K A Z U
O I S H I G U R O
N
E V E R
L
E T M E
G O
N
O N L A S C I A R M I
F R A M M E N T O
D I L E T T U R A
Kazuo Ishiguro, Non Lasciarmi, Einaudi, 2005
I N D I C E
p.
CAPITOLO
1
3
2
4
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7
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8
5 8
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34
Questa scrittura (frammento di lettura), benché compendi il
significato originario dell’opera di Kazuo Ishiguro non coincide con l’opera
autografa.
Siate curiosi di osservare la fonte originaria.
Kathy, Tommy e Ruth vivono in un collegio, Hailsham, immerso
nel verde della campagna inglese. Crescono insieme ai compagni, accuditi da un
gruppo di tutori che si occupano della loro educazione. Fin dalla più tenera
età, una grande amicizia nasce fra i tre bambini: Kathy, timida e riservata;
Tommy, impulsivo ed ingenuo; Ruth, prepotente e carismatica. La loro vita,
voluta e programmata da un'autorità superiore nascosta, sarà accompagnata dalla
musica dei sentimenti, dall'intimità più calda al distacco più violento. Una
delle responsabili del collegio, che i bambini chiamano semplicemente Madame,
si comporta in modo strano con i piccoli. Sembra quasi averne paura, pensa
Kathy. Anche gli altri tutori hanno talvolta reazioni eccessive quando i
bambini pongono domande apparentemente semplici. Cosa ne sarà di loro in
futuro? Perché i loro disegni e le loro poesie, raccolti da Madame in un luogo
misterioso, la Galleria, sono così importanti? Cosa dovrebbero dimostrare?
Non lasciarmi è prima di tutto
una grande storia d'amore. E anche un romanzo politico e visionario, dove viene
messa in scena un'utopia a rovescio che non vorremmo mai vedere realizzata su
questa terra. È uno di quei rari libri che agiscono sul lettore come lenti
d'ingrandimento o cannocchiali: facendogli percepire in modo dolorosamente
intenso e vicino la fragilità, la provvisorietà, la finitezza, della vita, di
qualunque vita.
Inghilterra, tardi anni Novanta
Parte prima
Capitolo primo
In quel momento mi resi conto
quanto disperatamente desiderasse dimenticare.
Ci confidavamo quello che ci
preoccupava, oppure finivamo per ridere come matte, o per litigare in maniera
furibonda. Perlopiù, però, era un modo per rilassarsi un po' in compagnia delle
amiche più care.
Ruth disse: - Non sospetta
assolutamente niente Ma guardatelo! Non ha il minimo sospetto. _ Quando
pronunciò queste parole, la osservai per cogliere in lei dei segnali di
disapprovazione nei confronti di ciò che i ragazzi avevano intenzione di fare a
Tommy. Ma un istante dopo Ruth fece una risatina ed esclamò: - Che idiota! Mi
resi conto che per Ruth e per le altre, qualunque cosa i ragazzi decidessero di
fare, il loro era un mondo a parte che approvassimo o meno, non aveva nessuna
importanza; ci eravamo radunate attorno a quelle finestre non tanto per godere
dell'ennesima umiliazione di Tommy, ma semplicemente perché avevamo sentito
parlare di quest'ultimo complotto e, vagamente incuriosite, volevamo osservare
cosa sarebbe successo. In quel periodo, non credo che l'interesse per ciò che
facevano i ragazzi tra di loro andasse molto oltre. Per Ruth, per le altre, era
qualcosa di molto distante, e ho idea che fosse così anche per me. O forse mi ricordo male. Forse anche allora,
quando vidi Tommy attraversare quel campo a perdifiato con un'espressione
manifesta di felicità dipinta sul volto per il fatto di essere stato riammesso
nei gruppo, pronto a prendere parte a quel gioco in cui tanto eccelleva, forse
provai una leggera fitta di dolore. Ciò che davvero ricordo è che notai che
Tommy indossava la polo blu leggera che aveva preso in occasione del Grande
Incanto del mese prima - quella di cui era orgogliosissimo. Rammento di aver pensato: «È veramente
stupido, a giocare con quella maglia addosso Si rovinerà di sicuro, e poi
chissà come si sentirà dopo.» A voce alta, e con noncuranza, dissi: - Tommy si
è messo quella maglia. La sua polo
preferita. A quel punto i ragazzi avevano smesso di palleggiare, e stavano ammassati
l'uno contro l'altro con i piedi nel fango, il petto che si sollevava e si
abbassava impercettibilmente mentre aspettavano che si formassero le squadre. I
due capitani prescelti avevano un anno più di lui, sebbene fosse noto a tutti
che Tommy era di gran lunga migliore di qualunque altro giocatore di quella
classe. Gettarono in aria la monetina, poi quello che aveva vinto fissò gli
altri. - Ma guardatelo, - disse una voce
dietro di me. - E assolutamente convinto di essere il primo. Guardate! C'era davvero un che di comico in Tommy in quel
momento, qualcosa che induceva a pensare,
massì, se davvero è così stupido, allora se lo merita. Gli altri ragazzi facevano finta di ignorare
questo processo di selezione, fingendo di non preoccuparsi minimamente se fosse
arrivato il loro turno. Tommy fissava ansioso il capitano, come se avessero
già chiamato il suo nome. Laura continuò a recitare per tutto il
tempo della formazione delle squadre, mimando
ogni singola espressione che appariva sul volto di Tommy: quella ansiosa ma
piena di speranza dell'inizio; lo sgomento e la preoccupazione quando dopo
quattro chiamate lui non era stato ancora scelto; il dolore e il panico quando
cominciò a farsi strada dentro di lui la consapevolezza di ciò che stava
realmente accadendo. Io però non badavo più a Laura, perché stavo osservando
Tommy; ero consapevole di ciò che stava facendo, solo perché le altre
continuavano a ridere e a incitarla.
Immagino
che ci sia qualcosa di crudele, - osservò Ruth,
- nel modo in cui lo provocano. Ma la colpa è sua. Se imparasse
a mantenere il controllo, lo lascerebbero in pace. Il motivo per cui si accaniscono contro Tommy è che lui è un buono a
nulla. Allora tutte ci mettemmo a parlare contemporaneamente, su come Tommy non
avesse mai nemmeno tentato di essere creativo, sul fatto che non aveva prodotto
assolutamente niente per la Fiera di Primavera. Immagino che la verità che a
quel punto, ognuna di noi desiderava in cuor suo, era che il tutore si
avvicinasse e lo portasse via. E sebbene non avevamo avuto alcun ruolo in
quest'ultimo complotto con Tommy, ci eravamo sedute in prima fila per assistere
allo spettacolo, è questo ci faceva sentire colpevoli. Però non arrivò nessuno,
e così continuammo a scambiarci opinioni sul perché Tommy si meritasse tutto
ciò che gli veniva inflitto.
Immagino che Tommy non fosse
abituato a venire disturbato durante i suoi accessi d'ira, perché la sua prima
reazione quando lo raggiunsi fu di fissarmi per una frazione di secondo, per
poi proseguire esattamente come prima. Era davvero come se stesse recitando, e
io avessi fatto irruzione sul palco nel bel mezzo dello spettacolo. Anche
quando dissi: «Tommy, la tua bella maglia. La rovinerai», parve non
udirmi. Così tesi la mano verso di lui e
gliela appoggiai sul braccio, e quello che accadde dopo, per le altre fu
intenzionale, ma io sono abbastanza certa che avvenne per puro caso. Continuava
ad agitarsi, non poteva sapere quello che stavo per fare. Comunque, mentre
sollevava il braccio, mi assestò una botta sulla mano allontanandola con
malgarbo e mi colpì sulla guancia. Non mi fece male, ma per un istante mi mancò
il fiato, così come a quasi tutte le ragazze dietro di me. Fu in quel preciso momento che Tommy sembrò
finalmente accorgersi di me, delle altre, di se stesso, del fatto che si
trovava in quel campo da gioco, che si stava comportando in quel modo, e mi
fissò. Tommy, - dissi con una certa severità nella voce. - La tua maglia è
tutta macchiata di fango. - E allora? -
biascicò. Ma proprio mentre pronunciava queste parole, abbassò lo sguardo e
notò le chiazze marroni, trattenendosi a stento dallo scoppiare in lacrime,
agitatissimo. Poi vidi la sorpresa dipingersi sul suo volto all'idea che avessi
potuto intuire quanto fosse importante per lui quella polo. - Non c'è niente di cui preoccuparsi, - dissi
prima che il silenzio si facesse troppo umiliante per lui. E comunque non sono
affari tuoi. Sembrò pentirsi all'istante
di quella frase e mi rivolse uno sguardo imbarazzato, quasi in attesa di
qualche parola di consolazione. Ma io ne avevo avuto abbastanza di lui,
soprattutto mentre le altre ragazze mi stavano fissando - per non parlare di
quelle che mi stavano osservando dalle finestre dell'edificio principale. Così
mi voltai con un'alzata di spalle e raggiunsi le mie amiche. Ruth mi circondò con un braccio mentre ci
allontanavamo. - Almeno l'hai costretto
a darsi una calmata, - disse. - Tu stai bene?
Capitolo secondo
Ricordo che l'essermi avvicinata
a Tommy quel pomeriggio si ricollega
a una fase della vita che stavo attraversando in quel periodo - qualcosa che mi
costringeva a mettermi insistentemente alla prova - e personalmente avevo
dimenticato quasi del tutto l'accaduto, quando Tommy mi fermò alcuni giorni
dopo. Tommy, che si trovava nella corrente opposta, si fermò di colpo con un
gran sorriso stampato in faccia che mi irritò immediatamente. Alcuni anni
prima, forse, se ci fossimo imbattuti in qualcuno che eravamo felici di vedere,
avremmo assunto quel genere di espressione. Adesso però avevamo tredici anni,
ed eravamo un ragazzo e una ragazza che si incontravano in un luogo pubblico.
Avrei voluto dirgli: «Tommy, ma perché non cresci?» Tuttavia mi trattenni, e
invece dissi: - Tommy, stai bloccando tutti. E anch'io.
Per un istante sembrò venir colto
dal panico, poi si acquattò contro il muro vicino a me, in modo da permettere
alle persone di passare. Allora disse: - Kath, ti ho cercata dappertutto. Volevo scusarmi. Sul serio, mi dispiace
davvero tanto. Non avevo nessuna intenzione di colpirti l'altro giorno. Non mi
sognerei mai di colpire una ragazza, e anche se così fosse, certo non te. Mi
dispiace davvero. - Nessun problema. E
stato solo un incidente -. Annuii e feci per allontanarmi. Tommy però
esclamò con una certa vivacità: - La maglia è a posto. Le macchie sono andate
via. - Bene. - Non
ti ho fatto male, vero? Quando ti ho colpita.
- Si che mi hai fatto male. Dai, Kath, sul serio. Senza rancore,
d'accordo? Sono terribilmente dispiaciuto. Davvero. Allora gli rivolsi un sorriso e dissi, senza
ironia: - Ascolta, Tommy, è stato un incidente ed è acqua passata. Non ho
niente contro di te. Continuava ad avere
un'aria un po' incerta, ma in quel momento alcuni studenti più anziani che
stavano dietro di lui presero a spingerlo, incitandolo ad andare avanti. Mi
rivolse un rapido sorriso, mi diede un corpetto sulla spalla, come avrebbe
fatto con un suo compagno più giovane, e si fece largo tra la folla. Poi, mentre stavo per avviarmi, lo udii
urlare dal fondo delle scale: - A presto, Kath!
Devo
ammetterlo, se non fosse stato per quell'incontro sulle scale, con ogni
probabilità non mi sarei interessata ai problemi di Tommy, come invece avvenne
nelle settimane a seguire.
Ci furono altri accessi d'ira,
come quando si raccontò che Tommy aveva rovesciato due banchi nell'Aula n. 14,
spargendo tutto il contenuto sul pavimento, mentre il resto della classe,
fuggita sul pianerottolo, barricava la porta per impedirgli di uscire.
Tommy
rimase l'unico senza un compagno. Era un bravo atleta, e non gli ci
volle molto a distanziare il resto del gruppo di qualche decina di metri,
pensando forse che in questo modo avrebbe potuto nascondere il fatto che
nessuno voleva fare coppia con lui.
Poi
c'erano gli scherzi che si diceva venissero perpetrati ai suoi danni quasi
quotidianamente. La sua stazza e la sua forza – e immagino quel suo
caratteraccio - impedivano che chiunque si permettesse di sfidarlo fisicamente,
ma se ricordo bene questi incidenti si ripeterono per almeno un paio di mesi.
Pensavo
che prima o poi qualcuno si sarebbe accorto che si erano spinti un po' troppo
in là, ma la cosa sembrava non avere fine, e nessuno interveniva. Una volta fui io a cercare di affrontare
l'argomento, nella nostra camerata, dopo che si erano spente le luci. Durante
le medie eravamo soltanto in sei per stanza, il nostro solito gruppetto quindi,
e spesso era proprio allora, sdraiate al buio prima di addormentarci, che
avevano luogo le nostre conversazioni più intime e segrete. Discutevamo di cose
di cui non avremmo mai discusso da nessun'altra parte, neanche nel padiglione.
Così una sera accennai a Tommy. Non dissi
molto; mi limitai a riassumere ciò che gli era successo e commentai che non era
molto corretto. Quando smisi di parlare, uno strano silenzio sembrò aleggiare
nell'oscurità, e io capii che erano tutte in attesa della reazione di Ruth -
cosa che avveniva regolarmente ogniqualvolta si verificava qualcosa di
inconsueto. Continuai ad aspettare, poi udii un sospiro provenire dall'angolo
in cui si trovava Ruth, e infine lei disse: - Hai fatto bene a parlarne, Kathy.
Non è una bella cosa. Ma se vuole che gli altri la smettano, deve cambiare il
suo atteggiamento. Non ha portato niente per la Fiera di Primavera. E porterà
qualcosa il mese prossimo? Ne dubito.
I
baratti che si tenevano a Hailsham. Quattro volte all'anno - in primavera,
estate, autunno, inverno - organizzavamo una grande mostra-e-compravendita di
tutti gli oggetti che avevamo creato negli ultimi tre mesi prima dell'ultima
fiera. Dipinti, disegni, ceramiche; ogni genere di «sculture». I baratti furono
importanti per noi perché erano l'unico modo, oltre al Grande Incanto per
costruirsi una propria personale collezione.
v
Se
ci riflettete bene, dipendere l'uno dall'altra per produrre ciò che poi sarebbe
andato a far parte del proprio personale tesoro, era destinato a influire sui
rapporti personali.
v
L'esempio
di Tommy era illuminante. La maggior parte delle volte, la considerazione in
cui ognuno di noi veniva tenuto a Hailsham, quanto si veniva apprezzati e
rispettati, era determinato dal proprio livello di «creatività».
Uno
dei motivi che contribuiva a fare di Hailsham un posto tanto speciale fu il
modo in cui ci incoraggiavano a valutare i nostri lavori reciprocamente.
Ricordo
che ci permettevano di comporre poesie, al posto di un disegno o di un dipinto.
E la cosa strana era che tutti noi pensavamo fosse giusto così, pensavamo che avesse
un senso. - Ma perché non avrebbe dovuto
averlo? La poesia è importante. - Sì, ma
stiamo parlando di bambini di nove anni, di buffi versetti tutti sgrammaticati,
riportati su quaderni di scuola.
Spendevamo i nostri preziosi
buoni in quei quaderni invece che in qualcosa di bello da appendere sopra il
letto. E poi se ci piacevano così tanto le poesie di qualcuno, perché non
farsele semplicemente prestare e ricopiarle in un qualunque pomeriggio.
Adoravo quelle conversazioni a
ruota libera, che ci accompagnarono per tutta l'estate fino all'inizio
dell'autunno.
Christy era universalmente
riconosciuta come la migliore, ed era il nostro punto di riferimento. Neanche
tu avevi il coraggio di darle noia. E tutto perché pensavamo che lei fosse una
poetessa meravigliosa. Ma noi non sapevamo assolutamente niente di poesia. Non
ce ne importava nulla. Ruth forse finse deliberatamente di non capire. Forse era decisa a ricordare tutti noi come
persone molto più complesse e profonde di quanto non fossimo realmente. O forse
intuì dove ci avrebbe condotte il mio discorso, e non voleva inoltrarsi in
quella direzione. Ad ogni modo, emise un lungo sospiro e disse: - A tutte
noi le poesie di Christy sembravano bellissime.
Ma mi domando cosa ne penseremmo adesso. Sarebbe bello averne qualcuna
qui in questo momento, mi piacerebbe proprio sapere come ci sembrerebbero.
Ciò
che Ruth disse quella volta prima di addormentarci, di quanto Tommy fosse
responsabile in prima persona dei suoi problemi, probabilmente riassumeva il
pensiero della maggior parte delle persone di Hailsham in quel periodo.
Sdraiata nel letto, fu in quel preciso momento che mi resi conto fino in fondo
che Tommy fin dalle elementari era stato universalmente considerato una
nullità.
Rabbrividendo,
compresi che ciò che aveva sofferto ultimamente perdurava non soltanto da
settimane o mesi, ma da anni ormai.
Immagino che la verità fosse che
era avvenuto come per molte delle cose che si fanno a quell'età: non ci sono
ragioni particolari, si fanno e basta. Si fanno perché si pensa di riuscire a
strappare una risata, o per vedere se avranno delle conseguenze. E quando in
seguito ti si chiede di rendere conto del tuo comportamento, sembra che non
esista nessuna spiegazione sensata.
Finita
la lezione, - disse Tommy, - li udii sparlare di me per la prima volta. Senza
preoccuparsi minimamente che potessi sentirli. Immagino che anche prima di
dipingere Tommy avesse avuto sentore di non essere all'altezza - che il suo
modo di disegnare, in special modo, era quello di uno studente molto più
giovane della sua età -, mancanze che aveva cercato di nascondere come meglio
poteva producendo deliberatamente delle immagini infantili.
Sembrò
impegnarsi sul serio per qualche tempo, ma non appena si applicava a qualcosa,
diveniva oggetto di scherno. E infatti, più si dava da fare, più i suoi sforzi
diventavano risibili agli occhi degli altri. Così ben presto Tommy assunse
nuovamente il suo atteggiamento di difesa, producendo lavori che sembravano intenzionalmente
puerili, lavori che stavano a dimostrare quanto poco gli importasse. Da quel
momento in poi, la situazione si fece sempre più pesante. Per qualche tempo le sofferenze di Tommy si
limitarono alle lezioni di Educazione artistica - sebbene ciò avvenisse
abbastanza frequentemente, perché erano molte le ore di disegno alle
elementari. Poi le cose andarono peggiorando. Veniva escluso dai giochi, i
ragazzi si rifiutavano di sedersi accanto a lui a cena, o i suoi compagni di
stanza fingevano di non udirlo se diceva qualcosa. All'inizio questi attacchi non erano così
frequenti. Potevano trascorrere anche mesi senza che si verificassero
incidenti, tanto da indurlo a pensare che ormai fosse acqua passata; poi
succedeva qualcosa - per causa sua o di uno dei suoi nemici, e tutto
ricominciava esattamente come prima.
Non sono certa del momento in cui
cominciarono i suoi accessi d'ira. Io stessa ricordo che Tommy era da sempre
famoso per il suo cattivo carattere, persino all'asilo, ma con me sostenne la
tesi che le sue collere ebbero inizio
quando le molestie divennero più insistenti. In ogni caso, furono proprio quegli accessi d'ira a
eccitare gli animi, in un crescendo senza fine; più o meno nel lasso di
tempo in questione - durante l'estate, quando avevamo circa tredici anni - la persecuzione raggiunse il suo apice.
Poi si interruppe, certo non di
punto in bianco, ma abbastanza rapidamente. Come vi dicevo, osservavo la
situazione da vicino in quel momento, così fui in grado di intuire i segni di
questo cambiamento molto prima di quasi tutti gli altri. Cominciò con un periodo - un mese, forse più - in cui le burle ai suoi
danni si fecero molto insistenti, senza che Tommy perdesse il controllo. Talvolta vedevo che era sul punto di
esplodere, ma in qualche modo riusciva a trattenersi; altre volte si limitava a
un'alzata di spalle, oppure si comportava come se non si fosse accorto di nulla.
All'inizio queste sue reazioni causarono disappunto; forse qualcuno giunse al
punto di serbargli rancore, come se li avesse delusi. Poi a mano a mano la
gente si stufò e gli scherzi si fecero meno frequenti, finché un giorno mi resi
conto che cessarono per più di una settimana.
Questo particolare di per sé avrebbe anche potuto non essere così
significativo, ma notai altri segnali. Piccole cose.
Mi resi conto che la scomparsa
delle sue collere certo era stata di grande aiuto, ma l'elemento chiave
dell'intera questione sembrava sfuggirmi. C'era qualcosa in Tommy - il modo in
cui si comportava, il modo in cui guardava in faccia la gente e parlava in
quella sua maniera
aperta, allegra - che era diverso da prima, e che col tempo aveva cambiato
l'atteggiamento degli altri nei suoi confronti. Ma ciò che aveva prodotto
questa trasformazione non era affatto evidente.
Ero perplessa, e decisi di sondare un po' non appena avessi avuto
l'opportunità di parlargli a quattrocchi. L'occasione giunse non molto tempo
dopo.
Poi gli dissi: - Hai l'aria più
felice in questo periodo, Tommy. Sembra che le cose ti vadano molto
meglio. - Tu ti accorgi sempre di tutto,
vero, Kath? - Pronunciò queste parole senza alcun accenno di sarcasmo nella
voce. - Si, va tutto bene. E un buon momento.
- Cos'è successo? Hai incontrato Dio o qualcosa del genere? Dio? - Tommy
per un istante sembrò disorientato. Poi si mise a ridere e disse: - Certo,
adesso capisco. Alludi al fatto che non. . che non mi arrabbio più come
prima. - Non è soltanto questo, Tommy.
Sei riuscito a trasformare la situazione in tuo favore. Ti ho osservato. Ecco
perché te lo chiedo. Tommy si strinse
nelle spalle. - Credo di essere
cresciuto. E forse con me anche tutti gli altri. Non si può andare avanti sempre nello stesso modo. Dopo un po' ci si
annoia. Non dissi nulla, ma
continuai a guardarlo dritto negli occhi, finché non scoppiò in un'altra risata
e disse: - Kath, sei così curiosa. E va bene, immagino che una ragione ci sia.
È successa una cosa. Se vuoi te la racconto.
Mi
ha detto che se non volevo essere creativo, se davvero non me la sentivo,
andava bene lo stesso. Che
non c'era nessun problema. - Ti ha detto
questo? Tommy annuì, ma io ero già sul
punto di andarmene. Ero sinceramente
arrabbiata perché pensavo mi stesse mentendo, proprio adesso che meritavo la
sua fiducia. Scorsi una ragazza che conoscevo qualche passo dietro di me nella fila
e la raggiunsi, lasciando Tommy lì da solo. Vidi che era furioso e umiliato, ma
dopo tutti quei mesi trascorsi a preoccuparmi per lui mi sentivo tradita e non
me ne importava nulla di come si sentisse.
Kath, non ti stavo prendendo in
giro, se è questo che pensi. Te lo racconto se mi concedi un'altra
possibilità. - Smettila di dire
cretinate, Tommy. - Kath, ti racconterò
tutto. Dopo pranzo vado al laghetto. Se mi raggiungi, ti dirò tutto. Gli
lanciai uno sguardo di rimprovero e mi allontanai senza una parola, ma
immediatamente cominciai a contemplare la possibilità che forse, in fondo, non
mi stava mentendo.
Capitolo terzo
Una volta giunti al laghetto, ci
si trovava immersi in un'atmosfera di pace. Dal
momento che ero stata io a lasciarlo di punto in bianco immagino che toccasse a
me la prima mossa. Sebbene fosse già ottobre inoltrato, quel giorno il sole
splendeva e io decisi che la cosa migliore era fare finta di vagabondare senza
meta da quelle parti e imbattermi casualmente in Tommy. Forse ero talmente concentrata a comunicare
questa sensazione - seppure non avessi idea se qualcuno mi stesse realmente
osservando - che non accennai neanche a sedermi quando infine lo trovai
accovacciato su una grossa roccia piatta non lontano dal bordo dell'acqua. Gli
girai intorno e rimasi in piedi accanto a lui con la schiena rivolta verso
l'acqua. Per qualche minuto discorremmo del più e del meno, come se non fosse
accaduto nulla. Non sono sicura se a beneficio di Tommy o di eventuali
spettatori, continuai a mantenere quell'aria un po' provvisoria, come se mi
trovassi lì per caso, e a un certo punto feci quasi per continuare la mia
passeggiata. Vidi il panico attraversare il viso di Tommy, e subito mi pentii
di averlo tratto in inganno, anche se non era nelle mie intenzioni. Allora
dissi, come se me ne fossi ricordata in quel momento: - Tra l'altro, cos'è che
volevi dirmi prima?
v
Mi
ha detto di non preoccuparmi. Di non dare retta a quello che pensano gli altri.
v
Mi ha detto d’aver incontrato un
gran numero di studenti che per molto tempo avevano incontrato delle difficoltà
nel diventare creativi: dipingere, disegnare, scrivere poesie, nessuna di
queste attività sembrava fatta per loro. Poi, un giorno, c'era stata una svolta
nella loro vita ed erano sbocciati. Accadde un paio di mesi fa. Forse più.
Ormai mi ero accovacciata di fronte a Tommy, e non fingevo più.
Forse
non ti sarà di grande aiuto. Ma ricordati di una cosa. C'è almeno una persona
che la pensa diversamente.
E
comunque, mentre mi diceva tutte queste cose, tremava. - Tremava? Cosa intendi dire? Tremava. Di
rabbia. Si vedeva. Era furiosa. Furiosa dentro, fin giù nel profondo. - Con chi?
- Non ne sono certo. Non con me, e questo è l'importante! Non so con chi
fosse arrabbiata. Ma lo era davvero.
v
Qualcosa
che non sono ancora riuscito a capire. Volevo discuterne con te. Mi ha detto
che non ci insegnano abbastanza, o qualcosa del genere. - Insegnano abbastanza? Vuoi dire che pensa
che dovremmo studiare ancora di più? - No, non credo che intendesse questo. Ciò
a cui si riferiva eravamo, lo sai no, eravamo noi. Cosa ci succederà prima o
poi.
Semplicemente,
pensa che non ci insegnino abbastanza. Perché ha aggiunto che aveva tutte le
intenzioni di farlo lei. - Di fare cosa
esattamente? - Non sono sicuro. Forse
non ho capito niente, Kath, non so. Forse intendeva tutt'altro. Non credo di
riuscire a capire fino in fondo. Tommy
mi guardava come se si aspettasse che gli rivolgessi una domanda. Riflettei per alcuni istanti, poi dissi: -
Tommy, pensaci bene. Hai detto che si è arrabbiata. . . Ammettiamo che fosse arrabbiata. E stato in
quel momento che ha cominciato a parlare dell'altra faccenda? Il fatto era che
la mia mente si muoveva in diverse direzioni contemporaneamente. Non riesco a
essere chiara, neanche con me stessa. Ma tutto ciò che mi hai raccontato, in un
certo senso è come se fosse collegato a molti altri episodi che non riuscivo a
comprendere.
v
A
ripensarci, mi rendo conto che stavamo vivendo proprio quell'età in cui
cominciavamo ad acquisire una certa consapevolezza - su chi eravamo, ma non
avevamo ancora capito cosa significasse veramente. Sono certa che in un
determinato momento nella vostra infanzia, anche voi avete avuto un'esperienza
simile; se non identica nei dettagli esteriori, certamente dentro di voi, nei
sentimenti.
Ma
in qualche modo, qualcosa deve essere entrato dentro di te. Deve esserti
penetrato dentro, perché quando vivi un momento come quello, è come se una
parte di te fosse lì, in attesa. Forse da quando avevi appena cinque o sei anni,
e sentivi quella specie di sussurro in fondo al cervello che diceva: «Un
giorno, forse non molto lontano, imparerai come ci si sente». Così rimani in
attesa, anche se non sai esattamente di cosa, in attesa del momento in cui
comprenderai che sei davvero diversa da loro; che là fuori ci sono persone che
non ti odiano o ti augurano alcun male, ma che tuttavia rabbrividiscono al solo
pensiero di te. La prima volta che cogli l'immagine di te attraverso gli occhi
di una persona simile, è una sensazione tremenda. E come passare davanti a uno
specchio davanti al quale sei passata ogni giorno della tua vita, e che
all'improvviso riflette qualcos'altro, qualcosa di strano e inquietante.
Capitolo quarto
Devo ammettere che sono felice di
avere l'opportunità di riposarmi - di fermarmi e pensare e ricordare. Sono
certa che almeno in parte ha a che fare con questo, con l'adeguarmi a un cambiamento di velocità, se ho sentito l'esigenza di riordinare i miei vecchi
ricordi. Ciò che desideravo veramente, immagino, era dare un senso a tutte le cose che erano successe tra me e Tommy e
Ruth dopo che eravamo cresciuti. Adesso mi rendo conto quanto determinante sia
stato il periodo trascorso a Hailsham per ciò che è avvenuto in seguito, ed è
il motivo per cui voglio innanzitutto riandare con la memoria a questi primi
accadimenti molto attentamente.
La disputa dei buoni era
riconducibile, immagino, a una maggiore consapevolezza del senso della
proprietà, che andava aumentando man mano che crescevamo. I Baratti, con il
loro sistema di buoni come moneta corrente, ci avevano dotati di un occhio
attento nell'assegnare un prezzo a tutto ciò che producevamo.
Non so se abbiate mai avuto delle
«collezioni» nel luogo in cui siete cresciuti voi. Ognuno di noi possedeva un
piccolo baule di legno con il nome scritto sopra, che teneva sotto il letto e
riempiva delle sue ricchezze. Ricordo uno, forse due studenti che non davano
grande importanza alle loro collezioni, ma la maggior parte di noi ne aveva una
cura estrema, ed era solito esporre in bella mostra i propri oggetti,
serbandone altri lontano da occhi indiscreti.
v
Indegni
dei privilegi» e «uso scorretto delle opportunità»: queste erano due delle
espressioni ricorrenti.
v
Talvolta le sue parole assumevano
toni di grande intensità, per poi interrompersi improvvisamente con una frase
come: «Cos'è? Cos'è? Cos'è mai che vi
trattiene?» Poi si alzava in piedi, gli occhi chiusi, la fronte corrugata
come se si stesse sforzando di cercare una risposta. E sebbene ci sentissimo
inquieti e a disagio, ce ne stavamo lì seduti, augurandole di scovare dentro di
lei la risposta a quella domanda, qualunque essa fosse. Alla fine tornava in sé
con un lieve sospiro. Segnale che stavamo per essere perdonati - oppure, con la
stessa disinvoltura, esplodeva in un: «Ma io non mi piegherò! Oh, no!
Quando Miss Emily si arrabbiava,
faceva molta più paura. Gli occhi
diventavano due fessure sottili e prendeva a bisbigliare forsennatamente tra sé
e sé, come se stesse discutendo con una collega invisibile su quale fosse la
punizione peggiore. In questo modo, era come se una parte di voi morisse dalla
voglia di sapere, mentre l'altra anelasse a fuggire via. Di solito, però, le
conseguenze dell'ira di Miss Emily non erano così terribili. Raramente ci
metteva in castigo, ci obbligava a fare lavori pesanti o ci privava dei
privilegi. E in ogni caso, sapere di aver perduto un po' della sua stima ci
rendeva estremamente infelici, e desideravamo all'istante poter fare qualcosa
per rimediare.
All'inizio io e Ruth non eravamo
amiche. Ricordo che, all'età di cinque o sei anni, stavo con Hannah e con
Laura, ma non con Ruth. Di lei, di quei primi anni, serbo soltanto ricordi un
po' vaghi. Sto giocando con la sabbia.
Ci sono moltissimi altri bambini intorno, così tanti che cominciamo a darci
noia l'un l'altra. Siamo all'aria aperta, sotto un sole caldo, con ogni
probabilità si tratta dell'area giochi per i più piccoli. Poi vedo Ruth in
piedi, non in mezzo alla sabbia come tutti gli altri, ma leggermente spostata.
È furiosa con due delle bambine che si trovano da qualche parte alle mie
spalle, a proposito di qualcosa che deve essere successo prima - lei se ne sta
lì, ritta, lo sguardo fisso su di loro.
Mi sembra che a quell'epoca la conoscessi appena. Ma doveva avermi già
colpita, perché ricordo che continuai a fare alacremente quello che stavo
facendo, terrorizzata all'idea che potesse volgere quel suo sguardo su di me.
Non dissi una parola, ma desideravo disperatamente che lei capisse che non avevo
niente a che vedere con quelle bimbe, e non avevo avuto nessun ruolo in
qualunque cosa fosse stata a farla infuriare.
Capitolo quinto
Sebbene, come vi dicevo, la lite
con Ruth fosse avvenuta appena il giorno prima, per qualche motivo mi avvicinai
senza esitazione. Fu solo quando mi ritrovai virtualmente a un passo da loro -
forse fu quell'occhiata che si scambiarono - che all'improvviso mi resi conto
di quanto stava per accadere.
Sentii una fitta di dolore ancor
prima che si ammutolissero e mi fissassero, ancor prima che Ruth dicesse: «Oh,
Kathy, come stai? Se non ti dispiace, avremmo qualcosa da discutere in questo
momento. Solo un minuto. Scusaci». Non
ebbe quasi il tempo di terminare la frase che io mi ero già voltata e mi ero
allontanata, adirata più con me stessa per essere andata da loro che con Ruth e
le altre. Ero triste, questo sì, anche se non ricordo se scoppiai a piangere. Mi stava suggerendo di oltrepassare una
linea di confine e io non ero ancora pronta. Credo di essermi resa conto che al
di là di quella linea si trovasse qualcosa di più terribile e oscuro, e che non
volevo in nessun modo.
Così
una volta non fui in grado, come avveniva di solito, di lasciare semplicemente
defluire la tempesta emozionale che sentivo dentro di me. Mi limitai a
fissarla, senza fare nessuno sforzo per nascondere la mia rabbia.
Non sono mai stata quel genere di
ragazza che rimugina per ore sulle cose. Forse mi è capitato ultimamente, ma è
a causa del lavoro che faccio e delle lunghe ore di silenzio quando percorro
questi campi desolati. Non sono mai stata colei che si macera per giorni,
settimane addirittura, se qualcuno le diceva anche una minima cosa.
Tuttavia,
dopo quell’esperienza, me ne andai in giro per qualche tempo quasi in preda a
uno stato di ipnosi. Mi allontanavo nel bel mezzo di una conversazione; intere
lezioni trascorrevano senza che io sapessi di cosa si stesse parlando. Dopo
giorni interi passati in questo stato, cominciai a pensare in maniera più
razionale.
-
Adesso
mi rendevo conto di quanto fosse turbata; di quanto per una volta non riuscisse
a trovare le parole, di come si fosse girata, sul punto di scoppiare in
lacrime. E all'improvviso il mio comportamento mi sembrò completamente
inutile. Tutti quegli sforzi, quella
pianificazione, solo per far del male alla mia migliore amica. E anche se
avesse bluffato un po' riguardo a quell'astuccio? Non era forse vero che tutte
noi sognavamo che questo o quel tutore infrangesse le regole e facesse qualcosa
di speciale per noi? Un abbraccio spontaneo, una lettera segreta, un regalo?
Ruth non aveva fatto altro che spingersi un po' più in là con quegli innocenti
sogni a occhi aperti.
Capitolo sesto
Immagino che mi sarei sentita
meglio dopo quanto era successo, se Ruth avesse dimostrato apertamente di
avercela con me. Fu uno di quei momenti, però, in cui sembrò rimanere
schiacciata dal peso degli eventi. Era
come se si vergognasse troppo - come se fosse troppo oppressa - per poter
essere arrabbiata o per vendicarsi. Le prime volte che la incontrai dopo la
nostra conversazione sotto la gronda, mi aspettavo almeno una leggera
irritazione, e invece no, si era comportata in modo assolutamente civile,
seppure lievemente distaccato. Mi resi conto che era terrorizzata all'idea che
potessi smascherarla - l'astuccio, come si poteva immaginare, sparì - e io
avrei voluto rassicurarla che non aveva nulla da temere da parte mia. Il fatto era che, poiché nessuna delle due
aveva affrontato la questione apertamente, non riuscivo a trovare il modo per
dirglielo.
v
La
sensazione che le cose non sarebbero mai più state come prima non faceva che
aumentare. C'è un momento in particolare che ricordo, di me seduta su una delle
panchine fuori dal padiglione, sola, di sera, che continuo a pensare a qualche
via d'uscita, mentre un pesante groviglio di rimorso e frustrazione mi
costringe praticamente alle lacrime. Se le cose fossero continuate così, non
sono certa di quello che sarebbe successo. Forse tutto alla fine sarebbe stato
dimenticato; o forse avremmo preso strade diverse. E invece, senza nessun
preavviso, mi venne data l'opportunità di rimettere tutto a posto.
v
Poiché mi ero ritrovata
recentemente nella sua stessa posizione, mi era facile riconoscere in lei i
segni di questo suo affannarsi alla ricerca di un'opportunità per fare qualcosa
di carino per me, qualcosa di veramente speciale. Era una sensazione gradevole,
e ricordo anche di aver pensato un paio di volte a come sarebbe stato bello se
l'opportunità non si fosse presentata per chissà quanto tempo, così che questa
bella atmosfera tra noi due potesse durare per sempre.
v
E sembra
non esserci mai tempo.
v
Il
33 giri si intitola Songs After Dark ed è di Judy Bridgewater.
Quella che possiedo adesso non è
la cassetta originale, quella che avevo ai tempi di Hailsham, quella che ho
perduto. E la cassetta che Tommy e io abbiamo ritrovato anni dopo nel Norfolk -
ma questa è un'altra storia, e ve la racconterò al momento giusto. Adesso
voglio parlarvi di questa prima cassetta, quella che scomparve.
Immagino che volesse che noi
avessimo un'idea del mondo che ci circondava. E incredibile quanto ancora
adesso, dopo tutte le miglia che ho percorso, la mia percezione delle varie
contee mi derivi ancora dalle fotografie che Miss Emily ci mostrava sul
cavalletto. Ad ogni modo, il punto è che c'era un buco nella raccolta di Miss
Emily: non esisteva una sola fotografia del Norfolk. Poiché le lezioni venivano
ripetute più volte, mi domandavo se sarebbe riuscita a trovare un'immagine del
Norfolk, ma era sempre la stessa storia. Faceva volteggiare la bacchetta sopra
la cartina e diceva, quasi come se avesse un ripensamento: «E laggiù c'è il
Norfolk. Incantevole». Ricordo che, in quel preciso momento, si
interrompeva e si perdeva nei suoi pensieri, forse perché non aveva previsto
cosa dovesse arrivare dopo, al posto della fotografia. Infine si risvegliava
dal sogno e tamburellava di nuovo sulla cartina.
Vedete,
poiché si trova laggiù, a est, su quella collinetta che si protende verso il
mare, non porta da nessuna parte. La gente diretta a nord o a sud - e così
dicendo spostava la bacchetta in su e in giù - passa oltre senza fermarsi. Per
questa ragione il Norfolk è un angolo tranquillo dell'Inghilterra, alquanto
piacevole. Ma in qualche modo è anche un angolo dimenticato. L’angolo degli oggetti
dimenticati dell’Inghilterra, dove finivano tutti gli oggetti smarriti del
paese.
v
Non
ci preoccupammo mai di verificare la nostra teoria sul Norfolk nei dettagli.
Ciò che era importante per noi, come disse Ruth una sera mentre guardavamo il
tramonto era che quando «perdevamo qualcosa di prezioso, e cercavamo e
cercavamo e non riuscivamo a trovarlo, non ci sentivamo così disperati.
Continuavamo a conservare un granello di speranza, pensando che un giorno, una
volta cresciuti e liberi di viaggiare per il paese, saremmo sempre potuti
andare nel Norfolk e ritrovarlo».
v
Molti anni dopo, quel giorno in
cui Tommy e io trovammo un'altra copia della cassetta che avevo perduto, in una
cittadina sulla costa del Norfolk, non ci limitammo semplicemente a pensare che
si trattasse di una buffa coincidenza; nel
profondo, entrambi sentimmo una sorta di dolorosa nostalgia, un antico
desiderio di credere di nuovo in qualcosa che un tempo ci era stato così caro.
È della mia cassetta però che
volevo parlarvi, di Songs After Dark di Judy Bridgewater. Credo che
originariamente si trattasse di un 33 giri - la data di registrazione risale al
1956 - ma io avevo la cassetta, e l'immagine di copertina doveva essere una
versione in scala ridotta della custodia del disco. Judy Bridgewater indossa un
abito di raso color porpora, uno di quei tubini che andavano molto di moda in
quel periodo, e la si vede soltanto dalla vita in su perché sta seduta su uno
sgabello da bar. Immagino che tutto l'insieme dovesse far pensare al
Sudamerica, perché alle sue spalle sono visibili palme e camerieri dalla
carnagione scura in giacca bianca. La osservi dalla stessa prospettiva del
cameriere mentre le serve da bere. Judy ricambia il tuo sguardo in modo
amichevole e non troppo ammiccante, come se si concedesse appena, ma tu sei uno
che lei conosce ormai da troppo tempo. L'altro particolare della copertina è
che Judy appoggia i gomiti sul bancone, in mano una sigaretta accesa. Fu
proprio a causa di quella sigaretta che tenni la mia cassetta nascosta da tutti.
Anche quando ci mostravano la
fotografia di un famoso scrittore o di un leader mondiale, e capitava che
avessero una sigaretta in mano, la lezione subiva un brusco arresto. Si sparse
persino la voce che alcuni classici - per esempio i libri di Sherlock Holmes -
non si potevano reperire in biblioteca perché i personaggi principali fumavano
troppo; quando poi ci si imbatteva nella pagina strappata di un libro
illustrato o di una rivista, era perché in quel punto si trovava l'immagine di
qualcuno che fumava. E infine c'erano le lezioni vere e proprie, in cui ci
venivano mostrate fotografie di ciò che il fumo provocava.
v
Dice
fumare uccide. Sono utili questi avvisi, no? Se fumi, puoi morire, sta a te.
Immaginate
se tutto avesse degli avvisi così. Non cercare quella donna che, potrebbe
rovinarti la vita; o, non accettare quel lavoro, che, non saresti felice; o fai
attenzione ai tuoi amici, potrebbero rivelarsi spregevoli. Sarebbe meglio che
ti avvisassero, sarebbe molto meglio.
v
Stavamo sedute sull'erba e Miss
Lucy ci aveva appena dispensato uno dei soliti discorsi sul fumo, le fu chiesto
se avesse mai provato a fumare. Miss
Lucy rimase in silenzio per qualche istante. Poi disse: - Vorrei poter dire di
no. Ma a dire il vero, ho fumato per qualche tempo. Più o meno per due anni,
quando ero più giovane. Potete ben immaginare che shock fu per noi quella
rivelazione. Immagino che ci limitammo a fissare Miss Lucy con orrore, in
attesa di ciò che avrebbe detto. Quando
finalmente parlò, Miss Lucy sembrò soppesare ogni singola parola attentamente.
- Non avrei dovuto fumare. Fumare mi faceva male e così ho smesso. Ma ciò che
dovete capire è che per voi, per ciascuno di voi, fumare è molto più grave di
quanto lo sia mai stato per me. Poi si
interruppe e rimase in silenzio. Qualcuno più tardi raccontò che fu come se
sognasse a occhi aperti, ma io ero certa, così come Ruth, che stava riflettendo
intensamente su ciò che doveva dirci.
Finalmente parlò: - Vi è stato insegnato. Siete studenti. Il fatto di
avere cura di voi stessi, di mantenervi sani dentro, è molto più importante per
ognuno di voi di quanto non lo sia per una come me. Si interruppe di nuovo e ci guardò in modo
strano. Dopo, quando ne discutemmo insieme, alcune di noi dissero di aver avuto
la certezza che Miss Lucy non aspettava altro che qualcuno le chiedesse:
«Perché? Perché è così grave per noi?» Nessuno però fece quella domanda. Ho
ripensato spesso a quel giorno, e ora sono sicura, alla luce di ciò che accadde
in seguito, che non avremmo dovuto far altro che chiedere, e Miss Lucy ci
avrebbe detto tutto. Sarebbe bastata solo un'altra domanda. Se cercavamo a
tutti i costi di evitare certi argomenti, probabilmente dipendeva dal fatto che
ci imbarazzavano.
v
Ma
la ragione per cui quella cassetta significava così tanto per me, non aveva
nulla a che vedere con la faccenda delle sigarette, e neppure con lo stile di
Judy Bridge-water - una cantante tipica di quegli anni, musica da piano bar.
Ciò che rendeva quella cassetta tanto speciale per me era una canzone in particolare,
la numero tre, Never Let Me Go. È un lento, musica d'atmosfera, tipicamente
americano, e c'è quel verso che si ripete quando Judy canta: «Non lasciarmi. .
Oh, tesoro.. Non lasciarmi .. » Avevo undici anni allora, non avevo molta
dimestichezza con la musica, ma quella canzone, be', ne rimasi affascinata.
Continuavo a riavvolgere il nastro esattamente nel punto dell'inizio, in modo
da poterla ascoltare ogni volta che me se ne offriva l'occasione. Di occasioni,
però, non ne avevo molte. Cos'aveva di tanto speciale quella canzone? Be', il
fatto era che non avevo mai prestato molta attenzione alle parole; aspettavo
precisamente il pezzo che faceva così: «Tesoro, tesoro, non lasciarmi . . » E
immaginavo una donna a cui era stato detto che non poteva avere figli, ma che
li aveva desiderati ardentemente per tutta la vita. Poi avviene una specie di
miracolo e partorisce un bambino, lo tiene stretto fra le braccia e se ne va in
giro canticchiando:
«Tesoro,
non lasciarmi . . », in parte perché prova una grandissima felicità, in parte
perché teme che possa succedere qualcosa, che il bambino si ammali o che
qualcuno glielo porti via. Anche allora mi rendevo conto che non poteva essere
così, che questa interpretazione non c'entrava nulla con il resto delle parole.
Per me però non faceva differenza. La canzone parlava di quello che pensavo io,
e continuavo a riascoltarla, da sola, ogni volta che potevo.
Più
o meno intorno a quel periodo avvenne uno strano episodio che vorrei
raccontarvi. Mi turbò molto, e sebbene non riuscii a comprenderne la vera
portata se non qualche anno dopo, penso che intuii, anche allora, un
significato più profondo.
Era
un pomeriggio soleggiato, e io ero andata nella nostra camerata a prendere
qualcosa. Ricordo la luce forte perché le tende non erano state tirate bene:
ampi raggi di sole entravano nella stanza e il pulviscolo volteggiava
nell'aria. Non avevo intenzione di ascoltare la cassetta, ma dal momento che
non c'era nessuno in giro, qualcosa mi spinse a prendere il nastro dal mio bauletto
dei ricordi e a metterlo nel registratore. Stavo dondolando lentamente al ritmo
della canzone, stringendo al petto un bimbo immaginario. A dire il vero, a
rendere il tutto ancora più imbarazzante, era una di quelle volte in cui avevo
afferrato un cuscino come se fosse un bambino vero, e ballavo piano, gli occhi
chiusi, canticchiando dolcemente sempre le stesse parole: «Oh, tesoro, tesoro,
non lasciarmi . . ». La canzone era quasi finita quando qualcosa mi fece
intuire che non ero sola.
Mi
sentii raggelare. Poi, in una frazione di secondo, avvertii una nuova
sensazione di pericolo, perché capii che c'era qualcosa di strano in quella
situazione. La porta era spalancata a metà - di regola non si potevano tenere
le porte delle camerate completamente chiuse se non quando dormivamo - ma
Madame non si era neppure avvicinata alla soglia. Era in piedi nel corridoio, immobile, la
testa leggermente piegata di lato per permetterle di vedere ciò che stavo
facendo nella stanza. La cosa strana era che piangeva. Poteva anche essere il
suo pianto, quello che avevo udito mentre ascoltavo la canzone e che mi aveva
risvegliato dal sogno. Quando ripenso a quell'episodio, ho la sensazione che,
anche se non era una delle nostre insegnanti, si trattava pur sempre di una
persona adulta, e avrebbe dovuto dire o fare qualcosa, magari anche soltanto
rimproverarmi. Così avrei saputo come comportarmi. Lei invece rimaneva lì
immobile senza smettere di piangere, continuando a fissarmi dal vano della
porta con quello stesso sguardo che aveva sempre quando ci guardava, come se
stesse osservando qualcosa che le faceva venire i brividi. Solo che stavolta
c'era qualcos'altro, qualcosa di più in quegli occhi, che non riuscivo a
decifrare. Lei si voltò e un istante dopo udii i suoi passi che si
allontanavano dagli alloggiamenti. Vidi il modo in cui teneva il capo infossato
tra le spalle, intuii che stava ancora piangendo. Due anni dopo, venni a
conoscenza di una cosa che allora non potevo immaginare, e cioè che nessuno di
noi avrebbe mai potuto avere bambini. Nessuno di noi, peraltro, era
particolarmente addolorato; infatti mi ricordo che qualcuno era felice all'idea
di poter fare sesso senza doversi preoccupare del resto - sebbene il sesso
fosse ancora di là da venire per la maggior parte di noi a quell'età.
v
Nel momento in cui mi resi conto
che la cassetta non c'era più, il mio primo pensiero fu che non dovevo dare a
vedere quanto fossi sconvolta. Immagino che dipendesse dal fatto che nessuno
era a conoscenza di quanto fosse importante per me quella cassetta. Forse ognuno di noi nasconde dei piccoli
segreti come quello - minuscoli rifugi fatti di niente dove rimanere soli con
le nostre paure e i nostri desideri. Il solo fatto di provare simili
bisogni, tuttavia, a quel tempo ci sembrava sbagliato - come se in un certo
senso deludessimo le aspettative che gli altri avevano riposto in noi.
Ebbene, la cassetta non riapparve, e ancora non so che cosa sia successo.
Da quel momento, come vi dissi,
Ruth aveva cercato di ricambiare facendo qualcosa di carino per me, e la
scomparsa della cassetta gliene offrì l'occasione. Si potrebbe anche dire che
fu soltanto dopo quella sparizione che le cose tornarono normali tra di noi. La
sera in cui mi accorsi per la prima volta che la cassetta non c'era più, mi
assicurai di domandare a ognuna di loro se l'avessero vista, compresa Ruth
naturalmente. Con il senno di poi, immagino che abbia capito esattamente,
all'istante, cosa significasse per me quella perdita, e allo stesso tempo
quanto fosse importante non darlo a vedere. Quando ormai mi ero arresa all'idea
di averla definitivamente perduta, Ruth venne a cercarmi, mi consegnò una
cassetta e il mio cuore ebbe un sobbalzo. Ruth però si affrettò ad aggiungere:
- Kathy, non è la tua. Quella che hai perso. Ho cercato di trovarla, ma è
davvero scomparsa. - Già, - dissi. - Se
n'è andata, nel Norfolk. Scoppiammo a
ridere. Poi estrassi la cassetta dal sacchetto con aria scontenta, e non sono
certa che la delusione fosse scomparsa del tutto mentre la esaminavo. Quando
più tardi l'ascoltai scoprii che si trattava di musiche d'accompagnamento per
balli da sala. Naturalmente, nel momento in cui Ruth me la porse, non potevo
sapere cosa fosse, ma ero certa che non avesse nulla a che vedere con Judy
Bridge-water. Poi, quasi subito, mi accorsi che Ruth non se n'era resa conto -
per Ruth, che non sapeva niente di musica, quella cassetta avrebbe potuto
facilmente sostituire quella che avevo perso.
All'improvviso sentii la delusione dissolversi per lasciare il posto a
una sensazione di vera felicità. La conservo ancora. Non l'ascolto spesso,
perché è una musica che non mi dice niente. È un oggetto, come una spilla o un
anello, e soprattutto adesso che Ruth non c'è più, è diventata una delle cose
che mi sono più care.
Capitolo settimo
Gli
anni dell’infanzia, quelli di cui vi ho appena parlato e gli anni della
giovinezza tendono a confondersi l'uno con l'altro come una specie di età
dell'oro, e quando ci ripenso, persino le cose che in fondo non erano poi così
belle, mi appaiono come avvolte da un'aura luminosa. Questi ultimi anni
tuttavia furono diversi. Non propriamente infelici - serbo molti ricordi che mi
sono davvero cari - ma erano più seri, più cupi in un certo senso. Forse è un
po' come se li avessi enfatizzati nella mia testa, ma ho la sensazione che il
mondo intorno mutasse rapidamente a quel tempo, come dal giorno alla notte.
La conversazione con Tommy
accanto al laghetto: penso a quell'episodio come a una sorta di demarcazione
tra le due ere. Non che subito dopo avvenisse chissà che di significativo; ma
per me almeno, quella conversazione rappresentò una svolta decisiva. Cominciai
definitivamente a vedere le cose in maniera diversa. Prima non osavo
avventurarmi in territori per me impervi, ora invece iniziavo a porre domande
con sempre maggiore insistenza, e se non apertamente, almeno a me stessa.
Quella conversazione mi indusse a vedere Miss Lucy sotto una nuova luce. La
osservavo attentamente ogni volta che potevo, non soltanto per curiosità, ma
perché adesso la consideravo come la fonte più attendibile per ottenere
informazioni decisive. Fu così che, nei due anni che seguirono, giunsi a
cogliere piccoli, strani dettagli in ciò che diceva o faceva, e di cui i miei
compagni non si accorsero minimamente.
Miss Lucy ci stava insegnando
letteratura inglese. Stavamo leggendo una poesia, ma per qualche motivo
l'interesse si era spostato sui soldati che erano stati fatti prigionieri
durante la seconda guerra mondiale. Uno dei ragazzi aveva chiesto se la
recinzione intorno ai campi fosse percorsa da una scarica elettrica, e qualcun
altro aveva osservato che doveva essere ben strano vivere in un posto come
quello, dove ci si poteva suicidare in qualunque momento solo sfiorando una
rete. Era nata come un'osservazione molto seria, ma il resto della classe
l'aveva trovata piuttosto divertente. Ridevamo e parlavamo tutti insieme
contemporaneamente, alcuni salirono sulle sedie e improvvisarono un'imitazione
esilarante di qualcuno che allungava il braccio e moriva fulminato. Per un
istante la situazione sfuggì a ogni controllo, con tutti che gridavano e
facevano finta di toccare i fili elettrici.
Nel frattempo io continuavo a osservare Miss Lucy e intravidi, per una frazione di secondo, un'espressione di terrore
dipingersi sul suo volto, mentre guardava gli studenti di fronte a lei. Poi
- io non le staccavo gli occhi di dosso - si riebbe, sorrise e disse: - Meno
male che i cancelli di Hailsham non sono elettrificati. Talvolta possono
verificarsi dei terribili incidenti.
Forse
mi sto spingendo troppo oltre; è possibile che notassi tutte queste cose senza
capirne la portata.
Avevamo quindici anni allora, Lucy
era l'unica insegnante presente. Stava china sul parapetto della facciata
dell'edificio, e scrutava la pioggia come se cercasse di penetrarla, fino a
raggiungere con lo sguardo il campo da gioco. La osservavo attentamente come
sempre in quel periodo. Mi accorsi all'improvviso che il rumore era sparito, e
che Miss Lucy stava parlando. Si trovava
esattamente dov'era prima, ma adesso aveva il viso rivolto verso di noi; teneva
la schiena appoggiata alla ringhiera, e il cielo carico di pioggia si stagliava
dietro di lei. - No, no, mi dispiace, ma devo interrompervi, - stava dicendo, e vidi che
si rivolgeva a due ragazzi seduti sulle panchine proprio di fronte a lei. Il
suo tono non era propriamente strano, ma parlava a voce molto alta, il genere
di voce che usava di solito per fare pubblicamente un annuncio, ed ecco perché
smettemmo di parlare. - No, devo
fermarvi. Non posso più ascoltarvi e stare zitta. Poi sollevò il capo per abbracciarci con lo
sguardo e inspirò profondamente. - Va bene, statemi a sentire, tutti voi. È ora
che qualcuno ve lo dica. Rimanemmo in attesa. - Ragazzi, dovete scusarmi se
vi stavo ascoltando. Ma eravate proprio dietro di me, e non ho potuto farne a
meno. Peter, perché non racconti agli altri quello che stavi dicendo a Gordon?
Miss Lucy ripeté, questa volta in tono più gentile: - Avanti, Peter. Per
favore, ripeti agli altri quello che stavi dicendo. - Stavamo solo parlando di come sarebbe
stato, se fossimo diventati degli attori. Di come sarebbe stata la nostra vita. - Sì, - lo incoraggiò Miss Lucy, - e stavi
dicendo a Gordon che in America sarebbe stato più facile. Peter sussurrò a
bassa voce: - Sì, Miss Lucy. Miss Lucy,
però, adesso era noi che guardava. - Lo so che non volevi fare niente di male.
Ma ormai ci sono in giro troppi discorsi come questo. Li sento sempre, hanno
permesso che accadesse, e non è giusto -.
Vidi altre gocce di pioggia cadere dalla gronda e abbattersi sulla sua
spalla, ma lei sembrò non badarci.
-
Se nessuno parla con voi, - proseguì, - allora è compito mio. Il fatto è, per come la vedo io, che vi hanno
detto e non detto allo stesso tempo. Vi hanno detto, ma nessuno di voi ha
capito realmente di cosa si trattava, e oso aggiungere che per qualcuno va
benissimo così. Ma non per me. Se volete
avere la possibilità di condurre delle vite dignitose, allora dovete sapere
come stanno le cose, e saperle fino in fondo. Se volete avere la possibilità di
condurre delle vite dignitose, dovete sapere chi siete e cosa vi aspetta,
ognuno di voi.
Nessuno
di voi andrà mai in America, o diventerà una stella del cinema. Poi rimase in
silenzio, ma ebbi l'impressione che quella conversazione nella sua testa non si
fosse mai interrotta, perché per qualche tempo il suo sguardo continuò a
vagare, spostandosi dall'uno all'altra, come se ci stesse ancora parlando.
Se capitava di affrontare
l'argomento, ci si limitava a dire: «E allora? Lo sapevamo già». Era proprio questo il punto, secondo Miss
Lucy. Ci avevano detto e non detto allo stesso tempo, Per come la vedeva lei.
Alcuni anni dopo, quando Tommy e io ne riparlammo, e io gli ricordai quell'idea
del «detto e non detto», lui formulò una teoria. Tommy
riteneva possibile che i nostri tutori avessero calcolato molto attentamente e
deliberatamente tutto ciò che ci avevano detto, in modo che fossimo sempre
appena un po' troppo piccoli per comprendere fino in fondo le informazioni che
ci venivano fornite in quel momento. È ovvio, tuttavia, che esse agivano su di
noi a un certo livello, tanto da penetrare ben presto nelle nostre menti, senza
che noi ci preoccupassimo di esaminarle con cura.
-
«Il
sesso influenza le emozioni in modi che non vi aspettereste mai.» Là fuori si
arrivava anche a litigare e a uccidere per stabilire chi faceva sesso con chi.
E il motivo per cui era così importante era che le persone là fuori erano
diverse da noi studenti: facendo sesso potevano generare figli. Ecco perché era
così fondamentale per loro, questa decisione di chi lo faceva con chi. Dovevamo
rispettare le regole e considerare il sesso come qualcosa di veramente
speciale.
Quando
qualcuno vi supplica di fare qualcosa per lui, è molto difficile dire di no.
Soprattutto credo che non volessi deluderlo.
Miss
Lucy aveva ragione quando disse, un paio d'anni dopo, che ci «era stato detto e
non detto». E inoltre, quando ci ripenso, sono convinta che ciò che Miss Lucy
ci raccontò quel pomeriggio produsse un cambiamento radicale nel nostro
comportamento.
v
Nessuno
di noi si fermò mai a riflettere a come si sentiva. Non ci preoccupammo mai di
sapere se avesse passato dei guai, per averci detto ciò che ci aveva detto.
Eravamo così egoisti a quel tempo. A quell’età avremmo dovuto pensarci. Ma non
fu così. Non ce ne curammo affatto. Non considerammo mai le cose dal suo punto
di vista, e non ci venne mai in mente di dire o fare qualcosa per tendere una
mano.
v
Capitolo ottavo
In quel periodo mi ero inventata
un gioco segreto. Quando mi ritrovavo da sola, mi fermavo e cercavo uno scorcio
- da una finestra, per esempio, o da una porta da cui si intravedeva una stanza
-, qualunque angolatura andava bene, a patto che non ci fosse nessuno nei
paraggi. Lo facevo per poter creare l'illusione, per alcuni istanti almeno, che
quel luogo fosse una dimora tranquilla e silenziosa, dove abitavo in compagnia
di altre cinque o sei persone. Perché questo avvenisse, bisognava immergersi in
una specie di sogno a occhi aperti, e chiudere fuori tutte le voci e i rumori
esterni. Di solito occorreva essere molto pazienti: se, per esempio, guardavi
da una finestra concentrandoti su un particolare angolo del campo da gioco,
potevi anche aspettare ore prima di godere di quella manciata di secondi di
solitudine.
Rimasi più che mai sorpresa di
vedere Miss Lucy. Quella mattina l'aula era più buia del solito, perché le
persiane erano state abbassate quasi del tutto.
C'erano due tavoli accostati ma Miss Lucy stava là, sola, in fondo alla
classe. Vidi molti fogli di carta scura e lucente sparsi sulla scrivania
davanti a lei. Miss Lucy era china, concentrata, la fronte abbassata, le
braccia appoggiate sul tavolo, intenta a scarabocchiare su una pagina linee furiose
con la matita. Sotto quelle linee nere e marcate scorsi una calligrafia nitida,
di colore blu. Mentre la osservavo, lei continuò a scarabocchiare con la punta
della matita sul foglio, quasi come quando usavamo la tecnica della sfumatura
nel corso di Educazione artistica, solo che i suoi movimenti erano più
impetuosi, come se non le importasse affatto di bucare la pagina. Allora mi
resi conto, in quel preciso istante, che era quella l'origine dello strano
rumore che avevo udito, e che ciò che avevo scambiato per carta lucida e scura
sulla scrivania, un attimo prima, non erano altro che pagine scritte con cura.
Era talmente assorta in quello che stava facendo che ci mise un po' ad
accorgersi della mia presenza. Quando sollevò la testa di scatto, vidi che aveva
il volto in fiamme, ma non v'erano tracce di lacrime. Mi fissò, poi abbassò la
matita. - Ciao, ragazzina, - disse
inspirando profondamente. - Cosa posso fare per te? Penso che distolsi lo sguardo, per non essere
costretta a guardare lei o i fogli sulla scrivania. Non ricordo se dissi
qualcosa. Ad ogni modo, non fu una vera e propria conversazione: lei non voleva
che stessi lì e anch'io avrei voluto essere da un'altra parte. Mi sembra di
averle chiesto scusa e di essermi allontanata, aspettandomi forse che mi
richiamasse. Ma non lo fece, e tutto ciò che ricordo ora è di essere corsa giù
per le scale colma di vergogna e di risentimento. In quel momento desiderai,
più di ogni altra cosa, di non aver mai assistito a ciò che avevo appena visto,
e tuttavia, se mi aveste chiesto il motivo del mio turbamento, non sarei stata
in grado di spiegarlo.
Ci furono momenti in cui temetti
seriamente che ridiventasse quella persona instabile e mutevole di molti anni
prima.
Tommy si fermò di botto, ruotò su
se stesso e fissò Laura con uno sguardo fiammeggiante. Tutte noi ci
immobilizzammo - i ragazzi erano attoniti quanto noi - e per una manciata di
secondi pensai che Tommy stesse per andare su tutte le furie per la prima volta
dopo anni. Infine si allontanò bruscamente a grandi passi, lasciandoci lì a
scambiarci sguardi interrogativi e stringerci nelle spalle.
Non andò molto meglio quella
volta che gli mostrai il calendario di Patricia C. Patricia aveva due anni meno
di noi, ma tutti provavano un timore reverenziale per le sue capacità
pittoriche, e le sue creazioni erano sempre le più ricercate durante le Aste
d'Arte. Ero particolarmente felice di quel calendario, che ero riuscita ad
accaparrarmi in occasione dell'ultimo Grande Incanto. Dissi: «Tommy, guarda
cosa sono riuscita a trovare». Non cercai di nascondere una punta di orgoglio
nella voce, e forse ho anche aggiunto un «dah-dah!» mentre lo estraevo dalla
cartella e glielo porgevo. Quando prese il calendario sorrideva ancora, ma
mentre lo sfogliava mi accorsi che era come se qualcosa si stesse richiudendo
dentro di lui. - Quella Patricia, -
cominciai, ma sentivo che il mio tono non era più lo stesso. - E così brava.
. Tommy però me lo stava già
restituendo. Poi, senza dire una sola parola, si allontanò a passo deciso in
direzione della casa padronale.
Quest'ultimo incidente avrebbe dovuto farmi capire. Se ci avessi
riflettuto almeno un po', avrei intuito che i recenti cambiamenti di umore di
Tommy avevano a che fare con i suoi problemi d’un tempo, col suo non essere una
persona «creativa». Ma con tutto quello che stava succedendo in quei giorni,
non li collegai.
Ruth e Tommy si erano lasciati. Uscivano
insieme da circa sei mesi; «ufficialmente» almeno - se ne andavano in giro
abbracciati, quel genere di cose. Come coppia, tutti provavano rispetto nei
loro confronti, perché non si mettevano in mostra.
Miss
Emily, lei che ci diceva quanto fosse importante non provare imbarazzo verso i
nostri corpi e «rispettare i nostri bisogni fisici», quanto il sesso fosse «un
dono meraviglioso», se entrambe le persone lo desideravano. All'atto pratico, però, i tutori si
comportavano in modo che fosse impossibile fare granché, senza dover infrangere
le regole.
Ma se ci penso, mi domando quanto
di quello che si diceva fosse vero.
Ricordo che tra noi vigeva una
regola di discrezione, che vietava di fare troppe domande al riguardo. Se, per
esempio, Hannah roteava gli occhi quando si parlava di un'altra ragazza e
mormorava: «Vergine», intendendo «E ovvio che noi non lo siamo, ma lei sì, cosa
vuoi aspettarti da una così?», questo non ci dava il diritto di chiederle: «Tu
con chi l'hai fatto? Quando? Dove?» No, ci limitavamo ad annuire con
atteggiamento complice. Era come se esistesse una specie di universo parallelo
dove tutte noi sparivamo per fare sesso.
Sono sicura di aver notato che in quei racconti ci fosse qualcosa che
non tornava. Ma allo stesso tempo, col sopraggiungere dell'estate, cominciai a
sentirmi, sempre più, l'unica fuori posto. In un certo senso, il sesso era
diventato quello che «essere creativi» rappresentava qualche anno prima. Se non
avevi ancora avuto delle esperienze, dovevi sbrigarti, e in fretta. Nel mio
caso, la faccenda era resa ancora più complicata dal fatto che due delle mie
più care amiche avevano già avuto rapporti.
«Se non riuscite a trovare
qualcuno con cui volete veramente condividere questa esperienza, allora
scordatevelo!» Ma più o meno intorno alla primavera di quell'anno, cominciai a
pensare che non mi sarebbe dispiaciuto fare sesso con un ragazzo. Non soltanto
per il gusto di farlo, ma perché mi rendevo conto che dovevo abituarmi al
sesso, e sarebbe stato meglio impratichirmi con qualcuno di cui non mi
importava molto. Se poi, in seguito, mi fossi messa con qualcuno di veramente
speciale, avrei avuto maggiori probabilità di non sbagliare. Ciò che intendo
dire è che se il sesso era così importante per le persone, allora non volevo
che la prima volta fosse con il ragazzo giusto.
Scelsi Harry, era un ragazzo
tranquillo e perbene, aveva sicuramente già avuto delle esperienze ed era
altamente improbabile che se ne andasse in giro a spettegolare, nel caso mi
fossi rivelata un disastro assoluto. E mi aveva fatto intendere un paio di
volte che gli sarebbe piaciuto fare sesso con me.
Molti ragazzi amavano flirtare a
quell'età, ma si capiva quando si trattava di una proposta seria o di uno dei
soliti giochetti tra ragazzi.
Pertanto avevo scelto Harry, e
rimandai un paio di mesi perché volevo assicurarmi di essere in perfetta forma
fisica.
Miss Emily ci aveva detto che
poteva essere doloroso e rivelarsi un vero fallimento se non eravamo
sufficientemente lubrificate, e proprio in questo consisteva la mia unica
preoccupazione. Non era il fatto di essere squarciate in due, cosa su cui
scherzavamo spesso, ed era la paura segreta di molte ragazze. Continuavo a
pensare, se mi bagno abbastanza in fretta, allora non c'è problema, così mi
esercitai parecchie volte da sola per essere sicura di farcela. Mi rendo conto che davo l'idea di essere
diventata un po' ossessiva, ma ricordo che passavo anche molto tempo a
rileggere brani tratti da libri dove i personaggi facevano sesso, ripercorrendo
più volte lo stesso passaggio, cercando di estrapolare qualche utile
indicazione. Il problema era che i libri che avevamo a Hailsham non erano di
grande aiuto. C'era un mucchio di roba del diciannovesimo secolo di Thomas
Hardy, e altri nomi del genere, praticamente inutili. Alcuni libri di
scrittrici contemporanee come Edna ÒBrien e Margaret Drabble contenevano alcune
scene di sesso, ma non era mai molto chiaro cosa stesse succedendo perché le
autrici davano per scontato che uno avesse già avuto molti rapporti sessuali
prima, e non ci fosse nessun bisogno di entrare nei dettagli.
Così continuai a posticipare
settimana dopo settimana, mentre continuavo nelle mie preparazioni, finché non
giunse l'estate e decisi che ero finalmente pronta. In quel momento mi sentivo
abbastanza sicura di me, e cominciai a lanciare qualche segnale in direzione di
Harry. Stava procedendo tutto per il meglio e secondo il mio piano, quando Ruth
e Tommy si lasciarono e la situazione si fece più confusa.
Capitolo nono
Lei disse - Tommy. Sapevo che con
Ruth non sarebbe durata. Be', a questo punto immagino che sia tu l'erede
naturale.
Non potevo fare a meno di pensare
che lei esprimesse ciò che chiunque, osservando la cosa da una certa distanza,
avrebbe pensato. In fondo ero amica di Tommy da anni, prima che cominciasse
tutta quella faccenda delle coppiette. Era assolutamente plausibile che per
qualcuno di esterno io potessi sembrare l'«erede naturale» di Ruth.
Fino a quel momento mi ero
concentrata esclusivamente su Harry. Infatti, a ripensarci, sono sicura che
avrei fatto sesso con lui, se non fosse stata per quella faccenda dell'«erede
naturale». Avevo pianificato ogni cosa, e mi ero preparata bene. Continuo a
pensare che Harry fosse una buona scelta in quel particolare periodo della mia
vita. Penso che sarebbe stato attento e gentile, e avrebbe capito cosa volevo
da lui. Dopo che Ruth e Tommy si lasciarono, i miei progetti si fecero più
confusi. Se ci ripenso, mi dispiace un
po' per Harry. Dopo tutti gli ammiccamenti della settimana prima, eccomi lì a
respingerlo. Immagino che avessi supposto che fosse impaziente di uscire
con me, e di essere in controllo della situazione. Ad ogni modo, questo periodo
durò un paio di settimane, poi giunse la richiesta di Ruth.
Quell'estate,
finché durò il bel tempo, ci inventammo un modo bizzarro di ascoltare la
musica, seduti sull'erba. I walkman avevano cominciato a fare la loro apparizione.
La mania del momento consisteva nel sedersi in gruppo sul prato intorno a un
unico dividendosi le cuffiette. Sono d'accordo, sembra un modo un po' stupido
per sentire la musica, ma contribuiva a creare una bellissima atmosfera. Si
ascoltava una canzone per circa venti secondi, ci si toglieva gli auricolari e
li si passava all'altro. Qualcuno si avvicinava e chiedeva: « Cosa state
ascoltando?» E se la risposta lo soddisfaceva, si sedeva per terra e aspettava
il suo turno. Quasi sempre si respirava una bell'aria, e non ricordo che a
nessuno fu mai detto di no.
Voglio che io e Tommy ci
rimettiamo insieme. Kathy, mi vuoi aiutare? - Poi aggiunse: - Che c'è? - Niente. Sono solo un po' sorpresa, dopo
quello che è successo. Certo che ti aiuterò.
- Non ho detto a nessun altro che voglio tornare con Tommy. Tu sei
l'unica di cui mi fido. - Cosa vuoi che
faccia? - Che gli parli, tutto qua. Hai
sempre fatto così con lui. Ti ascolterà.
Sono davvero contenta che tu ne
abbia parlato con me, - dissi infine. -
Probabilmente sono la persona più adatta. Per parlare a Tommy e tutto il
resto. - Quello che desidero più di ogni
altra cosa è ricominciare da capo.
Adesso siamo pari: tutti e due abbiamo fatto cose stupide solo per il
gusto di ferirci, ma adesso basta. Sono certa che tu puoi farlo ragionare,
Kathy. Te ne occuperai nel migliore dei modi. E se invece per lui non è ancora
arrivato il momento per mettere la testa a posto, allora saprò che è meglio
lasciar perdere. Mi strinsi nelle
spalle. - Come dici tu, io e Tommy non abbiamo mai avuto problemi a
parlare. - Già, e lui ti rispetta,
davvero. Lo so perché lo diceva spesso. Che sei una tosta e che fai sempre
quello che decidi di fare. Quindi è destino che sia tu a venire in nostro
aiuto. Io e Tommy siamo fatti l'uno per l'altra, e lui ti darà retta. Ti
prenderai cura di noi, vero, Kathy? Per
un istante non dissi nulla. Poi chiesi: - Ruth, fai sul serio con Tommy? Voglio
dire, se lo convinco e voi due tornate insieme, non gli farai di nuovo del
male, vero? Ruth emise un sospiro,
spazientita. - Certo che sono seria. Adesso siamo degli adulti.
Mi avvicinai e andai a sedermi
sul prato dietro di lui, appoggiata a un palo. Non doveva essere passato molto
tempo da quando gli avevo mostrato il calendario di Patricia C. e lui mi aveva
piantata in asso, perché ricordo che non avevo un'idea precisa di quali fossero
i nostri rapporti in quel momento. Alla fine decisi di rompere il ghiaccio: -
Tommy, parliamo. C'è una cosa che vorrei dirti. Appena pronunciai queste parole,
lui fece rotolare via il pallone e venne a sedersi accanto a me. Era tipico di Tommy; quando era certo che
avevo voglia di parlare, ogni traccia di malumore spariva, per lasciare il
posto a una sorta di riconoscente impazienza. Gli dissi: «Tommy, si vede.
Non sei tanto felice ultimamente», e lui rispose: «Cosa intendi dire? Io sono
felicissimo. Davvero». E mi fece un
grosso sorriso, seguito da una fragorosa risata. Fu questo a dare inizio a
tutto. Anni dopo, se intravedevo di tanto in tanto un accenno di questo suo
comportamento, mi limitavo a sorridere. Mi limitavo a sorridere. A quel tempo,
però, mi faceva veramente infuriare. Se
Tommy per caso diceva: «Sono davvero dispiaciuto», subito metteva su un'aria
triste, abbacchiata, per avallare le sue parole. Non credo che fosse ironico,
questo suo atteggiamento. Pertanto in
quella circostanza, per dimostrarmi che era felice, eccolo lì pronto a
illuminarsi di gioia. Come vi dicevo, arrivò il momento in cui questo suo modo
di essere mi faceva tenerezza; ma quell'estate per me non fu altro che una
dimostrazione evidente di che bambino fosse, e di quanto fosse facile
approfittarsi di lui.
Quando
Tommy si comportava così, sentivo che stavo per essere assalita da una
sensazione molto simile al panico. Fino a quel pomeriggio avevo sempre lasciato
perdere - sembrava sempre troppo difficile riuscire a spiegargli - ma quella
volta esplosi: Tommy, sembri così stupido, a ridere come stai ridendo! Se vuoi
fingere di essere felice, non è così che si fa! Dammi retta, non è così che si
fa! Davvero non si fa! Ascoltami, devi crescere. E rimettiti in sesto. Ti è
andato tutto storto ultimamente, ed entrambi sappiamo perché.
Hai ragione. È andato tutto storto. Ma non so cosa intendi, Kath. Cosa vuoi dire,
che lo sappiamo entrambi? Non so come potresti saperlo. Non ne ho parlato con
nessuno. - Naturalmente non conosco
la storia nei dettagli. Ma tutti sappiamo che ti sei lasciato con Ruth. Tommy continuava ad avere un'aria perplessa.
- A dire il vero, Kath, - disse infine, - non è questo che mi preoccupa. È
tutta un'altra cosa. Non faccio che pensarci. Fu così che venni a sapere
cos'era successo tra Tommy e Lucy all'inizio dell'estate. In seguito, quando ci
ripensai, calcolai che doveva essere avvenuto appena pochi giorni prima della
mattina in cui avevo sorpreso Miss Lucy infuriata.
v
Miss Lucy mi disse che dovevamo
fare una chiacchierata, una bella chiacchierata, noi due. Rispondo va bene,
entriamo nel suo studio, Quindi mi indica dove sedermi, e io finisco esattamente dov'ero l'ultima volta, sai, quel giorno di
tanti anni fa. E capisco che anche lei si ricorda benissimo, perché
comincia a parlarne come se fosse successo proprio il giorno prima. Nessuna
spiegazione, niente, lei inizia a dire frasi del tipo: «Tommy, ho commesso un errore, quando ti ho detto quelle cose. E avrei
dovuto raccontarti la verità molto prima». Allora mi dice che dovrei
dimenticare tutto. Che mi aveva fatto un grave torto dicendomi che non dovevo
preoccuparmi se non ero una persona creativa. Ha aggiunto che le dispiaceva
avermi detto quello che aveva detto l'ultima volta che ci eravamo visti perché,
se non l'avesse fatto, ora sarebbe stato tutto a posto. Alla fine, è stata lei
in effetti a spingermi a parlare. Mi ha chiesto: «Tommy, a cosa stai pensando?»
Allora le ho detto che non ero tanto sicuro, ma che in ogni caso non avrebbe
dovuto preoccuparsi, perché io adesso stavo bene. Ma lei ha detto, no, non è
vero che stai bene. I miei lavori non valevano niente, e questo in parte era
colpa sua perché mi aveva detto quelle cose. E io le ho risposto, ma che
importa? Adesso sto bene, nessuno ride più di me. Lei però ha continuato a
scuotere la testa: «Certo che importa. Non avrei dovuto dirti quelle cose».
Allora mi viene in mente che si riferisce a dopo, sai, a quando usciremo da
qui. Così le dico: «Andrà tutto bene, Miss.
Fisicamente sto benissimo, so badare a me stesso. Quando arriverà il
momento delle donazioni, non ci sarà nessun problema». Quando pronuncio queste
parole, lei prende a scuotere la testa talmente forte che ho paura le vengano
le vertigini. Alla fine mi dice: «Ascolta, Tommy, i tuoi disegni, sono
importanti. E non soltanto perché costituiscono una prova. Ma per il tuo stesso
bene. Ne avrai dei gran vantaggi, e sarà solo per il tuo bene». - Aspetta un momento. Cosa voleva dire con
«prova»? Non lo so. Ma ha detto esattamente questo. Ha detto che i nostri
lavori erano importanti, e non soltanto perché «costituivano una prova». Dio solo sa cosa intendesse. Le ho chiesto di
essere più chiara. Le ho detto che non capivo di cosa stesse parlando: Lei ha
fatto un profondo sospiro e ha risposto: «La galleria di Madame, sì, è
importante. Molto più di quanto pensassi. Adesso me ne rendo conto». Poi ha
aggiunto: «Ci sono moltissime cose che non puoi capire, Tommy, e che non posso
spiegarti. Forse però un giorno ci proverai e le scoprirai da solo. Non ti
spianeranno la strada, ma se tu lo vuoi, se lo desideri veramente, potresti
anche riuscirci». Poi ha ripreso a scuotere il capo, anche se più lentamente, e
ha detto: «Ma perché tu dovresti essere diverso? I ragazzi che lasciano
Hailsham, non scoprono mai nulla. Perché dovresti essere diverso?» Non sapevo
di cosa stesse parlando, così ho ripetuto: «Starò bene, Miss». Lei è rimasta in
silenzio per qualche istante, poi all'improvviso è scattata in piedi, ha fatto
per chinarsi su di me e mi ha abbracciato. Non in maniera sensuale. Più come
facevano una volta, quando eravamo piccoli. Non mi sono mosso. Allora lei si è
rialzata e ha ripetuto che le dispiaceva per quanto mi aveva detto. E che non
era troppo tardi, dovevo ricominciare subito da capo, riconquistare il tempo
perduto. Credo di non aver detto niente, allora lei mi ha guardato e io ho
pensato che volesse di nuovo abbracciarmi. Invece ha esclamato: «Fallo per me,
Tommy». L'ho rassicurata dicendole che avrei fatto del mio meglio, perché in
quel momento non vedevo l'ora di allontanarmi da lì. Probabilmente dovevo
essere diventato rosso fuoco, con lei che mi abbracciava e tutto il resto. Sai
no, non è la stessa cosa, insomma, adesso che siamo grandi.
v
Quello che mi hai raccontato è
molto interessante, e capisco che questa storia ti abbia fatto star male. In
ogni caso, devi rimetterti un po' in sesto. Dopo l'estate ce ne andremo da qui.
Devi rimetterti in sesto, e c'è una cosa che puoi sistemare fin da subito. Ruth
mi ha detto che è pronta a dimenticare tutto e a chiederti di rimetterti con
lei. Penso che sia una buona opportunità per te. Non gettarla via. Tommy rimase in silenzio per alcuni istanti,
poi disse: - Non so, Kath. Ci sono tutte
queste altre cose a cui pensare. -
Tommy, ascoltami. Sei davvero fortunato. Di tutti quelli che ci sono, Ruth ha
scelto te. Dopo che ce ne andremo da qui, se tu starai con lei, non dovrai
preoccuparti di nulla. Lei è la migliore: starai bene se sarai con lei. Dice che
vuole ricominciare da capo. Non buttare all'aria tutto. Ascoltami, sciocco, non
ti verranno date altre possibilità. Non
lo capisci, non abbiamo più molto tempo a disposizione qui. Con mia grande sorpresa la reazione di Tommy,
quando arrivò, fu calma e ponderata - un lato di Tommy che sarebbe emerso
sempre di più negli anni a venire. -
Me ne rendo conto, Kath. Ed è esattamente
questo il motivo per cui non posso precipitarmi tra le braccia di Ruth.
Dobbiamo riflettere sulle nostre azioni future molto attentamente -. Poi
sospirò e mi guardò dritto negli occhi. - È proprio come hai detto tu, Kath.
Presto ce ne andremo da qui. Non è più un gioco. Dobbiamo pensarci bene. All'improvviso non seppi più cosa dire e
rimasi là seduta a strappare il trifoglio.
Sentivo il suo sguardo su di me, ma non sollevai il capo. Chissà per quanto tempo saremmo rimasti così,
se non fossimo stati interrotti. mi allontanai con la sensazione di non aver
portato a termine ciò che mi ero prefissa - che in un certo senso avevo deluso Ruth.
La notizia che Miss Lucy avrebbe
lasciato Hailsham si diffuse in un batter d'occhio. Gli occhi di Tommy erano
vuoti. Quella stessa sera, Tommy e Ruth tornarono insieme, e ricordo che Ruth
venne a cercarmi alcuni giorni dopo per ringraziarmi di «aver risolto tutto
così bene».
Parte seconda
Capitolo decimo
I saggi assunsero una nuova
importanza. Durante i nostri primi giorni di permanenza, e per alcuni molto più
a lungo, fu come se ognuno di noi si aggrappasse al proprio saggio, l'ultimo
compito assegnato a Hailsham, come se fosse stato un regalo d'addio. In fondo,
però, non ci credo veramente. E soltanto
un piccolo attacco di nostalgia che mi aiuta a far passare il tempo. Penso al
saggio nello stesso modo in cui potrei ricordare una discussione avvenuta tanto
tempo fa, quando mi vengono in mente tutte le cose intelligenti che avrei
dovuto dire. Rimane a questo livello - un sogno a occhi aperti.
v
Se
mai sentimmo la mancanza dei nostri amici, ci ripetevamo che niente poteva
impedirci di andarli a trovare. Ma non avevamo davvero cognizione delle
implicazioni delle distanze.
v
Penso a quei giorni spensierati a
correre dentro e fuori le stanze l'uno dell'altra, a quando il pomeriggio,
languidamente, abbracciava la sera e poi la notte. Penso alla mia pila di vecchi
giornali, le pagine increspate e incerte, come se fossero appartenute al
mare. Penso al modo in cui li leggevo,
sdraiata a pancia in giù sul prato nei caldi pomeriggi estivi. Penso alle
mattine in cui mi risvegliavo nella mia stanza, voci degli studenti nei campi
che discutevano di poesia e filosofia; o ai lunghi inverni, le colazioni nelle
cucine appannate dal vapore, a parlare intorno al tavolo di Kafka o Picasso.
Erano sempre questi i discorsi, all'ora di colazione; mai con chi si era fatto
sesso la notte prima.
v
Perché
forse, in un certo senso, non ci eravamo lasciati alle spalle quello che
ritenevamo di aver abbandonato. Perché, sotto sotto, una parte di noi rimase
sempre così: timorosa del mondo intorno e - non importa quanto ci
disprezzassimo per questo - incapaci di staccarci l'uno dall'altra.
v
Peraltro,
avevo notato qualcosa in queste persone, cioè come molti dei loro manierismi
fossero copiati dalla televisione. Me ne resi conto per la prima
volta osservando quella coppia, Susie e Greg - probabilmente gli studenti più
anziani dei Cottages, e che in genere si riteneva fossero deputati a «dirigere»
il posto. C'era una cosa in particolare che Susie faceva, ogni volta che Greg
cominciava uno dei suoi discorsi su Proust o chiunque altro: ci sorrideva,
faceva roteare gli occhi, e mormorava in maniera enfatica, ma a malapena
percepibile: «Che Diiio ci aiuti». Sebbene
nulla ci impedisse di tenerla accesa tutto il giorno, nessuno pareva
particolarmente interessato. Di tanto in tanto la guardavamo. Fu così che mi
resi conto che quel «Diiio ci aiuti» proveniva da una serie televisiva
americana, una di quelle con le risate in sottofondo ogni volta che qualcuno
diceva o faceva qualcosa. Quando me ne accorsi, cominciai a notare ogni genere
di altre cose che le coppie di veterani avevano preso in prestito dai programmi
televisivi: il modo in cui gesticolavano fra loro, si sedevano insieme sul
divano, persino il modo in cui litigavano e si precipitavano fuori dalla
stanza.
Stavo sdraiata su un vecchio
ritaglio di tela cerata a leggere Daniel Deronda, quando Ruth si avvicinò con
noncuranza e venne a sedersi accanto a me. Osservò attentamente la copertina
del libro e annuì col capo rivolta a se stessa. Poi, dopo circa un minuto, e io
ero certa che sarebbe andata così, cominciò a raccontarmi la trama di Daniel
Deronda. Fino a quel momento ero stata di ottimo umore e felice di vedere Ruth,
ma adesso ero irritata. Era già successo un paio di volte, e l'avevo vista
comportarsi così anche con altri. Per prima cosa, c'era quel suo modo di fare: assumeva un'aria indifferente ma
sincera, come se si aspettasse che gli altri le fossero eternamente grati per
il suo aiuto. D'accordo, anche allora ero vagamente consapevole di cosa si
celasse dietro quell'atteggiamento. Durante quei primi mesi, avevamo in
qualche modo elaborato la teoria che il nostro inserimento all'interno della
comunità dei Cottages dipendeva da quanti libri si erano letti. Potrà sembrare strano ma è così, quest'idea
prese piede nel nostro gruppo.
Tutto l'insieme era
deliberatamente un po' nebuloso - e infatti aveva molti tratti in comune con il
modo in cui avevamo affrontato il problema del sesso a Hailsham. Andavamo in giro con l'aria di chi aveva
letto ogni genere di cose, annuendo con fare consapevole quando qualcuno
menzionava per esempio Guerra e pace, sottintendendo che nessuno avrebbe
sondato nel dettaglio questa affermazione. Non bisogna dimenticare che, dal
momento che eravamo stati quasi sempre insieme dal nostro arrivo ai Cottages,
sarebbe stato impossibile per uno di noi leggere Guerra e pace senza che gli
altri se ne accorgessero. Ma esattamente come era avvenuto con il sesso a
Hailsham, un tacito accordo permetteva l'esistenza di una misteriosa dimensione
dove ci allontanavamo a leggere.
Lei era l'unica a fingere
costantemente di aver già finito qualunque cosa un altro stesse affrontando; ed
era l'unica a pensare che il modo per dimostrare la propria superiorità al
riguardo era andarsene in giro a raccontare la trama del libro che uno stava
leggendo.
v
È
come quando si gioca a scacchi e non appena si solleva il dito dal pezzo ci sì
accorge dell'errore, e si viene assaliti da una sensazione di panico poiché non
si è certi della gravità del disastro a cui si va incontro.
v
Allora è questo, è questo che
turba la povera piccola Kathy. Ruth non le dedica abbastanza attenzioni. Ruth
ha dei nuovi amici più grandi e non gioca abbastanza con la sorellina più
piccola. . - Dacci un taglio. E comunque
non è così che si comportano le famiglie vere. Non sai niente tu. - Oh, Kathy, la grande esperta di famiglie
vere. Scusami tanto. Ma ho indovinato, vero? Hai ancora quest'idea in testa.
Tutti noi di Hailsham, noi dobbiamo stare sempre insieme, un unico gruppetto,
di avere nuovi amici non se ne parla. -
Non ho mai detto questo. Mi riferisco semplicemente a Chrissie e Rodney. È
stupido, il modo in cui copi tutto quello che fanno. - Però ho ragione, non è vero? - proseguì
Ruth. - Sei triste perché io sono riuscita ad andare avanti, a farmi nuovi
amici. Qualcuno dei veterani ricorda a malapena il tuo nome, e chi può
biasimarli? Non parli mai con nessuno a
meno che non sia di Hailsham. Ma non puoi pensare che io me ne stia lì tutto il
tempo a tenerti per mano. Ormai siamo qui da quasi due mesi. Non fai che
mettere Tommy in difficoltà. Ti ho osservata, è capitato più volte solo in
questa settimana. Lo lasci in disparte. Non è giusto. Tu e Tommy dovreste
essere una coppia. Questo significa che
dovresti occuparti di lui. - Giusto,
Kathy, siamo una coppia, hai detto bene. E visto che ficchi il naso, bisogna
che te lo spieghi. Ne abbiamo discusso, e siamo d'accordo. Carino da parte tua,
preoccuparti -. Poi aggiunse, con una diversa modulazione di voce: - A pensarci
bene, mi sembra che tu non abbia perso tutto questo tempo a fare amicizia con
almeno qualcuno dei veterani. Mi osservò
attentamente, poi scoppiò a ridere, come a significare: «Siamo ancora amiche,
non è vero?» Io però non trovai nulla da ridere in questa sua ultima
affermazione. Raccolsi il libro e mi allontanai senza dire una parola.
Capitolo undicesimo
Forse è meglio che vi spieghi
perché ci rimasi così male quando Ruth disse quelle cose. Quei primi mesi erano
stati strani, per la nostra amicizia. Litigavamo per un nonnulla, ma allo
stesso tempo ci confidavamo più che mai l'una con l'altra. Il punto è che, per
quanto ci fossimo allontanate durante il giorno, la sera Ruth e io ci saremmo
comunque ritrovate fianco a fianco a scambiarci i nostri pensieri più profondi
sulla nostra nuova vita, come se niente si fosse mai frapposto tra noi. Ciò che rendeva possibile queste confidenze
- si potrebbe addirittura dire ciò che rendeva possibile la nostra amicizia in
quel periodo era
la consapevolezza che qualunque cosa ci fossimo raccontate in quei momenti,
sarebbe stata trattata con rispetto assoluto: che avremmo onorato la sacralità
di quelle confidenze, e per quanto avessimo potuto litigare, non le avremmo mai
usate l'una contro l'altra. E vero, non ce l'eravamo mai detto chiaramente, ma
fino a quell'episodio di Daniel Deronda si era trattato di un tacito accordo,
che nessuna delle due aveva mai accennato a mettere in discussione. Ecco
perché, quando Ruth disse che non avevo perso tempo a fare amicizia con
qualcuno dei veterani, non ero soltanto arrabbiata. Per me, questo equivaleva a
un tradimento. Perché non ci poteva essere alcun dubbio al riguardo; si stava
riferendo a qualcosa che le avevo confidato una sera su me e il sesso.
L’atmosfera,
come vi dicevo, era più da «adulti». Se si sapeva che due studenti avevano
fatto sesso, non ci si chiedeva subito se stavano insieme. E se un giorno si
vedeva una nuova coppia, non se ne parlava come se fosse un avvenimento
eccezionale. Lo si accettava. Se qualcuno voleva fare sesso con te, anche
questa richiesta era molto più esplicita. Un ragazzo si avvicinava per
chiederti se avevi voglia di passare la notte con lui nella sua stanza, «tanto
per fare qualcosa di diverso» o un'espressione del genere, niente di più.
Talvolta perché era interessato a uscire con te; altre volte, solo per l'avventura
di una notte.
Le confidai come fosse successo,
senza che io lo desiderassi veramente; e come, il sesso aveva influenzato in
modo strano i miei sentimenti. Volevo chiederti una cosa. Non ti capita mai di
sentire il bisogno di farlo? Quasi con chiunque? Si strinse nelle spalle, poi
disse: - Io esco con qualcuno. Quindi se voglio farlo, lo faccio con
Tommy. - Immagino che sia così. Forse
sono solo io. Ci dev'essere qualcosa di sbagliato in me. Perché qualche volta
ho davvero bisogno, un bisogno disperato di farlo. - E strano, Kathy -. Mi fissò con sguardo
preoccupato, che mi fece sentire ancora peggio.
- Così a te non capita mai. Si
strinse di nuovo nelle spalle. - Non tanto da farlo con chiunque. - A volte
passano secoli. Poi all'improvviso mi assale. E andata così, la prima volta che
è successo. Lui ha cominciato a baciarmi
e io volevo solo che la smettesse. Poi d'un tratto ho sentito qualcosa che si
impossessava di me, inaspettatamente. Dovevo farlo e basta. Ruth scosse il capo.
La nostra amicizia era rimasta
intatta perché, almeno da parte mia, c'era la chiara consapevolezza che esisteva
fino a quel pomeriggio colei a cui confidavo i miei pensieri e i miei
sentimenti prima di addormentarmi, lei era la mia amica di sempre, la persona
di cui potevo fidarmi ciecamente. Ecco perché quando disse quelle parole, che
non avevo «perso tutto quel tempo a fare amicizia con almeno qualcuno dei
veterani», ci rimasi così male. Ecco perché afferrai il libro e me ne andai.
In generale, ritengo di non aver
mai apprezzato il puro e semplice sforzo che Ruth stava compiendo per andare
avanti, per crescere. Non hai mai avuto una collezione dopo Hailsham, vero?
Ruth, che stava seduta sul letto,
rimase a lungo in silenzio, mentre il tramonto scompariva oltre il muro
piastrellato alle sue spalle. Infine disse: - Ti ricordi che i tutori, prima
che ce ne andassimo, continuavano a dirci che avremmo potuto portare con noi le
nostre collezioni. Così ho tirato fuori ogni cosa dal mio bauletto e ho messo
tutto dentro la grossa sacca da viaggio. La mia idea è che avrei trovato una
bella scatola di legno quando mi fossi stabilita ai Cottages. Una volta
arrivata là, però, mi sono accorta che nessuno dei veterani possedeva una
collezione. Eravamo gli unici ad averla,
non era normale. Probabilmente tutti noi
ce ne rendevamo conto, non ero la sola, ma non ne avevamo mai parlato
apertamente, vero? Così non l'ho mai cercata, quella scatola nuova. Le mie
cose sono rimaste nel borsone da viaggio per mesi, finché alla fine non ho deciso
di buttarle via. La fissai. - Hai buttato la tua collezione nella
spazzatura? Ruth scosse il capo, e per alcuni minuti sembrò passare in
rassegna col pensiero tutti i diversi oggetti della sua collezione, a uno a
uno.
v
Ciò
che intendo dire è che tutti noi stavamo lottando per adattarci alla nostra
nuova vita, e immagino che tutti noi facessimo cose che avremmo rimpianto in
seguito.
v
C'era,
per esempio, quella strana abitudine nei confronti degli studenti che se
n'erano andati da poco. Raramente, gli studenti accennavano a coloro che, fino
a un attimo prima del nostro arrivo, dovevano essere stati i loro amici più
cari.
Forse però esagero un po'
nell'affermare che gli studenti che avevano lasciato fossero un argomento
proibito. Se necessario, venivano nominati. La maggior parte delle volte, si
parlava di loro indirettamente, in relazione a un oggetto.
C'era il ceppo di un albero che
tutti chiamavano «il ceppo di Dave» poiché per più di tre anni, fino a poche
settimane prima del nostro arrivo, era lì che lui si sedeva per leggere e
scrivere, talvolta anche quando pioveva o faceva freddo.
Dipendeva
da ognuno di noi diventare quello che saremmo riusciti a diventare.
Fu
possibile dimenticare anche per lunghi periodi chi eravamo veramente;
dimenticare ciò che ci avevano detto. Naturalmente non poteva durare ma, come
vi dicevo, per alcuni mesi in qualche modo riuscimmo a vivere in questo
piacevole stato di sospensione, nel quale immaginare le nostre esistenze oltre
i soliti confini. A ripensarci, ho la sensazione che passassimo un’infinità di
tempo accoccolati attorno al caminetto ormai quasi spento a fare le ore
piccole, assorti in conversazioni sui nostri piani per il futuro.
Capitolo
dodicesimo
Allora,
mi limitavo ad ascoltare senza dire nulla, saziandomi delle loro parole. Ed
entravo e uscivo dal sonno, lasciando che immagini di strade percorressero la
mia mente.
Sembrava
confidare nel fatto che non l'avrei tradita. E infatti, non la tradii mai.
Capitolo tredicesimo
Ogni
volta che ridevano, ridevo anch'io solo per educazione.
Si
può chiedere le donazioni vengano posticipate di tre, anche di quattro anni.
Non è facile, ma talvolta te lo permettono. Se si riesce a convincerli. Aveva
assunto una di quelle sue tipiche espressioni indecifrabili. Sostenevano che se
c'erano un ragazzo e una ragazza che erano innamorati, veramente innamorati, e
in grado di dimostrarlo, allora le persone che si occupano di Hailsham potevano
risolvere la cosa. La risolvevano in modo da concedere loro alcuni anni insieme
prima di iniziare le donazioni. Avevano sentito parlare di una coppia di
Hailsham: al ragazzo mancavano soltanto poche settimane prima di diventare
assistente. Andarono a fare visita a qualcuno e tutto fu posticipato di tre
anni. Gli fu permesso di andare a vivere insieme, su nella White Mansion, per
tre anni interi, non dovettero fare il praticantato o niente del genere. Tre
anni solo per loro, perché riuscirono a dimostrare che erano davvero
innamorati.
Ruth distolse lo sguardo. -
Dovete capire - proseguì rivolta a Chrissie - che anche se Tommy viveva a
Hailsham, non è propriamente uno studente di Hailsham. Era sempre tenuto in
disparte, e tutti lo prendevano in giro.
Negli occhi di Tommy era apparsa un'espressione che mi aveva fatto mancare il
fiato. Una di quel e che non gli vedevo da tempo, e che apparteneva al Tommy
che aveva costretto i compagni a barricarsi in classe mentre rovesciava i
banchi a calci. Poi quello sguardo svanì: sollevò la testa verso il cielo ed
emise un respiro profondo.
Capitolo quattordicesimo
Mentre
i secondi scorrevano inesorabili, fu come se, senza parlare, vedessimo la
situazione dalla stessa diversa angolatura.
Teneva
gli occhi socchiusi e guardava lontano, il cielo più che l'acqua. Capivo che
era triste, ma qualcuno che non la conosceva bene avrebbe potuto pensare che
fosse semplicemente sovrappensiero.
Tommy,
tanto per divertirci un po’. E allora divertiamoci un po’ a fare finta di
essere qualcun altro. La donna della galleria d’arte pensava che fossimo
studenti di storia dell’arte. Credete forse che ci avrebbe rivolto la parola se
avesse saputo che cosa siamo veramente? Lo sappiamo, e allora tanto vale
ammetterlo.
Dimentichiamoci dell'intera faccenda
e andiamo. Voi andate, - dissi tranquillamente. - Io non vengo. Ruth si voltò e
mi scrutò intensamente. - E adesso? Adesso chi è quella che se la prende? - Non sono arrabbiata. Ma qualche volta dici
un sacco di scemenze. - Oh, ma guardate
un po' chi si è offesa. Povera Kathy. A lei non piace che si dicano le cose
come stanno. - Questo non c'entra.. - E
va bene, - disse, - non siamo obbligati ad andare sempre in giro tutti insieme.
Se la signorina qui non vuole
venire con noi, non è obbligata. Può stare per conto suo -. Poi si chinò verso
Chrissie e le sussurrò a bassa voce, ma non abbastanza perché gli altri non
sentissero: - E così che bisogna fare quando Kathy ha la luna di traverso.
Lasciarla da sola e poi le passa.
Ma Tommy non si mosse. Solo quando Ruth lo fissò lui disse: -
Rimango con Kath. Se ci separiamo, al ora rimango con Kath. Ruth gli rivolse
uno sguardo infuriato, poi si voltò e si allontanò. Chrissie e Rodney guardarono Tommy
imbarazzati, poi si incamminarono.
Capitolo quindicesimo
Tommy e io ci appoggiammo alla
ringhiera e guardammo il panorama finché gli altri non sparirono dalla vista.
Presi a camminare nella direzione
opposta agli altri, e lasciai che Tommy si mettesse al passo con me.
Non
vale la pena prendersela. - Va bene, - e
così dicendo diedi intenzionalmente un colpetto con la spalla contro la sua. -
Va bene, d'accordo. Va bene. Avevo
l'impressione che ci stessimo dirigendo verso il centro, anche se non ne ero
certa. Stavo cercando di pensare a un modo per cambiare argomento quando Tommy
mi precedette:
v
-
Sai quando eravamo da Woolworth's prima? Mentre tu stavi con gli altri? Io
stavo cercando di trovare qualcosa. Qualcosa per te. - Un regalo? - Lo guardai sorpresa. - Non
sono sicura che Ruth approverebbe. A meno che tu non ne abbia preso uno più
grande per lei. - Una specie di regalo,
diciamo. Ma non sono riuscito a trovarlo. Non avevo intenzione di dirtelo, però
insomma, adesso ho un'altra occasione.
Solo che dovresti aiutarmi. Non sono molto bravo a fare acquisti. - Tommy, cosa stai dicendo? Mi vuoi fare un
regalo ma vuoi che ti aiuti a sceglierlo. .
- No, lo so cos'è. E soltanto che. . - Rise e si strinse nelle spalle. -
Massì, tanto vale dirtelo. In quel negozio c'era uno scaffale pieno di dischi e
cassette. Così ti ho cercato quella che avevi perso. Ti ricordi, Kath? Peccato
che non mi ricordassi più il titolo. La mia cassetta? Non pensavo che lo
sapessi, Tommy. - Oh, si. Ruth obbligava
la gente a cercarla e diceva che tu eri veramente triste per averla persa. Così ho tentato di trovarla. Non te l'ho mai
detto, ma ho fatto davvero del mio meglio.
Ricordo di averci provato per non so quanto tempo, ma non sono riuscito
a trovarla. Lo guardai e sentii che il
cattivo umore stava svanendo. - Non lo
sapevo, Tommy. È stato molto bello da parte tua. - Già, ma non è servito a molto. Io volevo
trovarla a tutti i costi. E quando alla fine ho capito che non sarebbe mai
saltata fuori, mi sono detto, un giorno andrò nel Norfolk e la troverò per lei.
v
-
Quel negozio di prima, aveva tutte quelle cassette, così ho pensato che doveva
esserci anche la tua. Ma credo di no. Era una certa Julie Bridges o qualcosa
del genere. . - Judy Bridgewater. Songs
After Dark. Tommy scosse il capo con
fare solenne. - Ne sono certo, non avevano niente del genere. Scoppiai a ridere
e gli diedi un pugno sul braccio. Lui fece uno sguardo smarrito, così gli
spiegai: - Tommy, non troverai mai niente del genere lì. Tengono solo le
novità. Judy Bridgewater, è una cosa vecchissima. E saltata fuori durante uno
dei nostri Grandi Incanti. Non può stare lì, idiota che non sei altro! - Sì, ma come ti ho detto, io non so nulla di
queste cose. Però c'erano così tante cassette. Ne hanno alcune, Tommy. Non ha
nessuna importanza. È stata un'idea carina. Sono davvero commossa. E stata
un'idea fantastica. Questo è il Norfolk, dopotutto.
v
Riprendemmo
a camminare e Tommy disse un po' esitante: - Be', ecco perché dovevo
dirtelo. Volevo farti una sorpresa, ma
non so come fare. Non so dove cercare,
anche se adesso ho il titolo del disco. Adesso che te l'ho detto, mi puoi
aiutare tu. Possiamo cercarlo insieme. - Tommy, sei un idiota. Ci credi sul
serio, non è vero? Tutta questa storia degli oggetti dimenticati. - Non è che ci
devo credere per forza. Ma potremmo semplicemente dare un'occhiata, mentre
siamo qui. Voglio dire, ti piacerebbe ritrovarla, no? Che cosa abbiamo da
perdere? - D'accordo. Sei un idiota
totale, ma va bene.
v
Dobbiamo cercare nei negozi di seconda mano, -
dissi dopo aver riflettuto un istante. Va bene. Ma dove si trovano questi
negozi? Quando ripenso a quel momento,
in piedi accanto a Tommy in quella stradina, in attesa di iniziare la nostra
ricerca, mi sento pervadere da un'ondata di calore. Improvvisamente ogni cosa
era perfetta: un'ora a nostra disposizione che ci attendeva, e non ci sarebbe
stato modo migliore per trascorrerla. Non molto tempo fa, mentre assistevo
Tommy e gli ricordavo la nostra gita nel Norfolk, mi confidò che anche per lui
era stata la stessa cosa. Il momento in cui decidemmo di andare a cercare la
mia cassetta perduta: fu come se d'un tratto le nubi si fossero dileguate, e al
loro posto non ci fossero altro che risa e divertimento. Per pura fortuna,
scoprii subito una strada con quattro negozi del genere che stavamo cercando, praticamente
uno dietro l'altro. Un negozio era specializzato in articoli hippie, mentre un
altro offriva medaglie di guerra e fotografie di soldati nel deserto. Tutti,
però, conservavano da qualche parte in un angolo uno o due scatoloni con LP e
cassette.
v
Andammo
a rovistare in questi negozi, e in tutta onestà, dopo appena pochi minuti, mi
sembra di ricordare che Judy Bridgewater non fosse più al centro dei nostri
pensieri. Stavamo li, semplicemente, felici di godere di queste cose, tutte
insieme; ci separavamo per poi ritrovarci di nuovo fianco a fianco, magari a
disputarci la stessa scatola di cianfrusaglie, in un angolo polveroso
illuminato da un raggio di sole. Poi naturalmente
la trovai. Stavo scorrendo in tutta fretta una fila di cassette,
sovrappensiero, quando all'improvviso eccola, sotto le mie dita, identica a
quella che avevo anni prima: Judy, la sua sigaretta, lo sguardo un po' coquette
rivolto al barman, le palme sfocate in lontananza. Non urlai di gioia, così
come avevo fatto quando mi ero imbattuta in altri oggetti che avevano suscitato
in me un po' di eccitazione. Rimasi immobile, lo sguardo fisso sulla custodia
di plastica, incerta se essere felice oppure no. Per un istante, ebbi persino
la sensazione che fosse un errore. Il nastro era stata la scusa perfetta per
quei momenti di felicità, e adesso che era saltata fuori, avremmo dovuto
fermarci. Forse fu quella la ragione per cui, con mia stessa sorpresa,
all'inizio restai in silenzio; perché pensai di fingere di non averla vista.
Adesso che stava li, proprio davanti a me, sembrava esserci qualcosa di
lievemente imbarazzante in quella cassetta, come se ormai fossi troppo grande
per lei. Arrivai al punto di continuare a scorrere varie cassette e lasciare
che un'altra la seppellisse.
v
Ma
il dorso della cassetta non smetteva di fissarmi, e alla fine richiamai
l'attenzione di Tommy. - E davvero
quella? - Sembrava autenticamente scettico, forse perché non stavo dando in
escandescenze. La presi e la trattenni con entrambe le mani. Poi,
all'improvviso, provai un piacere immenso - e anche qualcos'altro, qualcosa di
più complicato che minacciava di farmi scoppiare in lacrime. Però trattenni
l'emozione e mi limitai a dare uno strattone al braccio di Tommy. - Sì, è lei, - dissi, e per la prima volta
sorrisi al colmo dell'eccitazione. - Ci credi? L'abbiamo trovata per
davvero. - Pensi che possa essere la
stessa? Voglio dire, esattamente quella.
Quella che hai perso? Mentre la
rigiravo fra le dita, mi riscoprii a ricordare tutti i dettagli grafici sul
retro, i titoli dei brani, ogni cosa. -
Per quel che ne so io, potrebbe anche essere, - dissi. - Ma devo avvertirti,
Tommy, potrebbero essercene migliaia in circolazione. Poi toccò a me notare che Tommy non appariva
trionfante quanto avrebbe dovuto. -
Tommy, non sembri molto felice per me, - dissi, anche se con un tono
deliberatamente canzonatorio. Certo che sono felice per te, Kath. È solo che,
be', avrei voluto trovarla io -. Poi accennò un sorriso e disse: - Quella
volta, quando l'hai persa, nella mia testa ho ripensato un mucchio di volte a
come sarebbe stato, se l'avessi trovata e te l'avessi portata. Cosa avresti
detto, la tua faccia, tutto quanto. La
sua voce era più dolce del solito, e teneva lo sguardo fisso sulla custodia di
plastica che avevo in mano. Per alcuni lunghi istanti Tommy sembrò immerso in
uno stato di catalessi, e per quanto ne so stava ripensando a una di quelle sue
vecchie fantasie, su come avrebbe fatto a restituirmi la cassetta perduta. Poi,
all'improvviso, me la strappò di mano. -
Be', perlomeno posso comprartela io, - disse sogghignando, e prima che
riuscissi a bloccarlo, era sceso e si dirigeva verso l'entrata. Continuavo a
sentire una dolorosa stretta al cuore per averla scovata così in fretta, e fu
soltanto dopo, quando rientrammo e io mi ritrovai sola nella mia stanza, che
apprezzai fino in fondo quanto fosse importante per me avere di nuovo la
cassetta - e quella canzone. Anche
allora provai soprattutto un moto di nostalgia, e adesso, se mi capita di
prendere in mano quel nastro e guardarlo, ripenso a ogni istante di quel
pomeriggio nel Norfolk, e ai giorni trascorsi a Hailsham.
Tommy
rallentò il passo e mi disse: - Chrissie e Rodney sono ossessionati da
quest'idea. Sai, quella di poter posticipare le donazioni se si è davvero
innamorati. Sono convinti che noi siamo al corrente di tutto, ma nessuno ha mai
accennato a niente del genere a Hailsham. Perlomeno io non ne ho mai sentito
parlare. E tu, Kath? No, è soltanto una
voce che ha fatto il giro dei veterani negli ultimi tempi. E persone come Ruth
l'hanno alimentata. - A dire il vero, Kath, ho riflettuto un po'. Sono sicuro
che abbiamo ragione noi: nessuno ci ha mai detto niente del genere quando
eravamo a Hailsham. C'erano tantissimi aspetti, però, che sembravano non avere
senso allora. Ci ho pensato su: se questa voce è vera, allora si spiegherebbero
molte cose. Cose che ci lasciavano perplessi.
- Che intendi dire? Che genere di cose?
- La Galleria, per esempio - Non abbiamo mai veramente scoperto a cosa
servisse la Galleria. Perché Madame portasse via i nostri lavori migliori.
Adesso però penso di saperlo. Quale cosa, Tommy? Cos'è che si lasciò sfuggire
Miss Emily? Ricordi cosa ci saremmo aspettati che dicesse? - Ricordo che ripeteva sempre che era un
privilegio, e che avremmo dovuto essere orgogliosi. . - Già, ma non fu così -. La voce di Tommy
ormai era quasi un sussurro. - Quello che disse, che si lasciò sfuggire, e che
probabilmente non intendeva lasciarsi sfuggire, ti ricordi, Kath?
v
Lei
disse che cose come la pittura, la poesia e tutto il resto, disse che
rivelavano ciò che eravamo dentro di noi. Disse che rivelavano la nostra anima.
v
Qualcosa,
però, stava riaffiorando alla memoria. -
Hai ragione, - dissi. - Adesso mi ricordo. E quindi cosa vuoi dimostrare?
Immagina che due persone affermino di essere veramente innamorate, e che
desiderino dell'altro tempo per stare insieme. Quindi, Kath, ci deve essere un
modo per giudicare se dicono la verità.
Che non fingano di essere innamorati soltanto per posticipare le loro
donazioni. Capisci com'è difficile decidere? E se una coppia credesse davvero
di amarsi, ma fosse solo una storia di sesso. O un'infatuazione. Capisci cosa
voglio dire, Kath? Sarà tremendamente difficile giudicare, e con ogni
probabilità è impossibile non sbagliare mai. Ma il punto è, chiunque decida, ha
bisogno di qualcosa su cui basare i suoi giudizi. Annuii lentamente. - Allora ecco perché
portavano via i nostri lavori.
Per
come la vedo io, c'è un'unica cosa da fare. Trovare Madame.
-
- Va bene, Tommy. Ti racconterò
tutto. Forse dopo non sarà molto più chiaro, ma te lo dico lo stesso. E solo
che qualche volta, di tanto in tanto, provo delle sensazioni molto intense
quando voglio fare sesso. Talvolta è come
se mi assalissero, e per un'ora o due provo quasi paura. Non aveva molta
importanza dentro di me. Ecco perché ho cominciato a pensare, be', queste
sensazioni devono arrivare da qualche parte. Devono avere a che fare con il
modo in cui sono fatta -. Mi fermai, ma quando Tommy non replicò nulla, continuai: - Così ho pensato che se avessi
trovato la sua fotografia, in una di quelle riviste, almeno avrei avuto qualche
spiegazione. Non volevo trovarla o qualcosa del genere. Volevo soltanto, si
insomma, cercare una risposta a perché sono come sono. - Capita anche a me qualche volta, - disse
Tommy. - Quando ne ho davvero voglia. Immagino che succeda a tutti, e
dovrebbero ammetterlo con se stessi, se fossero onesti. Non penso che ci sia
niente di diverso in te, Kath. Sarei potuta scoppiare di nuovo a piangere,
perché sentivo il braccio di Tommy che stava per circondarmi le spalle. Per
quanto fossi triste, ero consapevole di dove ci trovassimo, e fu come se
esaminassi la situazione nella mia testa, così che se Ruth e gli altri fossero
sopraggiunti in quel momento, anche se ci avessero visti, non ci sarebbe stato
spazio per i malintesi. Eravamo ancora l'uno accanto all'altra, appoggiati alla
macchina, ma si sarebbero resi conto che io ero dispiaciuta per qualcosa, e
Tommy mi stava semplicemente consolando. Poi sentii che diceva: - Non penso che
sia così grave. Quando incontrerai qualcuno con cui vuoi uscire davvero, Kath,
sarà una cosa bellissima. Ti ricordi quello che ci ripetevano i tutori? Se è
con la persona giusta, vi farà stare veramente bene.
Erano di buonumore, e Ruth in
particolare sembrava determinata a farsi perdonare per la scenata di prima. Si
avvicinò e mi sfiorò la guancia, accennò una battuta o qualcosa del genere, e
una volta saliti in macchina fece del suo meglio per mantenere quella bella
atmosfera. Tuttavia mi colpì il fatto che mentre prima Ruth avrebbe colto
l'opportunità di tenere me e Tommy all'oscuro di tutte le battute e i
riferimenti, durante il viaggio di ritorno continuò a girarsi verso di me,
spiegandomi per filo e per segno ogni dettaglio. Infatti dopo un po' divenne
alquanto faticoso, perché era come se qualunque cosa venisse pronunciata in
macchina fosse detta per noi - o perlomeno per me. Intuii - e anche Tommy - che
aveva capito di essersi comportata male prima, e quello era il suo modo per
dimostrarlo. Stava seduta in mezzo a noi, così come era avvenuto nel viaggio
d'andata, ma adesso passava tutto il tempo a parlare con me, voltandosi di
tanto in tanto verso Tommy per dargli un pizzicotto o un bacetto al volo. C'era
una bella atmosfera. Io non feci cenno alla cassetta di Judy Bridgewater che
Tommy mi aveva regalato. Sapevo che prima o poi Ruth l'avrebbe scoperto, ma non
volevo che venisse a saperlo in quel momento. Mentre tornavamo a casa, e
l'oscurità avvolgeva quelle lunghe strade vuote, fu come se noi tre fossimo di
nuovo uniti, e temevo che qualcosa potesse rovinare quell'atmosfera.
Capitolo sedicesimo
Non dissi mai a Ruth che Tommy mi
aveva regalato la cassetta di Judy Bridgewater. Non arrivai al punto di
tenerglielo nascosto. Stava sempre lì in mezzo alla mia collezione, in una
delle piccole pile vicino al battiscopa. Tuttavia feci sempre in modo di non
lasciarla mai in cima. C'erano momenti in cui avrei desiderato ardentemente parlargliene,
quando volevo che ricordassimo i giorni di Hailsham con la cassetta che suonava
in sottofondo. Ma più passava il tempo dalla nostra gita nel Norfolk, e io non
le avevo ancora detto nulla, più mi appariva come un colpevole segreto.
Naturalmente alla fine si accorse della cassetta, ma ciò avvenne molto più
tardi; probabilmente fu peggio per lei scoprirlo in quel momento, ma è così che
talvolta gira la ruota della fortuna.
v
Disegnarli
mi piace. Mi stavo domandando, Kath, se devo continuare a tenerli segreti. Non
voglio andarmene in giro a mostrarli a chiunque. Però stavo pensando, be', non
c'è motivo di tenerli nascosti. infine riuscii a guardarlo negli occhi e a
dirgli con una certa convinzione: - No, Tommy, non c'è motivo, non c'è nessun motivo.
Sono belli. Bellissimi.
v
Ma
almeno per me, questa mancata comparsa di nuovi studenti non faceva che
aggravare la percezione che Hailsham ormai appartenesse al passato, e che i
legami che tenevano insieme il nostro vecchio gruppo si stessero ormai logorando.
C'era
il modo in cui Ruth continuava a fingere di non ricordare cose che riguardavano
Hailsham. È vero, si trattava di dettagli banali, ma ero sempre più arrabbiata
con lei.
Stavamo sedute a chiacchierare
nella mia stanza un po’ dopo mezzanotte.
Poi, a un certo punto, Ruth fece scorrere un dito lungo la pila di
cassette. Era così, un gesto casuale, poi Vidi Ruth, sdraiata su un fianco sul
mio scendiletto, che sbirciava il dorso delle cassette in quella luce fioca, e
poi la cassetta di Judy Bridgewater nelle sue mani. Dopo quella che mi sembrò
un'eternità, disse: - Da quand'è che ce l'hai di nuovo? Le raccontai, nel tono più asettico che
potei, di come Tommy e io ci fossimo imbattuti in quella cassetta il giorno che
se n'era andata con gli altri. Continuò a osservarla, poi disse: - Così è stato
Tommy a trovartela. - No. Io l'ho
trovata. L'ho vista io per prima. -
Nessuno di voi due me l'ha detto -. Fece spallucce. - O almeno, se me l'avete
detto, io non l'ho sentito. - La storia
del Norfolk era vera, - esclamai. - Sai, il fatto che è l'angolo degli oggetti
dimenticati dell'Inghilterra. Per un
istante fui attraversata dal pensiero che Ruth avrebbe potuto fingere di non
rammentare nulla, ma lei annuì pensierosa.
- Avrei dovuto ricordarmene, - disse. - Avrei potuto ritrovare la mia
sciarpa rossa. Scoppiammo a ridere e
quell'atmosfera di disagio sembrò svanire.
Tuttavia c'era qualcosa nella maniera in cui Ruth ripose la cassetta al
suo posto, senza aggiungere altro, che mi indusse a pensare che la cosa non
sarebbe finita lì. A quel punto penso di essermi sentita sollevata all'idea che
avesse finalmente trovato la cassetta e non avesse fatto una scenata, così
forse non ero abbastanza sulle difensive come avrei dovuto essere. Penso che
quando alla fine ci separammo quella sera, non ci eravamo mai sentite così
unite. Uscendo Ruth mi sfiorò la guancia
e disse: - È bellissimo il modo in cui non ti arrendi mai, Kathy. Perciò non ero affatto preparata a quanto
avvenne parecchi giorni dopo. Quel pomeriggio faceva caldo, non si sentiva
alcun rumore, e io percorrevo il viottolo con aria sognante. Quando vidi non
soltanto Ruth, ma anche Tommy sulla panchina sotto il salice. Mi ci volle un
po' per capire che qualcosa non andava, e anche allora, quando mi fermai e
chiesi: « Ho interrotto qualcosa?», lo dissi con tono scherzoso. Poi Ruth esclamò: - Tommy mi ha raccontato di
questa sua splendida teoria. Dice che ne ha già parlato con te. Tanto tempo fa.
Ma adesso, bontà sua, ne mette a parte anche me. Tommy emise un sospiro ed era sul punto di
aggiungere qualcosa, quando Ruth sussurrò con aria sarcastica: - La splendida
teoria di Tommy sulla Galleria. Poi
entrambi si voltarono verso di me, come se adesso io fossi responsabile di
tutto e toccasse a me decidere cosa sarebbe successo dopo. - Non è una teoria da buttare, - dissi. -
Potrebbe essere giusta, non saprei. Tu cosa ne pensi, Ruth? - Ho dovuto cavargliela con le pinze a questo
Dolce Ragazzino qui. Non aveva nessuna voglia di dirmelo, non è vero, tesoro?
Tommy, dolcezza, non renderti ridicolo di fronte alla nostra amica. Se lo fai
con me, allora va bene. Ma non davanti alla nostra cara Kathy. Avrei voluto
intervenire in sua difesa e stavo cercando di pensare alla cosa giusta da dire,
qualcosa che l'avrebbe fatto sentire meglio senza far infuriare ulteriormente
Ruth. Ciò che disse fu: - Non sono soltanto io, tesoro. Kathy qui presente
trova i tuoi disegni infantili un vero spasso.
Il mio primo istinto fu di negare ogni cosa, poi di mettermi
semplicemente a ridere. Tuttavia c'era un grande senso di autorità nel modo in
cui aveva parlato Ruth, e noi tre sapevamo molto bene che doveva esserci
qualcosa dietro le sue parole. Così alla fine rimasi in silenzio, mentre la mia
memoria ripercorreva ogni cosa freneticamente e, con orrore, si fermava su
quella sera nella mia stanza con le tazze di tè in mano. Poi Ruth disse: -
Finché la gente pensa che disegni per divertirti, non c'è problema. Ma non dire
che lo fai sul serio. Per favore. Tommy
mi guardò con aria interrogativa. D'un tratto era ridiventato bambino, un
bambino indifeso, e contemporaneamente mi rendevo conto che qualcosa di cupo e
inquietante si addensava dietro i suoi occhi.
- Ascolta, Tommy, devi capire, - proseguì Ruth. - Se io e Kathy ridiamo
di te, non ha nessuna importanza. Perché si tratta solo di noi. Ma per favore,
non parlarne con nessun altro. Ho
ripensato a quei momenti innumerevoli volte. Avrei dovuto trovare qualcosa da
dire. Avrei dovuto negare, anche se Tommy probabilmente non mi avrebbe creduto.
E cercare di spiegare la cosa con onestà sarebbe stato troppo complicato.
Comunque sia, avrei potuto fare qualcosa. Avrei potuto sfidare Ruth, dirle che
aveva travisato le cose, che anche se avevo riso, non era come aveva detto lei.
Avrei anche potuto avvicinarmi a Tommy e abbracciarlo, proprio lì di fronte a
Ruth. Mi capitò di ripensarci anni dopo, e probabilmente non sarebbe stata una
vera alternativa in quel momento, considerando la persona che ero e la natura
dei rapporti tra noi. Però avrebbe potuto funzionare, là dove le parole ci
avrebbero separati ancora di più. Tuttavia non dissi o feci nulla. In parte,
immagino, perché ero annientata dal fatto che Ruth mi avesse attirato in quella
trappola. Ricordo una grande stanchezza
che mi assaliva, una specie di sentimento d’abbandono di fronte a
quell'intricato disastro che si profilava davanti ai miei occhi. Era come
quando si deve risolvere un problema di matematica quando si è esausti:
sappiamo che da qualche parte esiste una recondita soluzione, ma non riusciamo
a trovare l'energia per provarci. Qualcosa in me si spezzò. Una voce mi disse: «D'accordo, lascia che
pensi tutto il peggio possibile di te. Lascia che lo pensi, lascia che lo
pensi». Credo di averlo guardato con rassegnazione, con una faccia che voleva
significare: « Si, è vero, cos'altro ti aspettavi?» E ancora mi ricordo, come
se fosse adesso, il volto di Tommy, la rabbia che svaniva per un istante per
cedere il posto a un'espressione quasi di sorpresa, come se fossi una farfalla
di una specie rara, intravista sul palo di uno steccato. Non avevo pensato di scoppiare a piangere o
arrabbiarmi o fare qualcosa del genere. Decisi semplicemente di voltarmi e
sparire. Anche in seguito, quello stesso giorno, mi resi conto di aver commesso
un terribile errore. L'unica cosa che posso dire è che in quel momento ciò che
temevo di più era che uno dei due se ne andasse per primo, e io rimanessi sola
con l'altro. Non so perché, ma sembrava non ci fosse scelta, uno soltanto
poteva correre via, e volevo essere certa che quella fossi io. Così mi girai e
mi allontanai da dove ero venuta, oltre le lapidi in direzione del cancelletto
di legno, e per parecchi minuti mi sembrò di esserne uscita vincitrice; perché
adesso che erano soli, entrambi dovevano sopportare un destino che meritavano
fino in fondo.
Capitolo diciassettesimo
v
Ero
molto triste, questo sì. Ma non credevo che fosse così diverso dagli altri
nostri piccoli litigi. Non mi era mai passato per la mente che le nostre vite,
che fino a quel momento erano rimaste tanto strettamente intrecciate fra di
loro, potessero disfarsi e separarsi per una cosa come quella. Il punto è, immagino, che a quell'epoca
eravamo trascinati da correnti impetuose, e c'era soltanto bisogno di
un'opportunità come quella per portare a termine il lavoro iniziato. Se allora
l'avessimo capito - chissà - forse ci saremmo tenuti più stretti l'uno
all'altra.
Da
un lato, se ne andavano sempre più le persone a me care, si era diffuso il
sentimento crescente che quello fosse il corso naturale delle cose.
v
Dovevamo ancora finire i nostri
saggi, ma era risaputo che non era davvero obbligatorio completarli, nel caso
avessimo deciso di iniziare il praticantato.
Durante i nostri primi giorni ai Cottages, l'idea di non portare a
termine i nostri saggi sarebbe stata impensabile. Ma più il ricordo di Hailsham
si allontanava, meno fondamentali essi apparivano. Aquel tempo ritenevo - e
probabilmente avevo ragione - che se l'idea che i saggi fossero importanti
perdeva vigore, allora sarebbe avvenuto lo stesso per qualunque cosa tenesse
uniti. Ecco perché cercai per qualche tempo di mantenere vivo il nostro
entusiasmo nel leggere e prendere appunti.
Nei giorni che seguirono quella
conversazione al cimitero, feci ciò che era in mio potere per lasciarcela alle
spalle. Nei confronti di Tommy e di Ruth mi comportai come se non fosse
successo niente di speciale, e loro fecero lo stesso. Tuttavia c'era sempre
qualcosa che si frapponeva tra noi, e non soltanto tra me e loro. Sebbene
continuassero a comportarsi pubblicamente come una coppia - si davano sempre
quel colpetto sul braccio quando si salutavano: li conoscevo sufficientemente
bene per capire che ormai erano molto distanti l'uno dall'altra.
Naturalmente
ero davvero dispiaciuta per ciò che stava accadendo. Ormai, però, non era più
così semplice per me avvicinarmi a lui, dirgli che mi dispiaceva e spiegare
come stavano realmente le cose. Alcuni anni prima, fino a sei mesi prima
addirittura, è così che sarebbe andata probabilmente. Tommy e io ne avremmo
discusso insieme e avremmo risolto tutto. Ma per qualche motivo, in quella
seconda estate, la situazione era diversa. Parlare con loro non era più così
facile. Solo apparentemente era tutto come prima.
Da
quel giorno ciascun nostro dialogo contribuiva al tentativo di rimettere a
posto le cose tra noi, e non c'era spazio per fingere.
Così,
quando verso sera sembrò esserci una schiarita, accompagnata da un bellissimo
tramonto dalle sfumature rosate, suggerii a Ruth di andare a prendere un po'
d'aria fresca. Sai, Ruth, dovremmo cercare di risolverlo, quello che è successo
l'altro giorno. Avevo assunto un tono di
conciliazione, e Ruth reagì immediatamente.
Disse subito quanto fosse sciocco, che noi tre ci tenessimo il muso per
delle cose così stupide. Parlò delle altre volte che avevamo litigato e ridemmo
un po'. Io tuttavia non volevo che Ruth mettesse una pietra sopra a quanto era
accaduto con tanta facilità.
v
Sai,
penso che qualche volta, quando si sta con qualcuno, è difficile vedere le cose
chiaramente, come forse avviene per chi non è direttamente coinvolto. Solo
qualche volta. Lei annuì. -
Probabilmente è così.
v
-
Non intendo interferire. Ma qualche volta, ultimamente, mi sembra che Tommy sia
un po' giù. Lo sai, no? Riguardo alcune cose che hai detto o fatto. Temevo che Ruth si arrabbiasse, ma lei annuì
di nuovo ed emise un sospiro. - Sai, penso che tu abbia ragione, - disse
infine. - Anch'io ci ho riflettuto molto.
- Allora forse non avrei dovuto parlartene. Avrei dovuto capire che tu
ti eri accorta di quello che stava succedendo. In realtà non sono fatti
miei. - Ma sì che lo sono, Kathy. Sei
una di noi, e quindi riguardano anche te. Hai ragione, non è stata una bella
cosa. So a cosa ti riferisci. Ascolta, Kathy, è un bene che parliamo di Tommy.
Avrei voluto accennartene prima, ma non sapevo come dirtelo, o quando, credimi.
Kathy, promettimi di non arrabbiarti troppo con me. Kathy, ci ho pensato
un po'. Non sei una sciocca, e hai capito che io e Tommy, be', potremmo non
fare coppia per sempre. Non è una tragedia.
Una volta stavamo bene insieme. Se continuerà a essere così, nessuno lo
sa. E adesso che ci sono in giro queste voci, poi, di coppie che possono
ottenere dei rinvii se sono in grado di dimostrare che escono davvero con la
persona giusta. Insomma, è questo che volevo dirti, Kathy. Sarebbe assolutamente naturale se ci avessi
pensato, sai, a cosa potrebbe succedere se io e Tommy decidessimo di non stare
più insieme. Non stiamo per separarci,
non fraintendermi. Ma immagino che sarebbe assolutamente normale se tu almeno
te lo fossi chiesta. Insomma, Kathy, devi capire che Tommy non ti vede sotto
questa luce. Gli piaci, gli piaci
veramente, pensa che tu sia fantastica. Ma io so che lui non ti vede, insomma,
come una ragazza. Inoltre... - Ruth si interruppe, poi si lasciò sfuggire un
sospiro. - Inoltre, sai com'è fatto Tommy. Può essere molto esigente. La fissai. - Cosa vuoi dire? Bisogna
che ti spieghi. A Tommy non piacciono le ragazze che sono state. . be', lo sai,
con questo e con quello. È fatto così. Mi dispiace, Kathy, ma non sarebbe stato
giusto tacere. Ci pensai su e poi dissi:
- È sempre meglio sapere queste cose. .
Sentii Ruth sfiorarmi il braccio. - Ero certa che l'avresti presa nel
modo giusto. Quello che devi capire, comunque, è che lui ha una grandissima
considerazione di te. Enorme.
v
Poco
tempo dopo presi la mia decisione, e da quel momento in poi non ebbi mai nessun
ripensamento. Una mattina mi svegliai e dissi che volevo cominciare il mio
praticantato per diventare assistente. Era stato incredibilmente facile,
dovetti semplicemente compilare dei formulari, niente di più. Non fu così immediato,
naturalmente, ma la faccenda si era messa in moto, e improvvisamente osservavo
ogni cosa, gli altri, sotto una luce diversa. Ero una di quelle che stavano per
partire, e presto tutti l'avrebbero saputo. Forse Ruth pensava che avremmo
passato ore a parlare del mio futuro; forse pensava che avrebbe avuto una
grossa influenza sulla mia decisione. Io però mi tenevo a una certa distanza da
lei, così come facevo con Tommy. Non ne discutemmo mai e prima che potessi
rendermene conto, stavo già facendo il giro dei saluti.
v
Parte
terza
Capitolo
diciottesimo
v
Poi
c'è la solitudine. Cresci circondata da moltissime persone, che sono sempre
state il tuo mondo, e all'improvviso passi ora dopo ora sola, trascorri le
notti, senza nessuno con cui condividere le tue angosce, nessuno con cui
ridere. non hai mai molto tempo a disposizione. Sei sempre di corsa, oppure sei
troppo esausta per riuscire a sostenere una conversazione. Presto, le lunghe
ore, i viaggi, il sonno interrotto si sono insinuati dentro di te e sono
divenuti parte di te, e tutti se ne accorgono, dal tuo atteggiamento, dallo
sguardo, dal modo in cui parli e ti muovi.
Non fingo di essere stata immune da tutto questo, ma ho imparato a
conviverci. Quando le cose vanno male, è naturale che io sia triste, ma almeno
sento che ho fatto tutto quello che ho potuto, e osservo la situazione in
prospettiva. Con questo non intendo dire che non mi farà piacere stare un po'
di più con gli altri alla fine dell'anno, quando smetterò. Però mi piace
pensare di salire in macchina, sapendo che per un paio d'ore ci saranno
soltanto le strade, l'enorme cielo grigio e i miei sogni a occhi aperti a
tenermi compagnia. E se mi capita di avere parecchi minuti a disposizione
mentre mi trovo in una città, mi diverto a vagabondare e guardare le vetrine.
Talvolta sono talmente immersa in me stessa che se inaspettatamente mi imbatto
in qualcuno che conosco, è come se subissi una specie di shock e ho bisogno di
un po' di tempo per riprendermi.
v
È
così che avvenne quando rividi Laura. Ero ancora piuttosto distante, e per un
attimo, anche se non ci eravamo più viste da quando abitavamo ai Cottages sette
anni prima, fui tentata di ignorarla e tirare dritto. Una strana reazione,
considerando che era stata una delle mie migliori amiche. Come vi dicevo, in un
certo senso forse era dovuto al fatto che non mi piaceva venire disturbata
nelle mie réveries. Ma naturalmente andai da lei.
v
Quando
mi vide, lei non trasalì, né sembrò sorpresa di vedermi dopo tutti quegli
anni. Adesso che ero apparsa davanti ai
suoi occhi, era come se il suo primo pensiero fosse stato: «Finalmente!»,
poiché vidi le sue spalle alzarsi e riabbassarsi in una specie di sospiro.
Conversammo
per circa venti minuti: approfittai di tutto il tempo che avevo a mia
disposizione, fino all'ultimo minuto.
Parlammo molto di lei, di quanto fosse esausta. Aspettavo di scorgere un
barlume della vecchia Laura, con quel suo sorrisetto maligno e la battuta
sempre pronta, ma non vidi assolutamente nulla.
Parlava più in fretta di quanto fosse sua abitudine, e sebbene fosse
contenta di vedermi, talvolta mi dava impressione che io o qualcun altro non
avrebbe fatto molta differenza, l'importante era poter scambiare una parola con
un'altra persona. Forse entrambe
sentimmo che c'era qualcosa di pericoloso nel rivivere i vecchi tempi, perché a
lungo evitammo ogni accenno all'argomento.
v
Alla
fine, tuttavia, ci ritrovammo a parlare di Ruth, Cominciai a farle qualche
domanda su Ruth, su come l'aveva trovata, ma lei era talmente restia che infine
esclamai: - Insomma, dovete pur aver parlato di qualcosa. Laura diede in un lungo sospiro. - Sai come
vanno queste cose, - disse. - Avevamo
fretta tutt'e due -. Poi aggiunse: - Non ci eravamo lasciate nel migliore dei
modi, quando eravamo ai Cottages. Quindi forse non eravamo poi così felici di
vederci. - Non sapevo che anche voi
aveste litigato, - dissi. Si strinse nelle spalle. - Niente di grave. Sai
com'era Ruth in quel periodo. Se mai, dopo la tua partenza, peggiorò ancora.
Non faceva che dare ordini a tutti. Così io mi tenevo alla larga,
semplicemente. Nessun vero litigio o cose del genere. Quindi voi non vi siete
mai più viste? - No. non l'ho mai
incontrata, neanche per un istante. -
Già, buffo. Pensavo che ci saremmo incrociate molto più spesso. Compresi che
Ruth non stava bene. Arrivò per me il momento di andarmene, dissi a Laura
passare un po' più di tempo insieme la prossima volta che ci incontravamo. Entrambe però eravamo estremamente
consapevoli che ci fosse qualcosa di non detto fra noi, e penso che sentissimo
che ci fosse un che di sbagliato nel salutarci a quel modo. Infatti, e ne sono
abbastanza certa, era come se le nostre menti stessero percorrendo gli stessi
binari. Poi disse: - È strano. Pensare che sia tutto finito. - Già, è molto
strano, - dissi. - Non posso credere che non ci sia più. - È così strano, - disse Laura. - Immagino
che non dovrebbe fare poi molta differenza per me. E invece in qualche modo la
fa. - So cosa vuoi dire. Fu quello scambio, che d'un tratto ci
avvicinò, e ci abbracciammo così, spontaneamente; non tanto per darci conforto,
ma per attestare l’esistenza del nostro passato, il fatto che viveva ancora nei
nostri ricordi.
v
Quella
notte, mentre cercavo di prendere sonno in un ostello, continuai a pensare a
una cosa che mi era successa qualche giorno prima. Vidi un clown trattenere un
grappolo di palloncini gonfiati a elio, circa una dozzina, se ne stavano lì
fermi, sfiorandosi reciprocamente, in attesa. Il clown cominciò a camminare,
molti passi avanti a me, tenendo una valigetta con una mano e i palloncini
nell’altra. Il lungomare correva lungo e diritto, e io lo seguii per un tempo
che mi sembrò un'eternità. Talvolta mi sentivo un po' a disagio, e pensai
persino che il clown avrebbe potuto voltarsi e dirmi qualcosa. Tuttavia, poiché anch'io dovevo andare in
quella direzione, non avevo molta scelta. Così procedemmo senza sosta. Di tanto
in tanto scorgevo il pugno dell'uomo, nel punto in cui convergevano tutti i
fili dei palloncini, e notai che erano intrecciati l'uno dentro l'altro, e
tenuti saldamente insieme. Ciononostante, continuavo a temere che uno dei fili
si slegasse e un palloncino si librasse nel cielo grigio. Continuavo a vedere
quei palloncini davanti a me. Accadde in un istante, qualcuno si avvicinò a me
e superandomi giunse infine vicino ai palloncini, con un paio di cesoie ne
tagliò i fili proprio nel punto in cui erano allacciati insieme al di sopra del
pugno chiuso dell'uomo. Dopo, era come se i palloncini non avessero più alcuna
ragione per rimanere uniti. E su di me cominciò ad aleggiare l'idea che molte
delle cose che avevo sempre creduto di poter fare, pensando di avere tutto il
tempo a mia disposizione, in realtà avrei dovuto farle in fretta, altrimenti le
avrei perdute per sempre.
v
Quando entrai nella sua stanza,
lei stava seduta in camicia da notte sul bordo del letto, e mi accolse con un
grande sorriso. Si alzò per venire ad abbracciarmi, ma subito dovette
rimettersi di nuovo a sedere. Mi disse che mi trovava in splendida forma. Penso
che ci sentimmo davvero felici di esserci ritrovate. Parlammo di tutto, sembrò
che potessimo andare avanti così per l'eternità. In altre parole, fu un inizio
davvero incoraggiante - migliore di quanto avessi osato sperare. Ciononostante, quella prima volta, non
accennammo minimamente al modo in cui ci eravamo separate. Forse se avessimo
affrontato l'argomento dall'inizio, le cose sarebbero andate diversamente, chi
lo sa. Fatto sta che evitammo di parlarne, e dopo aver chiacchierato per un
po', fu come se avessimo deciso di comune accordo di fingere che non fosse mai
successo niente tra noi. Come primo incontro, poteva andare bene. Ma una volta
che diventai ufficialmente la sua assistente e cominciai a incontrarla con
regolarità, la sensazione che ci fosse qualcosa di non risolto tra noi diventò
sempre più forte. Presi l'abitudine di andare a farle visita tre o quattro
volte alla settimana nel pomeriggio inoltrato, portando con me acqua minerale e
un pacchetto dei suoi biscotti preferiti, e avrebbe dovuto essere bellissimo,
ma all'inizio non fu affatto così.
Che ne diresti di andare a
trovare Tommy? Il viso di Ruth rimase impassibile all'inizio. - Immagino che
potremmo pensarci, - disse. Sei sicura di volerlo incontrare? - Sì, - rispose senza esitazione, guardandomi
dritto negli occhi. - Sì, lo voglio -. Poi disse a bassa voce: - Non vedo quel
ragazzo da tanto tempo. Finalmente parlavamo di Tommy. Non entrammo nel dettaglio
e non venni a sapere molto più di quanto già non sapessi. Però credo che
entrambe ci sentimmo sollevate adesso che avevamo affrontato l'argomento.
Capitolo diciannovesimo
Ciò che rammento di quei momenti
della nostra gita fu che per la prima volta dopo tanto tempo un debole sole
fece capolino attraverso tutto quel grigio; e ogni volta che gettavo un rapido
sguardo a Ruth seduta accanto a me, vedevo che sul suo volto c'era un sorriso
leggero e rilassato. Per quanto riguarda la nostra conversazione, ebbene, mi
pare di ricordare che ci comportammo come se ci fossimo visti spesso, e non ci
fosse bisogno di parlare di niente che non fosse dettato dall'immediatezza del
momento. Domandai se Tommy avesse già visto la barca, e lui rispose di no.
O incontrato molte persone che
vengono tranquillamente a patti con ciò che è successo, e vanno avanti come se
non fosse accaduto.
Porse desideravo riprovare quella
sensazione, di me e Tommy di nuovo uniti. Cominciavo a sentire che dopo quel
primo abbraccio Tommy e io non avevamo avuto molte occasioni per passare un po’
di tempo insieme.
Ruth aveva fatto una
considerazione su un manifesto che avevamo visto passando. “Oh mio Dio, guarda.
Speravo che almeno avessero provato a inventarsi qualcosa di nuovo.” Tommy
disse: - A dire il vero a me piace. L'ho visto anche sui giornali. Penso che abbia qualcosa di speciale. Mi
ritrovai a dire: - Ad essere sinceri, piace anche a me. Ci vuole molto più
impegno di quanto tu non creda, a inventare questi manifesti. - E vero, - intervenne Tommy. - Qualcuno mi
ha raccontato che impiegano settimane a creare una cosa del genere. Mesi
addirittura. La gente qualche volta lavora di notte, a più riprese, finché non
si trova l'idea giusta. - È troppo facile, - aggiunsi. -
Criticare. - La cosa più facile del
mondo, - concluse Tommy.
v
-
Kathy, - disse, - non mi aspetto che tu mi abbia perdonata. Devo ammettere che
non vedo perché dovresti. Ma ho intenzione di chiedertelo comunque. Rimasi talmente stordita che non trovai nulla
di meglio da dire che un esitante: - Perdonarti cosa? - Perdonarmi cosa? Be', tanto per cominciare,
per il modo in cui ti ho sempre mentito su quei tuoi desideri incontrollabili.
Quando mi hai detto di come qualche volta ti veniva voglia di farlo
praticamente con tutti. Tommy si mosse
di nuovo sul sedile posteriore, ma Ruth era piegata in avanti e mi guardava
dritto negli occhi, e per un attimo fu come se Tommy non esistesse. - Sapevo quanto la cosa ti facesse star male,
- continuò. - Avrei dovuto dirtelo. Avrei dovuto dirti che per me era lo
stesso, proprio come lo descrivevi tu. Adesso te ne sei resa conto, lo so. Ma è
allora che avrei dovuto confessartelo. Avrei dovuto dirti che se pure uscivo
con Tommy, non potevo fare a meno di stare anche con altri qualche volta. Disse
queste parole sempre senza guardare Tommy. Ma non era tanto per ignorarlo,
quanto per cercare di farmi comprendere appieno una realtà che fino a quel
momento aveva avuto dei contorni indefiniti.
- Sono stata sul punto di dirtelo qualche volta, - proseguì. - Ma non
l'ho fatto. Anche allora, capivo che se un giorno ti fossi voltata indietro, te
ne saresti resa conto e avresti dato a me tutta la colpa. Però continuavo a tacere. Non c'è motivo per
cui tu mi debba perdonare, ma voglio chiedertelo perché. . - Si interruppe
improvvisamente. - Perché? -
domandai. Diede in una risata e disse: -
Perché niente. Vorrei che mi perdonassi, ma non mi aspetto che tu lo faccia. Ad
ogni modo, non è neanche la metà di quello che volevo confessarti, non è
neanche una minima parte, a dire il vero. La cosa più importante è che ho
tenuto Tommy e te separati -. La sua
voce si era di nuovo abbassata, un sussurro quasi. - Questa è la cosa peggiore
che abbia fatto Si voltò leggermente, per includere Tommy nel suo sguardo per la
prima volta. Poi quasi subito si girò di nuovo verso di me, ma adesso era come
se stesse parlando a entrambi. - Questa
è la cosa peggiore che abbia fatto, - disse di nuovo. - Non sono nemmeno qui
per chiedervi di perdonarmi. Dio, me lo sono ripetuta dentro di me non so
quante volte, e ora non riesco a credere che stia capitando veramente. Non è
quello che cerco in questo momento. Ciò che desidero è rimettere le cose a
posto. Rimettere a posto quello che ho mandato a monte. - Cosa intendi dire? - chiese Tommy. - Cosa
intendi dire, con rimettere le cose a posto? - La sua voce era gentile, colma
di una curiosità infantile, e credo che fu questo a farmi venir voglia di
piangere. - Kathy, ascolta, - disse
Ruth. - Tu e Tommy, siete voi quelli che devono provare. Se si tratta di voi
due, potete avere una possibilità. Una
reale possibilità. Allungò una mano e me
l'appoggiò sulla spalla. Osservai Ruth attraverso un velo di lacrime. - È troppo tardi. Troppo tardi comunque. - Non è troppo tardi. Kathy, ascoltami, non è
troppo tardi. - Non è troppo tardi. Tommy, diglielo tu. Ero china sul volante, così non riuscivo a
vedere Tommy. Emise una specie di suono imbarazzato a bocca chiusa, ma non
disse nulla. - Ascolta, - proseguì Ruth.
- Ascoltate tutti e due. Volevo che facessimo questa gita perché volevo dire
ciò che ho appena detto. Ma anche perché volevo darvi qualcosa -. Aveva
rovistato nelle tasche della sua giacca a vento, da cui aveva estratto un
pezzetto di carta tutto spiegazzato. - Tommy, è meglio che tu lo prenda. Abbine
cura. Poi, quando Kathy cambierà idea, ti tornerà utile. Cos'è? Non
capisco. - È l'indirizzo di Madame. È
come mi avete appena detto voi. Dovete almeno provarci. - Come l'hai trovato? - chiese Tommy. - Non è stato facile. Ci ho messo un po' di
tempo, e ho dovuto correre qualche rischio. Però alla fine l'ho ottenuto, e
l'ho fatto per voi due. Adesso tocca a
voi trovarla e provare. - Ci
rifletterete, tutti e due, non è così?
v
Era
come se qualcosa che era rimasto sospeso sopra di me fosse sparito, e anche se
le cose non erano affatto risolte, provai la sensazione che almeno adesso si
fosse aperto uno spiraglio verso un posto migliore. Non sto dicendo che fossi
felice o qualcosa del genere. Tutto ciò che riguardava noi tre doveva essere
maneggiato con cura e io ero nervosa, ma in generale non era una tensione che
mi metteva a disagio. Fu soltanto alcuni giorni dopo che mi accorsi degli
effetti che aveva avuto quella gita. Ogni traccia di circospezione, quell'aria
di sospetto tra me e Ruth era svanita, e sembrò che ricordassimo tutto ciò che
avevamo rappresentato l'una per l'altra. Quando ripenso a Ruth, naturalmente,
mi dispiace che se ne sia andata; ma sono anche molto riconoscente per quel
periodo di cui godemmo alla fine. «Hai riflettuto sull'idea di diventare
l'assistente di Tommy? Sai che potresti farlo, se lo volessi».
Era
in una stanza da sola, e sembrava che avessero fatto quanto avevano potuto per
salvarla. Avevo capito, dal comportamento dei dottori, del coordinatore e delle
infermiere, che pensavano non ce l'avrebbe fatta. La scorsi in quel letto
d'ospedale sotto una luce fioca e riconobbi lo sguardo, Era come se desiderasse
che i suoi occhi scrutassero dentro di lei. Rimasi così accanto a lei per tutto
il tempo che mi concessero, tre ore, forse più. E come vi dicevo, quasi sempre
era come se fosse immersa dentro se stessa. Ruth mi guardò, in quell'unico
istante, e sebbene non riuscisse a parlare, sapevo cosa significava quello
sguardo. Così le dissi: «Va bene, lo
farò, Ruth. Diventerò l'assistente di Tommy appena possibile».
Capitolo ventesimo
Diventai
l'assistente di Tommy quasi un anno dopo la nostra gita alla barca. Quel
periodo fu quasi sempre molto rilassato, idilliaco quasi. Era davvero
straordinario, il modo in cui gli anni sembravano annullarsi, e noi ci
trovavamo così a nostro agio insieme.
Com'è ovvio, però, non tutto era come prima. Tanto per cominciare, Tommy
e io finalmente iniziammo a fare sesso. Non so quanto ci avesse pensato prima
che accadesse. Non volevo forzarlo, ma d'altro canto sapevo che se avessimo
aspettato troppo, sarebbe stato ancora più difficile immaginare che diventasse
una cosa naturale per noi. Tuttavia anche quella prima volta sembrava ci fosse
qualcosa tra noi, una certa sensazione, insieme alla consapevolezza che quello
era un inizio, una porta che dovevamo attraversare. Per molto tempo non volli
accettarlo, e anche quando questo avvenne, cercai di convincermi che sarebbe
scomparsa portando con sé tutte le pene e i dolori. Ciò che intendo dire è che,
fin dall'inizio, ci fu qualcosa nell'atteggiamento di Tommy che era intriso di
tristezza, che sembrava significare: «Sì, lo facciamo adesso e ne sono felice.
Che peccato, però, aver perso tutto questo tempo». Io dicevo e facevo qualunque
cosa per rendere il nostro rapporto migliore, più appassionato, ma quella
sensazione era sempre con noi.
Mi
resi conto che i disegni di Tommy non avevano più la stessa freschezza di un
tempo. Così quella sensazione mi afferrò di nuovo, sebbene cercassi di
allontanarla: la sensazione che fosse ormai troppo tardi; che c'era stato un
tempo in cui tutto avrebbe avuto un senso, ma che avevamo perso l'occasione, e
che ci fosse qualcosa di ridicolo, di riprovevole addirittura, nel modo in cui
stavamo pensando e pianificando il futuro.
Fuori
la pioggia continuava a cadere. Tommy si voltò su un fianco e mi appoggiò la
testa sulla spalla. - Ruth ha fatto una cosa bella per noi, - disse dolcemente.
- Aveva ragione. - Sì, ha fatto una cosa
bella. Ma adesso tocca a noi. - Qual è
il piano, Kath? Ne abbiamo uno? - Non ci
resta che andare da lei. Non ci resta che andare da lei e chiederglielo.
Capitolo
ventunesimo
v
Quella
giornata non era andata per niente bene.
Madame,
- dissi appoggiandomi al cancello. - Non vogliamo spaventarla, niente del
genere. Mi chiamo Kathy H., forse si ricorda di me. E lui è Tommy D. Madame si
avvicinò di qualche passo. - Siete di Hailsham, - disse, e un leggero sorriso
le attraversò il volto. - Be', questa sì
che è una sorpresa. Se non siete venuti per creare problemi, allora perché
siete qui? D'un tratto Tommy esclamò: -
Dobbiamo parlare con lei. Ho portato con me alcune cose, - sollevò la sacca, -
alcune cose che forse andranno bene per la sua galleria. Dobbiamo parlare con
lei. Madame sorrise di nuovo, sebbene
quel sorriso fosse diretto non a noi, ma unicamente a se stessa. - Benissimo allora. Entrate. Così saprò di
che cosa volete parlarmi. Tommy mi sfiorò il braccio e mi indicò un altro quadro
incorniciato, che stava appeso in un angolo sopra un tavolinetto tondo. - È Hailsham, - bisbigliò. Ci avvicinammo, ma in quel momento non ne fui
così certa. Vidi che si trattava di un bell'acquerello.
Avevo
escogitato un piano: avrei memorizzato parola per parola alcuni punti chiave,
poi mi sarei disegnata una mappa mentale di come sarei passata da un punto
all'altro. Adesso però che lei si
trovava di fronte, la maggior parte del discorso che mi ero preparata mi
sembrava inutile o completamente sbagliata. Tommy fu d'accordo con me quando ne
discutemmo in seguito - sebbene a Hailsham era stata un'estranea ostile che
veniva dal mondo fuori, adesso che ci trovavamo nuovamente di fronte a lei,
anche se non aveva detto o fatto nulla che suggerisse un po' di calore nei
nostri confronti, Madame mi appariva come qualcuno che aveva con noi una certa
intimità, qualcuno molto più vicino a noi di chiunque avessimo incontrato negli
ultimi anni. Ecco perché d'un tratto tutte le cose che mi ero preparata nella testa
sparirono, e io mi rivolsi a lei con onestà e semplicità. Le raccontai di
quello che avevamo sentito dire, delle voci sugli studenti di Hailsham e dei
rinvii; di come ci rendessimo conto che queste voci potevano non essere esatte,
e che non contavamo su niente in particolare.
- E anche se fosse vero, - dissi, - sappiamo che probabilmente non ne
può più, di tutte queste coppie che vengono da lei, a sostenere di essere
innamorate. Tommy e io non saremmo mai venuti a disturbarla, se non ne fossimo
sicuri. - Sicuri? - Era la prima volta
che apriva bocca dopo non so quanto tempo, e tutti e due facemmo un piccolo
sobbalzo, sorpresi. - Dite di essere sicuri? Sicuri di essere innamorati? Come
fate a saperlo? Pensate che l'amore sia così facile? Quindi sareste innamorati. Innamoratissimi. È questo che mi state
dicendo? Il tono della sua voce era quasi sarcastico, poi però vidi, e ne
rimasi profondamente colpita, che stavano spuntando delle lacrime mentre il suo
sguardo passava dall'uno all'altra. - Lo
credete? Credete di essere molto innamorati? E che quindi siete venuti da me
per questo. . questo rinvio? Perché?
Perché siete venuti da me? Tommy era stato colto dall'ansia, perché d'un tratto
esplose: - Siamo venuti da lei per la galleria. Pensiamo di sapere a cosa serve
la galleria. - La mia galleria? - Si
appoggiò sul davanzale della finestra, facendo ondeggiare le tende dietro di
lei, poi trasse un lento respiro. - La mia galleria. Intendete dire la mia
collezione. Tutti quei dipinti, le poesie, tutte quelle cose che vi
appartenevano e che ho raccolto negli anni. È stato molto impegnativo, ma ci
credevo, era così per tutti a quel tempo. Per cui pensate di sapere a cosa
serviva, perché lo facevamo. Be', sarebbe interessante sentirvelo dire. Perché,
devo ammetterlo, è una domanda che non faccio che ripetermi -. Improvvisamente spostò il suo sguardo da
Tommy a me. - Sto esagerando? Non sapevo
cosa rispondere, così mi limitai a dire: - No, no. - Sto esagerando, - disse. - Mi spiace.
Esagero sempre un po', quando si tratta di questo argomento. Dimenticate quello che vi ho appena
detto. Giovanotto, stavi per parlarmi
della mia galleria. Ti prego, vai avanti.
- Era un modo per decidere, - spiegò Tommy. - Qualcosa per poter
giudicare. Altrimenti come avrebbe fatto a capire quando gli studenti venivano
da lei a dirle che erano innamorati? Adesso perché, giovanotto, spiegamelo.
Perché la mia galleria dovrebbe aiutarmi a capire chi di voi è veramente
innamorato? - Perché serve a dimostrare
chi siamo realmente, - spiegò Tommy. - Perché. . - Perché naturalmente - Madame lo interruppe
all'improvviso - i vostri lavori avrebbero rivelato la vostra natura più
profonda! È così, non è vero? Perché i vostri lavori avrebbero svelato le vostre
anime\ - Poi d'un tratto si volse di nuovo verso di me e disse: - Sto
esagerando? - Allora, quello che stavo cercando di dire è che - insistette
Tommy - ero talmente confuso in quel periodo, che non creavo quasi niente. Non
facevo niente. Adesso so cosa avrei dovuto fare, ma ero confuso. Quindi lei non
ha nulla di mio nella sua galleria. So che è colpa mia, so che probabilmente è
troppo tardi, ma adesso ho portato qualcosa con me -. Sollevò la sacca, poi cominciò ad aprire la
cerniera. - Alcune di queste cose sono recenti, altre sono di tanto tempo fa.
Dovrebbe già avere qualcosa di Kath. Dovrebbero esserci molti dei suoi lavori
nella Galleria. Non è così, Kath? Per un
istante i loro sguardi si fissarono su di me.
Poi
Madame disse, in un sussurro appena percepibile: - Povere creature. Cosa vi
abbiamo fatto? Con tutti i nostri schemi e i nostri progetti? - Non terminò la
frase, e a me sembrò di vederle di nuovo spuntare le lacrime agli occhi.
Poi
si voltò e mi chiese: - Continuiamo questa conversazione? Vuoi andare
avanti? Fu quando pronunciò queste
parole che l'idea un po' vaga che mi era venuta prima mi sembrò cominciasse ad
avere un reale fondamento. « Sto esagerando?» E adesso: « Continuiamo?» Mi resi
conto, con un leggero brivido di paura, che quelle domande non erano rivolte a
me, o a Tommy, ma a qualcun altro - qualcuno che era in ascolto dietro di noi
nella metà della stanza avvolta dall'ombra.
Mi girai molto lentamente e scrutai nell'oscurità. Non vidi nulla. Poi
riuscii a distinguere una sagoma che si muoveva verso di noi, e una voce di
donna che diceva: - Sì, Marie-Claude. Andiamo avanti. Madame disse: - Parla con
loro. È con te che sono venuti a parlare.
Capitolo
ventiduesimo
Marie-Claude
ha ragione, - disse Miss Emily. - Sono io la persona a cui dovete rivolgervi.
Marie-Claude ha lavorato moltissimo per il nostro progetto. E visto il modo in
cui sono andate le cose, si sente un po' disillusa. Per quanto riguarda me,
malgrado la delusione, non conservo un cattivo ricordo di quanto è avvenuto.
Ritengo che abbiamo raggiunto degli ottimi risultati. Prendete voi due. Siete
venuti molto bene. Sono certa che avreste da raccontarmi molte cose che mi
renderebbero orgogliosa di voi. Come avete detto di chiamarvi? No, no,
aspettate. Penso di ricordarmi di voi. Tu sei il ragazzo con quel brutto
carattere. Un brutto carattere, ma un
cuore grande. Tommy. È così? E tu, ovvio, sei Kathy H. Sei una brava
assistente. Ho sentito molto parlare di te.
Mi ricordo, vedete. Oserei dire che mi ricordo di ognuno di voi.
-
Che bene può fare a te o a loro, tutto questo? - chiese Madame, poi si
allontanò.
Ma
mi rendo conto, miei cari, che siete venuti fin qui per compiere una missione
che vi sta molto a cuore. Devo ammettere che sono felice di vedervi. Persino
Marie-Claude è contenta, anche se non si direbbe, guardandola in faccia. Non è
così, tesoro? Oh, fa finta, ma è vero. È commossa, che siate venuti a trovarci.
Oh, tiene il broncio, ignoratela, miei cari studenti.
Allora,
adesso cerchiamo di rispondere alle vostre domande nel miglior modo possibile.
Ho sentito questa voce non so quante volte. Quando esisteva ancora Hailsham,
venivano lì due o tre coppie all'anno, a cercare di entrare per avere un
colloquio con noi. Una ci scrisse persino. - Quello che vogliamo sapere, Miss
Emily, è se questa voce è vera o no.
Continuò a fissarci per un istante, poi inspirò profondamente. - A
Hailsham, ogni volta che saltava fuori questa diceria, facevo in modo di
reprimerla sul nascere. Ma come potevo controllare quello che gli studenti
raccontavano quando se ne andavano? intendo dire, è che penso si tratti di una
diceria che ogni volta si ricrea da capo. Vai alla fonte, la annienti, ma non
puoi impedire che rinasca da qualche altra parte. Sono giunta a questa
conclusione e ho smesso di preoccuparmene. Marie-Claude non le ha mai dato
molto peso. Ha sempre pensato: «Se sono così sciocchi, allora lasciamoglielo
credere». Per loro rappresenta un sogno, una piccola fantasticheria. Che male
c'è? Per voi due però, vedo che è diverso. Voi siete seri. Ci avete riflettuto
attentamente. Ci avete sperato fino in fondo. Per studenti come voi, provo
dispiacere. Sono dolente di dovervi deludere. - E così dunque, i rinvii non
esistono? Non c'è nulla che lei possa fare?
Miss Emily scosse il capo lentamente da una parte all'altra. - Questa
voce è priva di fondamento. Mi dispiace. Davvero. All'improvviso Tommy domandò: - Però una
volta era vera? Prima che Hailsham chiudesse?
Miss Emily continuò a scuotere la testa. - Non è mai stata vera. È
meglio essere chiari su questo punto. Una voce, che era soltanto un desiderio
irrealizzabile.
-
Se la voce non è mai stata vera, - insistette Tommy, - allora perché portavate
via tutti i nostri lavori? Non esiste neanche la Galleria?
Galleria?
Ebbene, quella voce aveva qualche fondamento. C'era una galleria. E in un certo
senso esiste ancora. In quest'ultimo periodo si trova qui, in questa casa. Sono
stata costretta a sfrondarla, e mi dispiace. Ma non c'era abbastanza spazio per
tutto. Perché portavamo via i vostri lavori. È questo che mi state chiedendo,
vero? - Non soltanto questo, - dissi
pacatamente. - Perché dovevamo farli innanzitutto? Perché addestrarci,
incoraggiarci, costringerci a produrre quelle cose? Se comunque serviamo
soltanto per le donazioni e poi moriamo, perché tutte quelle lezioni? Perché
tutti quei libri e quelle discussioni? -
Perché Hailsham allora? - Madame aveva pronunciato queste parole dall'entrata.
Ci passò di nuovo accanto e rientrò nella parte oscura della stanza. - Questa è
una bella domanda da fare. Lo sguardo di
Miss Emily la seguì, e per un istante rimase fisso su qualcosa dietro di noi.
Avrei voluto voltarmi per vedere il loro scambio di occhiate, ma era quasi come
se fossimo di nuovo a Hailsham, e noi dovessimo guardare dritto davanti a noi
senza distrarci.
Poi
Miss Emily disse: - Già, perché Hailsham allora? A Marie-Claude piace molto
fare questo genere di domande ultimamente. Lo sai che ho ragione, non guardarmi
in quel modo! C'era soltanto una persona a quei tempi che avrebbe potuto farlo,
e quella ero io. Fin dall'inizio, mi ponevo quella domanda. E questo rendeva
tutto più facile per gli altri, Marie-Claude, tutti andavano avanti senza il
minimo pensiero. Anche voi studenti. Ero io a preoccuparmi e a fare domande per
tutti voi. E fin tanto che ho continuato,
mai nessun dubbio vi ha attraversato la mente, a nessuno di voi.
Però
adesso veniamo alle tue domande, caro ragazzo. Rispondiamo alla più semplice, e
forse ci sarà una spiegazione anche per le altre. Perché portavamo via i vostri
lavori? Perché lo facevamo? Prima hai fatto un'osservazione interessante,
Tommy. Mentre ne parlavi con Marie-Claude. Hai detto che avrebbero rivelato
cosa eravate realmente. Dentro di voi. E questo che hai detto, non è così? Noi
prendevamo i vostri lavori perché pensavamo che fossero un riflesso della
vostra anima. O, per concludere il ragionamento, lo facevamo per dimostrare che
voi avevate un'anima. Si interruppe, e
Tommy e io ci scambiammo un'occhiata per la prima volta da non so quanto tempo.
Poi chiesi: - Perché dovevate dimostrare una cosa del genere, Miss Emily?
Qualcuno metteva in dubbio che non avessimo un'anima? Un leggero sorriso apparve sul suo volto. - E
commovente, Kathy, vedere quanto tu sia sorpresa. Dimostra, in un certo senso, che abbiamo
fatto bene il nostro lavoro. Come dici tu, perché qualcuno dovrebbe mettere in
dubbio che voi abbiate un'anima? Eppure devo dirtelo, mia cara, non era così
ovvio quando abbiamo cominciato molti anni fa. E sebbene si siano fatti molti
progressi da allora, non è ancora così universalmente riconosciuto, neanche
oggi. Voi studenti di Hailsham, anche dopo che siete stati nel mondo fuori, non
sapete neanche la metà di quello che succede. In tutto il paese, in questo
stesso momento, ci sono studenti allevati in condizioni deplorevoli, condizioni
che voi non potreste neanche immaginare. E adesso che non esistiamo più, le
cose non faranno che peggiorare. Se non altro, noi almeno abbiamo fatto in modo
che tutti voi che eravate affidati alle nostre cure cresceste in un ambiente
meraviglioso. E abbiamo fatto anche in
modo che, dopo la vostra partenza, vi fosse risparmiato il peggiore degli
orrori. Almeno in questo non abbiamo fallito. Però questo vostro sogno, il
sogno di poter ottenere un rinvio.
Sarebbe andato oltre le nostre reali possibilità, persino quando eravamo
all'apice del potere. Mi dispiace, vedo che per voi non è facile accettare
quello che sto dicendo. Però non dovete essere delusi. Spero che possiate
apprezzare quanto siamo riusciti a fare per voi. Guardatevi! Avete una bella
vita, siete colti ed educati. Mi dispiace non poter fare più di quanto non
abbia già fatto, ma dovete capire che poteva toccarvi in sorte ben altro.
Quando Marie-Claude e io abbiamo cominciato, non esistevano posti come
Hailsham. Eravamo i primi. Insieme, siamo diventati un movimento piccolo ma
molto ascoltato, e abbiamo sfidato l'intero sistema del programma delle
donazioni. Soprattutto, abbiamo
dimostrato al mondo che se gli studenti venivano allevati in ambienti umani e
dove la cultura era un elemento importante, era possibile che crescessero
sensibili e intelligenti come qualunque altro essere umano. Avreste rischiato
di esistere soltanto come meri strumenti della scienza medica. Dopo
la guerra, è ciò che rappresentavate per la maggior parte delle persone. Degli
oggetti indistinti. Molto bene. Dunque, per rispondere alla tua domanda, Tommy.
Ecco perché collezionavamo i vostri lavori. Selezionavamo i migliori e
allestivamo delle mostre. Nei tardi anni Settanta, all'apice della nostra
influenza, organizzavamo grandi eventi in tutto il paese. C'erano discorsi,
imponenti raccolte di fondi. «Ecco, guardate! - ripetevamo. - Guardate queste
opere! Come osate dire che questi bambini non sono esseri umani esattamente
come noi?». Sembrava contenta di parlare con noi e un sorriso gentile le
illuminò gli occhi. Poi d'un tratto si risvegliò e disse con tutt'altro tono: -
Ma noi non abbiamo mai perso il contatto con la realtà, non è così,
Marie-Claude? Quello che non capisco, però, - dissi, - è perché la gente voleva
che gli studenti venissero trattati così male.
- Dal tuo punto di vista, Kathy, la tua perplessità è assolutamente
legittima. Però devi cercare di osservarlo da una prospettiva storica. Dopo la guerra, agli inizi degli anni
Cinquanta, quando le grandi scoperte scientifiche si susseguirono così
rapidamente, non c'era tempo di soffermarsi, di fare le domande più
ragionevoli. Improvvisamente avevamo a
disposizione tutte quelle possibilità, tutti quei modi per curare malattie che
fino a quel momento erano state considerate incurabili. Era questo ciò che il
mondo vide, ciò che desiderò sopra ogni altra cosa. Per molto tempo, la gente
ha preferito credere che quegli organi comparissero dal nulla, o tutt'al più
che crescessero in una specie di vuoto. È vero, ci sono stati dei dibattiti. Ma
nel momento in cui la gente ha preso a interessarsi degli. . studenti, nel
momento in cui hanno cominciato a prendere in considerazione come erano
allevati, se dovessero venire allo scoperto, ebbene allora era troppo tardi.
Non c'era modo di invertire il processo. Come si può chiedere a un mondo che è
arrivato a considerare il cancro come una malattia curabile, come si può
chiedere a un mondo simile di accantonare la cura, di tornare nell'età infelice
dell'impossibilità? Non c'era modo di
invertire la rotta. Per quanto le persone si sentissero a disagio nei vostri
confronti, la loro crescente preoccupazione era che i loro figli, le loro
mogli, i genitori, gli amici, non morissero di cancro, di atrofia muscolare, di
infarto. Così per molto tempo vi abbiamo tenuto nascosti, e la gente ha fatto
del suo meglio per non pensare a voi. E se lo facevano, cercavano di
convincersi che non eravate veramente come noi. Che eravate inferiori agli
esseri umani, e che quindi non contavate nulla. Ed era così che stavano le
cose, quando ha fatto la sua comparsa il nostro piccolo movimento. Ma capite
cosa siamo stati costretti ad affrontare? Stavamo virtualmente cercando di far
quadrare il cerchio. Là c'era il mondo, che pretendeva studenti per le
donazioni. Se non si fosse verificato qualche cambiamento, ci sarebbe sempre
stata una barriera che impediva di considerarvi come degli esseri umani.
Abbiamo combattuto quella battaglia per innumerevoli anni, e quello che siamo
riusciti a ottenere per voi, perlomeno, sono stati molti miglioramenti, anche
se, naturalmente, eravate soltanto un piccolo gruppo selezionato. Eccoci qui,
ci siamo ritirate in questa casa, e al piano di sopra abbiamo una montagna di
vostri lavori. Sono loro a ricordarci quello che siamo riuscite a fare. E anche una montagna di debiti, sebbene
questi non siano propriamente i benvenuti. E poi i ricordi, immagino, di tutti
voi. Insieme alla consapevolezza di avervi garantito una vita migliore di
quella che altrimenti avreste avuto. -
Non cercare la loro riconoscenza, - disse la voce di Madame alle nostre spalle.
- Perché poi dovrebbero ringraziarci? Sono venuti qui per ottenere ben altro.
Ciò che abbiamo dato loro, tutti quegli anni, le lotte che abbiamo fatto per
loro, che cosa vuoi che ne sappiano? Pensano che siano un dono del Signore.
Prima di arrivare qui, non ne avevano la più pallida idea. Adesso non provano
altro che delusione, perché non gli abbiamo dato tutto quello che
desideravano. Restammo in silenzio per
un po'. - Mi rendo conto - disse Miss Emily - che può sembrare che voi non
siete stati altro che delle semplici pedine. Si può anche osservare la cosa da
questa angolatura. Però pensateci bene. Siete stati delle pedine fortunate.
C'era un certo clima allora e adesso non c'è più. Dovete accettare il fatto che
qualche volta è così che vanno le cose in questo mondo. Le opinioni della
gente, i loro sentimenti, spirano in una direzione, poi in un'altra. E capitato
semplicemente che voi siate cresciuti in un particolare momento di questo
processo. - Può anche essere stata una
moda passeggera, - dissi. - Però per noi
rappresenta la nostra vita. - Si, è
vero. Ma pensateci bene. Avete avuto una vita migliore di molti di quelli che
vi hanno preceduto. E chissà cosa dovranno affrontare quelli che verranno dopo
di voi. Eravamo in grado di darvi qualcosa, qualcosa che
anche adesso nessuno potrà mai portarvi via, e siamo stati in grado di farlo
soprattutto proteggendovi. Hailsham non
sarebbe mai stata Hailsham se non avessimo agito così. E vero, qualche volta
questo significava dovervi tenere all'oscuro, mentire. Si, in un certo senso vi
prendevamo in giro. Immagino che si
possa anche metterla in questo modo. Però vi abbiamo protetto per tutti quegli
anni, e vi abbiamo regalato la vostra infanzia. Guardatevi adesso! Sono così
orgogliosa di voi. Avete costruito le vostre vite su quello che vi abbiamo
dato. Non sareste quello che siete oggi
se non vi avessimo protetto. Non vi sareste immersi nelle lezioni, non vi
sareste persi nell'arte e nella scrittura. Cosa avreste fatto, se aveste saputo
cosa attendeva ciascuno di voi? Ci avreste detto che era tutto inutile, e come
avremmo potuto controbattere? - A Madame non siamo mai piaciuti. Ha sempre
avuto paura di noi. Miss Emily si voltò con durezza: - Marie-Claude ha dato tutto per voi. Non ha
fatto altro che lavorare. Non farti
ingannare, bambina mia, Marie-Claude sta dalla vostra parte e lo sarà sempre. Immagino,
inoltre, che volessimo salutare Miss Emily; forse, dopotutto, volevamo
ringraziarla, non ne sono sicura.
Madame
si voltò come per rientrare in casa, e quando ci vide fermi sul marciapiede, si
fermò di colpo, ritraendosi quasi. -
Andiamo, - dissi. - Grazie per aver parlato con noi. Per favore saluti Miss
Emily da parte nostra. idi che mi osservava attentamente alla luce che si
affievoliva. Poi disse: - Kathy H. Mi ricordo di te. Si, mi ricordo -. Rimase
in silenzio, ma continuò a guardarmi. -
Credo di sapere a cosa sta pensando in questo momento, - dissi infine. - Penso di poterlo indovinare. - Molto bene -. Aveva la voce sognante e lo
sguardo era un po' meno intenso. - Molto bene. Sai leggere nel pensiero. Su,
dimmi. - Una volta mi ha vista, un
pomeriggio, nella camerata. Non c'era nessun altro, e io stavo ascoltando una
cassetta, una musica in particolare.
Stavo ballando a occhi chiusi e lei mi ha vista. - Splendido. Sai leggere nel pensiero.
Dovresti fare degli spettacoli. Ti ho
riconosciuta proprio in questo momento. Massì, mi ricordo quell'episodio. Ci
ripenso ancora di tanto in tanto. - È
buffo. Anch'io. - Capisco. . Avremmo
potuto terminare lì quella conversazione. Avremmo potuto salutarci e andarcene.
Lei però si avvicinò, continuando a guardarmi dritto in faccia. - Eri molto più giovane a quel tempo, -
disse. - Però è vero, sei proprio tu. -
Non è obbligata a rispondere se non vuole, - continuai. - Ma me lo sono sempre
chiesto. Posso farle una domanda? - Sei
tu che leggi nel pensiero. Non io. -
Insomma, lei era. . triste quel giorno. Stava lì a osservarmi, e quando me ne
sono accorta, e ho aperto gli occhi, lei mi stava guardando e mi sembra che
stesse piangendo. In realtà, ne sono certa.
Mi guardava e piangeva. Perché?
L'espressione di Madame non mutò e continuò a fissarmi. - Piangevo,
disse finalmente, a voce bassissima, - perché quando sono entrata, ho sentito
la musica. Quando sono entrata nella camerata, ti ho vista, sola, una ragazzina
che ballava. Come dici tu, gli occhi chiusi, lontana chissà dove, con
un'espressione languida. Stavi ballando con una tale intensità di emozioni. E
la musica poi, quella canzone. C'era qualcosa in quelle parole. Era piena di
tristezza. - Quella canzone, - dissi. -
Si intitolava Never Let Me Go -. Poi accennai qualche verso dolcemente,
sottovoce. - «Non lasciarmi. Oh, tesoro, non lasciarmi . . » Annuì, quasi a
sottolineare che era d'accordo. - Sì, era proprio quella canzone. L'ho sentita
una o due volte da allora. E mi ha fatto ripensare a quella ragazzina, che
ballava da sola. - Dice di non saper
leggere nel pensiero, - continuai. - Ma forse quel giorno non è andata
così. Forse ecco perché ha cominciato a
piangere quando mi ha vista. Perché di qualunque cosa parlasse quella canzone,
nella mia testa, mentre ballavo, io conservavo dentro di me la mia versione.
Vede, immaginavo parlasse di una donna a cui era stato detto che non avrebbe
potuto avere dei bambini. Poi però ne
aveva partorito uno, ed era così felice che lo teneva stretto al cuore, ma
nello stesso tempo aveva una gran paura che qualcosa potesse separarli, e
allora cantava, tesoro, tesoro, non lasciarmi. Il tema della canzone è
completamente diverso, ma c'era questo nella mia testa a quel tempo. Forse sa leggere nel pensiero, ed ecco perché
la trovava tanto triste. Non mi sembrava
così allora, ma adesso, quando ci ripenso, credo che fosse una canzone un
po' triste. Poi Madame disse: - E molto interessante. Ma
io non sapevo leggere nel pensiero, oggi come allora.
Stavo
piangendo per una ragione completamente diversa. Mentre ti osservavo ballare
quel giorno, ho visto qualcos'altro. Ho visto un nuovo mondo che si avvicinava
a grandi passi. Più scientifico, più efficiente, certo. Splendido. E tuttavia
un mondo duro, crudele. Ho visto una ragazzina,
con gli occhi chiusi, stringere al petto il vecchio mondo gentile, quello che
nel suo cuore sapeva che non sarebbe durato per sempre, e lei lo teneva fra le
braccia e implorava, che non la abbandonasse. Ecco ciò che ho visto. Non eri
veramente tu, non era quello che stavi facendo, lo so. Ma ti ho vista e ho
sentito il cuore spezzarsi. E non l'ho mai dimenticato. Poi si avvicinò finché ci separarono soltanto
uno o due passi. - Le vostre storie questa sera, anche questo mi ha commosso -.
Guardò Tommy, poi il suo sguardo si posò di nuovo su di me. - Povere creature.
Vorrei potervi aiutare. Ma adesso siete completamente soli. Allungò la mano, continuando a fissarmi, e me
la appoggiò su una guancia. Sentii un tremito percorrerle tutto il corpo, ma
non si mosse, e ancora una volta vidi delle lacrime nei suoi occhi. Povere
creature, - disse in un sussurro. Poi si voltò e scomparve dentro casa.
v
Capitolo
ventitreesimo
Non
era luna piena, ma faceva luce a sufficienza, e riuscii a intravedere a una
certa distanza, nel punto in cui il campo diventava più scosceso, la sagoma di
Tommy, urlava e si dimenava. Vidi di sfuggita il suo volto illuminato dalla
luna, alterato dall'ira, poi gli afferrai le braccia che si dimenavano da tutte
le parti e lo tenni stretto. Cercò di divincolarsi, ma io non mollai la presa,
finché smise di urlare e sentii che la rabbia lo abbandonava. Poi mi resi conto che anche lui mi circondava
con le braccia. Rimanemmo così, per quello che ci sembrò un tempo infinito,
abbracciati senza dire una parola, mentre il vento non smetteva di soffiarci
contro, e sembrava strapparci i vestiti di dosso; per un istante fu come se ci
tenessimo stretti l'uno all'altra, perché quello era l'unico modo per non
essere spazzati via nella notte. Quando
alla fine ci separammo, lui sussurrò: - Mi dispiace molto, Kath-. Vidi che
faceva del suo meglio per rassicurarmi che andava tutto bene, ma il petto
continuava a sollevarsi, e le gambe gli tremavano. Ci incamminammo insieme.
-
Continuo a pensare a un fiume da qualche parte là fuori, con l'acqua che scorre
velocissima. E quelle due persone nell'acqua, che cercano di tenersi strette,
più che possono, ma alla fine devono desistere. La corrente è troppo forte.
Devono mollare, separarsi. È la stessa cosa per noi. È un peccato, Kath, perché
ci siamo amati per tutta la vita. Ma alla fine non possiamo rimanere insieme
per sempre. Quando disse queste parole,
mi venne in mente il modo in cui mi teneva abbracciata quella notte nel campo.
-
Tommy, sei contento che Ruth non abbia scoperto ciò che sappiamo? - Stavo
pensando la stessa cosa l'altro giorno. Devi tenere a mente, però, che quando
si trattava di argomenti come questo, Ruth era molto diversa da noi. Tu e io,
fin dall'inizio, anche quando eravamo piccoli, cercavamo sempre di scoprire
come stavano le cose. Ti ricordi, Kath, delle nostre conversazioni segrete?
Ruth non era come noi. Voleva sempre credere nelle cose. Era il suo modo di
essere. Quindi sì, penso che in un certo senso sia stato meglio così -. Poi
aggiunse: - Naturalmente, quello che abbiamo scoperto, Miss Emily, tutto
quanto, non cambia nulla di quello quello che sentiamo nei confronti di Ruth. In fondo desiderava il meglio per noi. Lo
desiderava davvero. Non volevo mettermi
a discutere di Ruth in quel momento, così acconsentii.
Io
non sono d’accordo, non credo che i ricordi, anche i più preziosi, svaniscano
con sorprendente semplicità. I ricordi che mi sono più cari, mi sembra che non
svaniranno mai. Ho perso Ruth, poi ho perso Tommy, ma non perderò i ricordi che
serbo di loro.
In
un certo senso io sono alla ricerca del mio passato. Tuttavia è molto probabile
che non riveda più i luoghi del mio passato, e se ci penso, sono felice che sia
così. L'unica concessione che mi regalai, un'unica volta, fu di andare nel
Norfolk, anche se non ce n'era alcun bisogno. Non stavo cercando niente di
particolare. Forse avevo soltanto voglia di vedere tutti quei campi regolari e
gli enormi cieli grigi. A un certo punto mi ritrovai su una strada che non
conoscevo: per mezz'ora non capii dov'ero e non me ne importava nulla. Alla
fine scorsi alcuni alberi in lontananza, vicino al bordo della strada, così mi
avvicinai, mi fermai e scesi dall'auto.
Mi ritrovai in piedi davanti ad acri di terreno coltivato. Un reticolato
mi impediva di entrare nel campo, dove correvano due strisce di filo spinato, e
mi accorsi che quella rete e un gruppetto di tre o quattro alberi di fronte a
me erano le uniche cose a interrompere la corsa del vento fin dove l'occhio
spaziava. Lungo tutto il reticolato, e in particolare in basso vicino al
terreno, erano rimasti alcuni frammenti di diversa natura, simili ai detriti
che si trovano sulla spiaggia: il vento doveva averli trasportati per miglia,
prima di incontrare finalmente quegli alberi e quelle due strisce di filo
spinato. Fu quella l’unica volta, sentendo il rumore del vento che attraversava
quei campi vuoti, che mi feci trasportare da quella piccola fantasia; perché
dopotutto mi trovavo nel Norfolk, ed erano passate soltanto due settimane da
quando avevo perso Tommy. Pensavo alla linea di frammenti intrappolati lungo il
reticolato, e allora chiusi quasi gli occhi e immaginai che quello fosse il
punto dove tutto ciò che avevo perduto dagli anni dell'infanzia era stato
gettato a riva; adesso mi trovavo lì, e se avessi aspettato abbastanza, una
minuscola figura sarebbe apparsa all'orizzonte in fondo al campo, e a poco a
poco sarebbe diventata più grande, finché non mi fossi resa conto che era
Tommy, e lui mi avrebbe fatto un cenno di saluto con la mano, forse mi avrebbe
chiamata. La fantasia non andò mai al di là di questa immagine, - non glielo
permisi - e sebbene le lacrime mi rotolassero lungo le guance, non singhiozzavo
né mi sentivo disperata. Aspettai un poco, poi tornai verso l'auto e mi
allontanai, ovunque fossi diretta.
v
Fine