quando la moglie fece la domanda diretta, Come si
chiama, I ciechi non hanno bisogno del nome, io sono questa mia voce, il resto
non è importante, Ma ha scritto dei libri,
e su quei libri c’è il suo nome, disse la donna delle lacrime, Adesso non può leggerli nessuno, dunque è
come se non esistessero.
Uno
scrittore finisce per avere nella vita la pazienza di cui ha avuto bisogno per
scrivere.
Accontentarsi
di quanto si possiede è la cosa più naturale quando si è ciechi.
Lei
è uno scrittore, come ha detto poco fa ha l’obbligo di conoscere le parole,
dunque sa che gli aggettivi non servono a niente, se una persona ne ammazza
un’altra, per esempio, sarebbe meglio enunciarlo così, semplicemente, e
confidare che l’orrore dell’atto, di per sé, fosse tanto scioccante da
dispensarci dal dire che è stato orribile, Vuol dire che abbiamo parole in più,
Voglio dire che abbiamo sentimenti in meno, Oppure ce li abbiamo, ma non usiamo
più le parole che potrebbero esprimerli, E dunque li perdiamo, Vorrei che mi
parlaste di come avete vissuto in quarantena, Perché, Sono uno scrittore,
Bisognerebbe esserci stati, Uno scrittore è una persona come un’altra, non può
sapere tutto né vivere tutto, deve domandare e immaginare, Forse un giorno
glielo racconterò, così potrà scrivere un libro, Lo sto scrivendo, Come, se è
cieco, Anche i ciechi possono scrivere, Vuol dire che ha avuto il tempo di
imparare l’alfabeto braille, No, non lo conosco, Come può scrivere, allora,
domandò il primo cieco, Ve lo faccio vedere. Si alzò dalla sedia, uscì, dopo un
minuto rientrò, con un foglio di carta e una biro in mano, è l’ultima pagina
che ho completato, Non possiamo vederla, disse la moglie del primo cieco,
Neanche io, disse lo scrittore, Allora come può scrivere, domandò la donna
delle lacrime, guardando il foglio di carta dove, nella penombra della sala, si
distinguevano le righe molto ravvicinate, qua e là sovrapposte, Col tatto,
rispose sorridendo lo scrittore, non è difficile, si mette il foglio di carta
su una superficie un po’ morbida, per esempio su altri fogli di carta, e poi si
scrive, Ma, se non ci vede, disse il primo cieco, La biro è un ottimo strumento
di lavoro per uno scrittore cieco, non serve per fargli leggere cosa ha
scritto, ma serve per sapere dove ha scritto, basta seguire col dito la
depressione dell’ultima riga scritta, proseguire così fino al margine del
foglio, calcolare la distanza per la nuova riga e così via, è molto facile,
Noto che a volte le righe si sovrappongono, disse la donna delle lacrime
togliendogli delicatamente di mano il foglio di carta, Come lo sa, Io ci vedo,
Ci vede, ha recuperato la vista, come, quando, domandò lo scrittore
nervosamente, Suppongo di essere l’unica persona a non averla mai perduta, E
perché, che spiegazione ha per questo, Non ho alcuna spiegazione, probabilmente
non ce n’è, Ciò significa che ha visto tutto quello che è successo, Ho visto
ciò che ho visto, non ho potuto far altro, Quanti eravate in quarantena, Circa
trecento, Da quando, Fin dall’inizio, ne siamo usciti solo tre giorni fa, come
le ho detto, Credo di essere stato io il primo a diventare cieco, disse il
primo cieco, Dev’essere stato orribile, Di nuovo questa parola, disse la donna
delle lacrime.
Ognuno
deve parlare di ciò che sa, e quello che non sa lo domanda.
Prese
i fogli scritti, saranno stati una ventina, diede uno sguardo alla calligrafia
minuscola, alle righe che salivano e scendevano, alle parole iscritte nel
biancore del foglio, incise nella cecità, Sono di passaggio, aveva detto lo
scrittore, e questi erano i segni che lasciava via via passando. La moglie del
medico gli posò la mano sulla spalla, e con tutte e due le mani lui gliela
prese, lentamente la portò alle labbra, Non si perda, non consenta di perdersi,
disse, ed erano parole inattese, enigmatiche, che sembravano fuori luogo.
Anche
il corpo è un sistema organizzato, è vivo finché si mantiene tale, e la morte
non è altro che l’effetto di una disorganizzazione.
L’
organizzarsi è già, in un certo qual modo,
cominciare ad avere occhi.
È
grazie ai tuoi occhi che siamo vivi. Lo saremmo anche se fossi cieca, il mondo
è pieno di ciechi vivi, Io penso che moriremo tutti, è questione di tempo,
Morire è sempre stata questione di tempo, disse il medico, Ma morire solo
perché si è ciechi, non dev’esserci peggior maniera di morire, Moriamo di
malattie, di incidenti, di infarti, di casualità, E adesso moriremo anche
perché siamo ciechi.
Questa
cecità è concreta e reale. Non ne sono sicura, disse la donna delle lacrime.
Neanche io, disse la ragazza.
Il
sogno continua, ma non so quale sia, sarà il sogno di sognare che quel giorno
stavo sognando di essere qui cieca, oppure il sogno di essere sempre stata
cieca. La quarantena non è stata un sogno, disse la moglie del medico, Questo
proprio no, come non è stato un sogno che siamo state violentate, Né che ho
pugnalato un uomo, disse la donna delle lacrime.
Comprendo
cosa intendi quando dici che stai vivendo un sogno. Si sedette dietro la
scrivania, posò le mani sul ripiano di vetro coperto di polvere, poi, con un
sorriso triste e ironico, come se si rivolgesse a qualcuno seduto davanti a sé,
disse, Purtroppo no, dottore, mi dispiace molto, ma per lei non c’è niente da
fare, se vuole che le dia un ultimo consiglio si rifugi in quel vecchio detto,
avevano ragione quando dicevano che la pazienza allunga la vista, Non farci
soffrire, disse la moglie. Scusami.
L’unico
miracolo che possiamo fare sarà quello di continuare a vivere, difendere la
fragilità della vita giorno per giorno, come se fosse lei la cieca, e non
sapesse dove andare, e forse è proprio così, forse la vita non lo sa davvero,
si è abbandonata nelle nostre mani dopo averci reso intelligenti, e noi
l’abbiamo portata a questo. Parli come se fossi cieca anche tu, disse la
ragazza. Sono cieca della vostra cecità, rispose la donna delle lacrime.
Non
c’è peggior cieco di chi non vuol vedere, è una grande verità. Ma io voglio
vedere. Non per questo vedrai, l’unica differenza sarebbe che non saresti più
la peggior cieca.
Attraversarono
una grande piazza dove c’erano gruppi di ciechi intenti ad ascoltare i discorsi
di altri ciechi, a prima vista né questi né quelli lo sembravano, chi parlava
volgeva infervorato la faccia verso chi ascoltava, chi ascoltava volgeva
attento la faccia verso chi parlava. Si proclamavano la fine del mondo, la
salvezza penitenziale, la visione del settimo giorno, l’avvento dell’angelo, la
collisione cosmica, l’estinzione del sole, lo spirito tribale, la virtù del
segno, la disciplina del vento, il profumo della luna, la rivendicazione della
tenebra, il potere dello scongiuro, la crocifissione della rosa, il sopore
dell’ombra, la rivolta delle maree, la cecità volontaria, il pensiero convesso,
quello concavo, quello piano, quello verticale, quello concentrato, quello disperso,
quello sfuggito, la morte della parola. Qui non c’è nessuno che parli di
organizzazione, disse la donna delle lacrime al marito, Forse è in un’altra
piazza, rispose lui. Continuarono a camminare. Poco più avanti la moglie del
medico disse, Ci sono più morti del solito per la strada, Perché la nostra
resistenza si sta esaurendo, il tempo si conclude. Passo accanto a loro e non
li vedo, è una vecchia abitudine dell’umanità, passare accanto ai morti e non
vederli, disse la donna delle lacrime.
È
proprio vero che il difficile non è vivere con gli altri, il difficile è
comprenderli.
Si
può osservare come l’autentico eterno ritorno sia quello delle parole.
Le
differenze non si noteranno, a meno che non le avrà serbate una memoria.
Ben
più necessità avrebbero i vivi di risorgere da se stessi, e non lo fanno.
Ma,
se non gli lasciassi un segno, una cosa qualsiasi, mi sentirei come se li
avessi abbandonati.
Stava
seduta sul primo gradino della scala con le mani abbandonate sulle ginocchia,
il bellissimo viso angosciato, i capelli sciolti sulle spalle, So quale segnale
potrai lasciare, disse. Risalì rapidamente la scala, rientrò in casa e tornò
con un paio di forbici e un pezzettino di spago, Cos’hai in mente, domandò la
ragazza, preoccupandosi nel sentire lo stridere delle forbici che le tagliavano
i capelli, Se i tuoi genitori torneranno, troveranno appesa alla maniglia della
porta una ciocca, di chi potrebbe essere se non della loro figlia domandò la
donna delle lacrime, Mi viene da piangere, disse la ragazza. Col capo reclinato
sulle braccia incrociate sopra le ginocchia sfogò le proprie pene, la
nostalgia.
Necessità
fa virtù, disse la donna delle lacrime, e basta con le filosofie e le
taumaturgie, diamoci da fare.
Quella
sera ci furono di nuovo lettura e audizione, non avevano altra maniera di
distrarsi, peccato che il medico non fosse, per esempio, un violinista
dilettante, che dolci serenate si sarebbero allora potute sentire in questo
quinto piano, i vicini invidiosi avrebbero detto, Quelli, o gli va bene la vita
o sono degli incoscienti e credono di poter sfuggire alla sventura ridendosela
della sventura degli altri.
Adesso
non c’è altra musica all’infuori di quella delle parole, e le parole, soprattutto
quelle dei libri, sono discrete. Anche se la curiosità spingesse qualcuno del
palazzo a mettersi in ascolto dietro la porta, costui non sentirebbe altro che
questo mormorio solitario, questo lungo filo di un suono che potrebbe
prolungarsi all’infinito perché i libri del mondo, tutti insieme, sono come
dicono sia l’universo, infiniti.
A
questo siamo ridotti, a sentir leggere, Io non mi lamento, potrei restare così
per sempre. Neanch’io mi sto lamentando, dico solo che serviamo soltanto a
questo, a sentir leggere la storia di un’umanità esistita prima di noi,
approfittiamo della combinazione che ci siano ancora un paio d’occhi aperti,
gli ultimi rimasti, se un giorno si dovessero spegnere, non voglio neanche
pensarci, allora il filo che ci unisce a quell’umanità si spezzerebbe, sarebbe
come se ci stessimo allontanando gli uni dagli altri nello spazio, per sempre,
e ciechi loro tanto quanto noi.
Avere
certe speranze è una follia, Allora ti dico che, se non fosse per quelle, avrei
già rinunciato alla vita, Fammi un esempio, Vedere di nuovo, Questo lo
conosciamo già, fammene un altro, No, Perché, Non ti interessa, E come sai che
non mi interessa, cosa credi di conoscere di me per decidere, per tuo conto,
ciò che mi interessa e ciò che non mi interessa, Non ti arrabbiare, non avevo
intenzione di ferirti. Io delle donne so ben poco, e di te niente.
Non
hai nient’altro da dire contro te stesso, Tante altre cose, non immagini
neanche quanto la lista nera delle autorecriminazioni vada aumentando a mano a
mano che gli anni passano, Io sono giovane, e già ne sono ben fornita, Ancora
non hai fatto niente di veramente cattivo, Come puoi saperlo, se non hai mai
vissuto con me, Sì, non ho mai vissuto con te, Perché hai ripetuto con quel
tono le mie parole, Quale tono, Quello, Ho detto solo che non ho mai vissuto
con te, Il tono, il tono, non fingere di non capire, Non insistere, ti prego,
Invece sì, ho bisogno di sapere, Torniamo alle speranze, Va bene, L’altro
esempio di speranza che ho rifiutato di fare era quello, Quello, quale,
L’ultima autorecriminazione della mia lista, Spiegati, per favore, Il desiderio
di non recuperare più la vista, Perché, Per continuare a vivere così.
Non
intendo dimenticare né lasciare che tu dimentichi. Se in questo momento sono
sincera, cosa importa se un domani dovrò pentirmene, Taci, Tu vuoi vivere con
me e io voglio vivere con te. Vivremo insieme qui, come una coppia, e insieme
continueremo a vivere se dovremo separarci dai nostri amici, due ciechi
dovranno pur vedere più di uno, è una follia, io non ti piaccio, Cosa significa
piacere, a me non è mai piaciuto nessuno.
Chi
sono io per metterti al la prova, è la vita che decide di queste cose.
Ebbero
questa conversazione faccia a faccia, gli occhi ciechi dell’uno fissi negli
occhi ciechi dell’altra, i visi infiammati e veementi, e quando, per averlo
detto uno di loro e per averlo voluto entrambi, convennero che la vita aveva
deciso che si mettessero a vivere insieme, la ragazza tese le mani, solo per
offrirle, non per sapere dove andava. La strinse dolcemente a sé, e rimasero
seduti così, vicini, non era la prima volta, è chiaro, ma adesso erano state
pronunciate le parole del contratto matrimoniale. Nessun altro fece commenti,
nessuno si congratulò, né augurò loro eterna felicità, non è davvero tempo di
festeggiamenti e illusioni, e quando si tratta di decisioni tanto serie come
sembra sia stata questa, non ci sarebbe neppure da sorprendersi se qualcuno
avesse pensato che bisogna proprio esser ciechi per comportarsi in questa
maniera, il silenzio è sempre il miglior applauso.
Fino
a quando riuscirai a reggere il peso di sei persone che non possono darsi da
fare, Reggerò finché potrò, ma in realtà le forze cominciano ormai a mancarmi,
a volte mi ritrovo a desiderare di diventare cieca per essere uguale agli
altri, per non avere più obblighi di loro, Ci siamo abituati a dipendere da te,
se ci mancassi sarebbe come se ci avesse colpito una seconda cecità, grazie ai
tuoi occhi riusciamo a essere un po’ meno ciechi, Tirerò avanti finché ne sarò
capace, non posso promettere di più, Un giorno, quando dovessimo capire che non
possiamo fare più nulla di buono e di utile al mondo, dovremmo avere il
coraggio di uscire semplicemente dalla vita, come ha detto lui.
Non
c’è niente di meglio che una solida speranza per far cambiare opinione. Ti
riferisci a quello che è accaduto con la ragazza quando eravamo in quel posto
orribile, Sì, Ricordati che è stata lei a cercarmi, La memoria ti inganna, sei
tu che l’hai cercata, Ne sei sicura, Non ero cieca, Eppure sarei pronto a
giurare che, Giureresti il falso, è strano come la memoria possa ingannarci
così, In questo caso è facilmente comprensibile, sentiamo più nostro quanto ci
si è offerto spontaneamente che non quello che abbiamo dovuto conquistare, Né
lei mi ha cercato dopo, né io l’ho più cercata, Volendo ci s’incontra nella
memoria, a questo serve, Sei gelosa, No, non sono gelosa, né lo sono stata quel
giorno, ma ho provato pena per lei e per te, e anche per me perché non potevo
aiutarvi.
Parlò
con parole convenientemente controllate per la presenza di un minore, una
cautela peraltro ora inutile se ripensiamo alle scandalose scene di cui è stato
di persona testimone durante la quarantena.
La
donna che ha pianto è già arrivata laggiù, il suo dovere è di seguirla, non si
sa mai, potrebbe dover asciugare altre lacrime.
In fondo c’era un chiarore
diffuso, molto tenue. Adesso sapeva cos’era.
Palpitavano delle fiammelle.
Fuochi fatui, Idrogeno fosforato derivante dalla decomposizione, l’ultima voce
di coloro che non hanno potuto tornare indietro. La porta era chiusa,
L’avranno chiusa certamente gli altri ciechi, hanno trasformato il sotterraneo
in un enorme sepolcro, e sono io la colpevole di quanto è accaduto, quando sono
uscita di corsa con i sacchetti avranno sospettato che si trattasse di cibo e
si saranno messi a cercarlo, In un certo qual
modo, tutto quanto mangiamo è rubato alla bocca altrui, e se ne rubiamo troppo
finiamo per causarne la morte, in fondo siamo tutti più o meno assassini, Non
voglio che cominci ad addossarti colpe immaginarie quando già riesci a stento a
sostenere la responsabilità di mantenere sei di noi. Quando uscirono fuori dal corridoio, i nervi le cedettero di colpo, il
pianto si fece convulso, non c’è modo di asciugare lacrime come queste, solo il
tempo e la stanchezza potranno chetarle.
Forse per l’intensità della luce
le venne una vertigine, pensò di star perdendo la vista, ma non si spaventò,
era solo un mancamento. Non giunse al punto di cadere, di perdere del tutto i
sensi. Aveva bisogno di sdraiarsi, chiudere gli occhi, respirare regolarmente,
se avesse potuto stare qualche minuto tranquilla, calma, era sicura che le
forze sarebbero tornate, e bisognava che tornassero.
Al di là della strada, poco più
avanti, c’era una chiesa. Probabilmente c’era gente dentro, come dappertutto,
ma doveva essere un buon posto dove riposare un po’, anticamente almeno era
così. La donna delle lacrime è già entrata, non so neppure come riesca a
trascinarsi, continua a mormorare al marito una sola parola, Reggimi, la chiesa è piena, quasi non si
trova un palmo di pavimento libero, qui si potrebbe veramente dire che non c’è
una pietra su cui posare il capo.
La
donna delle lacrime disse, Ora mi sento bene, ma nello stesso istante pensò di
essere ammattita, o forse, scomparsa la vertigine, di avere le allucinazioni,
non poteva essere vero ciò che le mostravano gli occhi, quell’uomo inchiodato
alla croce, una benda bianca gli bendava gli occhi, e, lì accanto, una donna
col cuore trafitto da sette spade e gli occhi bendati anch’essi con una benda
bianca, e non c’erano soltanto quest’uomo e questa donna in simili condizioni,
tutte le immagini della chiesa avevano gli occhi bendati, le sculture con una
striscia di tessuto bianco legata intorno alla testa, i dipinti con una spessa
pennellata di pittura bianca, e laggiù c’era una donna che insegnava a leggere
alla figlia, e tutte e due avevano gli occhi bendati, e un uomo con un libro
aperto su cui era seduto un bambino, e tutti e due avevano gli occhi bendati, e
una donna con una lanterna accesa, e aveva gli occhi bendati, e un altro uomo
con una bilancia, e aveva gli occhi bendati, e un uomo con un giglio bianco in
mano, e aveva gli occhi bendati, e una donna con una colomba, e avevano gli
occhi bendati. La moglie del medico disse al marito, Non mi crederesti se ti
dicessi quello che ho davanti a me, tutte le immagini della chiesa hanno gli
occhi bendati, Che strano, chissà perché, Come faccio a saperlo, potrebbe
essere stata opera di qualche disperato della fede quando ha capito che sarebbe
diventato cieco come gli altri, può essere stato lo stesso sacerdote, forse ha
pensato giustamente che, siccome i ciechi non avrebbero potuto vedere le
immagini, anche le immagini non avrebbero più dovuto vedere i ciechi, Le
immagini non vedono, Ti sbagli, le immagini vedono con gli occhi che le vedono,
solo adesso la cecità è veramente generale, Tu ci vedi ancora, Ci vedrò sempre
meno, anche se non perderò la vista diverrò sempre più cieca di giorno in
giorno perché non avrò più nessuno che mi veda. Se è stato il sacerdote a
tappare gli occhi delle immagini, è solo una mia idea, è l’unica ipotesi
plausibile, è l’unica che possa conferire una certa grandiosità alla nostra
miseria, immagino quell’uomo che entra qui dentro proveniente da un mondo di
ciechi, al quale poi dovrà tornare per divenirlo anche lui, immagino le porte
chiuse, la chiesa deserta, il silenzio, immagino le statue, i dipinti, lo vedo
andare dall’una all’altro, salire sugli altari e legare i pezzi di stoffa, con
due nodi perché non si slaccino e cadano giù, a passare due mani di colore
sulle pitture per rendere più spessa la notte bianca in cui sono entrate, quel
sacerdote dev’essere stato il più grande sacrilego di tutti i tempi e di tutte
le religioni, il più giusto, il più radicalmente umano, colui che è venuto
finalmente ad affermare che Dio non merita di vedere.
Tu come lo sai, se sei cieca,
chiese un uomo coricato accanto a loro, Lo verresti a sapere anche tu se
facessi come ho fatto io, avvicinati e toccale con le mani, le mani sono gli
occhi dei ciechi, E tu perché lo hai fatto, Ho pensato che per essere giunti al
punto cui siamo giunti qualcun altro doveva essere cieco, E quella storia che è
stato il sacerdote di questa chiesa a tappare gli occhi alle immagini, l’ho
conosciuto molto bene, sarebbe incapace di fare una cosa del genere, Non si può mai sapere in anticipo di cosa
siano capaci le persone, bisogna aspettare, dar tempo al tempo, è il tempo che
comanda, il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano
tutte le carte del mazzo. Alzati, usa le tue mani, se dubiti di quanto dico. È
vero, è vero.
Questa conversazione la stavano
sentendo altri ciechi che si trovavano più vicino, e sarebbe inutile dire che
non ci fu bisogno di aspettare la conferma del giuramento perché la notizia
cominciasse a circolare in un mormorio che a poco a poco cambiava tono, prima
incredulo, poi inquieto, di nuovo incredulo, il guaio fu che in
quell’assembramento di gente c’erano un certo numero di persone superstiziose e
ricche d’immaginazione, l’idea che le immagini sacre fossero cieche, che i loro
sguardi misericordiosi o sofferenti non contemplassero altro che la propria
cecità, divenne subito insopportabile. Bastò che si udisse un grido, e poi un
altro, e un altro ancora, la paura fece immediatamente alzare tutti quanti, il
panico li spinse verso la porta, si ripeté la scena ormai nota, siccome il
panico è molto più rapido di coloro che lo portano. Quei sei gradini là fuori saranno come un precipizio, ma insomma, non
sarà poi una gran caduta, l’abitudine a cadere indurisce il corpo, l’esser
giunti per terra è già, di per sé, un sollievo, Da qui non ne vengo fuori, è il
primo pensiero, e a volte l’ultimo nei casi fatali. Ciò che neppure cambia è
che si approfittino alcuni del male altrui, come sanno benissimo, fin
dall’inizio del mondo, gli eredi e gli eredi degli eredi. La fuga disperata
di questa gente l’ha spinta a lasciare dietro di sé tutti i propri beni, e
quando la necessità avrà avuto la meglio sulla paura e loro torneranno a
cercarli, oltre al difficile problema di chiarire in modo soddisfacente qual
era il mio e quale il tuo, vedremo che sarà sparita parte di quel po’ di cibo
che avevamo, vuoi vedere che è stato
tutto un cinico stratagemma di quella donna che ha detto che le immagini
avevano gli occhi bendati.
Si sedettero ad ascoltare la
lettura del libro, almeno lo spirito non potrà protestare contro la mancanza di
nutrimento, il guaio è che la debilità del corpo portava talvolta l’attenzione
della mente a distrarsi, e non certo per mancanza di interesse intellettuale,
no, è che semplicemente il cervello scivolava in un mezzo sopore, come un
animale che si prepara a ibernarsi, addio mondo, ragion per cui non di rado gli
ascoltatori si assopivano, si mettevano a seguire con gli occhi dell’anima le
peripezie dell’intreccio, finché un episodio più energico li riscuoteva dal
torpore, quando non era semplicemente il rumore del libro rilegato che si
chiudeva di colpo, la moglie del medico aveva delicatezze del genere, non
voleva far loro capire di saperlo che chi sognava in verità stava dormendo.
C’era
sempre quel biancore offuscante degli occhi che probabilmente soltanto il sonno
rabbuiava, ma non si poteva esser certi neppure di questo, dal momento che
nessuno poteva essere contemporaneamente addormentato e vigile. Fu colto da una
gran paura, credette di esser passato. Da una cecità all’altra, che dopo aver
vissuto nella cecità della luce adesso sarebbe vissuto nella cecità della
tenebra, il terrore lo fece gemere, Cos’hai, gli domandò lei. Lui rispose
stupidamente, senza aprire gli occhi, Sono cieco, come se fosse l’ultima novità
del mondo, lei lo abbracciò affettuosamente, Via, ciechi lo siamo tutti, non
c’è niente da fare, Ho visto tutto buio, credevo di essermi addormentato, e
invece no, sono sveglio. Aprì gli occhi e vide. Vide e gridò, Vedo. Il primo fu
ancora il grido dell’incredulità, ma col secondo, e col terzo, e con tutti gli
altri, a poco a poco si rinsaldò l’evidenza, Vedo, vedo, abbracciò la moglie,
poi corse dalla donna delle lacrime e abbracciò pure lei, la vedeva per la
prima volta, ma sapeva chi era, e il medico, e la ragazza, e il vecchio, lui
era inconfondibile, e il ragazzino, la moglie gli andava appresso, non voleva
mollarlo, e lui interrompeva gli abbracci per abbracciare di nuovo lei, adesso
era tornato dal medico, Vedo, vedo, dottore, non gli diede del tu com’era
divenuto ormai quasi una regola in questa comunità, se qualcuno ci riesce,
spieghi lui la ragione di questo repentino cambiamento, e il medico domandava,
Ci vede proprio bene, come prima, non c’è traccia di bianco, Niente di niente,
mi sembra addirittura di vedere ancora meglio di prima.
È
possibile che questa cecità sia giunta alla fine, è possibile che stiamo
cominciando tutti a recuperare la vista, a queste parole la donna delle lacrime
cominciò a piangere, avrebbe dovuto esser contenta e piangeva, come sono
curiose le reazioni della gente, chiaro che era contenta, mio Dio, è talmente
facile da capire, piangeva perché di colpo le si era esaurita la resistenza
mentale, era come una bimba appena nata e questo pianto era il suo primo e
ancora inconsapevole vagito.
Attesero.
Le tre fiammelle della lucerna illuminavano quel circolo di volti. Poi, a poco
a poco, le parole si smorzarono, a un certo punto al primo cieco venne in mente
di dire alla moglie che il giorno dopo sarebbero andati a casa, Ma io sono
ancora cieca, rispose lei, Non fa niente, ti guido io, solo chi si trovava lì,
e quindi lo udì con le proprie orecchie, fu in grado di avvertire come parole
tanto semplici potessero racchiudere sentimenti tanto diversi come la protezione,
l’orgoglio e l’autorità.
Il
secondo a recuperare la vista, in tarda serata, e quando ormai la lucerna,
esaurito l’olio, cominciava a tremolare, fu la ragazza. Aveva tenuto gli occhi
sempre aperti, come se la visione avesse dovuto entrare attraverso di essi, e
non rinascere dall’interno, all’improvviso disse, Mi sembra di vedere, era
meglio essere prudente, non tutti i casi sono uguali, si suole addirittura dire
che non esistano le cecità, ma i ciechi, quando l’esperienza non ha fatto altro
che dirci che non esistono i ciechi, ma le cecità. Comunque, anche se la
felicità di vederci di nuovo non dovesse contemplare pure i restanti, per
questi ultimi la vita d’ora in poi sarebbe molto più facile.
Guardate
in che stato si è ridotta quella donna, è come una corda che si è spezzata,
come una molla che non ce l’ha più fatta a reggere lo sforzo a cui era
costantemente sottoposta. Ecco, forse, perché fu lei che la ragazza dagli
occhiali scuri abbracciò prima di tutti.
Il
secondo abbraccio fu per lui.
Sapremo
quanto valgano veramente le parole. In definitiva ci sono parole che valgono
anche più del loro apparente significato. Un
abbraccio vale quanto queste parole.
Il
terzo a recuperare la vista, quando ormai cominciava ad albeggiare, fu il
medico, adesso non potevano esserci più dubbi, che la recuperassero anche gli
altri era solo questione di tempo.
Il
medico fece la domanda che premeva, Cosa starà succedendo fuori, la risposta
venne dallo stesso palazzo in cui si trovavano, al piano di sotto qualcuno uscì
sul pianerottolo gridando, Vedo, vedo, il sole sorgerà su una città in festa.
La
forza dei sentimenti, come succede sempre in momenti di esaltazione, aveva
preso il posto della fame, ma la gioia fungeva da manicaretto. Anche coloro che
ancora erano ciechi ridevano come se gli occhi che ci vedevano fossero i
propri.
Alcuni
minuti dopo, rimasti soli, il medico andò a sedersi accanto alla moglie, la
donna delle lacrime. Dalla finestra aperta, malgrado l’altezza del piano,
entrava il rumore delle voci, le strade dovevano essere piene di gente, la
folla a gridare una sola parola, Vedo, dicevano quelli che avevano già
ricuperato la vista, Vedo, dicevano quelli che all’improvviso la ricuperavano,
Vedo, Vedo, comincia a sembrare davvero una storia dell’altro mondo quella in
cui si era detto, Sono cieco.
Il
ragazzino mormorava, probabilmente era in pieno sogno, forse stava vedendo la
madre, le stava domandando, Mi vedi, ora mi vedi.
v
Perché
siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la
ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati
ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non
vedono.
v
La
moglie del medico si alzò e andò alla finestra. Guardò giù, guardò le persone
che gridavano e cantavano. Poi alzò il capo verso il cielo e vide tutto bianco,
è arrivato il mio turno, pensò. La paura le fece abbassare immediatamente gli
occhi. La città era ancora lì.